La cura della follia di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: La cura della follia

Hieronymus Bosch: La cura della follia
Hieronymus Bosch: La cura della follia, cm. 48 x 35, Prado, Madrid.

Sull’opera: “La cura della follia” è un dipinto prevalentemente attribuito a Bosch, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1475-80, misura 48 x 35 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid. 

In alto ed in basso, la tavola reca le scritte “Meester snyt die Keye ras” e “Myne name is Iubbert das”, che significano: Maestro, cava fuori le pietre (riferite a quelle della follia), il mio nome è “Iubberi das”: Iubberi das,  alla lettera, significa ‘bassotto castrato’, cioè un sempliciotto, la tipica persona ingannata).

Potrebbe trattarsi del quadro che si trovava appeso nella sala da pranzo del vescovo di Utrecht, figlio (illegittimo) di Filippo III di Borgogna. Il quadro viene elencato nell’inventario del castello di Duurstede, datato 1524; si pensa allo stesso che nel 1570 fece parte delle sei tavole del Bosch che gli eredi di Guevara vendettero a Filippo II di Spagna (fonte: Justi, 1889 nel catalogo n. 124): Simancas nel suo elenco lo designa come “tela quadrata”, una segnalazione abbastanza fuorviante, per cui è da presupporre che non si tratti dell’opera in esame, come afferma il Tolnay nel 1965. Nell’inventario delle opere pittoriche presenti nel Palazzo Reale di Madrid al momento della morte di Filippo II – avvenuta nel 1598 – il dipinto viene indicato come “rovinato”, ma le misure ad esso abbinate non corrispondono a quelle della tavola del Prado. Il Justi ipotizza trattarsi del dipinto che nel 1794 si trovava nella Quinta del Duque del Arco. Il fatto che quadro fosse in brutte condizioni alla morte del sovrano, può farci pensare che fosse stata eseguita una riproduzione: cosa che non pare verosimile nell’esemplare esposto al Prado, la cui stesura pittorica è di alto pregio e di fattura tardo-quattrocentesca – come afferma il Tolnay – e comunque legata al periodo del Bosch. La maggior parte degli studiosi concordano sull’autografia dell’artista, appartenente al periodo della prima, o forse della seconda giovinezza (1475-80 o 1480-85, circa).

Lo smagliante cromatismo trasmuta in aeree di raffinate eleganze in una concezione paesaggistica del tutto nuova, sconfinata e suggestiva su uno sfondo non proprio tipico nella pittura neerlandese, ma ripetuto in altri lavori giovanili dell’artista. I contorni accentati, tipici di un pittore agli inizi della carriera, sono riscattati da una leggerezza d’impasto ormai del tutto compresa ed accettata, soprattutto nei volti del “folle” e del medico; mentre la monaca, che reca in equilibrio uno sgargiante  volume di medicina, pare mediti sull’idiozia e sulle follie dell’uomo, atteggiandosi a “testimone pensieroso”, che solitamente troviamo nella pittura del Bosch.

Nella “Cura della follia” leggiamo una nascente tensione fra lucidità ed enigmaticità, cioè paragoni tra la chiarezza espressiva e più le articolate intenzioni simboliche, come rispecchia l’essenza dell’arte bosciana. L’ “imbuto della sapienza” – messo per derisione sulla testa  del medico – i germi  floreali dalla cervice del “folle”, il pugnale infilato nella borsa al suo fianco, la ruota di tortura e la forca – visibili sullo sfondo – rappresentano certamente i primi misurati approcci allo stile allusivo, che troveremo sempre più spesso nelle emblematiche opere della maturità, come spontanea espressione delle cognizioni sempre più integrate da innovazioni in fatto di mistica e demonologia, proprie del tardo-medieovo.

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