La città che sale di Umberto Boccioni

Umberto Boccioni: La città che sale

Umberto Boccioni: La città che sale
Umberto Boccioni: La città che sale, cm. 200 x 290,5, Museum of Modern Art (Guggenheim), New York

Alla pagina della seconda serie di opere di Umberto Boccioni

Sull’opera: “la città che sale” è un dipinto autografo di Umberto Boccioni realizzato con tecnica ad olio nel 1910, misura 200 x 290,5 cm. ed è custodito nel Museum of Modern Art (Guggenheim) of New York N.Y.

L’opera fu iniziata durante il periodo estivo del 1910 con la denominazione – data dallo stesso artista – di “Il Lavoro”, e con detto titolo fece l’esordio, nell’aprile del 1911, alla Mostra d’arte libera di Milano.

L’anno successivo, dal febbraio 1911, la tela viaggiò per gran parte del vecchio continente, iniziando con Parigi per essere esposta alla Bernheim-Jeuneper, quindi a Londra, Bruxelles, L’Aia e Amsterdam. Più tardi pervenne al Museum of Modern Art of New York, N.Y. In questo Museo, attuale sede, l’opera subì significativi danneggiamenti in seguito ad un incendio scoppiato nel 1958, quindi fu sottoposta ad un importante restauro.

Il Boccioni, prima di dedicarsi in pieno alla versione di New York, fece diversi tentativi e bozzetti (vedi opera successiva), approfondendo le modalità su come poter efficacemente lanciare un profondo messaggio attraverso il dipinto che di lì a poco avrebbe concepito.

L’artista ribadisce quindi, il proprio intento di dipingere “il frutto del nostro tempo industriale”, impegnandosi di comunicare nel modo più diretto anche la sua ansia vitalistica.

Nell’opera in esame appaiono elementi veristici assai inerenti alla tematica, ma anche  fattori simbolici che sollecitano il pittore a creare nuovi stati d’animo, e quindi nuove emozioni derivanti, però, sempre dalla stessa realtà nel ritmo frenetico della città che si evolve.

La struttura prospettica della composizione rimane fondata sul naturalismo, e questo dimostra la volontà del Boccioni di non fondere completamente la realtà con la visione. Da aggiungere doverosamente che lo stesso artista considerava il “lavoro” un’opera di transizione, come testimonia una sua lettera scritta al Barbantini: “Ho quasi finito tre lavori.

Un quadro di metri 3 X 2 dove ho cercato una gran sintesi del lavoro, della luce e del movimento. È forse un lavoro di transizione e credo uno degli ultimi. È fatto completamente senza modello, e tutte le abilità del mestiere sono sacrificate alla ragione ultima dell’emozione”.

Altri elementi, soprattutto quelli relativi alla “cultura” avvicinano il dipinto alla pittura espressionista, come già si intravedevano nella Primavera e si evidenzieranno in altre opere come il “Lutto”.

Preoccupazione dell’artista è quella di creare un moto spaziale attraverso uno stretto rapporto di forma e colore, che riproporrà nella “Rissa in Galleria“.

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