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Bronzino: Decorazione del soffitto: San Michele arcangelo vince il demonio la stigmatizzazione di San Francesco e frate Leone San Gerolamo penitente San Giovanni evangelista a Patmos), cm. 490 x 385.

Citazioni e critica al Bronzino (Agnolo Allori)

Citazioni e critica al Bronzino (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Ed)

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Bronzino: Decorazione del soffitto: San Michele arcangelo vince il demonio la stigmatizzazione di San Francesco e frate Leone San Gerolamo penitente San Giovanni evangelista a Patmos), cm. 490 x 385.
Bronzino: Decorazione del soffitto: San Michele arcangelo vince il demonio la stigmatizzazione di San Francesco e frate Leone San Gerolamo penitente San Giovanni evangelista a Patmos), cm. 490 x 385.

Come hanno parlato di Bronzino (Agnolo Allori) gli studiosi di Storia dell’arte

Francesco Bocchi – G. Ginelli, Le bellezze detta città di Firenze …. 1677

… [nella chiesa di Santa Croce a Firenze] si vede dopo la porta del mezzo alla cappella Zanchini una tavola di mano di Agnolo Bronzino (tre sono stati i Bronzini : questo Angelo è stato il primo, Alessandro fu il secondo, e Cristofano il terzo; li due ultimi hanno superato il primo, ma egli in questa tavola è stato superiore alli due) di bellissimo colorito : in cui è dipinto, quando va dopo la morte al limbo il nostro Salvatore, onde sieno le anime de’ santi Padri liberate.

Molte sono le figure, e di rara bellezza, ma con gra­zia tale divisate, che nella moltitudine è chiaro tuttavia ogni atto, che da questo artefice mirabile è stato espresso. È bellissimo il sembiante del Salvatore, e di dolce colorito : e pare, che di sua vista esca un certo che di divino : e ‘l posare de’ piedi, che sono fatti con artifizio maraviglioso, e l’atteggiare la man destra, onde prende un vecchio da gli anni consumato, sì come sono effigiati mirabilmente, così lodar con parole, come conviene, già mai non si potrebbono, se bene ad alcuni intendenti non piace il voltamento di quel torso, e quell’attitudine sembra loro fuori del naturale … 

Alessandro aa Morrona, Pisa illustrata, 1787

se dessa [la Natività nella chiesa di Santo Stefano a Pisa] è priva di certo calor di tinte proprio de’ Lombardi e Veneti pennelli, e di quella composizione, che unita al maneggio artificioso de’ chiari, e dell’ombre forma vaghi riposi, e spartimenti all’occhio dilettevoli, vedesi per altro arricchita di buon disegno, di copiosa invenzione, di dolci arie ne’ volti, di estremità ben caratterizzate, di nudi ben’intesi, e di un colorito locale impastato con gusto e morbidezza. In fatti non ordinario piacere arreca la Madonna genuflessa, figura d’angelica forma, che spira agilità e naturalezza, che veste bei panni indicanti il rilievo ch’è sotto, e nel cui volto siede grazia e beltà congiunte ad una tenera espressione …

Luigi Lanzi, Storia pittorica dell’Italia, 1789

Altro familiare del Vasari, ne molto distante dalla età sua, fu Angiol Bronzino, tenuto per uno de’ migliori, perché gentile ne’ volti e vago nelle composizioni. Ha luogo anche fra’ poeti … Benché scolare e imitatore del Pontormo, vi si ravvisa anche il maestro di quest’epoca [Michelangelo]. Assai son lodati i suoi freschi di Palazzo ;   Vecchio, entro una cappella, nelle cui pareti figurò la Caduta della Manna e il Castigo de’ Serpenti, istorie piene di evidenza e di spirito; quantunque ad esse non ben corrispondano le pitture della volta biasimate in linea di prospettiva. Ha collocato per le chiese di Firenze alquante tavole, fra le quali ve ne ha delle deboli con Angioli di una beltà che ha troppo del molle e del donnesco.

Ve ne ha al contrario delle bellissime com’è la Pietà a S. Maria Nuova, e specialmente il Limbo a S. Croce in un altare che spetta a’ signori baroni Ricasoli. È questa una tavola più a proposito per un’accademia di nudo, che per un altare di chiesa: ma l’autore era troppo addetto a Michelangiolo per non volerlo imitare anche in questo errore. Tal pittura è stata assai ben rinetta. Nelle quadrerie d’Italia veggonsi non pochi dei suoi ritratti, lodevoli per la verità e per lo spirito; se non che scema loro il credito non rade volte il colorito delle carni, or piombine, or troppo nevose e variate di un rosso che sembra belletto. Ma il colore che domina generalmente nei suoi dipinti è il giallastro, e la maggior critica è il poco rilievo.

A. Furno, La vita e le rime di Angiolo Bronzino, 1902

Il Bronzino può essere considerato, dopo Michelangelo, come il migliore artista-poeta toscano del Cinquecento, e soprattutto come quello che più frequentemente alternò l’esercizio dell’arte colla poesia, talvolta a sfogo degl’intimi moti dell’anima, tal altra per iscoccare lo strale pungente della satira: precursore in questo di un altro artista che doveva maneggiare la sferza un secolo dopo, ma più gagliardamente : Salvator Rosa

M. Tinti, Il Bronzino, 1920

L’arte del Bronzino è come un riflesso freddo e pacato, una distillazione limpida, una preziosa cristallizzazione di quella di Michelangiolo e di Pontormo. Il dinamismo ansioso e tragico di quei due artisti inquieti si placa e si immobilizza in Bronzino, spirito sereno e senza passioni. Tutte le immagini del vero sensibile appaiono nei quadri di questo pittore filtrate, e sto per dire, sublimate attraverso un intelletto sano, continuo, freddamente felice, quasi imprigionate nella durezza e limpidezza di un ghiaccio.

L’acuto e indaginoso senso estetico dei Fiorentini, dopo le sapienti esperienze dei Quattrocentisti trova nel Bronzino la sua conclusione, il suo riposo equilibrato e sereno, la sua espressione definitiva e, quindi, il suo punto di arresto. Il disegno bronzinesco comprende e possiede le forme, seguendone i contorni con una voluttà calma e nondimeno intensa; la personalità dell’artista si assorbe e si confonde in quelle, palesandosi solo col renderle nette, definitive, impeccabili, come ricreate in una materia preziosa e incorruttibile.

Tutto ciò è perseguito con una scienza fredda e sicura, che solo in grazia della sua intensità e perfezione attinge la lirica e diviene arte. Come i Greci, la cui scultura egli guardò con un’attenzione e un compiacimento maggiori di ogni altro artista del Rinascimento, il Bronzino aspira ad una bellezza ideale (vedere il Venere e Amore di Londra, quello di Budapest, i “nudi” della Cappella di Eleonora e l’impersonalità stessa di alcuni ritratti). La sua pittura, attraverso la semplificazione delle forme, tende al rilievo e alla immobilità della scultura. Le sue figure danno piuttosto il senso del marmo gelido, duro, polito, che quello delle vive carni; e tutte le cose indistintamente, anche le più minute, sembrano scolpite o sbalzate, tanto i loro contorni sono vivi, netti, evidenti

Hermann Voss, Die Molerei der Spatrenaissance  in Rom und Florenz, 1920

II Bronzino è rimasto impresso nella memoria dei posteri più come ritrattista che come autore di opere monumentali. Non v’è alcun dubbio che egli stesso pensasse di raccogliere un più vasto plauso con i suoi affreschi e con le pale d’altare, concepiti con un’indefettibile precisione, piuttosto che con i ritratti, cui si dedicava a tempo perso e, in proporzione, con un certo disimpegno.

Ma il riconoscimento generale di gran lunga superiore attribuito al Bronzino ritrattista è più che giustificato, poiché non definisce un’opera d’arte in base al cumulo di lavoro e di abilità tecnica a essa applicato, bensì unicamente in base ai risultati. Il talento più congeniale del Bronzino si esplica, come già suggerisce l’osservazione delle figurazioni religiose e mitologiche. nell’immagine singola, nell’apparizione unica. Una figura isolata, vista con lo sguardo acuto che la contraddistingue e presentata con una stringatezza pittorica non comune, parla all’osservatore mediante una forza e un’immediatezza inaudite; al contrario, quando egli riunisce parecchie figure, pur concepite in tal modo, l’effetto pittorico si indebolisce reciprocamente per l’omogeneità dello svolgimento così come per l’uniformità dell’interesse che esse sollecitano.

Nello spazio circoscritto del quadro da cavalletto un talento unidimensionale di questo genere trova il terreno più fertile. Il predominio della testa diventa naturale e gli accessori tanto ben descritti rivelano con efficacia l’essenziale; solo sporadicamente gli accessori assurgono a un ruolo fondamentale a danno dell’effetto globale, soprattutto là dove il Bronzino si compiace nell’esatta riproduzione dei vari tipi di stoffa dai colori contrastanti, che occasionalmente si trovano accostati in taluni suoi dipinti. … 

L’adeguamento agli ideali del tardo Rinascimento fiorentino-romano trova l’esito più congeniale nei quadri del Bronzino. Il Pontormo, il Salviati e altri hanno sì creato qualcosa di simile e forse persino di valore anche più alto, ma non sono riusciti a creare il tipo valido che incarni compiutamente la fisionomia di un’epoca. Il Bronzino, invece, propende per l’ideale — identico nelle linee essenziali — del ritratto quale viene concepito a Firenze e a Roma, così come il Moroni propende per il gusto dominante nel nord-est dell’Italia e il Parmigianino si fa portavoce dell’ambito culturale dell’Emilia. Se si prescinde dal maestro di Panna, morto giovane, il quale nel ritratto non è andato oltre il rifacimento individuale del tipo proposto dall’Alto Rinascimento romano, in verità nel Moroni e nel Bronzino ambedue gli estremi del gusto artistico ita­liano si oppongono : quello prevalente al di qua degli Appennini e quindi a Venezia e nelle città del Veneto, e quello prevalente al di là degli Appennini e quindi nelle capitali, Firenze e Roma. È indicativo come il loro spirito antitetico, pur conservando intatta la rispettiva identità, si traduca poi in un unico credo : quello della più alta oggetti vita.

Roberto Longhi, Un San Tommaso del Velázquez e le congiunture spagnole  fra il ‘500 e il ‘600, in “Vita artistica’, 1927

Firenze era anch’essa, nel secondo cinquecento, più che non si creda, una fucina di ‘tendenze’; che dico, occorrerebbe rifarsi anche più addietro per avvertire, poiché non mi pare lo sia stato da alcuno, che proprio nel cuore dei movimenti più irrealistici del cosiddetto manierismo, e addirittura nei più famosi rappresentanti dell’irrealismo come il Bronzino e il Pontormo, si possono scorgere con una buona lente d’ingrandimento, frammenti o residui di una vena naturalistica, amorosa e dedita alla apparenza ottica delle cose, ai ‘valori’, che è probabilmente eredità di uno degli aspetti dello spirito figurativo del Quattrocento. il Bronzino, oltre che nella Pietà dell’Accademia …, persino negli affreschi della Cappella di Eleonora di Toledo, mescola al suo idealismo plastico superbamente glaciale, frammenti ammirevoli di realistica e di ‘valori’.  Dietro il ritratto della stessa Eleonora, a Torino, la tenda di velo rigata di velluto nero è dipinta entro l’ambiente con una lucidità di ‘valori’ degna di un olandese del secolo dopo …

Lionello Venturi, Pitture italiane in America, 1931

Il Bronzino pittore di corte dispiega a un tempo la fine precisione del fiorentino e lo sfarzo dello spagnolo, la perfetta forma ideale idoleggiata da Michelangelo e la realizzazione di ogni materia degna di un grande colorista. Tutto il carattere ufficiale e aulico del ritratto è portato a un tale estremo, che non vi manca l’impronta della fantasia, della sintesi di forma e contenuto, dell’equilibrio tra l’ideale aspirazione e la realtà raggiunta; e ne risulta una opera d’arte completa e perfetta.

Adolfo Venturi – Storia dell’’arte italiana, IX, 1933

II Bronzino fece i suoi inizi lavorando col Pontormo … Il fantasioso compagno avrebbe dovuto servire a scaldarlo, o almeno, con la sua irrequietezza, a scuoterio, a sgranchirlo. Preciso, tirato a lustro, minuzioso, fu chiamato a eseguire una serie di miniature con i ritratti medicei, e poi a dipingere nelle ville di Careggi e di Castello per Cosimo.

A trentasette anni, maturo, fu assunto pittore della corte medicea per eseguire specialmente ritratti, nei quali è inciso il segno come su un cristallo, tornita la forma, e grande l’elezione stilistica … Il pittore ufficiale mise in opera tutto il suo talento, tutte le finezze delle sue figurate costruzioni, tutti i fregi, i ricami, i merletti, i tessuti più belli a gloria della corte medicea. Uscito di corte, non parve più così lustro e superbo; lasciò scorgere le sue convenzioni nei quadri chiesastici freddi e grevi. L’artificio s’impadronì dei corpi e della natura circostante, vi sparse l’acqua colata dalla ghiacciaia del Concilio di Trento e della Controriforma.

Luisa Becherucci, Manieristi toscani, 1944

Il maggiordomo Riccio scriveva 1’8 maggio [1545]: “El Bronzino ha finito perfectamente il ritraete del S. Don Giovanni, et è veramente vivo”. Nel tentativo di stilizzare, di epurare la forma e il colore, l’opinione popolare non vedeva altro che questa naturalistica immediatezza. Ed il Bronzino la riscopriva con la stessa obiettiva analisi sia negli aspetti esteriori delle cose che in episodiche notazioni spirituali, fossero i fugaci accenti della vivacità infantile, o la pensosa intimità del ritratto di giovinetta con un libro, forse anch’essa un’ignota principessa medicea, agli Uffizi.

La testa ravviata s’arrotonda come una sfera, le palpebre s’aprono sugli occhi come la buccia sul frutto, il naso è sfaccettato come un piccolo poliedro. Ma questa figura ci guarda con occhio intenso, quasi stanco, come se un po’ della tristezza del Pontormo fosse discesa anche in quella stillata sublimazione d’ogni aspetto sensibile : i gioielli, gli ornati della veste, il minuto capriccio d’un’acconciatura. Non a caso si sono istituiti paralleli tra i ritratti del Bronzino e quelli di Holbein. Una percezione naturalistica, immediata come nella pittura del Nord, vi si decantava nei filtri sottili dell’intellettualismo fiorentino. Ma non ne era inaridita, anzi appariva riscoperta a nuovo fuori dalle convenzioni pittoriche della tendenza di Fra’ Bartolomeo e di Andrea del Sarto. Son i ‘valori’ che il Longhi ha tanto acutamente intuiti in questa pittura come origine di tante realizzazioni del colore secentesco. Per questa percezione di essi il Bronzino resta un grande pittore anche nel suo estremo edonismo formale.

C. H. Smith, The earliest Works of Bronzino, in “Art Bulletin”, 1949

Lo stile del Bronzino sembra più razionalmente concepito di quello del Pontormo e quindi si prestò meglio all’imitazione e al ricalco mediocre da parte di altri — lo testimoniano il numero di quadri nello stile del Bronzino che ri­scossero più o meno successo e che sovente vanno sotto il suo nome. Si potrebbe dire che nella misura in cui il Pontormo venne trasposto nei quadri del Bronzino, il Pontormo stesso, attra­verso il Bronzino, diventò più accessibile al suo tempo. Comunque, vale la pena di rilevare che l’influenza di Raffaellino del Garbo sul Bronzino illumina due caratteristiche formali del suo stile maturo, che appaiono notevoli in quel secolo. Si può forse meglio comprendere ora perché egli fosse particolarmente adatto a incarnare la corrente incline all’irrigidimento plastico, in netto contrasto con le sostanze vitali e animate, rintracciabili in un dipinto più visuale e atmosferico, verso cui il Cinquecento aveva cominciato a orientarsi, anche perché durante tutta la carriera egli si attenne a un tipo di impostazione composita, a mosaico, caratteristica peculiare del Quattrocento e nemica dell’interrelazione coerente e naturale conquistata dalla pittura dell’Alto Rinascimento.

C. H. Smith, ancora in The earliest Works of Bronzino, in “Art Bulletin”, 1949

Nelle composizioni degli anni Quaranta, per esempio, come nell’Allegoria di Londra, il Bronzino era arrivato a una considerevole complessità manieristica. Tuttavia, la costruzione del dipinto sembra basarsi sulla giustapposizione frammentaria delle singole figure scultoree, sostanzialmente isolate, entro uno spazio circoscritto (e parallelo al piano del quadro), come se l’effetto finale fosse il risultato di un inserimento abile e di una sistemazione conseguente di parti separate piuttosto che di una germinazione spontanea. L’ultimissima opera, il Martirio di san Lorenzo in San Lorenzo, tradisce ancora gli stessi principi. Giudicate in relazione con lo stile predominante nella pittura europea dell’Alto Rinascimento fino al secolo seguente, tali peculiarità costituiscono altrettante ‘deviazioni’. Nel Bronzino le predilezioni e i limiti dell’ormai declinante Quattrocento fiorentino si levarono a ossessionare il Cinquecento e il suo idioma manieristico.

Nell’ultimo periodo della carriera, nell’atmosfera sempre più repressiva della Controriforma e sotto l’azione trasformatrice degli stili decorativi romani, facili e impersonali, con i quali era venuto a contatto in occasione del viaggio a Roma nel 1546, anche l’arte del Bronzino divenne meno personale e perse inoltre qualcosa del carattere locale fiorentino; nel tempo stesso l’anticlassicismo divenne in lui qualcosa di conven­zionale e di statico, come accadde per altri. Si av­viò poi seriamente verso un manierismo accade­mico e ‘manierista’.

continua

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