Caspar David Friedrich: citazioni e critica

Caspar David Friedrich: citazioni e critica (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

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Come hanno parlato di Caspar David Friedrich gli studiosi di Storia dell’arte:

E ora, amico mio, vorrei condurla dal paesaggista Friedrich. Lei sa bene in quante diverse maniere vengano giudicati i suoi lavori, come fenomeno nuovo nel campo dell’arte. Sono disposta ad ammettere la necessità di determinate regole, sacre per l’artista come per il giudice di cose d’arte, perché senza quelle tutto sprofonderebbe nuovamente in un procedere per tentativi disordinato e senza scopo; esse sono necessario, come ogni via diritta verso il traguardo.

Ma se un singolo, spinto dal suo genio, abbandona questa via e si incammina per un nuovo sentiero, sia pure pericoloso, credo che si possa assistere alla sua impresa, senza volerlo ostacolare a sassate, e stare a vedere se alla fine non raggiunga anche il traguardo […]. I lavori di Friedrich si differenziano notevolmente da quelli degli altri paesaggisti soprattutto per la scelta dei soggetti. L’aria, che sa trattare con mano veramente maestra, occupa nella maggior parte dei suoi dipinti molto più della metà dello spazio e spesso mancano del tutto i secondi piani e gli sfondi, perché egli sceglie soggetti per i quali non è necessario rappresentarli. Si diletta a dipingere su-perfici sconfinate. Fedele al vero sin nel minimo particolare, è pervenuto anche per quanto riguarda la tecnica artistica a un altissimo grado di perfezione, sia nei dipinti a olio che nei disegni a seppia. I suoi paesaggi hanno una religiosità malinconica e misteriosa. Colpiscono l’animo più dell’occhio […].    J. schopenhauer, in “Journal des Luxus und der Moden” 1810.

Nelle opere del pittore Friedrich vediamo i paesaggi diventare contemplazione della vita interiore, allegoria di un anelito comune a tutti, e significativi custodi delle misteriose rune della natura. Essi si accompagnano da vicino alla poesia. Il loro significato più profondo non è la gioia ne la gaiezza, bensì la nostalgia e la serietà più profonda. È come se dicessero:, una volta fiorì l’arte, e l’uomo con essa; noi passiamo in fretta, e moriamo, e lo sguardo d’addio trasfigurato dice il mistero della vita che abbiamo vissuto, e la speranza che si ricrea in noi; presto la Morte arretrerà, il labirinto è attraversato, la patria è vicina.

Nei paesaggi la vista dell’infinito, per esempio, dell’aria o del mare, desta un senso di tranquilla malinconia; i limiti segnati dai monti, dagli alberi, dalle rocce, dagli oggetti vicini, ridestano invece desideri segreti. Quella sensazione di perderci nell’infinito, in cui ci sprofonda l’arte, è sempre preceduta da un desiderio di morte e da un morire intcriore, anche se così rapido, che talvolta non riusciamo neppure ad accorgercene; dobbiamo passare al di là, via, per poterci entrare; invece, laddove l’arte compie il miracolo dell’automoderazione, la vita si concentra più in se stessa, nella pienezza del bruno e del verde, dell’oro gioiosamente sparso alla superficie, nella pace viva della sobrietà; e a questo sforzo la nostra forza vitale attinge nuove energie per la lotta eterna fra l’infinito, che come patria la chiama senza tregua a sé, e il limitato e finito, che deve ancor essere conquistato e afferrato nel suo significato più vero.   O. H. von loeben, Lotosblatter. Fragmente von Isidorus, 1817.

[…] Qui acclusi, mio caro amico, riceverete i lavori di Friedrich, ben conservati e sigillati, come sono pervenuti a me. Mi rincresce molto non potérli vedere insieme; perché la perfezione è così rara! Al punto che bisogna apprezzarla e goderne anche quando si presenta nella forma più curiosa […].    J. W. von goethe, lettera a Heinrich Meyer, 25 aprile 1812.

Poco dopo Runge, un altro artista, anch’egli nato in Pomerania e vivente a Dresda, di nome Friedrich, è riuscito a diventare noto e apprezzato: per mezzo di paesaggi dal disegno straordinariamente pulito, nei quali, in parte col paesaggio stesso, in parte con le figure, cercò di alludere a concetti mistico-religiosi. In tal modo, come già è avvenuto al menzionato Runge, per amore del significato si favorisce in certo modo lo straordinario, qualche volta persino il brutto. Perciò anche Friedrich si è scontrato con la disapprovazione di chi o non capiva o non approvava le allegorie volute dal pittore; tutti però hanno dovuto ammettere che sa rendere il carattere di alcuni oggetti, per esempio diversi tipi di alberi, edifici decadenti e simili, con la massima diligenza e fedeltà […]. Il menzionato Friedrich di Dresda è finora l’unico che abbia cercato di celare nei paesaggi dipinti e disegnati un significato mistico-religioso. Per il resto si distingue da quelli che tentano di fare altrettanto con le figure, perché cerca di imitare non gli antichi maestri, ma direttamente la natura. Le sue invenzioni hanno tutte quante il non piccolo pregio di essere ideate da lui stesso; ma poiché le tetre allegorie religiose celate in aggraziate e belle raffigurazioni per lo più non sono piacevoli, e Friedrich inoltre o non conosce o disprezza l’arte della luce, così come nell’impiegare i colori non si preoccupa di attenuarli e accordarli, i suoi accurati disegni soddisfano l’occhio più dei dipinti, o per trascurare le regole dell’arte; Friedrich con tutti i suoi compagni di gusto, a qualunque settore si dedichino, si trova parimenti in svantaggio. H. meyer, Neu-Deutsche religios-patriotische Kunst, in “Ober Kunst und Alterthum in den Rhein-und Maingegenden”, 1817.

Questa natura davvero meravigliosa mi ha commosso intensamente, sebbene molti lati dell’essere suo mi siano rimasti oscuri. Egli cerca di esprimere e indicare con fine sensibilità nei paesaggi quell’atmosfera e provocazione religiosa, che da qualche tempo sembrano nuovamente scuotere in maniera singolare il nostro mondo tedesco, e allo stesso tempo una solenne malinconia. Una simile impresa trova molti amici e ammiratori e, cosa ancor più comprensibile, molti avversari. La storia e, più ancora, molti quadri di chiese si sono completamente dissolti, come spesso avviene, nel simbolismo e nell’allegoria, e il paesaggio appare più adatto a evocare un sogno pensoso, un senso di benessere o di gioia per la realtà imitata, alla quale si unisce da sola un’aggraziata nostalgia e fantasticheria. Friedrich invece cerca piuttosto di creare un determinato sentimento, una vera e propria concezione, e pensieri e concetti fissati entro questa, che si dissolvano diventando una cosa sola con quella malinconia e solennità. Perciò cerca di introdurre nella luce e nell’ombra la natura viva e quella morta, la neve e l’acqua, e parimenti nelle figure l’allegoria e il simbolo, in un certo senso di innalzare nella fantasia mediante la chiarezza il paesaggio, che ci è sempre apparso come un soggetto molto vago, sogno e arbitrio, al di là della storia e della leggenda. Tale tentativo è nuovo, ed è veramente ammirevole quanto più di una volta sia riuscito a ottenere con pochi mezzi.   L. tieck, Eine Sommerreise, Uranao. Taschenbuch fùr 1834.

Questa introduzione deve far notare una sola cosa, che a questo punto è anche la più palese, e cioè che nella pittura di paesaggi fu appunto Friedrich che col suo spirito profondo ed energico e in maniera assolutamente originale mise le mani nella farragine del quotidiano, del prosaico, dell’abusato e, mentre lo sopprimeva con la sua aspra malinconia, ne traeva un indirizzo poetico straordinariamente nuovo e luminoso.

Con questo non vogliamo mettere in risalto la sua concezione dell’arte del paesaggio come l’unica vera, ne ancor più come l’unica da seguire, ma chi vuole e può ancora rendersi conto dello stato di volgare imitazione cui si era precedentemente ridotta quest’arte, sentirà che il sorgere di un nuovo indirizzo primigenio, quale quello apparso a Friedrich, doveva avere un effetto stimolante e persino sconvolgente su ogni anima ricettiva. Le parole Voilà un homme, qui a découvert la. tragèdie du paysage, pronunciate dallo scultore David d’Angers, egli stesso artista singolarmente poetico, quando Fautore di questo scritto gli fece fare. la conoscenza  dei maggiori lavori di Friedrich e di Friedrich stesso, potranno sempre essere considerate caratteristiche per tale effetto.    C. G. carus, Friedrich, in ‘Kunstblatt” 1840.

Friedrich abitava fuori città, nel sobborgo di Pirna, in una casa posta vicino all’Elba, che come la maggior parte delle case vicine apparteneva a persone di scarsi mezzi. L’arredamento della sua stanza si intonava assai bene con tali vicini. Non si vedeva altro che una sedia di legno e un tavolo, su cui stavano gli attrezzi del suo lavoro. Se veniva a trovarlo qualcuno che voleva far sedere, portava dalla camera da letto un’altra vecchia sedia di legno, e se venivano due, un pancone di legno dal vestibolo accanto alla scala. Perché nella camera da letto, tranne la vecchia sedia, non c’era null’altro che un tavolo in condizioni pari a quella, e un letto, su cui era stesa una coperta di lana. Quando feci la prima visita, eravamo in tre, perché Hartmann presentò a Friedrich me e il mio amico Kothe, per cui quel giorno furono messi in esercizio tutti i mobili che l’artista aveva a disposizione.

In un primo tempo non mi saziavo di guardare quell’uomo straordinario. Perché un viso come il suo a quell’epoca non l’avevo ancor visto, e anche dopo di allora raramente mi capitò di vederlo. Non era assolutamente quel che si dice bello, piuttosto pallido e magro, ma ogni suo muscolo formava un energico tratto caratteristico, che a motivo dello stato d’animo perennemente immutato aveva lasciato un’impronta fissa. La serietà malinconica, che si rivelava nei tratti della fronte, era addolcita dallo sguardo degli occhi azzurri, ingenuo come quello di un fanciullo; sulle labbra aleggiava alcunché di scherzoso. In effetti, una curiosa mescolanza di stati d’animo, la serietà più profonda e lo scherzo più gaio, quale non di rado si trova nei più grandi malinconici come nei più grandi comici. Perché tutti sapevano che Friedrich era estremamente malinconico di temperamento, almeno tutti coloro che conoscevano lui e la sua storia, nonché il tono fondamentale della sua produzione artistica […].

Ma chi vedeva nel pittore Friedrich soltanto questo lato dell’essere suo, la profonda serietà e malinconia, lo conosceva solo a mezzo. Ho conosciuto poche persone che in compagnia d’altri, quando questi gli andavano a genio, come lui possedessero una cordialità così serena, e una pari capacità di scherzare. Con l’espressione più seria parlava e raccontava cose che provocavano negli altri risate inestinguibili. Dovunque andasse, se la cerchia gli piaceva, recava serenità e gioia.    G. H. von schubert, Der Erwerb von einem vergangenen und die Erwartung von einem kunftìgen Leben, 1855.

Friedrich era un uomo fuori del comune. Con la terribile barba da cosacco e i grandi occhi severi, sarebbe stato un eccellente modello per un quadro di mio padre, raffigurante rè Saul, sopra il quale sopraggiungeva lo spirito irato del Signore. Ma lo animava uno spirito che non era in grado di far del male a una mosca, e tanto meno di uccidere il pio arpista David, una sensibilità delicata e fanciullesca, che i bambini e le nature infantili riconoscevano a prima vista, tanto che con quelli comunicava volentieri e con fiducia. In generale era schivo, si ritraeva in se stesso e amava la solitudine, che col passar del tempo gli divenne sempre più familiare e il cui fascino egli cercò di celebrare coi dipinti.

Quadri di tal sorta non si erano mai visti prima, e difficilmente se ne vedranno, perché Friedrich era più che unico nel suo genere, come tutti i veri geni.   W. von kugelgen, Jugenderinnerungen eines alten Mannes, 1870.

[…] suoi principi fondamentali sono senza dubbio che l’artista debba esprimere i sentimenti più pieni e più profondi del suo cuore, e che tutto ciò che si riferisce alla pittura e alla composizione in arte debba essere morto e impotente […]. Ogni suo singolo lavoro si plasma fino a essere un tutto unico; ne risulta quell’effetto potente che colpisce quando si ha un po’ di familiarità con le sue forme rappresentative, apparentemente semplici. Per quanto possa sembrare strano, è pur vero che tutti i suoi paesaggi sono intrisi di religiosità, ed è proprio il senso profondo dell’amore sconfinato che Dio rivela nella natura, che lo ha indotto a fare dei paesaggi pale d’altare.   N. L. Hoyen, in J. L. ussing,  1872.

Resterà sempre importante, perché ha introdotto l’uso severo di fare studi dal vero coscienziosi. Anche l’alto grado di bravura raggiunto nei disegni in seppia non è ancora stato uguagliato. Amava porre alla base delle sue creazioni artisti-che un pensiero superiore; soltanto quando capì tale tendenza l’osservatore afferrò il valore dei suoi dipinti.    L. seidler, in H. uhde, Erinnerungen una Leben der Malerin Louise Seidler, 1874.

Mi sembra che la concezione di Friedrich porti per una via sbagliata, che al giorno d’oggi può diventare epidemica; dalla maggior parte dei suoi dipinti traspirano quella malinconia malata, quell’eccitazione febbrile che fortemente commuove qualsiasi osservatore appassionato, ma che sempre produce un sentimento di sconforto. Non è questa la serietà, ne il carattere, ne lo spirito e il significato della natura, è una cosa voluta forzosamente. Friedrich ci tiene avvinti a un pensiero astratto, usa le forme naturali soltanto in senso allegorico, come segni e geroglifici, che devono avere un particolare significato; senon-ché, in natura ogni cosa parla per se stessa, lo spirito, il linguaggio della natura è insito in ogni forma e in ogni colore. È vero che una bella scena naturale risveglia anche un sentimento (non pensieri), ma un sentimento così ampio, grande, potente, gagliardo, che di fronte a esso l’allegoria inaridisce, diventa piccola e insignificante.   L. richter, Lebenserinnerungen eines deutschen Malers, 1885.

Se si conosce l’arte di Friedrich, si scopre il simbolo anche laddove è seminascosto e meno evidente. Persino nel dipinto del chiaro di luna nella galleria nazionale di Christiania [Oslo] possiamo scoprire un pensiero simbolico. Se il disco della luna, che spunta rilucente dal velo violaceo della notte, inviando i suoi raggi attraverso lo strato delle nuvole argentee, scintillando e rifrangendosi sulle onde, è posto esattamente dietro la punta del campanile, come se fosse questo a rilucere nella notte, ciò è senza dubbio espressione del sentimento religioso di Friedrich, del suo pio pensiero, che cioè la “luce del mondo” riluce nelle tenebre.   A. aubert, Den nordiske Nafurfelelsé og Joahn Christia» DaM, 1894.

La concezione di Friedrich, che ricorda la musica, era evidente a tutti, come pure la mancanza di una costruzione conforme ai principi dell’arte. Egli stesso narra come abbia visto in spirito, a occhi chiusi, il suo quadro, e come abbia riprodotto sulla tela il prodotto finito in spirito. Non voleva cucire insieme ogni sorta di schizzi, non voleva inventare il quadro, bensì sentirlo. E il suo sentimento era veramente pittorico […]. Non ciò che raggiunse, ma quello cui tendeva conquista per lui: l’approfondimento dello stato d’animo, la raffigurazione rivolta completamente a dare l’impressione della natura, nella quale per tutto il tempo della sua gioventù non conobbe rivali in Germania […]. Tieck era dell’opinione che Friedrich volesse introdurre nella natura allegoria e simbolo, in un certo senso innalzare nella fantasia mediante la chiarezza e l’intenzionalità dei concetti il paesaggio, che ci è sempre apparso come un soggetto molto vago, sogno e arbitrio, aldilà della storia e della leggenda. Era difficile fraintendere maggiormente il pittore.      C. gurlitt, Die deutsche Kunst des Neunzehnten Jahrhunderts, 1899.

Quello che era balenato a Philipp Otto Runge come arte del futuro, la raffigurazione del pae­saggio nel giuoco eternamente mutevole di luce e aria, si manifesta ora per la prima volta sul suolo tedesco. Tutte le convenzioni della precedente pittura di paesaggio, basate sull’accentuazione delle solide forme naturali, scompaiono. Poiché l’essenziale è rendere l’atmosfera, la natura nel mutare delle stagioni e delle parti del giorno, nuovi motivi si introducono nel novero di quelli raffigurabili, motivi che non erano stati presi in considerazione da chi era avvezzo a tener conto solo dell’elemento formale.    H. von tschudi, Die deutsche Jahrhundert-Aussfellung 1775-1785, 1906.

Runge inventa un nuovo linguaggio artistico; Friedrich ascolta il linguaggio della natura […]. L’esigenza di tornare a una natura autentica è cosa ben diversa dal voler coinvolgere la natura nella grande arte. Nel secondo caso, la cultura continua ad agire, anche se combattuta e in molti casi smentita; lo dimostra il fatto che il paesaggio “assoluto” di Friedrich è ancora in tutto e per tutto simbolo religioso e nonostante l’ampiezza e la libertà sboccia su un suolo cristiano. Nonostante la fedele osservazione del vero nei particolari, Friedrich non riproduce mai la natura com’è, e neppure come appare allo strumento individualmente condizionato della sua percezione sensibile; l’occhio dipinge, in conformità al suo credo, ciò che vede davanti a sé, solo se vede qualcosa in se stesso: la sua devozione al creato cerca e trova il proprio simbolo nell’immagine della natura.    R. benz, Die Kunst der deutschen Romantik, 1939.

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