Le tentazioni di Sant’Antonio di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico delle tentazioni – Le tentazioni di Sant’Antonio

Hieronymus Bosch: Trittico delle tentazioni - Le tentazioni di Sant'Antonio
Hieronymus Bosch: Raffigurazione nello scomparto interno centrale: Le tentazioni di Sant’Antonio, 131,5 x 119 cm.

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Sull’opera: “Le tentazioni di Sant’Antonio” è un dipinto autografo di Bosch, facente parte della serie del “Trittico delle tentazioni” scomparto centrale interno realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1505-06, misura 131,5 x 119 cm. ed è custodito nel Museu Nacional de Arte Antiga a Lisbona.

La composizione, situata all’interno del complesso pittorico, è quella firmata in basso a sinistra con la scritta “Jheronimus bosch”. Qui Sant’Antonio, che si trova accanto ad un’articolata tavola conviviale al centro della composizione, è inginocchiato e rivolto verso lo spettatore con la mano sinistra alzata ad indicare la cappella – visibile sullo sfondo – dove appare Gesù, oppure – secondo il Bax (1949) – in atto di dare la benedizione. Il Cristo, colto in pieno da un raggio divino, indica il Crocifisso.

 Il saio del santo, all’altezza della spalla destra, reca la lettera “T” che richiama certamente l’emblema della stampella dello stemma Antoniano. Presso di lui si sta scatenando la ridda infernale che viene interpretata in vari modi, di cui riportiamo quelli delle fonti più autorevoli: un sabba delle streghe (Tolnay, 1937; Castelli, 1952; Cuttler, 1957; Baldass, 1959; ancora il Tonay, 1965), o un “convito delle tentazioni” con relative personificazioni dei vari peccati, che all’atto del concepimento dell’opera erano molte di più (Bax, 1949).

Nel 1944 lo scomparto in esame fu sottoposto a radiografie che rilevarono alcuni pentimenti dell’artista e cioè la presenza di figure, tra le quali una con lo specchio (probabilmente come simbolo della superbia) nel gruppo dietro a S. Antonio [fonte: Tolnay].

Un sacerdote in piedi – a destra, sotto la torre – con una testa di maiale e intestini in putrefazione che s’intravedono dalla pianeta sgualcita, celebra la messa. La scena satanica che prevede anche la comunione, ad opera di una distinta coppia, si consuma pressoché al centro della composizione. A proposito della elegante coppia, il cavaliere – recante un cappello di passamaneria (cioè l’Anticristo, secondo il Baldass) – è in atto di porgere il bicchiere contenente veleno a un musicista con testa porcina sulla quale posa il gufo dell’eresia (fonte: Fraenger [1957] che,  con la frase “il loro vino è fiele di dragoni, e veleno d’aspide che non guarisce”, richiama il Deuteronomio (XXXII). Una donna nera, un simbolo eretico, reca un vassoio con sopra un rospo in posizione eretta (per il Combe, simbolo alchemico dello zolfo; per Castelli, simbolo delle religioni orientali; per altri semplicemente, stregoneria).

Dietro al santo appare un’elegante dama nell’atto di porgere una ciotola ad una monaca  nella cui vicinanza si trova un grillo. A proposito di quest’ultimo, il Baltrusaitis [1955] richiama il piccolo genio realizzato ad intaglio  nel 1320 su un sigillo finto-antico da Raoul Aubry di Lillà, mentre il  Buon [1938] lo interpreta addirittura come un autoritratto.

Sotto il gruppo dove si celebra la messa nera appare, dietro a un muro, un uomo – certamente un mago – con in capo un cilindro ed in mano una bacchetta magica, considerato dal Tolnay (1937) e dal Combe (1965) come un “orchestratore delle orrende visioni”. Nei pressi del mago, su di un panno, appare un piede reciso (anch’esso considerato simbolo alchemico).

Sempre a proposito del gruppo centrale, il Cuttler lo interpreta in senso astrologico con chiaro riferimento ai pianeti (richiamando le incisioni fiorentine del 1460) ed ai sette peccati capitali.

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