Citazioni e critica al Perugino

Citazioni e critica al Perugino (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Quello che gli studiosi della Storia dell’arte hanno detto di Perugino:

Che cos’è quest’arte della composizione spaziale …? In primo luogo, essa non è affatto un sinonimo di ‘composizione’, come comunemente intesa a indicare la collocazione degli oggetti in uno spazio determinato e in un modo che soddisfi il nostro senso di simmetria, d’armonia, di legatezza e di chiarezza … (B. Berenson, The Italian Painters of the Renaissance, 1897).

La composizione spaziale differisce da codesta, come comunemente intesa, in primo luogo perché essa non si realizza soltanto, in diverse direzioni, sulla superficie piana, ma anche nel senso della profondità. Si tratta, cioè, d’una composizione in tre e non in due dimensioni: nel cubo e non in superficie. E benché in modo meno manifesto, la composizione spaziale differisce dall’altra anche più negli effetti. La composizione ordinaria influisce, sostanzialmente, sul senso dei contorni e delle sagome; che a sua volta risponde a dirette sensazioni ottiche e alle loro risultanti mentali, con impressioni di equilibrio di masse, e più deboli impressioni di movimento. Ma la composizione spaziale involge reazioni più intense. Essa agisce, non possiamo qui analizzare come e perché, sul sistema vaso-motorio; e l’impressione d’ogni mutamento di spazio si ripercuote istantaneamente sulla nostra circolazione e respirazione; del quale effetto diventiamo consapevoli per un senso, cresciuto o attenuato, della nostra vitalità.

Non soltanto dunque l’effetto diretto della composizione spaziale è forte quasi come quello della musica, ma press’a poco si produce nella stessa maniera; che sebbene le impressioni musicali dipendano da molti altri elementi, il loro nucleo è connesso all’azione sul sistema vaso-motorio. Donde l’affinità tante volte avvertita, e mai a quel che io sappia spiegata, fra musica e architettura; considerando questa come qualcosa di diverso da una carpenteria superiore; ed anzi come la più specifica e potente manifestazione dell’arte della composizione spaziale.

Molti accetteranno le considerazioni precedenti, chiedendosi tuttavia che cosa la composizione spaziale abbia a che vedere con la pittura; a meno che questa non si dedichi a raffigurare complessi architettonici. Ma un dipinto che rappresenti architetture non è intrinsecamente una composizione spaziale, più di qualsiasi altro dipinto. La composizione spaziale comincia ad esistere quando da essa si comunichi un senso dello spazio, non come vuoto, e come qualcosa di meramente negativo; ma, al contrario, come qualcosa di positivo e definitivo, capace di confermare la nostra coscienza di esistere, accrescendo così il nostro senso di vitalità. La composizione spaziale è l’arte che umanizza il vuoto, e ne fa un Eden, una solenne dimora, dove il nostro essere superiore può infine trovare un rifugio non soltanto piacevole e misurato ai quotidiani bisogni, come le case dei più felici tra noi; ma un luogo, esaltante e glorioso, dove vivere di vita ideale. E sebbene prossima alla musica nelle forme della grande architettura, la composizione spaziale è anche più musicale nella forma pittorica; perché in questa è minore la tirannia delle masse brute, con le loro inesorabili suggestioni di peso e resistenza ; ed è maggior libertà, pur con minore determinazione, che tuttavia non abbandona nulla all’arbitrio. In questa apparente, maggior libertà, molti più elementi contribuiscono a toglierci alle nostre limitazioni, e, per così dire, a scioglierci nello spazio presentato; finché diventiamo una cosa sola con lo spirito che tale spazio abita e riempie.

La composizione spaziale in pittura non è dunque arrogante rivale dell’architettura, ma amorevole sorella; un’arte capace d’effetti più scelti, più incantevoli ed efficaci. E produce questi effetti in maniera al tutto diversa. L’architettura chiude e imprigiona lo spazio ; è in gran parte questione di spazi interni. La pittura di composizione spaziale esalta lo spazio che essa incornicia, solleva a limiti ideali la cortina celeste. E le forme che adopra, siano esse le forme del paesaggio naturale, quelle della grande architettura o anche della figura umana, le concilia all’effetto di rendere un senso di spaziosità libera ma non disordinata. Come si respira a nostro agio in tali pitture, quasi ci fosse tolto di sul petto un macigno; come ci si sente forti, rallegrati, annobiliti; ma calmi, allo stesso tempo; e promossi alle sedi d’una infinita felicità. …

Ora che abbiamo almeno qualche barlume sulle somiglianze e differenze fra composizione spaziale da un lato, e architettura e pittura di paese dall’altro, e intendiamo perché alla composizione spaziale spetti un posto distinto fra le arti: ora possiamo stimare le vere qualità di Perugino e Raffaello come altrimenti non ci sarebbe riuscito. Un punto, tuttavia, rimane da precisare: ed è questo. La composizione spaziale, abbiamo detto, ci sottrae alle nostre dure e penose limitazioni, liberandoci nello spazio ch’essa ci presenta, finché ci sentiamo diventati lo spirito che abita e permea tale spazio. In altre parole, quest’arte meraviglio­sa ci toglie a noi stessi; e, mentre dura il suo incanto, ci da il senso d’identificarci con l’universo, e magari d’esserne lo spirito animatore. Il quale sentimento può esser così consapevole da restare una sensazione artistica, e la più artistica di tutte; o può dare l’esaltazione d’un rapimento mistico. Per quelli di noi che non sono idolatri ne bigotti, questo senso di identificazione con l’universo costituisce l’essenza stessa dell’emozione religiosa; un’emozione indipendente dalla fede e dalla morale, come l’emozione dell’amore. L’emozione religiosa, per alcuni in modo assoluto, per altri almeno in parte, deriva da un senso d’identificazione con l’universo; il quale senso, a sua volta, può esser creato dalla composizione spaziale. Ne consegue che l’arte della composizione spaziale è capace di comunicare direttamente emozioni religiose; o almeno quel tanto d’emozione religiosa che molti di noi possono realmente sentire, a parte le pratiche di culto. Non vedo altri mezzi con i quali l’emozione religiosa possa essere suggerita in pittura: dico direttamente suggerita, non rappresentata: si badi.

E se la composizione spaziale è l’unica arte intrinsecamente religiosa, e la scuola di Perugia è la gran maestra in quest’arte, si capisce perché i dipinti del Perugino e di Raffaello, più di ogni altro dipinto, producano un’emozione religiosa. E di tono sì alto, che la gente semplice è sempre a domandarsi come è possibile che il Perugino dipingesse pitture tanto profondamente religiose, essendo un ateo e bestemmiatore. …

Il Perugino, come ora ho detto, ottiene i suoi effetti religiosi per mezzo della composizione spaziale. Dalle sue figure si esige soltanto che non disturbino l’emozione; ed infatti, se le consideriamo come principalmente vanno considerate: come mèmbri architettonici d’una costruzione spaziale, esse non disturbano mai, o molto di rado. Le loro espressioni e i loro atteggiamenti stereotipi dobbiamo giudicarli non come se appartenessero ai personaggi di un dramma; ma come trattandosi di archi e colonne, ai quali certo non si chiede drammatica varietà….

Criticarli, sarebbe all’incirca come arrabbiarsi pei versi meschini che furono adattati a qualche musica solenne. Tali figure diventano sempre peggio, via via che il pittore invecchia; finché tutta Parte fu sconvolta dalla rivelazione michelangiolesca; e, tiratesi in disparte dal vivo della lotta, il Perugino cessò dal re­carsi a Firenze, perdendo anche il poco senso della figura e del nudo che mai aveva posseduto. Non poteva però perdere il senso spaziale; questo, anzi, gli guadagnò di vigore; quando non più sprecandosi nello sforzo, ostile al suo temperamento, di dipin­gere figure come per se stesse avrebbero dovuto esser dipinte, il Perugino lasciò libero corso all’istinto nativo. E spese gli ultimi anni della vita inghirlandando le colline umbre con la sua arte d’oro, e schiudendo le mura di chiesette e tabernacoli a cieli e orizzonti d’ineffabile dolcezza.   B. berenson, The Italian Painters of the Renaissance, 1897

L’esaltazione di questo pittore era considerata prima il mezzo infallibile per acquistarsi la fama d’intenditore d’arte;

oggigiorno sarebbe forse più indicato consigliare il contrario. È ben noto ch’egli ha ripetuto in serie le sue teste, piene di sentimento, e perciò le evitiamo appena si vedono di lontano. Ma anche se solo una delle sue teste fosse stata veramente sentita, saremmo pur costretti a chiedere sempre di nuovo chi era colui che aveva saputo scoprire in pieno Quattrocento uno sguardo così profondo ed espressivo. Non per niente Giovanni Santi aveva nominato insieme nella sua cronaca rimata il Perugino e Leonardo, dicendoli: “par d’etade e par d’amori”. Il Perugino sa dare inoltre alla linea una modulazione che nessuno gli ha insegnato. Non solo è molto più semplice dei fiorentini, ma ha anche 3 senso della serenità, della vita che scorre tranquilla, in profondo contrasto colla dinamica rappresentazione dei toscani e col preziosismo formale del tardo stile quattrocentesco. … II Perugino non è mai sordo al senso intimo di un paesaggio e di una architettura. Egli innalza le sue semplici e spaziose arcate non per un qualsiasi scopo decorativo, come per esempio il Ghirlandaio, ma per ottenere una specie di effetto di risonanza. Nessuno prima di lui ha espresso una così perfetta fusione tra figura e architettura … Col suo senso di semplificazione e di ordine il Perugino rappresenta un elemento importante alla vigilia dell’arte classica e si comprende come per inerito suo il cammino di Raffaello sia stato molto abbreviato.     H. wofflinn, Die klasische Kunst, 1896

non negherò che talvolta la sua stessa gentilezza e soavità, la sua maniera aristocratica e forbita e il suo misticismo possono aver nociuto ad una più gagliarda espressione, e generato una certa monotonia ne’ suoi dipinti. Sono però ben lontano dal negare le divine qualità del suo genio, ed anzi dico che quella osservazione deve derivare non da spirito critico, ma dalla semplice constatazione di un fatto. Il Perugino è così e non altrimenti: ecco il fatto. … Egli resterà grande nella quiete maestosa delle sue figure estatiche ma pure, un po’ fredde ma squisitamente gentili e pensose; resterà immortale per la calma visione de’ suoi paesaggi, per le serene vibrazioni de’ suoi orizzonti liberi e luminosi; e resterà insuperato per la vaghezza e trasparenza de’ suoi colori.    O. scalvanti, La tavola dell’Annunciazione di casa Ranieri, in “Augusta Perusia”, 1907

Non è a dire ch’egli fosse senza grazia, una grazia manierata che rende un poco irritanti le sue garbate figure umbre, bionde, piene, rosee, fresche, in cui il sorriso di Leonardo, insipidito e alquanto istupidito, rialza le labbra a fiore. Introdusse nella pittura la simmetria, che è il contrario dell’equilibrio, e immobilizzò lo spazio nella durezza candita degli azzurri, dei verdi, dei rossi crudi orchestrati quasi a casaccio. Il suo vigore rotondo, l’eleganza robusta, la precisione acuta nel disegnare i fondi, gli alberi gracili, le linee ondulate delle valli e delle colline, l’energia delle figure erette — in cui un ritmo monotono arrotonda le anche, … da a qualsiasi attitudine uno strano andamento di danza — almeno spiegano a sufficienza l’azione che esercitò su Raffaello, il quale … ebbe una pena estrema a liberarsi dal maestro e morì troppo presto per dimenticarlo affatto.   È. faure, Histoire de l’Art, 1926.

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