Pala di Francesco Lomellini di Filippino Lippi

Filippino Lippi: Pala di Francesco Lomellini

Filippino Lippi: Pala di Francesco Lomellini
Filippino Lippi: Pala di Francesco Lomellini, 1503, tecnica ad olio su tavola, 393 x 185 cm., Palazzo Bianco, Genova.

Sull’opera: La “Pala di Francesco Lomellini” è attualmente  una serie di due dipinti (in origine erano tre: cimasa, tavola centrale e predella) di Filippino Lippi realizzata con tecnica a olio su tavola nel 1503, misura 393 x 185 cm. (298 x 185 cm la parte principale, 95 x 185 la cimasa) ed è custodita nel Palazzo Bianco a Genova. La pala reca la firma e la data: PHILIPPINUS FLORENTINUS FACIEBAT / A.D. M.CCCCC.III. Sul verso invece è riportato l’acronimo dell’artista: “Glo/Vi/s”. 

 Francesco Lomellini, un  aristocratico genovese, quando nel 1502 decise di far ristrutturare la sua cappella nella chiesa di San Teodoro (lavori portati a compimento nel 1510), volendo far realizzare una grande pala d’altare si rivolse ad uno fra i migliori artisti del momento, Filippino Lippi operante a Firenze.

Nei primi mesi del 1503, un anno prima della prematura morte del pittore, l’opera era già stata portata a compimento. Fu spedita a Genova nel febbraio 1503.

Si pensa che negli anni 1797-1799, durante i gravi turbamenti legati all’occupazione delle truppe francesi, scomparse la predella con la raffigurazione della Pietà. Nel 1810 l’opera, probabilmente già smembrata e priva di una parte, fu requisita e trasferita in Francia, dove venne spogliata anche della cornice originale.

Fece ritorno a Genova nel 1816 e, dopo la demolizione della cappella in San Teodoro, venne portata a Palazzo Bianco, l’attuale sede.

La scritta “Napoleonis Lomellini proprietas” è apocrifa e fu aggiunta nel 1838.

Nel riquadro centrale appare san Sebastiano, il santo a cui è dedicata la cappella, tra san Giovanni Battista, protettore di Genova, e san Francesco d’Assisi, patrono del committente. Il primo è raffigurato al centro su un piedistallo con rifiniture classicheggianti, che riportano alle immaginarie rievocazioni archeologiche di altre composizioni dell’artista. Su di esso appare la scritta “IMP. DIO. ET. MAX.” che indica l’epoca del martirio del santo, ai tempi di Diocleziano e Massimiano.

L’imponente figura di san Sebastiano, coperto solo da un perizoma, non segue la disposizione sull’asse della scena, con una postura assai articolata ed instabile, che prelude, in un certo modo, la pittura del tardo Rinascimento.

Sullo sfondo appaiono squarci paesaggistici, con costruzioni e rovine, e un cielo profondamente azzurro con alcune nubi.

Le rovine simboleggiano la vittoria del mondo cristiano su quello pagano, ormai in crisi.

Le architetture in primo piano appaiono asimmetriche ed irregolari.

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