Toulouse-Lautrec: citazioni e itinerario critico

Toulouse-Lautrec: citazioni e itinerario critico (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Cosa hanno detto i critici della Storia dell’arte su Toulouse-Lautrec

… ecco la strana tela firmata con lo pseudonimo trasparente Trè-clau. Certo, tentativi consimili non devono essere incoraggiati … e la maggior parte dei visitatori è di certo indietreggiata per l’orrore alla vista di questi capelli viola, di questi tratti limone che assomigliano a un passato di legumi. Ma che ci si allontani di tre o quattro passi, alla distanza da cui si guarda abitualmente un ritratto in un salotto, e ci si accorgerà che questa apparente barbarie è calcolata, che il profilo assume valore e solidità nonostante le vibrazioni del tocco … J. De lahondés, in “Le Messager de Toulouse”, giugno 1887.

Abbiamo torto di compiangere Lautrec; dovremmo invidiarlo … Il solo luogo dove si possa trovare la felicità è ormai una cella di manicomio. Lautrec meritava davvero, dopo aver dato evidente prova d’una semifollia nella quale si dibatteva come la maggior parte degli uomini, di godere infine dell’annullamento divino della pazzia completa. E. lepelletier, Le sceret du bonheur, m “L’Echo de Paris”, 20 marzo 1890.

Nonostante i neri con i quali sporca indebitamente le sue figure, Toulouse-Lautrec mostra una forza reale, spirituale e tragica nello studio delle fisionomie e nella penetrazione dei caratteri.                  O mirbeau, in “L’Echo de Paris”, 30 marzo 1891.

… segue Degas e Forain nel modo di atteggiare i personaggi, nel gioco delle fisionomie, nella sicurezza decisiva del segno. Il ritratto di Toulouse-Lautrec s’impone, lasciando il ricordo di una penetrante capacità analitica, e a un tempo di un pittore padrone del mestiere e in pieno possesso di mezzi espressivi personali.       R. Marx in “le Rapide”, 30 maggio 1891.

… da molto tempo non s’incontrava un artista tanto dotato come Toulouse-Lautrec. In lui si fondono la penetrazione dell’analisi e l’acutezza dei mezzi d’espressione … Non rientra in alcuna scuola, ne appartiene a conventicole di sorta; si è sottratto ben presto a ogni suggestione per diventare integralmente se stesso .       R. Marx in “L’Art Nouveau” 1893.

Toulouse-Lautrec si presenta con un gusto del tutto affermalo e con uno stile fatto proprio, che svilupperà logicamente secondo la forza segreta che è in lui. Possiamo avere una indicazione sicura sulla sua facoltà di esprimere i ‘paesaggi dell’essere’ e di combinare i valori cromatici, ponendo mente che ha ideato ed eseguito nel migliore dei modi alcuni manifesti: Bruaat, la Goulue e, più recentemente, il Divan Japonais hanno preso possesso della strada con un’autorità irresistibile. È impossibile non vedere l’ampiezza delle sue linee e il senso artistico delle sue belle pagine. Con un colore variato, a volte sordo ma opulento, a volte fangoso, quasi sporco a seconda dei casi, Lautrec pittore e pastellista si mostra quasi perfetto nell’esprimere il ‘sorgere’ di un individuo, l’apparizione spontanea di un atteggiamento o di un movimento, l’andare e venire d’una donna in cammino, il volteggiare di una danzatrice                   G. geffroy, in ‘La Justice”, 15 febbraio 1893.

Per la pura vivezza del tratto, per la sorprendente abilità tecnica, la mostra di Lautrec da Goupil andrebbe vista. Devo dire francamente che non mi curo dei tipi che Toulouse-Lautrec disegna. Li trovo proprio spiacevoli … D’altro canto, tecnicamente c’è molto da imparare dalla sua opera. Il modo di trattare l’acquerello, il pastello, il gesso e l’olio, tutti i mezzi insomma, è altamente magistrale. Egli trova le più strane combinazioni di. colore, e le registra nel modo più singolare. Ma per me questo continuo insistere sul brutto, il volgare, l’eccentricità, questo dipingere e ridipingere sempre la stessa gente, è veramente mostruoso.  N. N., in “The Star”, 10 maggio 1898.

… Ecco come doveva finire Toulouse-Lautrec. Aveva la vocazione della casa di salute. Ieri ce l’hanno rinchiuso e finalmente la pazzia, gettata la maschera, firmerà i suoi dipinti, i suoi disegni, i suoi manifesti nei quali già da lungo tempo dimorava.    A. hepp, La vraie force, in “Le Journal”, 26 marzo 1899.

Ho visto un pazzo pieno di saggezza, un alcolizzato che non beve più, un uomo considerato perduto che ha una splendida cera. C’è una vitalità così intensa in questo cosiddetto condannato, una tal carica di forza in questo che alcuni considerano un aborto, che quelli stessi che l’hanno visto correre giù per la china della perdizione sono ora stupefatti di vederlo così rimesso a nuovo.   A. alexandre, Une guerison, in Le Figaro , 30 marzo 1899.

Poiché era piccolo, brutto, paradossale, singolare in tutto, i parigini, sempre pronti a giudicare gli uomini solo dall’apparenza, si sono fatti di Toulouse-Lautrec un’idea sommaria, uno schema. Era prigioniero d’una formula. Le parole gnomo, nano, bohème di Montmartre, sono andate a finire da sole sotto la penna dei necrologisti, e hanno espresso solo un lato di questa natura misconosciuta, rimasta, nonostante le molte disgrazie, nobile di cuore come lo era per nascita.  L. N. Barangon Necrologio 9 settembre 1901.

Un nome. Un maestro troppo presto scomparso ; uno dei rari che prendono e fanno fremere. Ricco, egli aveva potuto affrancarsi da ogni difficoltà dell’esistenza e si era messo a osservare la vita. Ciò che vide non è un complimento per la fine del secolo scorso, di cui è il pittore veritiero. Ha cercato la Realtà, sdegnando finzioni e chimere che falsano le idee e sbilanciano gli spiriti. Certuni diranno forse che fu un ficcanaso, un dilettante dall’originalità piuttosto triste, verso la quale (disposizione particolarissima di chi soffre) si sentiva naturalmente portato. È un errore, e tutta la sua opera lo grida. Non ha rimestato nulla per trovare, non ha cercato di prendere, malgrado tutto, là dove non c’era niente. Si è accontentato di guardare. Ha visto ciò che noi siamo, e non, come molti fanno, ciò che abbiamo l’aria di essere. E allora, con sicurezza di mano, con un ardire delicato e fermo insieme, ci ha mostrati a noi stessi. Non è certo adulatore, e ve n’è per tutti i gusti: grandi concerti o balli pubblici, teatri, circhi, caffè, campi di corse, tutti i luoghi insomma ove la febbre della vita spinge uomini e donne alla ricerca d’un piacere qualsiasi, sono fissati per sempre dalla matita spietata dell’artista. Si è forse dedicato maggiormente a un genere nel quale anche altri si sono cimentati. Facce imbellettate, sottovesti provocanti, luccichii alle dita e alle orecchie, gioielli di latta, emblemi evidenti di disgraziate che nascondono lacrime cocenti sotto pallidi sorrisi; Toulouse-Lautrec ci ha mostrato tutto ciò. Non ha voluto fare soltanto opera di pittore, ma si è rivelato psicologo profondo e potente. Il suo insegnamento è triste ma vero. È per questo che il Maestro resterà il pittore di un’epoca che noi ignoriamo, perché l’abbiamo vissuta da scettici a volte, da noncuranti e da indifferenti quasi sempre. N. N., Necrologio, in “Journal de Paris”, 10 settembre 1901.

Abbiamo perduto qualche giorno fa un artista che s’era acquistato una certa celebrità nel genere laido. Intendo parlare del disegnatore Toulouse-Lautrec, essere bizzarro e deforme che vedeva un po’ tutti attraverso le proprie miserie fisiche … Prendeva i suoi modelli nel fango, nei lupanari, nelle balere di periferia, ovunque il vizio deforma i volti, abbrutisce la fisionomia e fa salire fino al volto le brutture dell’anima … È morto miserevolmente, rovinato nel corpo e nello spirito, in un manicomio, in preda ad attacchi di pazzia furiosa. Fine triste d’una trista vita.  jumelles, in “Lyon Républicain”, 15 settembre 1901.

Grazie ai suoi mezzi e alle relazioni che aveva la sua famiglia potè pubblicare la maggior parte delle sue litografie, e alcuni critici d’arte ‘s’interessarono’ a lui. Grandi giornali lo paragonarono seriamente a Goya. Fu questo che lo perse … Come ci sono amatori entusiasti delle corride, delle esecuzioni capitali e di altri spettacoli desolanti, vi sono amatori di Toulouse-Lautrec. È un bene per l’umanità che esistano pochi artisti di questo genere. Il talento di Lautrec, poiché sarebbe assurdo negargli del talento, era un talento cattivo, che esercitava un influsso pernicioso e rattristante.   J. rocoues, in “Le Courrier  francio”, 15 settembre 1901.

L’arte di Toulouse-Lautrec è quella di un uomo che la vita ha fatto soffrire, e che si è vendicato. I suoi studi ce lo mostrano mentre scruta le deformità, mostra il vizio, ricerca la stupidità. I suoi quadri sono caricature terribilmente veritiere e sconcertanti. Si resta penosamente impressionati dallo spettacolo di tanta bruttezza magnificata nelle sue tele che raffigurano tipi presi per lo più dalle balere e dalle bettole di periferia.    J. pascal, Le Salon d’automne, 1904.

A Toulouse-Lautrec più che a ogni altro si deve applicare il metodo moderno della critica d’arte, che consiste nel ricollocare l’opera nella vita dell’artista e nell’ambiente in cui questa vita s’è svolta, poiché da esso è totalmente determinata, pur se dobbiamo notare che il nostro pittore ha saputo sempre dominare a sua volta, con la sua personalità potente, le impressioni che gli giungevano dall’esterno … Egli fa parte di quella gloriosa scuola moderna che ha voluto liberare l’arte francese da tutte le suggestioni straniere che il cattivo gusto del secolo scorso aveva preteso d’imporre alla nostra ammirazione.                 J Pigasse in Toulouse-Lautrec, 1908.

Questo grande ometto era davvero una persona prodigiosa! Quando ci ha lasciati, ancora così giovane, qualcuno ha detto che non era una morte, e che questo strano Lautrec era stato semplicemente restituito al mondo soprannaturale … Scopriamo ora che Lautrec ci era parso soprannaturale perché era naturale all’estremo. Era veramente un essere libero. Ma nella sua indipendenza non si trovava alcun partito preso. Non che disprezzasse le idee già fatte: non ne subiva assolutamente l’ascendente. Ma lo sdegno che aveva per esse era tanto poco sistematico che gli capitava benissimo d’adottarne una, se era il caso, quando gli pareva giustificata. Le opinioni di questo autentico indipendente potevano benissimo collimare, per una combinazione qualsiasi, con quelle di tutti, perché egli seguiva il suo cammino libero, una strada che poteva incrociare inopinatamente la passeggiata pubblica, sulla quale non era attirato ne da un’abitudine sociale ne dall’ora della musica. Lautrec, infatti, si divertiva nella Vita, con la libertà sovrana d’un monello ai giardini. T. bernard, Prefazione al catalogo della vendita Toulouse-Lautrec di Parigi, 30 aprile 1913.

Fu a volte nell’ultimo gradino della scala infernale che Lautrec andò a cercare i suoi modelli. Certo, con Constantin Guys, fu uno dei pochi che siano riusciti a tradurre in arte lo studio diretto degli ambienti in cui si trova la foemina simplex del satirico latino. La qualità del suo spirito e le sue doti erano tali che le particolarità del soggetto non hanno nociuto ne alla bellezza dell’espressione ne al valore della sua opera; che è propria di un aristocratico in tutti i sensi della parola, ivi compreso il migliore … Lo stile, magia degli artisti, mistero della creazione intellettuale, è ciò cui si dovrà tornare sempre parlando di questo pittore. Con tale parola, indubbiamente indefinibile, noi intendiamo tradurre la nostra ammirazione per opere di accento così vigoroso e sincero, nelle quali la vita — e con essa la personalità dell’artista — si esprime con tratti ampi e incisivi …

Per aver impiegato i suoi doni magnifici, la sua intelligenza eletta e fine, allo scopo di descrivere le scene, gli eroi o le comparse della commedia umana, Henri de Toulouse-Lautrec non s’è reso colpevole ne verso il proprio casato, ne verso la propria origine, ne verso la terra natale. L. Berard discorso al Museo di Albi, 30 luglio 1922.

… Lautrec è un ‘visionario della realtà’, ma non, come un Rops, un visionario da incubo nel senso satanico: è uno spirito semplice e diritto, emanato dalla Natura, ed è solo tramite le critiche letterarie che si è giunti a farlo credere imbevuto di complicate leggi mistiche: è più vicino a Giotto che a Rops. Inutile incorporarlo in una ‘scuola d’arte’, espressione priva di senso, perché in effetti non v’è scuola alcuna, ne ufficiale ne indipendente ne impressionista, simbolista o altro. Vi furono e vi sono personalità che si sono elevate o stanno per elevarsi al disopra delle altre: le parole e le classificazioni arbitrarie vengono create per l’ignoranza della folla. In ogni epoca e attraverso ogni tempo tutti i pittori sono originali come creatori individuali, e hanno un solo punto in comune fra tutti: lo Sforzo che cerca di tradurre la Natura tramite il loro cervello, più o meno dotato, più o meno aperto, più o meno sincero. L’Arte è in effetti nel manifestarsi dell’uomo a se stesso o, se si preferisce una definizione troppe volte ripetuta, “l’Arte è la natura vista attraverso un temperamento” (E. Zola). Se si adottano cedeste formule, si può dire che Lautrec ne è un esempio evidente, con l’apporto di tutto il suo atavismo di razza, di tutti i doni naturali, corretti dalle lezioni del passato. M. joyant, Henri de Toulousc-Lautrec, 1926-27.

Nel pieno rigoglio dell’Impressionismo, allorché Claude Monet, Sisley, Pissarro e tanti altri, collocato il cavalletto all’aria aperta, traducevano nei propri quadri la dolcezza della luce sui campi, un pittore, pur dichiarando di seguire in pieno le loro teorie, si immergeva nell’ombra della città, a Montmartre, e da tale osservatorio studiava i passanti: non la luce che li illuminava, ma i loro tratti, soprattutto quelli che ne rivelavano il carattere. Questo pittore ci appare oggi un’anomalia. Ricerca di carattere: dispiaceri d’amore, tenerezza frustrata? Lautrec ha scelto dei modelli tarati. Ha frequentato luoghi malfamati e ne ha disegnato i frequentatori. Lavorava senza posa, osservava, scrutava, vivisezionava. Questa curiosità di tutto e di tutti, questa passione per il disegno, ci.oè questo bisogno di esprimersi, sono il risultato d’una sensibilità dolorante, compressa, che cerca in tutti i modi di conquistare la libertà. Le manifestazioni d’arte che ne derivano sono patetiche come un tentativo d’evasione. De profundis clamavi. Lautrec è andato all’inferno per dipingervi i dannati. Egli cercava il ‘carattere’. L’ha colto dove ha potuto. P. de Lapparent, Toulouie-Lautrec, 1928.

La sua infermità lo portò a un pessimismo sistematico, avido di turpitudini, ma lo condusse a vivere in un ambiente d’eccezione e di festa, nel quale la sua figura disgraziata era solo un’eccentricità involontaria fra tante altre, e dove essa gli procurava piuttosto popolarità che occhiate di scherno, contrariamente a quanto accadeva in qualunque altro ambiente. Si è rifugiato in questa vita come nell’alcool, e non ha fatto che esercitare, allora, senza intenzioni sinistre, quel suo dono di osservatore implacabile che avrebbe sviluppato in qualsiasi altro ambiente dove fosse vissuto. Se di quell’ambiente lia accentuato la bruttezza, ciò dipende dal fatto che il suo temperamento lo portava a sottolineare il ‘carattere’ e che il mondo in i     cui viveva non poteva rivelargliene un altro.          R- Huyghe, Aspects the Tousoluse-Lautrec, a ‘L’Amour de l’Art”. 1181.

Lautrec è anzitutto e soprattutto una certa definizione della forma. Appartiene alla famiglia di spiriti per i quali la forma della vita e gli impulsi degli esseri sono un linguaggio cifrato pieno dei più poetici segreti. Nulla è indifferente in questa rete di arabeschi che lega e scioglie l’azione. L’attaccatura di un braccio, di un polso, colta nello svolgersi istantaneo del gesto, un girare del collo, un dorso di mano, una torsione delle anche, la maniera in cui i nervi si legano, si tendono e determinano le variazioni inattese e logiche d’un atteggiamento, d’una espressione, ecco dove si colloca l’enigma che più attira questi spiriti. Li chiamiamo disegnatori, grafici, il che non significa nulla; geni analitici, mentre giungono spesso alle sintesi più concise ed efficaci. La verità è che sono più sensibili degli altri agli ondeggiamenti e agli sbalzi dell’essere vivente, e che hanno in sé una specie d’istinto mimico che accresce con la sua trepidazione sorda i loro procedimenti divinatori. A questi maestri piaceranno sempre i bei cavalli, non come masse scultoree ma come eleganti strutture articolate; le danzatrici, i mimi, gli acrobati, i funamboli d’ogni genere, e anche la donna che canta, tutta compresa nello sforzo di liberare la voce … H. focillon, Toulouse-Lautrec, in “Gazette des Beaux-Arts”, 1931.

Secondo Emile Zola, un’opera pittorica si risolve in uno stato d’animo. Ciò può essere valido per Claude Monet, Édouard Manet, Renoir, Pissarro, Cézanne, Van Gogh, persino per Seurat, ma non per Henri de Toulouse-Lautrec. La concezione di Zola non gli si adatta. Non v’è in lui nessuno stato d’animo deformante. Questo meridionale luminoso che sfugge alla plastica pura non è che una curiosità perpetua, sottile, incisiva, senza limiti, spinta fino allo stato di nevrosi lancinante e guidata dalla vita stessa. La scoperta del reale, la sua espressione grafica, sono per lui il brivido estremo, la soddisfazione suprema. Ciò mi fa pensare a La Tour. L’opera d’un Peyronneau, d’un Hubert Robert, d’un Boucher, così come quella di Degas, di Manet o di Renoir, costituisce un notevole documento di costume. L’opera di La Tour, come quella di Lautrec, ha un valore storico, soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui la storia cessa d’essere aneddotica per diventare psicologica, e tende a preoccuparsi soprattutto della mentalità generale e dell’anima dei personaggi più in vista. Questi personaggi, Lautrec, come La Tour, li ha scelti con una lucidità rara. Gli scrittori, i pittori, gli uomini di mondo che entrambi hanno disegnato offrono nel loro insieme una selezione qualitativa. Ma Lautrec s’è spinto più lontano ancora di La Tour, che si è interessato solo a donne o a uomini. Nessuno più di Lautrec ha capito che la folla ha un’anima del tutto differente dalla somma delle anime individuali che la compongono. Sotto questo aspetto le grandi opere di Lautrec sono singolarmente rappresentative e sintetiche. Sintetici soprattutto i modelli anonimi che, in primo piano, riassumono in qualche modo l’opera completa. Le tele e i cartoni che studiano i music-halls, i circhi, i caffè, i teatri, sono, sotto questo punto di vista, di primissimo ordine, e assai meno episodici dei dipinti di Degas, che cade volentieri nell’aneddotica, come i piccoli maestri fiamminghi. Degas ha visto piccolo, e ha cercato la perfezione localizzata. Lautrec ha visto grande. E. SCHAUB-KOCH, Psicanalyse d’un peintre  moderne: Henri de toulouse-Lautrec 1935.

Toulouse-Lautrec cominciò a dipingere con la lode e l’incoraggiamento di Degas, che è da considerarsi il suo vero maestro. Fin dalla prima fanciullezza aveva mostrato un istinto grafico d’eccezione, e la sua opera anche pittorica si risolve essenzialmente nel disegno. Un segno nervoso, protervo, di una sintesi caratterizzatrice sorprendente, che per spiegarsi appieno cercò naturalmente i soggetti più acconci a far valere la sua spietata e commossa intensità. Non si può negare che egli spesso cedesse alla sopraffazione di quella realtà morbida e viziosa che egli coltivava e anzi condivideva : ma certo la sua soggezione avviene in forma assai minore che in Forain, e la dignità e la vigorosa incisività del suo stile riescono sempre a salvare anche gli episodi più ambigui. Parimenti l’approfondimento del segno, celato da certe apparenti noncuranze, gli impedisce di scadere, salvo rari casi, nel mero decorativo. Tuttavia c’è nella sua arte qualche cosa di sociale, un’estensione, una mediazione verso l’uomo comune, un modo brusco e insieme eccitante di avvincere la sua sensibilità e di avviarla allo stile, che non è l’ultima risorsa ne l’ultimo fascino di questo grande disegnatore. La scelta nella sua ampia e talvolta un po’ svagata produzione dev’essere compiuta con qualche severità: ma compensano i momenti di perfetta intimità lirica, come Les deux amies, quando la sua scarna e rapida matita, però così intrisa di sottile raffinatezza, mai arida, ma diramata in una quasi immemore dovizia sensuosa, ferma intorno a qualche figura quella sospesa e fremente melanconia che è la serenità dell’artista    C. L. ragghianti, Impressionismo, 1944.

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