Citazioni e critica su Antonello da Messina dal 1942 al 1964

Citazioni e critica su Antonello da Messina dal 1942 al 1964 (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli)

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Antonello da Messina: Vergine annunziata, cm. 45 x 34,5, Museo Nazionale di Palermo.
Antonello da Messina: Vergine annunziata, cm. 45 x 34,5, Museo Nazionale di Palermo.

Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Antonello da Messina

Cesare Brandi, Mostra dei dipinti di Antonello da Messina, 1942

l’elemento luce che, mentre nel Laurana era riassorbito nella radiante convessità di incorruttibili forme d’avorio, da Antonello è conservato nella incidenza astrale di Piero, anzi in quel valore di repentina emergenza in seno alla misura geometrica di uno spazio rarefatto.

M. J. Friedlànder. The Death of the Virgin by Petrus Christus, in “The Burlington Magazine”, 1946

Nella costruzione della prospettiva Antonello si pone molto in alto, come pure nell’abilità a presentare le figure e il loro ambiente dallo stesso punto di vista. Difficilmente si trova un altro quadro del quindicesimo secolo in cui l’uomo e il suo ambiente siano rappresentati in un interno con tale fedeltà alla natura come nel San Gerolamo alla National Gallery di Londra.

Antonello, decisamente fiammingo di educazione, di gusto, di temperamento (e sia pure partenopeo-fiammingo e catalano-fiammingo), attua, come i fiamminghi, quella integrazione di plasma e di croma che solo parzialmente si può definire tonale; modella col colore ma non ancora costruisce col colore;

Luigi Coletti, Revisione storiografica belliniana, in “Vernice”, 1949

tende ad isolare i volumi dall’ambiente, e di qui, appunto, il forte e netto rilievo delle sue figure, al quale conferisce anche la sottigliezza della nuova tecnica olearia.

Giuseppe Fiocco, Catalogo della Mostra di Antonello da Messina e la pittura del ‘400 in Sicilia, 1953.

ivi [a Venezia] avvenne l’incontro mirabile con l’arte del rinascimento, facilitato dall’opera dei grandi coloristi …

E fu un incontro dei più fortunosi e fecondi dell’arte, perché quella conquista, che ai veneziani, più cromatici che tonali, era stato difficile, non dico di risolvere, ma di portare innanzi decisamente, fu subito affrontata da Antonello vittoriosamente. Illuminato, oltre che dal Mantegna, da Piero della Francesca a Ferrara, e dagli altri toscani che avevano lavorato fra le lagune e sulla terraferma, conchiuse in definitiva conquista la visione pittorica, basandola sul gioco per valori del colore “costruttivo”, e sulla conseguente libera “prospettiva aerea”. E fu vittoria per Venezia e per tutti, fu il raggiungimento del linguaggio più duttile dell’arte, oggi ancora moderno.    

Roberto Longhi, Frammento siciliano, in “Paragone”, 1953

Antonello. Un nome che si impone con la urgenza della grande individualità, quando spicca a tal punto dalla storia della cultura, ma non per astrarne, anzi per esaltarla a un livello ancora sconosciuto. Una grandezza che spaura nell’ambiente siciliano, quando si pensi ch’egli ‘cominciò a sormon­tare in Messina ad un tempo con Tommaso de Vigilia a Palermo; forse anzi anche prima, quando i carretti siciliani ancora portavano sui monti gli ultimi ‘retablos’ del gotico fiorito. La sua posizione in Sicilia è insomma quella di un Masaccio a Firenze, non fosse ch’egli aveva il vantaggio in partenza, di poter apprendere, non tanto lontano, una storia più moderna, e punto semplice.

G. Vigni, Antonello da Messina, in “II ponte”, 1953

Egli immise la grammatica fiamminga nella sintassi italiana, e dette all’umanità della sua terra, della sua isola, un’espressione assoluta ed eterna. Questo ci dicono i suoi Ritratti, quello di Cefalù per esempio, così terribilmente siciliano che sembra di sentirlo parlare in dialetto, mentre attinge artisticamente, come personaggio, la sfera dell’universale; e lo stesso dialetto parlano le sue Annunziate, quella di Monaco, quella di Palermo, quella di Siracusa. Questa aderenza umana al soggetto, questo trasfigurare liricamente in assolutezza di forme la sostanza più intima, più cocente, dell’umanità che egli si propone, è la ragione del misterioso stupore che s’impadronisce di chiunque guarda un’opera di Antonello. Per questo i per­sonaggi terreni della Crocifissione di Sibiu sembrano bruciati da una fiamma interna, che si consuma e si disperde nel calore bianco del cielo del paesaggio; per questo i suoi santi e le sue Madonne impongono la loro/umana presenza con tanta sofferta e semplice nobiltà. Per questo ancora i suoi Ritratti hanno una tale potenza e concentrazione di vita da attrarre gli interlocutori in una specie di orbita magnetica : che è poi niente altro che la scintilla scoccata dal genio quando tocca le massime vette della creazione artistica.

S. Samek Ludovici, Antonello da Messina, in “Prospettive”, 1953

La Sicilia non possiede, dal declinare del Medioevo agli inizi o maturazione del Rinascimento, una grande tradizione artistica. In un periodo che coincide, in tutta Europa, con il riaffermarsi della personalità, e che difficilmente lascia alla notte dell’anonimato l’opera d’arte, i nomi dei Maestri siciliani si possono contare sulle dita. Senonché, tra questi pochi, il solo Antonello è di tal forza da riempire gli spazi muti di una regione. E per quanto relativamente poche siano le opere di Antonello a noi pervenute e di queste poche alcune in pessime condizioni, nondimeno la genialità di Antonello è così lampante, il suo percorso creativo così chiaro nella sua ascensione, da poterle considerare “tipiche” o esemplari.

Tutti conoscono la vasariana narrazione del viaggio nelle Fiandre, dove il pittore avrebbe appreso dal già morto Jan van Eyck i segreti della tecnica a olio. Il vecchio Vasari, con il suo non fallibile intuito di artista, ha tentato di spiegare un fatto chiaro ai contemporanei, ma divenuto oscuro ai posteri immediati, cioè il riattacco di Antonello alla tradizione fiamminga, la sua novità nei confronti delle correnti italiane, diciamo ufficiali : le uniche, in fondo, che per lo storico aretino avessero diritto di cittadinanza nella repubblica dell’arte. È insomma, in terra italiana, l’improvviso “nascimento” del paesaggio, del colore autonomo, del gioco rigoroso degli oggetti naturalistici di fronte all’indigeno apprezzamento della figura umano-divina; nonché del disegno, e della sintesi monumentale che ogni artista italiano cova nel sangue.

A. M. Brizio, Antonello, in “La stampa”, 1953

la morbidezza pittorica del colore di Antonello, la sua quasi miracolosa finezza di graduare le variazioni di un lume particolare che di sé intride ogni colore, dovettero rifarsi in origine a quel lenticolare modo di intendere la luce, che fu dei van Eyck. Ma ogni minuzia in Antonello subito si scioglie in un rotare largo di piani, e dalla disciplina di quella tradizione, attenta e sensibile ad ogni particolare, egli raccoglie il frutto di una finezza estrema di modellazione e lascia cadere ogni particolarismo. Alla dolcezza fusa dell’irradiazione luminosa, unisce l’incanto del raccoglimento spirituale e un’ideale larghezza di sintesi, in cui si svela infine il carattere italiano e rinascimentale della sua pittura. Partito da questa cultura del Mezzogiorno, l’arte di Antonello approda e si compie a Venezia e vi sortisce le conseguenze più grandi e fruttuose. Ma quel che Antonello portò a Venezia — e quivi subito e splendidamente fruttificò — fu quel modo più unito e dolce di fondere le ombre e il lume, di tornire i volumi e farli vivere morbidi e pieni con rapporti tonali creatori di spazio e di atmosfera. La Pala di S. Cassiano, pur così rovinata e frammentaria, da ancora un senso di integrità stilistica, tanto è alta. Si capisce che essa dicesse una grande parola a G. Bellini : ogni residua crudezza di contorni e profili, ogni incisività e rovello di disegno lineare superati e risolti in una modellazione integrale pittorica e tonale.

M. Valsecchi, Antonello ritorna alla sua Messina, in “Tempo”, 1953

II carattere dominante dell’opera di Antonello, via via liberato alla massima limpidezza, è … la visione monumentale, il gusto dei rapporti spaziali, per cui il quadro diventa una misura di spazio dentro la quale si accampano le figure dei personaggi, solide come blocchi che la luce, senza un’origine precisa ma calda e soffice al pari di un lume che salga dall’interno, distacca dal fondo ombroso e impone come realtà assoluta. Ci si accorge cioè, in là con gli anni, che la prospettiva minuziosa, da cannocchiale, dei fiamminghi, a cui sono legati i primi anni di Antonello e che ispira il San Girolamo nello studio … cede il passo alla struttura più ampia, architettonica e riassuntiva degli italiani nuovi, realisti più per passione e per sentimento della vita concreta che non per pedanteria ottica …

E italiana ancora è la definizione dei personaggi dei suoi ritratti prodigiosi. Sottoposti come sono alla frusta dello stile e della sintesi formale, questi ritratti non perdono un’oncia della realtà umana del personaggio. Si direbbe anzi che l’accentuano, e limitati come sono alle maschere potenti dei visi, vi studiano e fissano i moti più riposti del carattere …

G. Vigni, Tutta la pittura ai Antonello da Messina, 1957»

… l’Annunciazione di Siracusa, dipinta negli ultimi mesi di quell’anno … pur con le lacune che oggi disturbano e affaticano il riguardante, e ancor prima che ci si renda conto di ogni altro elemento del quadro, commuove per la soavità profonda del colore, per quello spiccare delle figure dalla penombra della stanza in una solenne unitaria fusione con le cose che le circondano. È questo colore di Antonello, questo superamento del mezzo intellettualistico del limite lineare in una forma più naturalmente oggettiva, perché da sé tondeggiante, permeata com’è in se stessa di luce attraverso la ricca materia, che un anno dopo levò alti il nome e l’influenza del pittore siciliano a Venezia, e dette la spinta decisiva a Giovanni Bellini per passare il ponte tra i campi del disegno mantegnesco e quelli della sintesi di colore, dove si sarebbe nutrito Giorgione.

P. Lecaldano, / grandi maestri della pittura italiana del Quattrocento, 1958

La geometrizzazione di Piero della Francesca è spinta da lui sino a un’astrazione formale, che le vibranti sfumature cromatiche attinte ai fiamminghi fanno rivivere. Lontano da ogni retorica, egli immerge corpi e paesaggi in una luce che ne modifica la comune apparenza coloristica; talché le sue figure — pur assurte, nelle loro purificazioni schematiche, a simboli universali — ripalpitano di umana, quotidiana poesia, per la delicata, dileguante realtà di cui si rivestono, fermate da lui nel loro inafferrabile momento lirico.

C. Brandi, Spazio italiano, ambiente fiammingo, 1960

manca … per Venezia un’opera sicura a cui riattaccare la sorprendente fecondazione fiamminga, ancor più importante secondo me in Giovanni Bellini che in Antonello; nel quale, piuttosto, viene ricacciata, risospinta, contenuta e infine quasi eliminata, dai tralignati dati iniziali. In Antonello la corrente italiana, pierfrancescana, belliniana, vince, stravince, e tutti ormai più o meno francamente siamo disposti a riconoscere che Antonello prese più di quel che portò, a Venezia.

F. Russoli, La pittura del Rinascimento, 1962

Egli coglie nella realtà più descritta o nelle panoramiche più ampie, l’esistenza assoluta ma vibrante degli esseri, la sostanza fisica e spirituale insieme della natura. Gli basta un primo piano ravvicinato, senza accenni all’ambiente, per creare con una lievissima disposizione a tre quarti, con l’avanzamento di una mano nello spazio, la profondità e la vitalità dei luoghi.

S. Bottari, Antonello da Messina, m ^Enciclopedia universale dell’arte”, 1963

La vita di queste immagini [nel Polittico di San Gregorio] è nella docilità con cui secondano il ritmo prospettico o, per meglio dire, nell’assumere, sulla base di un tal ritmo, l’immobilità severa dell’architettura. Possiamo infatti immaginare il fondo dorato in funzione di un velario abbassato su un arioso paesaggio del genere di quello del San Gerolamo di Londra o dell’‘Annunciazione di Siracusa, opera più vicina nel tempo :

visioni di natura che restano distaccate dall’ambiente, come un quadro più piccolo entro un quadro più grande, senza quella fusione panica che è nelle opere di Piero. L’esperienza di Piero si traduce in tal modo nella poetica antonelliana, con un ritmo serrato, altamente rigoroso. Ma tale equilibrio è di lieve momento : esso infatti appare già compromesso nell’Annunciazione di Siracusa, in cui sulle conquiste recenti tornano ad imporsi, con rinnovata vivacità, pensieri più antichi … 

 R. Causa, Antonello, 1964.

nello schema obbligato, nel breve passo di un volto descritto e minuziosamente analizzato, Antonello trovò modo di impegnarsi con forza sempre nuova, fermando quasi “ad annum” un commentario dei suoi interessi formali, a partire da opere precoci … fino al gruppo della maturità, dove tutto intero il suo mondo formale trova modo di esprimersi con una decisione ed una compiutezza in nulla minori di quanto si rivela nelle opere monumentali …

Dopo il soggiorno veneziano, Antonello è ancora in Sicilia, e l’Annunciata di Palermo da la misura di quest’ultima fase. Pochi anni prima, ai tempi del Polittico di San Gregorio, aveva affrontato lo stesso tema con la tavoletta che ora è a Monaco, ma proprio il confronto tra le due opere all’apparenza tanto simili vale a rivelare, ancora una volta, la sconvolgente rapidità di sviluppo dell’arte di Antonello nel senso di una traduzione della realtà naturale in termini di poesia trasumanante, aliena da ogni astrazione, indifferente ad ogni indugio formalistico. È qui la misura più vera di Antonello, nato estraneo al Rinascimento e che del Rinascimento si fa forza viva, portante, inarrestabile.

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