Sopra, un’opera dell’artista: Dos cabezas (foto a bassa risoluzione inserita a solo scopo didattico)
Cenni biografici
L’artista in esame è l’esponente più celebre ed importante del del movimento graffita, apparso in America nei primi anni Ottanta, una tendenza artistica che ebbe enorme influenza sulla pittura coeva, successiva e, probabilmente, su quella dei nostri giorni.
Di padre haitiano e madre portoricana, fin da bambino si esercitava nel disegno cercando di sfogare la sua irrequieta indole.
I suoi esordi sono riferibili alla fine degli anni Settanta nell’ambito delle sue nuove sperimentazioni, firmandosi Samo.
Nel 1982 riuscì ad imporre la sua arte anche nel nostro continente partecipando a Documenta VII di Kassel.
Nel 1986, insieme al suo strettissimo amico Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) realizzò il ciclo “Collaborations”.
Nelle opere del Basquiat, eseguite su vari supporti pittorici (tavola, tela, cartone), si evidenzia una forte tendenza neoespressionista un timbro variabilissimo, spesso ingenuo, ottenuto combinando le sue composizioni in un caustico puzzle, ovvero: figure da fumetto, parole e piccole frasi di effetto tratte dai giornali, immagini pubblicitarie e iconografie caribiche.
Il Musée Cantini di Marsiglia, nel 1992, dedicò al pittore un’importante retrospettiva.
J. Schnabel, nel 1996, presentò al Festival di Venezia un film sulla vita dell’artista, drammaticamente interrotta a soli ventotto anni dall’abuso di droga. Nel 2010 lo stesso Schnabel portò in concorso al Sundance Film Festival “Jean-Michel Basquiat: The Radiant Child”, un documentario diretto dalla regista Tamra Davis.
Recentemente (ottobre 2008 – febbraio 2009) si è tenuta a Roma una mostra, tutta dedicata a Jean Michel Basquiat: “Fantasmi da scacciare”.
Giorgio De Chirico (Vòlo, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978)
Sopra, un’opera dell’artista: Canto d’amore, Museo d’Arte Moderna, New York. La foto raffigurata è a bassa risoluzione ed è stata inserita al solo scopo didattico.
Cenni biografici
Giorgio De Chirico nasce in Grecia nel 1888 e qui trascorre tutta l’infanzia per motivi di lavoro del padre, ingegnere ferroviario.
Vive principalmente in Italia e in Francia.
Ha molti legami con il linguaggio della cultura classica, che trasferisce nelle sue tele già nell’epoca in cui questa cultura è rifiutata da tutti i movimenti delle avanguardie.
Ridicolizza il nuovo linguaggio artistico e rimane indifferente alla scomposizione e frantumazione del cubismo.
Rifiuta il linguaggio della velocità (futurismo) e, al contrario degli artisti collegati ai vari movimenti, dipinge scene statiche e senza tempo, con piazze cupe e deserte, con palazzi disabitati ed inospitali.
Nel 1919 definisce “metafisiche” le sue opere (pittura metafisica) perché rappresentano un mondo diverso dalla realtà, che l’uomo non “può capire”. È un mondo che non ha presente, né passato, né futuro e, di qui il senso di mistero dei suoi dipinti che non offrono a chi le osserva, nessuna chiave di lettura.
Le sue rappresentazioni hanno un senso misterioso ed inquietante, che si insinua nelle piazze deserte, nelle ombre, nelle composizioni che prendono forme di manichini e di altre enigmatiche cose.
Tra i suoi quadri più famosi spiccano: “L’enigma dell’oracolo”, “Il grande metafisico”, “le muse inquietanti”, il “trovatore”, “Bagni misteriosi” “Meuble dans une vallèe” “l’esprit de domination” “autoritratto”, “les deux nus”, “il figliol prodigo”, “Temple et foret dans la chambre”, “l’archeologo”, “les rivages de la Thessalie”, “La torre rossa”, “le trionphe”.
Altre opere di Giorgio de Chirico
Tritone e tritonessa o Tritone e sirena, anno di realizzazione 1908-1909.
La partenza degli Argonauti, anno 1909.
Centauro morente, anno 1909.
Ritratto del fratello, anno 1909.
L’enigma dell’oracolo, anno 1910.
L’enigma di un pomeriggio d’autunno, anno 1910.
L’enigma dell’ora, anno 1911.
L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio 1911-1912.
La nostalgia dell’infinito, anno 1912.
Meditazione autunnale, anno 1912.
I piaceri del poeta, anno 1912.
Piazza con Arianna, anno 1913.
La Torre Rossa, anno 1913.
Il sogno trasformato, anno 1913.
Il viaggio angoscioso, anno 1913.
Melanconia di un pomeriggio, anno 1913.
L’angoscia della partenza, anno 1913.
L’incertezza del poeta, anno 1913.
La stazione di Montparnasse, anno 1914.
La conquista del filosofo, anno 1914.
L’enigma di una giornata, anno 1914.
Il canto d’amore, anno 1914.
Il tempio fatale, anno 1914.
Mistero e melanconia di una strada, anno 1914.
Il ritornante, anno 1914.
Il destino del poeta, anno 1914.
Il giorno di festa, anno 1914-15.
Il doppio sogno di primavera, anno 1915.
Piazza d’Italia, anno 1915.
La coppia, anno 1915.
Interno metafisico con grande officina, anno 1916.
Andromaca, anno 1916.
Metafisica Interiore con Biscotti, anno 1916.
Melanconia della partenza, anno 1916.
Il servitore fedele, anno 1916.
Metafisica Interiore, anno 1917.
Il grande metafisico, anno 1917.
Ettore e Andromaca, anno 1917.
Le muse inquietanti, anno 1917.
Le muse inquietanti, anno 1918.
I pesci sacri, anno 1919.
Natura morta con salame, anno 1919.
Autoritratto, anno 1920.
Il figliol prodigo, anno 1922.
Florentine Still Life, intorno all’anno 1923.
L’Ottobrata, anno 1924.
Au Board de la Mer, anno 1925.
La Commedia e la Tragedia (Commedia Romana), anno 1926.
Le Rive della Tessaglia, anno 1926.
Cupboards in a Valley, anno 1926.
La famiglia del pittore, anno 1926.
The Archaeologists, anno 1927.
Interno in una valle, anno 1927.
Mobili nella valle, anno 1927.
Thèbes, anno 1928.
Gladiatori in riva al mare, anno 1929.
I fuochi sacri (for the Calligrammes), anno 1929.
Il ritorno del figliol prodigo I (from the series Metamorphosis), anno 1929.
The Archaeologists IV (from the series Metamorphosis), anno 1929.
Le mediant des Thermopiles, anno 1929.
Bagnante (Ritratto di Raissa), anno 1929.
Autoritratto nello studio di Parigi, anno 1935.
L’oca spiumata, anno 1941.
Forgia di Vulcano ed autoritratto, anno 1949-1950, eseguiti su commissione per la collezione Verzocchi.
Jean Dubuffet (Le Havre, 31 luglio 1901 – Parigi, 12 maggio 1985)
Sopra, un’opera dell’artista: El descifradory Foto a bassa risoluzione inserita al solo scopo didattico
Cenni biografici
Jean Dubuffet nasce a Le Havre nel 1901 e muore a Parigi nel 1985. Influenzato dalla pittura dadaista ed animato da una violenta trasgressività artistica, nell’immediato dopoguerra, incomincia ad ispirarsi alla spontaneità della Pittura e del disegno infantile.
Le sue opere, che a prima vista sembrano disegni eseguiti dalla mano incerta di un bambino, contengono invece una carica ed un’intensità creativa notevole. Questi suoi lavori lo spingono a fare una ricerca sulle creazioni degli alienati mentali.
Riesce a raccogliere tanto materiale da allestire, nel 1947 e poi nel 1949, due mostre. Adesso quelle opere sono custodite nel museo Dell’Art Brut di Losanna (si veda il concetto della Art Brut).
Dubuffet affermava che: “ … Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l’acclamazione e la promozione sociale non interferiscono – sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti” [Jean Dubuffet, Place à l’incivisme].
Ed ancora: che l’arte grezza doveva “sorgere dal materiale […] nutrirsi delle iscrizioni, delle disposizioni istintive” e definiva la cui produzione come “lavori effettuati da persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano tutto (argomenti, scelta dei materiali messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo, modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda”.
Secondo il grande artista francese, l’Art Brut doveva essere anche distinta dall’arte popolare e da quella naïf, nonché dalle rappresentazioni – tuttavia spontanee – dei bambini.
Sopra, un’opera dell’artista: Fountain (“Fontana”, una creazione ready-made)
La foto sopra raffigurata è a bassa risoluzione ed è stata inserita al solo scopo didattico.
Cenni biografici
Fratello del pittore cubista Jacques Villon (Blainville-Crevon, 1875 – 1963) e dello scultore Maurice-Raymond Duchamp (Damville, 5 novembre 1876 – Cannes, 9 ottobre 1918), anch’esso cubista, Marcel è considerato uno dei massimi esponenti dell’arte novecentesca.
L’artista in esame influenzò pesantemente le avanguardie anticipando anche i vari movimenti artistici che si succedettero nel secondo dopoguerra.
Marcel realizzò dipinti alquanto provocatori, tra i quali ricordiamo il Nu descendant un escalier n. 2 (anno 1912), che alla sua presentazione suscitò la sensibilità del pubblico provocando grande scandalo.
Duchamp è la maggiore figura – più intelligente, provocatoria e controversa – del movimento dadaista e viene considerato come un prototipo di “artista totale”. Il suo contributo nel campo pittorico è assai piccolo se paragonato a quello dato all’intero mondo dell’arte. Nella sua lunga carriera artistica si occupò, infatti, oltre che di pittura (passando attraverso il fauvismo ed il cubismo) anche di scultura.
La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva.
Volevo far sì che la pittura servisse ai miei scopi e volevo allontanarmi dal suo lato fisico. A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della mente.
Il futurismo era l’impressionismo del mondo meccanico. A me questo non interessava.
Di fatto fino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata tutta al servizio della mente. Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più fascino sensuale offriva un quadro – quanto più era animale – tanto più era apprezzato.
Io ero talmente conscio dell’aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo trovare un altro filone da esplorare. Per approccio retinico intendo il piacere estetico che dipende quasi esclusivamente dalla sensibilità della retina senza alcuna interpretazione ausiliaria.
Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti. I surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio.
(Rosario, 19 febbraio 1899 – Comabbio, 7 settembre 1968)
Sopra, un’opera dell’artista: Six contes de La Fontaine (1964)
La foto sopra riportata è a bassa risoluzione ed è stata inserita al solo scopo didattico (comunque la visione dell’opera è licenziata in base ai termini della licenza Creative Commons)
Breve biografia di Lucio Fontana
Lucio Fontana, fondatore del movimento spazialista, oltre che pittore, è stato uno scultore e ceramista italiano.
Fontana, nato in Argentina, si spostò a Milano dove frequentò l’Accademia di Brera. Qui conobbe un gruppo di artisti che si incontravano presso la galleria del Milione, dove, nel 1931, espose le sue prime opere scultoree astratte.
Aderì al gruppo francese Abstraction-Création e, nel 1935, al movimento degli Astrattisti Italiani da cui uscì il manifesto, firmato anche da lui stesso, della Prima manifestazione collettiva di astrattismo italiano a Torino.
Ritornato nella terra di origine continuò a Buenos Aires le sue ricerche dedicandosi anche all’insegnamento.
Nel 1946 stilò il Manifiesto blanco, che può essere considerato il punto di partenza delle sue caratteristiche esperienze “spaziali”.
Nel 1947, mentre soggiornava a Milano, l’artista stilò il primo manifesto del movimento spaziale il cui linguaggio espressivo guardava con grande interesse al progresso tecnologico.
Al 1952 appartengono le prime rappresentazioni di “buchi” e spazi con colori spesso mescolati a vetro frammentato (si pensi al “Concetto spaziale”, anno 1952, collezione Fontana di Milano; al “Concetto spaziale”, anno 1954, custodito nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma).
Dal 1958 incominciarono ad apparire tele con tagli interni (un esempio è “Attese”, collezione Fontana di Milano). Nello stesso periodo, intanto, l’artista continuava le stesse sperimentazioni nel campo scultoreo con la serie di Nature. Seguirono a queste altre serie di opere (“La fine di Dio”, riferita al 1963, e i Teatrini (1964), presentate più tardi in mostre itineranti in Italia e all’estero.
Nel 2008 a Genova, in merito all’importanza del cromatismo nell’opera di Lucio Fontana, fu dedicata un’importante Antologica.
Numerose furono le tecniche impiegate dall’artista.
Nel 1966 alla Biennale di Venezia vinse il Gran premio internazionale della pittura.
Alcune delle opere più significative dell’artista
Il cielo di Venezia a mare.
Attesa.
L’uomo nero (1930).
Mezzogiorno a Piazza San Marco.
Una grande colonna (1957) si trova nella Hall dell’Hotel Alpi a Bolzano.
Concetto spaziale (1957) (pavimento musivo), Cantù, ex palazzo delle esposizioni mobili.
Sopra, un’opera dell’artista: We Two Boys Together Clinging (Noi Due ragazzi Aggrappati Assieme), anno 1961.
La foto sopra raffigurata è a bassa risoluzione ed è stata inserita al solo scopo didattico.
Breve biografia
David Hockney è stato uno dei massimi interpreti della Pop Art. Nato in Inghilterra, si trasferì in California, dove subito identificò attraverso un’inedita luministica, il paesaggio urbano e la cultura del ‘Golden State’.
David, ancora vivente ed annoverato tra i più celebri artisti contemporanei (quando scriviamo siamo in data 11 marzo 2014), non è soltanto pittore ma disegnatore, incisore, fotografo e scenografo.
Agli inizi degli anni sessanta divenne uno dei principali rappresentanti della Pop art anglosassone.
Intraprese molti viaggi negli Stati Uniti per poi stabilirsi definitivamente in California. L’elemento figurativo diventa per l’artista il cardine su cui gioca tutta la sua produzione artistica che, come già sopra accennato, non si limita alla sola pittura. Hockney realizzò, infatti, anche collages fotografici impiegando la vecchia ed amata “Polaroid”.
Collaborò con Alfred Jarry alla sua opera teatrale “Ubu re”, allestita nel 1963 al Royal Court Theatre di Londra.
Negli anni settanta si dedicò alle scenografie de “La carriera di un libertino” (1974) per il Glyndebourne Festival Opera e de “Il flauto magico” (1978) messo in scena al Metropolitan Opera di New York.
Nel 1994 realizzò i disegni per i costumi della Turandot, esibita alla San Francisco Opera.
Edward Hopper (Nyack, 22 luglio 1882 – New York, 15 maggio 1967)
Sopra, un’opera dell’artista: Summer Interior (anno 1909), Whitney Museum of American Art
Le due foto sono a bassa risoluzione ed inserite al solo scopo didattico (comunque pubblicate in America tra il 1923 ed il 1963 con un copyright non più rinnovato)
Cenni biografici
L’artista americano, definito da molti il “pittore della solitudine urbana”, utilizzava spesso composizioni e tagli fotografici tipo quelli dei pittori impressionisti (Monet, Manet, Pissarro, Sisley, Toulouse-Lautrec, ma anche Daumier, Courbet e Goya) con le cui opere entrò in diretto contatto nei soggiorni parigini del 1906 e 1909.
Tuttavia il suo linguaggio pittorico è integrato da molti fattori che lo rendono del tutto personale tanto che, ancor oggi, viene spesso imitato ed adottato da fotografi e cineasti di ogni genere.
Nei suoi dipinti a sfondo paesaggistico appaiono architetture, strade di città, spazi interni di appartamenti, di teatri, uffici e luoghi di vario genere. Le scene, pur essendo descritte con una coloristica piuttosto brillante, non trasmettono segnali di grande vitalità. I volumi e le dilatazioni spaziali sono reali ma con convincono l’inconscio del fruitore a cui arrivano informazioni quasi metafisiche caricandolo di una certa dose di inquietudine. Infatti André Breton nel periodo del suo esilio newyorkese, in una sua intervista del 1941 pubblicata su View, accostava i dipinti di Hopper a quelli di Giorgio De Chirico.
La struttura compositiva risulta talvolta geometrizzante ed il gioco della luminosità, artificioso e sofisticato, è sempre freddo, mentre i dettagli vengono spesso sintetizzati o trascurati rendendo deserta e silenziosa la scena rappresentata. Talvolta appare più di una figura umana, e quando questo avviene sembra mancare lo scambio di sentimenti fra i soggetti, che diventano incomunicabili tra loro. Infatti in quelle rare scene i loro sguardi non si incontrano mai e, fra l’altro, sembrano uscire dal dipinto facendo sì che l’osservatore non riesca mai a capire dove siano diretti: Hopper “dipingeva il silenzio”.
Il suo dipinto più celebre, i “Nighthawks” (I nottambuli) realizzato nel 1942, è oggi il simbolo della “solitudine” della metropoli contemporanea, ed è considerato una delle icone dell’arte del XX secolo.
Le opere più significative di Edward Hopper
Nudo che sale sul letto, anno 1903 – 1905 circa.
Autoritratto, anno 1903 – 1906.
Gradini a Parigi, anno 1906.
Le pont des Arts, anno 1907.
La bottega del vino, anno 1909.
Interno d’estate, anno 1909.
Blackwell’s Island, anno 1911.
Angolo di New York, anno 1913.
Soir Bleu, anno 1914.
Yonkers, anno 1916.
Stazione di una piccola città, anno 1918 – 1920.
East river, anno 1920-1923.
Ristorante a New York, anno 1922 circa.
Marciapiedi a New York, anno 1924 – 1925.
Casa vicino alla ferrovia, anno 1925.
Self-portrait (autoritratto), anno 1925 – 1930.
Eleven A.M. (Le undici di mattina), anno 1926.
The city (La città), anno 1927
Automat (Tavola calda), anno 1927.
Two on the aisle (Platea, 2ª fila a destra), anno 1927.
Night windows (Finestre di notte), anno 1928.
The lighthouse at two lights (Il faro a Two lights), anno 1929.
Chop Suey, anno 1929.
Railroad sunset (Tramonto sulla ferrovia), anno 1929.
Corn Hill, Truro, anno 1930.
Early sunday morning (Domenica mattina presto), anno 1930.
Hotel Room (Stanza d’albergo), anno 1931.
Room in New York, anno 1932.
House at dusk (Casa al crepuscolo), anno 1935.
Compartement C, Car 293 (Scompartimento C, carrozza 293), anno 1938.
Cape Cod evening (Sera a Cape Cod), anno 1939.
New York movie (Cinema a New York), anno 1939.
Gas (Benzina), anno 1940.
Office at Night (Ufficio di notte), anno 1940.
Nighthawks (I nottambuli), anno 1942.
Estate, anno 1943.
Approaching a city (Entrando in una città), anno 1946.
Sera d’estate, anno 1947.
Seven A.M. (Le sette del mattino), anno 1948.
Conference at night (conferenza di notte), anno 1949.
Cape Cod morning (Mattina a Cape Cod), anno 1950.
First row orchestra.
Rooms by the sea (stanze sul mare), anno 1951.
Sole di mattina, anno 1952).
Office in a small city (Ufficio in una piccola città), anno 1953.
South Carolina Morning (Mattino in South Carolina), anno 1955.
Four lane road (Superstrada a quattro corsie), anno 1956.
Western motel (Motel nel west), anno 1957).
A woman in the sun (Una donna nel sole), anno 1961.
Jasper Johns (Augusta, Georgia, U.S.A., 15 maggio 1930)
Sopra, un’opera dell’artista: Tre bandiere, anno 1958, Whitney Museum of American.
La foto sopra raffigurata è a bassa risoluzione ed è stata inserita al solo scopo didattico.
Cenni biografici
Jasper Johns, ancora vivente e annoverato tra i più celebri artisti contemporanei internazionali (quando scriviamo siamo in data 1 marzo 2014), è stato uno dei più importanti esponenti del New Dada, il movimento artistico americano assai prossimo al Nouveau Realisme francese, ove i semplici oggetti – quelli che comunemente usiamo ogni giorno – vengono raffigurati in un’opera d’arte. Tali considerazioni richiamano certamente l’arte Dada di Marcel Duchamp.
L’artista, che nacque a Augusta (Georgia) il 15 maggio 1930, passò la sua fanciullezza ad Allendale (South Carolina) e studiò all’università della South Carolina nel periodo compreso tra il 1947 e 1948, quindi si trasferì a New York dove, nel 1949, si iscrisse alla Scuola di Design “Parsons”.
A proposito del periodo di Allendale l’artista scrisse: «nel luogo dove sono cresciuto non c’erano artisti e non c’era arte, quindi non sapevo veramente cosa significasse. Pensavo che significasse che sarei stato in una situazione differente rispetto a quella in cui stavo».
Negli anni cinquanta Jasper Johns riuscì ad imporsi con successo negli ambienti artistici americani proponendo un inedito rapporto tra il mondo reale e quello da rappresentare nel dipinto, che solitamente era riferito alla vita quotidiana, semplice e comune di noi tutti.
Il pittore, che rifiutava nettamente l’espressionismo, soprattutto quello astratto, privilegiava la forma ed i fattori costitutivi dell’oggetto da rappresentare, evitando ogni componente gestuale durante la realizzazione dell’opera.
Johns risolse le problematiche relative alla raffigurazione del reale attraverso l’inserimento stesso dell’oggetto, ovvero il ready-made integrato nel dipinto: il ready-made e, per l’appunto, un oggetto d’uso comune – prodotto dall’uomo, dalle macchine o dalla natura stessa – che un artista promuove come opera d’arte senza alterare nessuna sua caratteristica estetica.
Frida Kahlo (Coyoacán, 6 luglio 1907 – ivi, 13 luglio 1954)
Sopra, un’opera dell’artista: Autoritratto, 1926, olio su tela, 31 x 23, collezione privata, Mexico City.
Foto a bassa risoluzione inserita al solo scopo didattico
Cenni biografici
Kahlo Frida seppe bene integrare il suo stile surrealista alle immagini legate alla terra di origine (“Roots”, 1943, Collection of Marilyn O. Lubetkin e “The Two Fridas”, 1939, Museo de Arte Moderno, Ciudad de México).
La casa in cui visse con il marito Diego Rivera, ove svolse la sua carriera artistica, fu donata nel 1955 allo stato messicano ed attualmente è conosciuta come Museo Frida Kahlo casa Azul a Coyoacán.
Frida, ancora molto giovane (non aveva ancora compiuto i 18 anni), fu vittima di un bruttissimo incidente stradale che le condizionò drasticamente la vita, facendola calare in un profondo isolamento che soltanto l’amore per l’arte avrebbe potuto poi mitigarne le conseguenze, aprendole una seppur piccola finestra di dialogo con il mondo esterno.
Il tema più ricorrente dell’artista è l’autoritratto, derivato certamente dal tormentoso rapporto con il suo corpo martoriato da quel terribile evento. L’incidente, avvenuto su un autobus, gli procurò la rottura di alcune vertebre lombari, del femore della gamba sinistra, delle costole e dell’osso pelvico, nonché la deturpazione della vagina, letteralmente trapassata da un passamano che le entrò dal fianco.
Le sue creazioni offrono una visione della donna non più alterata dallo sguardo maschile e, frequentemente, si orientano in tematiche di folclore messicano, molto spesso sfumate di humor, atte a difendere il suo popolo.
La sua pittura trasmette con forza il suo stato d’animo ed il suo modo di percepire l’ambiente che la circonda.
In molte sue composizioni, generalmente di piccolo formato, che spesso includono anche la figura di un bambino (probabilmente la sua personificazione), si avverte un notevole impatto fra il fattore “fantastico” e gli elementi, a prima vista incongruenti, a cui viene aggregato.
Nell’ultima fase della sua carriera artistica non appaiono più composizioni legate al movimento, di cui negò con forza il suo passato attivismo.
Tre importanti mostre le furono dedicate: quella del 1938 a New York, del 1939 a Parigi, del 1953 a Ciudad de México.
L’autoritratto di Frida Kahlo venduto a quasi 35 milioni di dollari
Autoritratto di Frida Kahlo battuto a quasi 35 milioni di dollari
Dalle notizie Reuters, del Novembre 2021, un autoritratto di Frida è stato battuto ad un asta di New York (uffici di Sotheby’s a Manhattan) per una cifra di poco inferiore ai 35 milioni di dollari. Un record, questo, che rende l’opera come la più costosa fra gli artisti latinoamericani.
Nel dipinto in questione, intitolato ‘Diego y yo”, appare il ritratto della pittrice che volle configurare il volto con i lineamenti di Diego Rivera, suo marito. Infatti, nella composizione, sulla fronte appare un qualcosa simile ad un “terzo occhio”.
Il presente record ha superato di gran lunga quello del precedente artista latinoamericano che apparteneva allo stesso Diego Rivera, la cui opera, “Los Rivales”, fu battuta nel 2018 per 9,76 milioni di dollari.
Ritornando al “Diego y yo” di Frida Kahlo, che fu realizzato nel 1949, non si conosce ancora il nome dell’acquirente. Si pensi che il prezzo include tasse per 3,9 milioni di dollari.
Il battitore dell’asta – e senior director di Sotheby’s – Oliver Barker nel presentare il dipinto ad inizio asta ha proferito le testuali parole: “Si tratta di uno dei lavori più importanti di Frida Kahlo mai andati all’incanto e siamo elettrizzati al pensiero che accada qui”
Le opere
Autoritratto (anno 1926), olio su tela, 31 x 23, collezione privata, Mexico City.
Ritratto di Miguel N. Lira (anno 1927), Instituto Tlaxcalteca de Cultura, Tlaxcala.
Ritratto di Alicia Galant (anno 1927), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
L’autobus (anno 1929), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Autoritratto con scimmia (anno 1930), Albright-Knox Art Gallery, Buffalo (New York).
Autoritratto (anno 1930)
Ritratto di Eva Frederick (anno 1931), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Frida e Diego (anno 1931), San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco.
Ritratto di Luther Burbank (anno 1931), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti (anno 1932).
Ospedale Henry Ford (o Il letto volante) (anno 1932), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
La mia nascita (anno 1932).
Autoritratto dedicato a Lev Trockij (anno 1934), National Museum of Women in the Arts, Washington D.C.
Il mio vestito è appeso là (o New York) (anno 1933).
Qualche piccola punzecchiatura (anno 1935), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Frida e l’aborto (anno 1936), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
I miei nonni, i miei genitori e io (anno 1936).
La mia balia e io (anno 1937), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Il piccolo defunto Dimas Rosas all’età di tre anni (anno 1937), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Ricordo (anno 1937).
I frutti del cuore (anno 1938).
Ciò che ho visto nell’acqua e ciò che l’acqua mi ha dato (anno 1938).
Quattro abitanti del Messico (anno 1938).
Il cane itzcuintli con me (anno 1938).
Il suicidio di Dorothy Hale (anno 1939), Phoenix Art Museum, Phoenix.
Due Nudi nella Giungla (La Terra Madre) (anno 1939), Proprietà privata.
Le due Frida (anno 1939), Museo de Arte Moderno, Ciudad de México.
Autoritratto con i capelli tagliati (anno 1940), Museum of Modern Art, New York.
Altro Autoritratto con collana di spine (anno 1940).
Autoritratto per il Dr. Eloesser (anno 1940).
Altro Autoritratto con scimmia (anno 1940).
Il sogno (o Il letto) (anno 1940).
Io con i miei pappagalli (anno 1941).
Cesto di fiori (anno 1941).
Autoritratto con scimmia e pappagallo (anno 1942).
La novella sposa che si spaventa all’aprirsi della vita (anno 1943).
Autoritratto con scimmie (anno 1943).
Ritratto come una Tehuana (anno 1943).
Retablo (anno 1943 circa).
Radici (anno 1943), Proprietà privata.
Pensando alla morte (anno 1943), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Fantasia (anno 1944), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Diego e Frida 1929-1944 (anno 1944).
La colonna spezzata (anno 1944), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Il fiore della vita (anno 1944), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Ritratto di Donna Rosita Morillo (anno 1944), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
La maschera (anno 1945), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Il pulcino (anno 1945), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Ritratto con scimmia (anno 1945), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Mosè (o Il nucleo solare) (anno 1945).
Senza speranza (anno 1945), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Albero della speranza mantieniti saldo (anno 1946).
Il piccolo cervo (anno 1946).
Autoritratto con i capelli sciolti (anno 1947).
Il sole e la vita (anno 1947).
Autoritratto (anno 1948).
L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl (anno 1949).
Diego e io (anno 1949), Proprietà privata (venduto a 35 milioni di dollari).
Ritratto di mio padre (anno 1951), Museo de Frida Kahlo, Ciudad de México.
Autoritratto con ritratto del Dr. Farill (anno 1951).
Perché voglio i piedi se ho le ali per volare (anno 1953), Museo de Frida Kahlo, Ciudad de México.
Autoritratto con Stalin (o Frida e Stalin) (anno 1954 circa), Museo de Frida Kahlo, Ciudad de México.
Autoritratto con Diego nel mio Cuore (anno 1953-1954), Proprietà privata.
Il marxismo guarirà gli infermi (anno 1954 circa), Museo de Frida Kahlo, Ciudad de México.
Il cerchio (anno 1954 circa), Museo Dolores Olmedo Patiño, Ciudad de México.
Bibliografia:
Diego e Frida, Jean-Marie Gustave Le Clézio, Il Saggiatore editore, 1997.
¡Viva la vida! – Cacucci Pino – Feltrinelli editore, 2010.
Pittore-scultore-incisore Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954)
Sopra, un’opera dell’artista: Armonia in rosso (foto a bassa risoluzione inserita a solo scopo didattico)
Biografia
Henri Émile Benoît Matisse, artista francese, è il più celebre esponente del Fauvismo, il movimento che dette una forte spinta nella nascita dell’Espressionismo.
Tuttavia il linguaggio fauvista rispetto alle coeve crescenti novità tedesche, dai contenuti tragici in cupe atmosfere, risultò una variante «continentale» e solare di quello che poi diventò l’Espressionismo tedesco.
Il vigore cromatico, la vera peculiarità dei pittori fauvisti, che altresì condannavano il decorativismo dell’Art Nouveau e l’evasione spirituale del Simbolismo, è una vera e propria espressione di gioia, che resta una costante in tutta l’opera di Matisse.
Il dipinto per i fauvisti doveva comporsi esclusivamente dal colore: senza dover per forza riprodurre ciò che rappresenta la natura, la scelta del colore e della sua variazione tonale doveva provenire dal profondo dell’anima. Il colore dei fauvisti, affrancato dalla realtà, esprime perciò i vari stati emozionali dell’autore che provengono dall’oggetto che esso sta osservando.
Il movimento fauvista – la prima esperienza moderna che, come già sopra accennato, sorpassa il rapporto tra l’effettivo colore dell’oggetto e quello destinato al supporto pittorico per la sua rappresentazione – fu la prima minaccia per l’Impressionismo francese.
I presupposti delle scelte di questo gruppo vanno ricercate negli influssi derivati dalla pittura di Van Gogh, Gauguin e, soprattutto, Cezanne. Da quest’ultimo trassero il modo di rappresentare le forme – scomposizione e ricomposizione – senza seguire le leggi della prospettiva, e da Van Gogh e Gauguin l’impiego del colore per esprimere le forze interiori.
Il pittore in esame iniziò la sua attività artistica intorno al 1890 a Parigi. Frequentò lo studio del simbolista Gustave Moreau (Parigi, 1826 – Parigi, 1898) e studiò presso l’École des Beaux-arts nella stessa capitale francese. In tale periodo incontrò André Derain (Chatou, 1880 – Garches, 1954), Pierre-Albert Marquet (Bordeaux, 1875 – Parigi, 1947) e Maurice de Vlaminck (Parigi, 1876 – Rueil-la-Gadelière, 1958) con i quali strinse quella sincera amicizia che fece nascere il gruppo dei Fauves. Il primo contatto con il pubblico avvenne al Salon d’Automne nel 1905.
Il linguaggio pittorico di Matisse risulta consolidato già dalla prima fase della sua attività artistica.
Tutte le sue opere si risolvono sul piano bidimensionale, sacrificando al cromatismo effetti di profondità e definizione dei dettagli, che tuttavia viene steso sulla tela con vigorosa ed intensa vivacità mai vista prima in pittura.
Nei suoi dipinti i colori primari, a cui sono accostati i rispettivi complementari, sono stesi senza alcun addolcimento tonale. Tale fatto evidenzia l’intento dell’artista di enfatizzarne il contrasto timbrico.
Alcune opere di Matisse
Natura morta con libri, anno 1890, la sua prima opera, Musée Matisse, Nizza
La tavola imbandita, anno 1897, Collezione privata, Stavros S. Niarcos
Lusso, calma e voluttà, anno 1904, Museo d’Orsay, Parigi
Donna con cappello, anno 1905, Museum of Modern Art, San Francisco
Madame Matisse (conosciuto anche come Ritratto con la riga verde), anno 1905, Statens Museum for Kunst, Copenaghen
Finestra aperta, anno 1905, National Gallery of Art, Washington
Gioia di vivere (oppure Matisse), anno 1906, Barnes Foundation, Merion
Conversazione, anno 1908, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
La stanza rossa, anno 1908, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
La danza, anno 1909, prima versione con minori dettagli e colori meno accesi, Museum of Modern Art, New York
Musica, anno 1910, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
La danza, anno 1910, seconda versione è più vicina alla coloristica fauvista, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
I pesci rossi, anno 1912, Museo Puškin, Mosca
Nudo rosa, anno 1935, Museum of Art, Baltimora
La camicetta rumena, anno 1940, Centre Pompidou, Parigi
Jazz, anno 1947, illustrazione per Jazz, papier découpé
La tristezza del re, anno 1952, Centre Pompidou, Parigi.