Pittura barocca e rococò

La pittura barocca e rococò in Italia

Pagine correlate alla pittura barocca e rococò: Scultura del Settecento – Vedutismo – Frammenti su Pittori Rococò.

Barocco e Rococò: Nel campo della pittura assistiamo ad una produzione eterogenea nelle varie zone d’Italia e lo stile Rococò si presenta nelle più svariate forme.

Roma non ha più quella predominante forza creativa, che adesso si è spostata nelle zone del Veneto. Venezia è il centro nevralgico dell’arte.

Le prime avvisaglie di un mutamento del linguaggio ad orientamento barocchetto, con l’impoverirsi delle gamme cromatiche e di importanti contrasti di “chiaro scuro”, oltre ad un arioso e spedito segno, si hanno proprio agli inizi del secolo con le opere di grandi artisti di zone diverse.

I pittori italiani

Luca Giordano: Crocifissione di San Pietro
Luca Giordano: Crocifissione di San Pietro

Luca Giordano (1632/4-1705) a Napoli rappresenta un passaggio netto e deciso dell’intenso patetismo di quella scuola verso espressioni di più chiara e gradevole attrazione.

Tuttavia la città, nella quale egli decora la cupola del Tesoro nella certosa di San Martino, diventa sempre più luogo di incontri e di scambio artistico-culturale. Luca Giordano soggiorna in diverse città e in vari stati, come Venezia, Firenze e la Spagna, svolgendo la sua attività artistica ma anche traendone stimoli.

Francesco Solimena: Autoritratto
Francesco Solimena: Autoritratto

Ne coglie insegnamento fra gli altri, Francesco Solimena (1657 – 1747) vitale ed attivo a Napoli e in altre città italiane; anche se in lui si riscontrano ancora residui della cultura del Seicento napoletano. Rielabora il Mattia Preti nei chiaroscuri leggermente lividi ed intensi delle sue tele, mentre nelle opere d’affresco della cupola di San Filippo Neri ha delle originali inventive, anche se turbolente.

Paolo de Matteis prosegue la stessa pratica decorativa di Luca Giordano.

Francesco de Mura (1696-17782) con un tratto spigliato nel disegno che talvolta soverchia il cromatismo dei chiari (decorazione del soffitto di Santa Chiara), è un pittore prevalentemente da cavalletto e ritrattista. Anche Corrado Giaquinto (1499-1765) di Terlizzi è discepolo del Solimena, ma le sue gamme cromatiche hanno più luminosità e vigore di quelle del suo maestro.

A Genova, Gregorio de Ferrari (1647-1726) intraprende un linguaggio pittorico di splendente scioltezza, ispirandosi agli schemi seicenteschi di più adorabile significato per inserirvi un pizzico di originale freschezza: così come testimonia la serie di affreschi nelle residenze nobiliari, soprattutto quelli a tema allegorico in Palazzo Rosso.

Sebastiano Ricci: Cristo nel monte degli ulivi
Sebastiano Ricci: Cristo nel monte degli ulivi

In Lombardia abbiamo Stefano Maria Legnani, detto il Legnanino (1660 – 1715), a portare gli insegnamenti accademici, quelli del romano Maratta, verso il Barocchetto; nel suo caso in particolare con un più marcato patetismo, trasformato dalla locale scuola seicentesca d’impronta borromea. Autore di splendidi affreschi nella città di Torino, in palazzo Carignano, e attivo in altre con pale d’altare, termina la sua attività artistica con gli affreschi nella navata centrale del duomo di Monza. Il richiamo più forte sui contemporanei è con molta probabilità, quello esercitato da Sebastiano Ricci (1659-1734). Egli approfondisce un linguaggio moderno impiegando come lo stesso de Ferrari, lo schema del Correggio ma in toni più sciolti e variati.

Pompeo Batoni: Ritratto del principe Abbondio Rezzonico
Pompeo Batoni: Ritratto del principe Abbondio Rezzonico

Nella capitale, dove più che nelle altre città, permane sempre accentuato l’attaccamento alla tradizione accademica, Pompeo Batoni (Lucca 1708-87) è tra i promotori di quel filone classicheggiante che avrebbe contrassegnato, dopo la metà del secolo, la decadenza del Rococò. Continua anche la fredda pittura del Maratta con Francesco Trevisani (origine veneta), Giuseppe Chiari (romano), Sebastiano Conca (Gaetano) e Benedetto Luti (fiorentino). Quest’ultimo si riallaccia alla pittura del Cortona, trasferendovi lo stile del Rococò.

Sebastiano Ricci: Diana e Endimone
Sebastiano Ricci: Diana e Endimone

Sebastiano Ricci molto attivo in numerosissime città, sia con opere dipinte su tela sia con rappresentazioni di affreschi (esemplare è il soffitto di palazzo Colonna a Roma), trasmette il nuovo stile anche fuori dall’Italia, soprattutto durante le permanenze a Londra e a Parigi.

La scuola veneziana non è all’avanguardia (avanguardia in senso generico) nello sviluppo del linguaggio artistico in direzione del Rococò, ma nel giro di una ventina di anni si metterà in prima linea per il profilarsi di figure come appunto il Ricci e il Tiepolo e anche artisti del gruppo dei vedutisti.

Anche la decorazione e l’arredo prenderanno chiare caratteristiche rococò che si riconosceranno per eleganza, attrattiva di maniera e leggerezza tematica nella produzione locale.

Giovanni Battista Piazzetta: Giuditta e Oloferne
Giovanni Battista Piazzetta: Giuditta e Oloferne

Altre grandi personalità di spicco si incominciano ad intravedere nello scenario artistico settecentesco italiano, sia pure affezionati ad un tipo di tavolozza un po’ più pesante come “chiaro – scuro” di remota discendenza caravaggesca: per esempio Giuseppe Maria Crespi, detto anche lo Spagnolo (1665-1747) a Bologna, che tratta soprattutto soggetti di genere, anche con fisionomia popolare, ma con grande diligenza rappresentativa (nel S. Antonio flagellato dai demoni, Bologna, San Nicolo); e a Venezia, Gian Battista Piazzetta (1683-1754), diventato famoso per lo squisito dinamismo (nell’Indovina, Venezia, Galleria dell’Accademia).

Costoro sono molto avanti nel gusto. La loro gestualità, il libero taglio nella composizione e le scelte iconografiche dichiarano un nuovo approccio verso la pittura. Così è considerato un antesignano, per l’audace provocazione della tematica e per il consueto uso della “pittura di tocco”, Alessandro Magnasco (Genova 1667-1749).

Giambattista Tiepolo

Tiepolo: Trionfo di Flora San Francisco M. H. de Young Memorial Museum
Tiepolo: Trionfo di Flora San Francisco M. H. de Young Memorial Museum

Il Tiepolo, uno dei più grandi esponenti della pittura europea, termina e riassume l’intera panoramica dell’arte decorativa veneta. Formatosi nella scuola ancora barocca del Piazzetta e di Bencovich, prende comunque una direzione del tutto settecentesca molto più nuova ed avvincente, sulle orme del Pellegrini e del Ricci. Tutto questo non basta al Tiepolo che va ben oltre il Rococò, accogliendo gli spunti da Rubens, dai Carracci e da Luca Giordano.

Entra così nello scenario pittorico dimostrando diligente attenzione ai maestri che lo precedono o ai quali esso viene affiancato, e molto presto rivela una maestria eccezionale nel mestiere e nella tematica, con una teatralità fortemente espansiva e insieme, generosamente fiera.

Gian Battista Tiepolo: Affreschi della residenza di Worzburg
Gian Battista Tiepolo: Affreschi della residenza di Worzburg

Il Tiepolo mette in luce il suo fervore creativo nelle pareti, nei soffitti, nelle volte delle ville e degli edifici a carattere religioso del Veneto e della Lombardia, interpretando con intensa adesione lo spirito delle celebrazioni storiche e religiose, e delle allegorie sul tema mitologico come venivano rappresentate nel melodramma settecentesco, facendo allo stesso tempo risorgere lo splendore coloristico e la maestosità degli insegnamenti del Cinquecento veneto; ben convinto del ruolo del maestro come di chi, trasmettendo ogni messaggio, anche il più doloroso, lo fa in chiave di fascino. Dopo le più che riuscite esperienze giovanili, arrivate all’apice con gli affreschi a tema biblico nel palazzo di Udine, adesso sede vescovile (1726-28), il Tiepolo, seguito prima da esperti della quadratura trovati sulla piazza e dopo dai figli Giandomenico e Lorenzo che divengono suoi collaboratori per il figurativo, non ha sosta, svolgendo una lista di committenze sempre più pesanti, sia per le opere da cavalletto, di sovente a tema religioso, sia per gli affreschi realizzati nei saloni di rappresentanza di palazzi aristocratici.

In Lombardia ed in Veneto, nel periodo in cui la fase di assestamento del potere asburgico incoraggia patrizi della zona a procurarsi una propria caratteristica fisionomica innalzando molte nuove costruzioni residenziali, il Tiepolo va a Milano ad affrescare nei palazzi Casati Dugnani e Clerici, poi va a Venezia con il quadraturista Gerolamo Mengozzi Colonna in palazzo Labia ad affrescare le “Storie di Antonio e Cleopatra”, poi a Wurzburg e infine a Madrid ad affrescare, nella sala del trono di palazzo Reale, “Gloria della Spagna” .

La sua lunghissima attività ricopre simbolicamente tutto l’arco del Settecento, e quando sarà conclusa inizierà ad essere soverchiata dai nuovi linguaggi espressivi, sia per il divulgare del gusto neoclassico sia e soprattutto, per il delinearsi della coscienza protoromantica.

In Spagna, dove il Tiepolo muore, sta appunto evidenziandosi prepotentemente la personalità del tutto inedita di Francisco Goya y Lucientes (1746-1828).

Barocco e Rococò

Barocco e Rococò nella Corte e dentro la città

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Barocco e Rococò nella Corte e dentro la città: Settecento … il secolo del grande movimento, delle grandi migrazioni artistiche, dei grandi scambi culturali.

La ragione ottiene la massima fiducia ed il sentimento diventa uno svago, l’espressione di un linguaggio artistico universale che si diffonde da Parigi a Londra, da Vienna a Venezia,  da Praga a Madrid, in tutta Europa.

Si manifesta in forme eleganti, apprensive e allo stesso tempo sorridenti, una caratteristica di gusto che contiene un insieme di sensazioni anche contrastanti tra loro, squisitezza, impassibilità e tenerezza.

Dal Barocco al Rococò

In questo contesto, che sembra voler sminuire l’interesse per l’arte, succede invece il contrario; l’arte si arricchisce sempre più di nuove e brillanti rappresentazioni.

Se è vero che sopisce e si svuota la funzione dell’arte come eloquenza a fini coinvolgenti e persuasivi, colpendo e sgretolando l’enfasi barocca, è anche vero che viene riconosciuta all’arte una funzione squisitamente estetica: interpretare e trasmettere il pensiero attraverso “il bello”. Ma non soltanto questo: “il bello” per la critica ed i teorici del mondo artistico di questo periodo, significa forme ingentilite e piacevoli, che devono mantenere il fascino scenografico in uno svago scoperto di simulazioni come, per esempio, nelle opere allegoriche del celebre ritrattista Jean-Marc Nattier (1685-1766).

Abbiamo così in questa maniera un cambiamento di linguaggio artistico nel giro di una manciata di lustri, cioè dalla formula barocca a quella definita in seguito barocchetta, che specialmente nel campo dell’architettura e delle arti decorative si manifesterà come “stile rococò”.

Il nome Rococò è una versione intenzionalmente canzonatoria,  che entra prepotentemente in uso quando questo stile inizia a sua volta a stancare. Con la parola francese rocaille si mette a fuoco in questo periodo un certo tipo di decorazione dalla linea asimmetrica e circonvoluta.

La rocaille è in effetti una mescolanza di pietre, originali o artificiali, di conchiglie e altri materiali che sembrano rocce naturali; è questa dunque una trovata stilistica ispirata alla natura, in un contesto arcadico entrato in modo particolare presso le corti. Il suo più grande interprete è Juste-Aurèle Meissonnier (1695-1750), che applica questo stile sia agli ornamenti e alla decorazione degli interni, sia ad oggetti di ogni tipo, soprattutto gioielli. Juste-Aurèle, oltre che interprete, è anche teorico del Rococò. Opera a Parigi durante il periodo della reggenza del duca Filippo d’Orléans (1715-23). Il punto più alto dello splendore del Rococò coincide con il periodo del regno di Luigi XV (1743-74), quando lo stile impregna con la sua essenza tutte le espressioni artistiche, immedesimandosi nel “gusto Pompadour”.

Architetti Rococò

La Francia di questo periodo tuttavia non plasma l’ambiente architettonico e urbanistico così come si sta verificando in tutti gli altri Paesi europei. Vengono costruiti pochi palazzi di relativa importanza,  di rappresentanza e mondani, realizzati con una rutilante espressione Rococò: possiamo ricordare, nel complesso di elementi della reggia di Versailles portata a termine sotto il regno di Luigi XIV, il palazzo  Petit Trianon, ideato da Ange Jacques Gabriel (1698-1782) per Luigi  XV.

Una penetrante e globale metamorfosi del gusto e dei canoni stessi dell’ambientazione si registra con migliori risultati nei Paesi dell’Europa centrale, con manifestazioni anche abbastanza premature in Austria e Germania, ma con testimonianze di proporzioni straordinarie anche in altri Paesi, come ad esempio Boemia e Polonia.

Già fin dai primi due decenni del Settecento architetti come i due austriaci Fischer von Eriach e Johann L. von Hildebrandt, l’italiano Domenico Martinelli e i fratelli tedeschi Zimmermann, innalzano in varie zone  dell’Europa centrale edifici e chiese con nuove caratteristiche, che si concentrano sulla leggerezza e sulla ricchezza degli effetti, costruzioni con struttura a linee curve ed estese, dislocando la visione da un punto focale unico a una rappresentazione in successione ritmica di spazi.

Abbiamo come testimonianze  le chiese di San Giovanni Nepomuceno a Praga e di San Carlo a Vienna, dove la decorazione a fresco e quella scultorea assumono un significato di grande rilevanza. Anche in Italia, avviene la metamorfosi che porta al Barocchetto, ma con stampo borrominiano: la forma di espressione è morbida, elegante e senza eccessi decorativi. Un famoso interprete di questo periodo è Filippo Juvara o Juvarra, siciliano 1678-1736), che passando dalla Scuola di Carlo Fontana, approda prematuramente a Torino, al servizio della famiglia Savoia.

Il suo capolavoro più coinvolgente, già compiuto nel 1718, è la basilica di Superga, ubicata su un colle affacciato sulla città. Il nuovo gusto viene raffigurato non soltanto da materie di composizione inedite o da eccessi figurativi, ma anche e soprattutto dal ritmo sciolto della spaziatura, che dà la sensazione di un vivace inoltrarsi nelle strutture architettoniche verso l’osservatore; così la cupola, a struttura tradizionale, viene assottigliata concentrandosi su effetti di animoso senso del “verticale”. L’opera di Juvara rimane forse la palazzina di caccia di Stupinigi, portata a termine nel 1730 e molto vicina alla città, al limite di un viale di cui ne è parte integrante, costituendone la conclusione prospettica, vivacizzata dalle ali che procedono in senso obliquo e coronata da una cupola ariosa. Costituisce una testimonianza esemplare di residenza suburbana, ricca di spaziosità a vetrate. Juvara terminerà la sua vita artistica a Madrid, dove concepirà  il palazzo di Aranjuez, su richiesta del re.
Non dobbiamo dimenticare un altro famoso esponente del tardo Barocco in Italia, Luigi Vanvitelli (1700-1773), che si pregia di esser figlio di un vedutista di discendenza olandese (Gaspar van Wittel) e di aver acquisito un’eccellente preparazione nella raffigurazione di scene urbane, che di frequente dalla sua mente escono con un piglio teatrale. L’insieme di raffinatezza ed ingegnosità nella produttività monumentale gli permette di concretizzare nella famosissima reggia di Caserta (1752-70) e nel parco contiguo, un importante ed affascinante complesso di grande varietà e grazia, con la collaborazione di ricercati scultori per le statue che guarniscono  tutti i giardini, specialmente la fontana.

PIANI URBANISTICI

I più importanti architetti del grande secolo, ovvero del Settecento, si vedono di  frequente partecipi nella programmazione di nuovi piani da urbanizzare nelle più importanti città europee.

La presenza di queste famose personalità nelle varie città, per incarico di questo o quel sovrano, è una nota caratterizzante la formazione artistico-intellettuale di questo proficuo secolo, all’insegna di quello che si chiama comunemente il “dispotismo illuminato”.

Le corti di tutta Europa si rivaleggiano per avere a propria disposizione artisti e architetti a cui vengono assegnate opere di grande rilievo; la realizzazione delle quali, pur nelle dovute discordanze e caratteristiche peculiari, relative anche alle condizioni specifiche delle zone, concepisce le grandi città con caratteristiche perlopiù omogenee; ci si prefigge per tutto il continente europeo un linguaggio artistico globale come mai era accaduto nei secoli passati.

I nuovi piani di urbanizzazione si riferiscono in modo particolare ad alcune capitali: Roma continua ancora lo sviluppo su un filone che aveva avuto la sua struttura basilare nel Seicento, ma Torino, con l’attività di Juvara, inizia la sua configurazione in base al programma ad assi perpendicolari, che sarà la sua caratteristica fisionomica. Anche a Vienna c’è una buona crescita di opere architettoniche che si dispongono con una certa cadenza ritmica intorno al centro storico della città: tra queste la più famosa è il Belvedere del principe Eugenio di Carignano, vicina alla piazza dove si si trova la chiesa di San Carlo, costruita dai Fischer von Eriach nel 1737.

Anche l’architettura religiosa conosce nell’Europa centrale un sensibile aumento di splendore e nascono meravigliose costruzioni di conventi, maestose e delicate, come l’abbazia di Melk sul Danubio in Austria, riedificata tra il 1702 e il 1749 in stile barocchetto.

All’inizio del Settecento viene fondata, dallo zar Pietro il Grande, la città di San Pietroburgo in Russia, dove in  brevissimo tempo arriveranno architetti e artisti provenienti da tutte le parti d’Europa. Tra questi, anche il nostro Bartolomeo Francesco Rastrelli (1700 – 1771), artefice di chiese e palazzi imperiali, come la residenza di Tzarskoe Selo (1756) e nella capitale, del palazzo d’Inverno (1764), tutte opere in stile barocchetto, di forme eterogenee ma brillanti. Proprio intorno alla metà del secolo il gusto rococò, intreccio di modelli francesi ed austriaci, arriverà ad influenzare anche le città della Scandinavia, provocando grande passione per i miglioramenti d’immagine. Si contraddistingue in modo particolare il complesso di Amalienborg (1750-68) a Copenaghen,  il teatrino e le scuderie a Christiansburg, e il palazzo di Kungliga Slottet (1754) a Stoccolma.

Gi ambienti   rococò

Il gusto dello stile barocchetto è tuttavia connesso ad una nuova idea di abitabilità dei palazzi, del loro impiego, e non solo quello di rappresentanza.

Quando in gran parte dell’Europa si diffonde a macchia d’olio l’uso delle ville per la villeggiatura delle famiglie ricche (le così designate “ville di delizia”), le residenze anche di natura monumentale vanno suddividendosi all’interno con una varietà di caratteristiche per i diversi usi domestici: nei pressi dei saloni di accoglienza e da ballo si strutturano piccoli salotti, boudoir, stanze di dialogo per le dame, sale di musica, di lettura, per collezioni di libri e cosi via, che rivelano come sia articolata la vita dei signori e quanto spazio vada sempre più riservandosi all’intimità.

L’architettura settecentesca si presenta sempre come una sola cosa con i suoi apparati decorativi; è molto spesso arricchita con statue collocate all’esterno, sui pilastri degli ingressi, in particolari incavi nel muri e, all’interno, lungo i corridoi e i percorsi di passaggio. È una statuaria che tiene conto delle vivaci forme, sciolte ed avvitate, dettate dallo stile barocco.

Frammenti:

  • Dalla lingua francese, la parola rocaille significa conchiglia o anche piccolissimo ornamento di grotte e viene usato con spregio.
  • È graduale il passaggio dallo sfarzoso, monumentale e  appassionato linguaggio  Barocco al leggero e grazioso e ritmico Rococò
  • Il movimento viene sentito (ancor più del Barocco) in tutta Italia per tutta la prima metà del secolo
  • Questo stile mosso in curve ed ornati di vaporosa delicatezza,quasi fiabesca, non manca di svilupparsi presso gli ambiti aulici delle corti
  •  Il Rococò è musicalità
  • Rispetto al Barocco, le snellite forme dell’architettura risultano più raccolte ed il movimento è più ritmico ed elegante
  • Rispetto al Barocco, il Rococò esiste – con un accresciuto calore di vita – negli interni delle costruzioni Rococò
  •  Nel campo della scultura le forme diventano più lievi e il chiaroscuro diventa più modulato …….. con grazia
  • Nel campo della pittura il cromatismo diventa più chiaro, più morbido, più delicato e talvolta …. nei Veneti …. luminosissimo
  • Le parole Barocco e Rococò oggi richiamano bellezza, eleganza, monumentalità, sfarzosità, passione, graziosità, ritmo ….. ieri qualcosa di poco interessante
Il Castello di Sans Souci,
Il Castello di Sans Souci

Dal Rococò al Neoclassicismo

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Il passaggio verso il nuovo linguaggio

Tiepolo: La crocifissione
Tiepolo: La crocifissione

Dal Rococò al Neoclassico: Subito nei primi anni della seconda metà del Settecento, Francesco Milizia, teorico dell’architettura, esternando i suoi concetti di tipo illuminista, vuole definire lo stile barocco con una violenta ed aspra critica, senza pensare che il suo giudizio si sarebbe più tardi mutato. Quella definizione dello stile però rimane come modello.

Nel Barocco veniva inclusa tutta la produzione barocchetta (il Barocchetto è una declinazione lombarda che fa capo allo stile rococò ed è caratterizzato per la presenza di tratti di questo nuovo stile settecentesco,  come eleganza,  morbidezza, grazia, piacevolezza, commistionati con concezioni stilistiche e compositive tramandate dalla tradizione seicentesca), perciò anche quella del Rococò, che aveva avuto il suo culmine nell’espressività soprattutto nei complessi architettonici e decorativi, in tutto il centro Europa; e la sua caratteristica più specifica nell’arredo e nella piccola decorazione in Francia con lo stile Luigi XV. Ecco che intorno al 1770 il gusto rococò cala in tutti i sensi e dappertutto; nei centri di più decisa vitalità culturale sta ormai cedendo il posto al nuovo linguaggio, quello neoclassico; nei contesti più conservatori, viene però sostituito con il ritorno ad un stile accademico di stampo bolognese e romano.

Negli ornamenti eseguiti direttamente con tecnica a stucco e in tutte le altre forme decorative, l’ormai famoso stile Luigi XVI, che si manifesta proprio tra gli anni Settanta e Ottanta, appare come un risanamento dello stile rococò, privilegia la linea retta, diminuisce ed irrigidisce le rappresentazioni floreali, presenta ritmi alternati con ampie pause e un nuovo tipo d’immagine di natura più severa. Tramite queste rettifiche, il Rococò entra poco alla volta nel Neoclassico senza soluzione di continuità.

In tale contesto entra con una prepotente forza persuasiva una figura chiave per il passaggio del gusto e dell’idea dell’arte tra il Settecento e l’Ottocento. Questa figura è Francisco Goya: alla fine dell’Ottocento egli è poco più che cinquantenne e rappresenta emblematicamente il tramonto dell’epoca delle grandi dinastie. Inoltre avvia il processo rivoluzionario.

Goya resterà un importantissimo punto di riferimento per l’arte contemporanea.

Francisco Goya

Cenni biografici – Le opere

 Francisco Goya: La Maja desnuda
Francisco Goya: La Maja desnuda

Figura fondamentale della pittura spagnola ed anche di quella europea a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, Francisco Goya y Lucientes (1746 – 1828) è accreditato come uno dei procreatori della sensibilità artistica moderna, alla radice del romanticismo autentico.

I suoi temi studiano a fondo la realtà più profonda, con particolare riguardo al mondo dell’onirico e dei concetti più celati.

Goya: La sepoltura della sardina
Goya: La sepoltura della sardina

Il suo linguaggio, di larga disinvoltura e vitalità, è indifferente agli schemi di composizione ed alle indicazioni accademiche, e piega i soggetti a dar corpo a pretese e creatività ulteriori, in nome solamente, dell’espressività pura e franca. Si definisce allievo di Velàzquez, di Rembrandt e soprattutto della Natura.

Egli ha appreso dal primo la tecnica eccellente del colore sfumato a velature con pennellate sovrapposte, dal secondo la propensione per temi pervasi di mistero e di ombre, dalla terza, cioè dalla Natura, la miriade infinita delle forme, accettate sotto tutti i punti di vista, dal bellissimo all’orrendo purché prodotto della natura stessa.

Goya: Majas al balcone
Majas al balcone

Molto interessato all’osservazione della vita del suo periodo, è interprete delle difficoltà provocate dalla crisi morale e soprattutto politica che la Spagna attraversa alla fine del Settecento, ma anche della suggestiva e gioiosa vita della città di Madrid, delle majas, dell’appassionata devozione popolare come negli affreschi della cappella di S. Antonio de la Florida, 1798.

Grande è il suo entusiasmo per le rivoluzioni della tecnica come testimonia “il pallone aerostatico” realizzato nel 1818-19.

Il venditore di vasellame
Il venditore di vasellame

Liberale, illuminista ed in amicizia con gente colta e progressista, Goya concentra il suo interesse critico verso il mondo dei poveracci (il muratore ubriaco, lo trasforma in “muratore ferito”), verso quello sommerso della pratica magica, della delinquenza, della prostituzione, per evidenziare illegalità e rozzezze, per fare satira sui costumi e sulla mendacia del conformismo e della devozione bigotta: in particolare, nella serie delle acqueforti dei Caprichos (1799) il lume dell’intelletto richiama, per scongiurarli, mostri della credenza popolare. Insieme a questa tematica egli svolge, nella sua qualifica di “Primo pittore di camera”, una grande quantità di straordinari ritratti di esponenti della nobiltà emulando il suo maestro Velàzquez con effetti pittorici di eccezionale maestria, nei quali esprime con ammirato riguardo l’eleganza rococò degli ambienti e delle vesti, la decorosa correttezza delle pose, ma allo stesso tempo accusa la mediocrità, la grettezza e la piena arroganza che si intravedono nei volti di un ceto dominante corrotto e sciocco.

Goya: 3 maggio 1808 - Fucilazione della montana del principe
3 maggio 1808 – Fucilazione della montana del principe

L’invasione della Francia e la sua insurrezione popolare, il senso di repulsione della guerra, lo sconforto nell’identificare nei supposti liberatori nuovi tiranni, stimolano Goya a dipingere le vicende di cui egli è testimone diretto in forma realistica o metaforica e a raccogliere le impressioni nella serie di acqueforti “I disastri della guerra” (1810-20), che rigenera una famosa serie di Callot. Si ritira 1819 a causa di una malattia che gli ha tolto la capacità di udire e si spinge sempre più a rinchiudersi nei propri turbamenti e depressioni. Questo è il periodo di uno sconvolgente ciclo di “pitture nere”, raffiguranti il suo percorso verso gli Inferi, tra le visioni delle forze maligne, accolto da Asmodeo e Saturno, devastatori e carnefici.