Pittore Rodolfo Aricò

Rodolfo Aricò (Milano, 1930 – ivi, 2002)

un'immagine geometrica su tela sagomata
Sopra, un’opera dell’artista rappresentante un’immagine geometrica su tela sagomata

L’opera raffigurata è a bassissima risoluzione ed è stata inserita esclusivamente a scopo didattico.

Breve biografia:

Rodolfo frequentò il liceo artistico di Brera e, nel 1950, si iscrisse al Politecnico di Milano (facoltà di Architettura).

Iniziò la sua attività artistica negli anni Cinquanta allestendo la sua prima personale alla Galleria Annunciata di Milano.

Le sue prime opere (1958-59) sono influenzate dall’Arte informale di Alfred Otto Wolfgang Schulze, meglio conosciuto come Wolf (Berlino, 27 maggio 1913 – Parigi, 1 settembre 1951) e del genovese Emilio Scanavino (Genova, 28 febbraio 1922 – Milano, 28 novembre 1986), ma da questo stile Aricò si staccò presto orientandosi invece verso un linguaggio che combinava astratto e figurativo, seguendo i modelli dell’espressionista astratto Arshile Gorky (15 aprile 1904? – 21 luglio 1948).

 Negli anni sessanta l’Aricò si ispirò all’orfismo (ramo del movimento cubista nato in Francia nel primo decennio del Novecento) dei coniugi Robert (Parigi, 12 aprile 1885 – Montpellier, 25 ottobre 1941) e Sonia (Hradyz’k, 14 novembre 1885 – Parigi, 5 dicembre 1979)  Delaunay: a partire da esso l’artista andò alla ricerca di complesse forme geometriche del cerchio, sviluppando una forma ibrida che lo caratterizzò per tutto il resto della sua attività artistica; una sorta di doppio cerchio, tipo capsula.

Più tardi incominciò ad impiegare grandi tele sagomate secondo moduli geometrici, regolari ed irregolari (tonde, ovali, poligonali … e di qualsiasi altro tipo) realizzando le cosiddette “pitture-oggetto” in cui stendeva omogeneamente il colore, ottenendo dalla tela, oltre che un dipinto su supporto, un autonomo oggetto artistico.

Per l’impiego di uno stile primario l’Aricò viene collocato dalla odierna critica nel cöté della “pittura analitica”, un linguaggio riflessivo fortemente orientato sulle proprie strutture sintattiche: il “Post-Minimal Painting”, come lo definiscono gli americani, di cui l’artista diventò, negli anni Settanta – insieme ad Agnes Martin, Robert Ryman, Brice Marden, Robert Mangold, Claudio Olivieri, Giorgio Griffa ed altri – il punto di riferimento di molti pittori europei.

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