Gli scritti di Francesco Hayez

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(1798) … Quantunque ancora giovanotto e affatto bambino nell’arte, pure ricordo quale venerazione mi destassero i dipinti degli antichi maestri ch’io avevo occasione di ammirare e in casa dello zio e nelle diverse chiese di Venezia, che visitavo spessissimo in compagnia dell’amata mia zia, donna di profonda pietà. Non potevo a meno che fare i confronti tra le opere, di quei sommi maestri e quelle dei pittori moderni che mi disgustavano tanto da cercare di ottenere dalla mia buona zia (cui confidavo tutti i mici pensieri) che il marito suo non mi conducesse più nei vari studi degli artisti, come soleva fare, per avvezzarmi l’occhio, com’egli diceva, alla pratica dell’arte. Se nel XVIII secolo, le scuole di Tiepolo e di Piazzetta avevano tali pregi che ora ammiriamo, pure bisogna confessare che furono questi i capi scuola della decadenza nell’arte. Il primo, alla vivezza del colore, alla franchezza del pennello, all’effetto generale, aggiungeva anche una certa aggiustatezza di disegno, che quantunque tratto dal vero, pure era spesso ignobile nelle forme, nè si curava punto della scelta del vero.

Il secondo, Piazzetta, manierato alquanto e nelle mosse e nel disegno, aveva però una cognizione del chiaro oscuro così giusta che si potrebbe chiamare per questo il Correggio della scuola moderna.

Di Tiepolo si ammirano a Venezia e a Milano molti affreschi, fra cui i più preziosi, a Venezia nel Palazzo Labia (specialmente i due laterali), nella Chiesa degli Scalzi, in varie altre chiese e in palazzi privati — a Milano nel Palazzo Clerici (ora Tribunale) e nel Palazzo Dugnani (ora Museo Civico).

Di Piazzetta conosco alcuni quadri fra cui quello di casa Pisani, che fa riscontro alla famosa tela (la così detta Tenda di Darlo) di Paolo Veronese — e qualche altro di grande effetto; ma le ombre sono nerastre e monotone (perché egli si serviva della stessa imprimitura che si usava allora, piuttosto oscura, per facilitare l’esecuzione del lavoro) —. Tutti i suoi quadri poi erano manierati.

Dopo questi due artisti, una caterva di pittori, fra cui primeggiava per pratica di colore il figlio di Tiepolo, Francesco Fontebasso, Sebastiano Ricci, Domenico Maggiotto (padre del mio maestro), Giuseppe Angeli (allievo del Piazzetta), Moretti, Mengardi, Antonio Canale e molti altri.

Fra questi bisogna distinguere il Lazzarini, del quale si ammirano delle famose tele, fra le altre il S. Leremo Giustiniani che si vede tuttora nella Chiesa di S. Pietro di Castello. Questo pittore, se pur era alquanto monotono nel colorito, disegnava correttamente, e il suo stile di buon gusto si staccava da quello de’ suoi contemporanei.

Sui quadri di questo esimio artista ho fatto i primi miei studi, disegnando parecchi de’ suoi dipinti, avendo occasione di frequentare la Galleria Moro-Lin, dove in tre grandi Sale si trovavano diversi quadri suoi.

Dopo il Lazzarini, il Zanotti … si sforzò di tener l’arte sulla retta via.

(1809) … Nelle varie trasformazioni delle arti nelle età diverse, molti sono gli stadi in cui si passa prima di arrivare alla rappresentazione del bello: bisogna studiare il vero, muniti prima delle regole fondamentali, che vi guidano alla ricerca di quell’ideale che l’artista deve formarsi da sé: lo studio dei grandi maestri di tutte le scuole deve fornire alla mente dell’artista una messe di insegnamenti, poi egli deve formarsi il proprio stile, senza idea preconcetta. Guai agl’imitatori: essi non si eleveranno mai a grande altezza!

(1810) … Ora eccoci a studiare i dipinti del divino Raffaello.

Se devo dire il vero, al primo entrare in queste sale [Stanze vaticane], rimasi sospeso nel mio giudizio, non riscontrando nelle pitture quella vivezza di colore che il mio occhio era uso ad ammirare nei Maestri della scuola veneta : durò poco questa mia esitazione, che le magnifiche composizioni, la naturale movenza di ciascuna figura, il disegno vero ed esatto, non che nell’assieme ma anche nei particolari, le teste stupende, tutto infine mi riempì d’una indescrivibile riverenza davanti a quel veramente divino pittore. Rimasi per più ore come ammaliato davanti a quelle opere sublimi, e infine l’occhio mio si avvezzò anche al colorito sobrio, ma vero.

Nei lunghi studi che feci su queste pitture, rimasi profondamente convinto che in queste più che in tutte le altre si trovano i pregi intrinseci dell’arte veramente perfetta. Considerando poi la parte del colorito, ho trovato che nella Disputa del Sacramento, nell’Attila e più di tutto nel Miracolo di Bolsena, Raffaello è a livello di Tiziano (ben inteso parlo del solo colore), quantunque il Tiziano abbia alle volte disegnato come Raffaello.

Devo dire il vero che io ero assiduo al lavoro perché real­mente sentivo piacere in tradurre le figure in disegno e alcune teste in dipinto di quegli ammirabili affreschi della Scuola d’Atene e della Disputa del Sacramento. E l’anno ch’io passai a studiare questo grande artista, mi scorse con tanta velocità, sì grande era il diletto che io provavo, che non avrei cambiato la mia sorte con chicchessia. Disegnai quasi tutte le figure, in una certa grandezza : ne dipinsi alcune della medesima dimensione dell’originale, tra cui l’Angelo principale nell’affresco dell’Eliodoro …

(1824) … Nella mia lunga carriera, nella quale dipinsi più di trecento tele, trovai sempre che l’artista deve tremare davanti al vero, che non si riesce mai a raggiungere: e se da un lato colla pratica si acquista una certa disinvoltura nell’adoperare il pennello, dall’altro si vedono crescere le difficoltà che sempre più si affollano alla mente di chi voglia formarsi un ideale da raggiungere. Quando avevo terminato i miei quadri, era sempre per me un momento di grande esitanza quello nel quale il committente mi chiedeva il prezzo dell’opera mia, che io ero il primo critico delle cose mie, e non sapevo decidermi a darvi un valore : confesso che i miei committenti si mostrarono sempre soddisfatti delle mie domande, ed io del loro compenso che ritenevo come pagamento del piacere che io provavo nel lavorare.

Si guardino però i giovani tanto dal tenersi troppo ligi alle regole dell’arte (quando essi siano ben padroni del disegno), come dalla imitazione materiale del vero: l’artista, dopo aver ben studiato sui modelli antichi le regole fondamentali dell’arte, se è veramente chiamato a seguire le orme dei grandi maestri, deve formare nella propria fantasia l’imagine ch’egli eseguirà poi quando abbia trovato un modello che gli rappresenti il tipo ch’egli si è formato nella mente, e al quale, copiando le linee esteriori, presterà quella parte ideale che forma il bello nel vero. (1825) … io non ho mai concepito l’arte nel produrre molto, ma bensì come ricerca del bello nel vero : e se i miei commit­tenti si lamentassero della mancata promessa, io risponderei loro che alla mia tarda età non riescirò certo più a eseguire le commissioni gentilmente datemi, non già che sia mai diminuito in me la passione dell’arte, ma trattenuto dal timore di non far abbastanza bene.

Adoperando una maniera più larga e più sicura nel disegno, frutto questo d’aver sempre continuato nello studio principale, quello del nudo, conoscevo io stesso d’aver fatto dei progressi, e mi domandavo perché i giornali, che al mio primo apparire avevano esaltato i miei quadri al punto da farmi meravigliare, ora, che certamente avevo migliorato, mi si dimostravano assai rigorosi, e qualche volta ingiusti e feci il mio esame di coscienza (la coscienza, purché non falsata dall’orgoglio o dalla vanità, è sempre la miglior consigliera) ; e trovai che molte critiche erano assai giuste, ne tenni conto, e certe altre che mi sembrarono fuori di luogo, le credetti frutto del non aver io per dignità dell’arte voluto mai abbassarmi a mendicare le lodi di chi mercanteggia le proprie opinioni. …

Certo che se noi confrontiamo l’Italia artistica del nostro secolo con quella del Cinquecento, il paragone ci spaventa. …

Da quei bei tempi della pittura è certo che l’arte andò man mano decadendo nel barocchismo, e fu solo al principio del nostro secolo che cominciò a rialzarsi, per opera specialmente del Mengs, tedesco di nascita, ma italiano come artista. Bat-toni, romano, cominciò egli pure a svincolarsi dal manierismo dei Maratta, dei Solimene ed altri capi scuola del barocchismo fra noi. Nella Venezia la decadenza durò più a lungo e solo si venne a praticare una strada più savia, più pura, quando venne istituita una nuova Accademia, dove il professore di pittura Teodoro Matteini … avviò i suoi allievi alla scuola del vero, secondo le massime del proprio maestro Battoni.

(1826) Nello stato in cui si trovavano allora le arti, era necessario trovare una maniera tutta opposta che facesse dimenticare affatto le linee contorte e barocche in cui lo stesso Tiepolo, quantunque eccellente coloritore, era caduto, e dopo di lui, gl’imitatori suoi, che non avevano il suo ingegno e ne copiarono anche i difetti. Lo studio dei Greci, e in generale degli antichi, condusse l’arte all’altra esagerazióne, a quello stile meschino, arido e gretto di cui s’impossessò la moda, adottandolo per le decorazioni dei palazzi e perfino negli abbigliamenti.

In Francia David fu il capo di questa scuola, e dopo di lui Gerard, Prudhon, ecc.

In Italia: Traballesi, Appiani, Bossi a Milano; a Roma Gamuccini; a Firenze, Benvenuti.

Le mie memorie …, a cura di G. Carotti, 1890.

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