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Giovanni Bellini: Polittico di San Vincenzo Ferreri (Cristo morto sorretto da due angeli), cm. 67, Basilica dei santi Giovanni e Paolo.

Citazioni e critica al Giambellino

Citazioni e critica al Giambellino (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore) – Bibliografia

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Giovanni Bellini: Polittico di San Vincenzo Ferreri (Cristo morto), cm. 67, Basilica dei santi Giovanni e Paolo.
Giovanni Bellini: Polittico di San Vincenzo Ferreri (Cristo morto sorretto da due angeli), cm. 67, Basilica dei santi Giovanni e Paolo.

Cosa dicono gli studiosi di Storia dell’arte della Storia dell’arte di Giovanni Bellini detto il Giambellino

Pietro Bembo, Le rime, 1535

O imagine mia celeste et pura; Che splendi più che ‘l sole a gli occhi miei, Et mi rassembri il volto di colei, Che scolpita ho nel cor con maggior cura; Credo che ‘l mio Bellin con la figura T’habbia dato il costume anche di lei: Che m’ardi, s’io ti miro: et per tè sei Freddo smalto, cui giunse alla ventura.

Lodovico Dolce, Dialogo della pittura, 1557

le cose morte e fredde di Giovanni Bellino, di Gentile e del Vivarino … le quali erano senza movimento e senza rilievo …

Giorgio Vasari, Le vite …. 1568

Le prime opere di Giovanni furono alcuni ritratti di naturale, che piacquero molto … Fece dopo … una tavola nella chiesa di San Giovanni … La qual opera fu delle migliori che fusse stata fatta insino allora in Venetia.

Marco Boschini, La carta del navegar pitoresco, 1660

Zambelin per el manco è un Rafael, Per l’idee, per le forme, e diligenza …

Zambelin se puoi dir la primavera Del Mondo tuto, in ato de Pitura:

Perché da lù deriva ogni verdura, E senza lù l’arte un inverno giera.

Anton Maria Zanetti, Della pittura veneziana, 1771

Alcuni hanno creduto che il maggior merito di Gian Bellino, non dall’originale miglioramento delle vecchie maniere provenisse; ma unicamente dall’aver veduto le belle opere di Giorgione, e pensarono che il discepolo avesse aperto gli occhi al maestro ; ma non posero mente all’ordine de’ tempi, e non hanno considerato, che varie belle opere di Giovanni fatte furono nella puerizia di Giorgione, in tempo forse ch’egli cominciava ad apprendere i primi insegnamenti di esso Giovanni. Non può negarsi dall’altra parte, che in fine il discepolo fatto già adulto non dasse maggior coraggio al maestro nel colorire e nell’ombreggiare; ma di tutto ciò nell’esame d’ogni sua opera si parlerà.

Luigi Antonio Lanzi, Storia pittorica della Italia, 1795-96

Con più felicità condusse altre opere dopo gli esempi di Giorgione. Ideò allora più novamente, e diede più rotondila alle figure, riscaldò le tinte, passò con più naturalezza dall’una all’altra, più scelto divenne il nudo, più grandioso il vestito; e se avesse avuta una perfetta morbidezza, e tenerezza di contorni, a cui mai non giunse, si potrebbe proporre come compito esemplare dello stile moderno.

Pietro Selvatico, Storia estetico-critica delle arti del disegno, 1856

Con un ingegno, forse nella composizione minor del fratello, lo superò di lunga mano nelle altre parti della pittura, perché riuscì disegnatore savio, chiaroscuratore ragionatissimo, e soave poi in tutti que’ volti ed atti in cui era mestieri manifestare la mansuetudine amorosa, la speranza devota, la malinconica aspirazione ai mistici prodigi del ciclo. S’aggiunga, a suprema sua lode, che in tutta la storia dell’arte non vi ha forse altri, da Raffaello in fuori, che al par di lui abbia dato passi più progressivi, dal cominciare di sua carriera fino alla fine. Per la qual cosa, quando si paragonano le sue opere prime con quelle ch’egli condusse decrepito, siamo quasi indotti a credere ch’esse appartengano a secoli differenti, e che più generazioni abbisognassero per valicare una tale distanza: sicché ben si appose chi il disse “il più antico de’ moderni, il più moderno fra gli antichi.

Giovanni Battista Cavalcaselle – Joseph Archer Crowe, Tiziano …. 1877-78

Lasciando al Mantegna lo studio più recondito del classico e gli astrusi problemi della prospettiva lineare, Giovanni Bellini ne imparò quanto bastava allo scopo del colorista. Lasciando al Crivelli il combinare la serenità mantegnesca con la vaghezza degli umbri, ai Vivarini gli effetti più superficiali del realismo padovano, egli potè inoltrarsi fino ai più riposti penetrali del cuore umano, e schivando la rigida maniera bizantina vi sostituì la naturalezza delle espressioni, dalla maestosa serenità sino alla calma beata, all’ardente simpatia ed al geniale sorriso. Sostituì nei suoi dipinti all’effetto pesante e convenzionale dei fondi dorati o di finte pareti, fin allora in uso, ondulazioni di terreno con qualche alberetto o ruscello sotto un limpidissimo cielo azzurro, talora cosparso di crespe nuvolette, oppure v’introduceva qualche fabbrica ed altri accessori, producendo così un insieme più piacevole e naturale. Anche per questo riguardo è notevole il progresso fatto dall’artista, se ne confrontiamo i primi tentativi coi lavori più maturi dell’età progredita. Nulla ritenendo d’orientale, ove si eccettui la pittoresca foggia del vestire, evitando del pari i violenti contrapposti dei colori vivaci e forti, e la debolezza delle tinte troppo chiare fatte risaltare imperfettamente col mezzo di forti scuri nelle ombre, egli si avvicinò alla natura quieta e riposata assai più di qualunque suo con­temporaneo … 

Bernard Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, 1894

Molti dei lavori tardi del Bellini hanno già questo carattere: essi sono pieni di quella sottile, raffinata poesia che si può esprimere solo in forma e colore. Pure, essi erano ancora un po’ troppo austeri nella forma, troppo rigidi nel colore, per la gaia, spensierata gioventù del suo tempo.

Giovanni Morelli, Della pittura italiana. Le Gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, 1897

Nessuna Galleria d’Europa che si rispetti potrebbe oggidì fare a meno del nome del Giambellino nel catalogo, eppure dalla seconda metà del secolo XVI, sino circa alla metà del nostro, non si pensava quasi più a lui quando si parlava dei pittori veneziani, ma solo ai suoi grandi scolari e successori …

Lionello Venturi, Le origini della pittura veneziana, 1907

Nel settimo e nell’ottavo decennio, Giambellino mantiene nel disegno vari ricordi mantegneschi ; ideando nuove pose ai gruppi, ora s’allontana ora s’avvicina alle concezioni parallele del Mantegna ; la gamma coloristica muta interamente ; sparisce il risalto tra due tonalità vicine; alla vivacità non frenata di due gradazioni subentra una maggiore armonia, uno studio più raffinato dei passaggi. Così Giambellino progredisce verso la verità della vita, veduta attraverso l’aria che attenua, armonizza ogni tinta; le carni diventano più morbide, le vesti, anche sul disegno antico, piegano naturalmente.

Bernard Berenson, La Sainte Justine …, in “Gaiette des Beaux-Arts”, 1913

La Santa Giustina della collezione Bagatti Valsecchi di Mi­lano è uno dei più completi capolavori della pittura italiana del Quattrocento. Persino in un secolo dove il genio abbondava a, tal punto, non si trova un artista tanto grande da non poter esser fatto ancora maggiore dall’attribuzione di una tale pittura.

Roberto Longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana, in “L’Arte’, 1914

La trasformazione che il mantegnismo subisce qui [nella pittura di Giovanni Bellini] è opera di un artista che tende a dare allo sbalzo statuario di Mantegna e al suo altorilievo una maggiore larghezza di piani, un contorno più riposato e meno nervoso, che passa cioè dall’altorilievo e dalla finta statuaria allo stacciato del bassorilievo, evidentemente per intenti pittorici, cioè di superficie. Questo è appunto il compito del primo periodo di Bellini. Il senso del bassorilievo era il massimo risultato pittorico che potesse raggiungere un artista ancora aggiogato dall’orbita mantegnesca come Giovanni Bellini: ed era vente bassorilievo il suo, se Pietro Lombardo poteva traspor tarlo talora nel marmo con perfetto risultato estetico.

Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, 1915

Giovanni sapeva trarre dalla sua lira solo le più delicate armonie. Pareva inebriarsi della dolcezza dei suoni, farsi fanciullo coi fanciulli, per cantare con le loro voci argentine le litanie alla Vergine, e unirsi ai loro giochi, e vivere della loro vita ingenua. Col cuore semplice e pio, offrì alla Vergine i fiori della bellezza primaverile, della gentilezza umana, ai santi porse forme incorrotte, temprate dalla salute eterna e dalla grazia • infinita. Nulla dimenticò dei materiali del suo lavoro : la forma del trono della primitiva Madonna adorante il Bambino dormiente, e perfino le volute fogliate dello scanno, ritornano poi, si ripetono con qualche modificazione, più tardi. Questi ed altri particolari ci danno il modo di comprendere come tutta l’arte di Giambellino, per il continuo assiduo lavoro di elaborazione purificatrice, giunse a scoprire la bellezza: dal minerale, col cadere di mano in mano delle scorie, uscì la purissima gemma.

Bernard Berenson, Venetian Paintings in America, 1916

Intimi nei rapporti sociali, per la stretta parentela (erano cognati), il Mantegna e Giovanni Bellini rimasero differenti e lontani l’uno dall’altro nell’arte loro. Tutto dogma il primo, tutta fede il secondo: l’uno lavorava seguendo un programma, l’altro si affidava alla propria spontaneità; mentre il padovano tracciava una linea schematica a contenere una figura, nel veneziano il contorno era la vibrante esteriorizzazione di una intrinseca energia. Il Mantegna era professionalmente un intellettuale, il Bellini invece non concepì forse mai un’astrazione; il padovano era un romano infervorato, il veneziano non appartenne di proposito deliberato ad alcun tempo o ad alcun luogo. Di conseguenza limitato per necessità il progresso del primo, non mai arrestato nel secondo. La storia dell’arte quasi non annovera grande maestro in cui la fine meno s’allontani dall’inizio come nel Mantegna e tanto se ne distacchi come nel Bellini. Per cinquant’anni Giovanni guidò la pittura veneziana di vittoria in vittoria, la trovò che rompeva il suo guscio bizantino, minacciata di pietrificarsi sotto lo stillicidio di canoni pedanteschi, e la lasciò nelle mani di Giorgione e di Tiziano, l’arte più completamente umana di qualsiasi altra che il mondo occidentale conobbe mai dopo la decadenza della cultura greco-romana. 

Carlo Gamba, Giovanni Bellini, 1937

Giovanni Bellini non sentì soltanto la poesia realistica dell’anima umana ma bensì quella della natura, come forse nessun altro prima di lui.

In Toscana e altrove vi furono artisti che intesero il valore complementare del paesaggio quale fondo di scena; vi furono artisti che cercarono di risolvere scientificamente i segreti della natura; vi furono artisti che immaginarono paesi di fantasia animati da spiritosi particolari. Giovanni Bellini invece volle riprodurre i paesi come li vedeva e renderne l’incanto naturale. Egli studiò sul vero fin dai primi tempi i rapporti di colore e di tonalità fra i vari elementi paesistici, tra terra nuda e prati, tra acque e rive, tra rocce e piante, tra edifizi in ombra e in luce, tra monti vicini e lontani, e studiò con passione il cielo con le sue sfumature di colore dall’orizzonte alla sommità, così all’alba come al tramonto, con le varie forme di nuvole estese o gonfie, adombrate o lucenti e i conseguenti riflessi sul suolo e sulle cose circostanti. Egli fu il primo a dar un valore compositivo cromatico e illuminativo al cielo; ciò che diverrà una delle caratteristiche della pittura veneziana.

V. Moschini,  Giambellino, 1943

Anche il sentimento religioso che il Bellini espresse in tante sue opere con rara interiorità ebbe un accento di particolare armonia. Una elezione tuttavia umana, ne astratta ne legata al caratteristico, altamente spirituale ma con amoroso studio degli aspetti corporei. Ciò s’avverte in particolare nella figurazione della Madonna, della quale pochi artisti sentirono intimamente l’idealità quanto il Bellini.

D’altra parte la purezza dello stile prova l’intensità di un sentimento sul quale talvolta, magari ingenuamente, gli artisti hanno speculato.

Si comprende quindi come la religiosità stessa del Bellini ci appaia sotto un aspetto classico, improntata ad un ideale di bellezza intimamente legato ad un senso armonico e sintetico degli aspetti formali … 

Ph. Hendy  – Goldscheider, Giovani» Bellini, 1945

Scrivere di Giovanni Bellini è come scrivere la storia della pittura europea. Egli fu davvero una grande figura del Rina.scimento, il figlio di Masaccio e il padre di Giorgione e di Tiziano; ma attraverso costoro egli divenne anche il protagonista di un grande movimento europeo. La storia della sua evoluzione artistica è forse unica. Le premesse delle sue idee si possono scorgere nella vita dei grandi artisti che lo precedettero, da Gioito a Masaccio e a Piero della Francesca; ma nessuno di loro giunse così lontano. Uno sviluppo simile al suo si può trovare in Tiziano o nel Greco e in Rubens; ma egli aveva dato un indirizzo indispensabile a tutti gli artisti futuri, ed essi non avevano fatto che seguirlo. La sua evoluzione tecnica, persino la varietà della sua espressione, sono soltanto un segno esteriore di una rivoluzione della visione, nella quale egli travasò tutta una inedita profondità spirituale e un caldo soffio di vita. Il suo atteggiamento nuovo verso l’uomo e la natura e i mezzi nuovi e particolarmente aderenti con cui li espresse, trasformarono la pittura italiana del Rinascimento nella pittura europea, e misero le basi per il suo sviluppo nei secoli futuri.

Roberto Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946

Uomo di meditazioni instancabili, mai pago di evocare l’anitico, d’intendere il nuovo e di provarli, egli fu tutto quel che si dice: prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco; eppure sempre lui, caldo sangue, alito accorato, accordo pieno e profondo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia, e il manto della natura. Accordo tra le masse umane prominenti e le nubi alte, lontane, e cariche di sogni narrati; tra le chiostre dei monti e le absidi antiche, le grotte di pastori e le terrazze cittadine, le chiese color tortora del patriarcato e il chiuso delle greggi, le rocche medievali e le rocce friabili degli Euganei. Una calma che spazia fra i sentimenti eterni dell’uomo: cara bellezza, venerata religione, eterno spirito, vivo senso; e una paicificazione corale che fonde e sfuma i sentimenti, dall’alba di rosa al tramonto di viola, secondo l’ora del giorno.

Kenneth Clark, Landscape into Art, 1949

[Il Bellini] nell’attività giovanile aveva prediletto la vivida luce dell’alba e del tramonto, e sempre, poi, era tornato a raffigurare quei momenti di esaltata emozione quando potevano sottolineare il significato dei suoi temi, come nella Resurrezione del Friedrich Museum di Berlino … Ma, invecchiando, l’artista andò sempre più innamorandosi della piena luce del giorno, in cui tutte le cose possano espandersi ed essere completamente se stesse. Questo è il sentimento che pervade il San Francesco ora nella collezione Frick, vera illustrazione dell’inno al sole di san Francesco. Nessun’altra grande pittura, forse, contiene in così grande numero particolari naturali osservati e resi con incredi.bile pazienza: perché nessun altro pittore è stato capace di dare ad una simile varietà di cose Punita cui perviene solo l’amore … 

F. Wittigens, Pietà e Madonne di Giovanni Bellini, 1949

Le cento e più Madonne non sono temi di un pittore “divoto”, ma semplici spunti al vagare di una fantasia artistica che prende a pretesto la realtà per esprimere, nella trasfigurazione della natura, un’interiore e armoniosa liricità. Il Giambellino non è un pittore religioso, ma un ‘umanista’, privo tuttavia del tormento intellettuale toscano, classico per istinto. E della classicità egli rappresenta il primo tempo : proprio la ‘circoscrizione’ delle forme nello spazio è il segno stilistico di una ‘misura’ che Tiziano con la sua poesia edonistica e Giorgione con la sua romantica sensualità oltrepasseranno.

Il Giambellino resta invece in quella fase platonica del Quattrocento in cui miracolosamente si conciliarono le antitesi del mondo cristiano e pagano.

Anna Maria Brizio, Considerazioni su Giovanni Bellini, in “Arte veneta”, 1949

Fu piuttosto Antonello, giunto nell’Italia settentrionale quando già a Venezia grandeggiava l’opera di Giovanni (a non parlare dell’arte di Piero della Francesca, che doveva già essergli nota da tempo), ad aver la rivelazione di un nuovo stile … Non che sia negabile un influsso inverso di Antonello su Giovanni, ma. non fu un influsso eversivo: esso operò nel senso di promuovere nello stile di Giambellino una maturazione di forme plastiche più tornite e serene. Le antiche spezzature, il rovello lineare, di cui qualche intensa vibrazione innerva ancora le forme della pala di Pesare, non torneranno più nelle opere successive, che procedono verso uno stile sempre più disteso e pittorico.

Continua la critica sul Giambellino

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