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Jacopo Carrucci detto il Pontormo: Gli undicimila martiri, cm. 65 x 73, Palazzo Pitti, Firenze

Vita artistica del Pontormo (Jacopo Carrucci)

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(segue dalla pagina precedente)

Ultima fase della vita artistica del Pontormo e i riferimenti michelangioleschi

Già dalla seconda metà del terzo decennio del Cinquecento il Pontormo incominciò ad interessarsi intensamente al linguaggio michelangiolesco, non con l’intento di raggiungerne i livelli ma addirittura di superarli. Elaborati studi preparatori testimoniano che l’artista stava cercando la perfezione formale, che poi mai si presentava nei risultati finali frustrando puntualmente le sue aspettative [Marchetti Letta, cit., p. 6].

Gli undicimila martiri, cm. 65 x 73, Palazzo Pitti, Firenze
Pontormo: Gli undicimila martiri, cm. 65 x 73, Palazzo Pitti, Firenze

Nella tavola degli “Undicimila martiri” (1529-1530) della Galleria Palatina di Firenze è chiaro il riferimento al perduto cartone della “Battaglia di Cascina” (copia di Aristotile da Sangallo custodita a Palazzo Vecchio). Inoltre la figura dell’imperatore in primo piano richiama il ritratto scultoreo di Giuliano de’ Medici, sempre di Michelangelo, nella Sagrestia Nuova. Elementi affini al marmo della “Madonna Medici” si riscontrano anche nella “Madonna col Bambino e san Giovannino” (1534-1536 circa) custodita agli Uffizi. Inoltre i dipinti “Noli me tangere” (attribuito con dubbio all’artista) e “Venere e Amore” hanno forti richiami al cartone michelangiolesco [Marchetti Letta, cit., p. 49].

Le ricerche sulla figura nuda, soprattutto quella in atteggiamenti di torsione del corpo, sono testimoniate dai disegni preparatori che il Pontormo realizzò per gli affreschi del salone della villa medicea di Poggio a Caiano, decorazione mai portata a compimento. Secondo il Vasari l’artista avrebbe dovuto raffigurare una “Venere e Adone”, un “Ercole e Anteo”, e un gruppo di ignudi che gioca a calcio (calcio fiorentino).

Pontormo: Giocatore sgambettante
Pontormo: Giocatore sgambettante

Quest’ultimo doveva simboleggiare i recenti fatti dell’assedio, con la gara giocata in piazza Santa Croce, sotto la minaccia armata del nemico, il 15 febbraio 1530. Dell’impresa rimangono soltanto alcuni disegni del “Giocatore sgambettante”, che richiama la “Punizione di Tizio” michelangiolesca, ed i “Due nudi affrontati”, entrambi custoditi nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe [Marchetti Letta, cit., p. 51].

Pontormo: Ermafrodito
Pontormo: Ermafrodito

Altri lavori commissionati all’artista e mai andati in porto sono relativi agli affreschi della loggia della villa di Castello (1538-1543), dei quali ci perviene soltanto il disegno dell’ “Ermafrodito” (attualmente al Gabinetto Disegni e Stampe), con chiari riferimenti all’ambiguità sessuale [Marchetti Letta, cit., p. 51].

Pontormo: Due nudi affrontati
Pontormo: Due nudi affrontati

È doveroso ricordare anche che dette opere evidenziano altresì un netto sconvolgimento delle regole sul nudo michelangiolesco, ove le figure, trasfigurate – talvolta gonfiate, altre volte smagrite fino all’eccesso – distruggono il vigoroso plasticismo del pittore-scultore a cui si ispira, in un’evocazione assai più espressiva delle membra e della loro consistenza [Marchetti Letta, cit., p. 51].

Il coro di San Lorenzo e la morte dell’artista

Negli ultimi dieci anni della sua vita il Pontormo si occupò degli affreschi nel coro della chiesa di San Lorenzo a Firenze. Alla morte dell’artista, i lavori, che non erano ancora stati portati a compimento, furono proseguiti dal suo allievo Bronzino, poco più giovane di lui e suo amico fedele per un lunghissimo periodo.

Nel 1738, in seguito ai lavori per la ristrutturazione del coro, gli affreschi vennero completamente distrutti. Di essi rimangono soltanto molti studi preparatori e documentazioni esterne, come quella del Vasari che letteralmente bocciava senza mezzi termini opera e disegni.

L’inconsueta raffigurazione iconografica su Gesù si ispirava al “Beneficio di Cristo”, un breve trattato cripto-protestante, ancora tollerato a quei tempi che faceva riferimento agli ambienti della Riforma Cattolica, dove si inneggiava alla fiducia nella salvezza dell’uomo soltanto attraverso la fede. Il testo manoscritto apparteneva al segretario particolare del duca Cosimo I de’ Medici (Firenze, 1519 – Villa di Castello, 1574), Pierfrancesco Riccio, cappellano della chiesa di San Lorenzo nonché maggiordomo di corte e delegato ducale alla politica artistica. L’antichissima chiesa, consacrata alla fine del IV secolo e totalmente ristrutturata ai tempi di Cosimo il Vecchio (Firenze, 1389 – Careggi, 1464) con ampi finanziamenti provenienti dalla stessa famiglia, era a tutti gli effetti a quel tempo considerata come proprietà de’ Medici. Determinante fu perciò tale ragione, associata al fatto che lo stesso cappellano fosse anche simpatizzante riformista, che ciclo avesse tali riferimenti e venisse affidato al Pontormo.

Quasi tutte le grandi opere di affresco realizzate dall’artista negli ultimi venti anni di vita sono andate distrutte, alcune perdute, altre gravemente danneggiate. Tra esse bisogna includere anche i cicli nelle ville, di Careggi e di Castello.

Tra il 1554 ed il 1556 (anno della sua scomparsa) il pittore volle tenere anche un diario (“Il Libro mio”), ove appuntava i fatti salienti della sua vita quotidiana, dal quale si evidenzia la sua personalità di uomo colto e bizzarro allo stesso tempo.

Da documentazione certa, che riporta luogo e data di sepoltura (Cappella di San Luca della Santissima Annunziata, il 2 gennaio 1557), si ricava che il Pontormo probabilmente morì nei due giorni precedenti: 31 dicembre 1556 o il 1 gennaio 1557.

Bibliografia: “Pontormo, Rosso Fiorentino”, Elisabetta Marchetti, Letta, Scala, Firenze 1994.

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