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Biografia e vita artistica di Rosso Fiorentino (1495 – 1540)

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Le febbri ed il soggiorno a Città di Castello

Nel 1528, agli inizi della primavera, l’artista era ad Arezzo dove ebbe l’occasione di conoscere il giovanissimo Giorgio Vasari, al quale diede un disegno preparatorio per una Resurrezione, poi realizzata dal giovane studioso su commissione di Messer Lorenzo Gamurrini, oggi andata perduta.

Nell’estate dello stesso anno il Rosso si recava a Città di Castello, e il 1º luglio apponeva la firma sul contratto per la realizzazione di una grande pala per la “Compagni dal Corpus Domini”, una congregazione locale.

Il contratto prevedeva la figura di un Cristo “resuscitato e glorioso”, quattro sante e, nella zona inferiore, “più e diverse figure che denotino, representino il populo, con quelli angeli che a lui [al Rosso] parerà di acomodare”.

Rosso Fiorentino: Cristo risorto in gloria, anni 1528-1530, tecnica ad olio su tavola, 348 x 258 cm., Museo Diocesano, Città di Castello.

La tavola, con il titolo di “Cristo risorto in gloria”, si trova attualmente Museo Diocesano della cittadina umbra, opera creata con molti problemi esterni che il pittore dovette ben gestire. Innanzitutto il tetto del locale in cui egli dipingeva crollò riportando danneggiamenti vari al supporto pittorico (come testimoniano ancora le assi della tavola), poi fu colpito da febbri di tale entità che dovette fare ritorno nella più familiare Sansepolcro [Natali, cit., p. 210].

Qui l’artista si ammalò di nuovo con febbri ancora più violente (febbri quartane), per cui pensò di recarsi a Pieve Santo Stefano, dove probabilmente realizzò il disegno con la “Lapidazione di santo Stefano”, dal quale più tardi Cherubino Alfieri trasse un’incisione.

Passò di nuovo da Arezzo e poi si stabilì ancora a Sansepolcro, dove portò a compimento la tavola del “Cristo risorto in gloria”, lavorandoci senza mai mostrarla in fase di realizzazione ai committenti, come riportato dal Vasari. Si pensa che tale precauzione fosse dettata dalla paura di vedersela rifiutare come nelle volte precedenti, a causa dello stato non proprio “finito” di molte figure e della variazione di alcuni vincoli previsti dal contratto, come ad esempio l’eliminazione degli angeli [Natali, cit., p. 211]. A questo periodo vengono tradizionalmente assegnati anche due progetti per altari, attualmente custoditi al British Museum di Londra (nn. 1948-4-10-15 e Pp. 2-19), dove si evidenzia – come ricorda il Vasari – una notevole maestria nel disegno architettonico.

Nella chiesa della Madonna delle Lacrime ad Arezzo

Nel periodo aretino il Rosso partecipò anche alla decorazione – allora affidata a Niccolò Soggi (c. 1480 – 1552) – nella chiesa della Madonna delle Lacrime (della Santissima Annunziata) con il pittore Benedetto Spadari Aretino, che gli dette ospitalità quando fu costretto ad interrompere i lavori a Città di Castello, ed un altro amico, anch’esso artista, Giovanni Antonio Lappoli (1492–1552).

Il 22 marzo 1528 i committenti, insoddisfatti di come procedevano i lavori, revocarono l’incarico a Nicolò Soggi e lo affidarono, il 24 novembre dello stesso anno, al Rosso che garantì (referente il Lappoli) la consegna dell’opera in ventisei mesi, senza accettare altre commissioni fatto salvo quella per la tavola di Città di Castello, già in piena fase d’esecuzione.

Il pittore si mise subito all’opera iniziando a produrre numerosi disegni, molti dei quali ancora ben conservati, che furono riprodotti e descritti dal Vasari [Natali, cit., p. 218]. Quando però, il 17 settembre 1529 le truppe fiorentine che proteggevano la città rientrarono nel capoluogo toscano per affrontare l’imminente invasione delle truppe imperiali (assedio di Firenze, 1529-30), il Rosso, memore fatti del Sacco di Roma (1527), non sentendosi più tranquillo ad Arezzo fuggì di nuovo alla volta di Sansepolcro, lasciando nella fortezza medicea tutto il materiale, compresi i cartoni ed i disegni per la Madonna delle Lacrime [Vasari]. A proposito di ciò esiste un inventario, che risale al 12 marzo 1532, ritrovato nei forzieri nella Compagnia locale della Santissima Annunziata, in cui sono riportati in modo dettagliato diversi oggetti personali del Rosso: numerosi disegni, capi d’abbigliamento, libri (tra cui la Naturalis historia di Plinio, identificabile con la Cornucopia di Niccolò Perotti), “libricciuoli” non definiti, il De Architectura di Vitruvio, il Cortegiano di Baldassarre Castiglione e un libro di devozione alla Vergine [Natali, cit., p. 225].

La fuga a Venezia e la partenza per la Francia

Il Vasari nelle Vite ricordò di aver contattato di persona Rosso Fiorentino e discusso con lui circa le possibilità offerte in quel momento dalla corte di Francia agli artisti italiani (preferibilmente toscani), evidenziando come l’artista «avesse sempre avuto capriccio di finire la sua vita in Francia e tòrsi, come diceva egli, a una certa miseriae povertà nella quale si stanno gli uomini che lavorano in Toscana e ne’ paesi dove sono nati» [Natali, cit., p. 228].

L’occasione per il pittore di lasciare Sansepolcro fu favorita da un fatto che gettò in lui cattiva luce nella cittadina toscana: il 14 aprile del 1530 (il giovedì santo) un suo assistente fu scoperto mentre stava facendo un fuoco con la pece greca in una chiesa per praticare atti di piromanzia. Probabilmente il Rosso era con lui e, secondo Vasari, fuggì la stessa notte per Venezia passando per Pesaro [Natali, cit., p. 228]. La scelta di fuggire a Venezia è suffragata dal fatto che in quel periodo la città lagunare era il rifugio di fiorentini con idee antimedicee, di cui molti di essi dovettero poi spostarsi in Francia sotto la protezione di Francesco I. Si ricordano a tal proposito Zanobi Buondelmonti (Firenze, 1491 – Garfagnana, 1527; uomo politico), Luigi Alamanni (Firenze, 1495 – Amboise, 1556; uomo politico e poeta), l’umanista Antonio Brucioli (Firenze, ca. 1498 – Venezia, 1566), a cui seguono molti altri personaggi di intelletto; anche Michelangelo vi giunse per sottrarsi all’assedio di Firenze del 1529-30, con l’intenzione di proseguire per la Francia, sebbene il progetto non si concretizzò [Ettore Camesasca, Michelangelo pittore, Milano, Rizzoli, 1966, p. 84].

A Venezia il Rosso fu accolto da Pietro Aretino (Arezzo, 1492 – Venezia, 1556) per il quale realizzò un disegno con la raffigurazione di Venere e Marte, probabilmente un’allegoria sulla celebrazione della pace tra Francia e Spagna (attualmente conservato al Cabinet des Dessins del Louvre, n. 1575). Si pensa che l’opera dovesse essere destinata al re come una sorta di biglietto da visita per il Rosso [Natali, cit., p. 228].

Secondo alcuni studiosi di storia dell’arte, invece, fu lo stesso Michelangelo, nel momento di lasciare la città lagunare, a segnalare il Rosso all’ambasciatore francese a Venezia, Lazare de Baïf. Tale ipotesi non ha comunque concreti riscontri, per cui prende forza il fatto che il referente fosse lo stesso Pietro Aretino. In ogni modo nell’autunno del 1530 l’artista già si trovava nella capitale francese [Natali, cit., p. 229].

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