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Citazioni e critica al Botticelli

Citazioni e critica al Botticelli: (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

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Botticelli - Storie di nastagio degli Onesti - Il banchetto nel bosco
Botticelli – Storie di Nastagio degli Onesti – Il banchetto nel bosco, Prado, Madrid

Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Sandro Botticelli

Herbert Percy Horne, Alessandro Filipepi commonly called Sandro Bolliceli!, 1908

Su Sandro Botticelli: L’elemento distintivo dell’arte di Sandro, considerandola dal lato tecnico, risiede senza dubbio nella qualità peculiare e più intima del suo disegno lineare. Il Botticelli è stato definito “maestro supremo della linea isolata”; un critico più sottile dovrebbe dire piuttosto — penso io — che, fra i moderni, è l’unico maestro del contorno, e che si serve invariabilmente della linea per rendere un contorno definito non soltanto per quanto riguarda il disegno della figura ma anche per ogni altro elemento, mano o panneggio che sia, all’interno della sua massa e sempre con un ritmo e una bellezza d’intenti senza confronti nell’arte fiorentina.

Il Ruskin chiama il Botticelli un “greco resuscitato”, e possiamo riprendere l’espressione conferendole un senso di cui egli stesso forse non era consapevole nel modo così suo di esprimere il contorno, almeno per la parte della tecnica pittorica, il Botticelli fu vicino più di qualunque altro artista del tempo alla compiuta attuazione degli ideali del Rinascimento, intesi come ripristino dell’arte antica.

A. P. Oppè, Botticelli 1913

Il gusto intimo per le emozioni inferiori da cui il Botticelli trae il suo fascino è in se stesso un segno di debolezza, una mancanza d’universalità. L’opera del Botticelli è viva, ma non d’una vita piena, desiderabile. Si può dire dell’artista ciò che è stato detto dell’uomo: è da accettare o da rifiutare. Sarebbe meglio, forse, rifiutarlo. La mancanza d’universalità lo condusse all’esagerazione, alla mancanza di misura.

A frequentarlo troppo si perde il vero senso della vita. Il riaffermarsi della sua popolarità coincide con la separazione tra il mondo dell’arte e quello dell’attività. Il suo gusto per la debolezza non è un dato d’un uomo mediocre ne di un uomo superiore; è il rifugio nel quale fa piacere ritirarsi per un istante, lontani dalla vita, ma nel quale non si deve restare. Ne consegue che il predominio del Botticelli o di un’arte consimile significherebbe che, per la maggior parte degli uomini, l’arte è fuori della vita, differente da essa. E ciò sarebbe la morte dell’arte.

È meglio perciò, giudicando il Botticelli, non attardarsi sul fascino capriccioso delle sue Madonne, delle sue Veneri, sulla foga appassionata, sui mezzitoni, sul disegno imperfetto, ma sul colore sostenuto, sulla composizione vigorosa di certi gruppi, di certe forme, sulla forza calma e degna della sua concezione dell’uomo. L’unione della forza e della debolezza, della complessità e della semplicità, dell’energia e dell’indecisione fanno del Botticelli una personalità che ci ammalia e ci seduce; ma soltanto la sua forza permette di gustare la sua debolezza e, ciò che è ancor più importante, questa forza può essere, e lo è stato, una guida che ha permesso ad altri di creare opere.

Y. Yashiro, Botticelli, 1925

 I fautori dei movimenti artistici moderni si scagliano talmente contro la riproduzione naturalistica, che molte persone colte esitano di fronte a un’opera ben rifinita e realistica, proprio per la sua fedele traduzione della natura. Quanto al Botticelli, gli csteti hanno preso a tenerlo in gran conto quale artista ‘presentatore’ anziché come ‘rappresentatore’: voglio dire, come artista della linea funzionale, svincolata dalla rappresentazione della natura. E ciò — lo riconosco — è sostanzialmente vero per il Botticelli. Ma, presi dall’entusiasmo d’aver scoperto il valore della ‘presentazione’ all’incirca per la prima volta nell’arte europea, quegli esteti si sono lasciati trascinare così in là, da convincersi che il godimento della ‘presentazione’ si debba sempre risolvere a spese della ‘rappresentazione’.

Si tratta, è vero, di concetti incompatibili; però, soltanto in sede di logica astratta. Nell’ambito dell’esperienza umana possono sta­re benissimo a fianco; e in quello dell’arte figurativa vantano titoli uguali per esercitare una propria funzione psichica. Dico di più: nell’arte figurativa la ‘rappresentazione’ della natura visiva è imprescindibile, essendo il requisito che la distingue da altre arti, come la musica o il disegno decorativo.

L’elemento della ‘presentazione’ ha una vitalità diretta e costituisce una funzione psicologica determinante nel campo artistico; tuttavia, per concretarsi in espressione pienamente plastica, necessita del supporto di una forma realistica. Con la sua arte, il Botticelli fu un dono raro per l’Europa, frammezzo al culto troppo esclusivo del realismo; in pratica, fu l’unico ad attuare una ‘presentazione’ libera ed eterea; e tanto più benedico la fortuna che sia nato in tempi ardentemente rivolti proprio a ciò di cui egli difettava per natura, e che era indispensabile per fare di lui un gran pittore plastico.

Adolfo Venturi, Botticelli, 1925

… fiori di velluto sono le sue donne dai lineamenti arcuati, dai lunghi occhi pallidi, le teste languenti sotto il peso di masse d’oro; sciami di farfalle le lineate luci del mare, le foglie minute che avvolgono senza quasi posarvisi gli arbusti abbrividenti ancora del gelo invernale … l’esotica malia dei volti irregolari, il ritmo febbrile e languido dei corpi destano impres­sioni di musica nell’animo dell’osservatore. Contribuiscono al fascino delle visioni botticelliane anche i toni soffocati, prediletti da Sandro nonostante il suo amore ai velluti e alle faville d’oro : cieli pallidi, scoloriti e limpidi, acque di un tenue verde, rose senza splendore, di velo rosa stinto, o di velluto bruno, carni olivigne … o grigie miste d’argento …; tinte smorzate nel pallore, che accompagnano di una nota malinconica, sommessa e grave, il ritmo vario della composizione.

Carlo Gamba, Botticelli 1936

Ciò che fa del Botticelli un artista unico nel suo tempo e lo eleva al di sopra di tanti formalmente più perfetti non è soltanto questa fantasia poetica, che Piero di Cosimo poco appresso ebbe in non minor grado anche se in forme tanto meno belle; ma il senso della proporzione tra figure e spazio, del ritmo lineare che collega le figure e i gruppi in masse armonicamente disposte, della delicatezza cromatica idealistica che accorda colori e auree lumeggiature. E sopra tutto la sensibilità intima e assorta, l’intensa passione spirituale, che emanano dalle sue creature … 

Lionello Venturi, Botticelli, 1937

La preferenza che egli da alla linea sul chiaroscuro e sul colore è un limite della sua personalità; ma in questo limite è la sua forza e la sua gloria. Botticelli è uno dei più grandi poeti della linea … Botticelli sogna immaginari arabeschi, ritmi lenti e continui di danza, linee piene di grazia; e li sa realizzare in funzione del rilievo e del movimento. E nulla perde la linea del suo valore contemplativo, della sua delicatezza di fiaba, benché si basi sulla visione naturale. Per questo la visione naturale diviene la forma del suo sogno …

La presentazione dell’immagine o di gruppi di immagini, realizzate dalla linea, assume per il Botticelli tale importanza da sacrificarle la forza d’illustrazione del racconto o dell’allegoria, o del rapporto fra le narrazioni. … Ma bisogna rendersi conto che, se questo insieme esistesse, meno intenso sarebbe il magico apparire di ciascuna delle immagini. Esse non sorgerebbero più dal mistero come immagini di sogno. Così, si può trovare un ritmo anche nelle composizioni del Botticelli : è il ‘ritmo del particolare’, che trova la sua giustificazione nell’intensità stessa con la quale il particolare è sentito.

Robert du Mesnil du Buisson, Botticelli 1942

… Aveva uno spirito aperto, curioso, indagatore, che precorreva di molto i problemi che gli si presentavano nella pratica artistica; era, la sua, un’intelligenza viva e sottile … se non gli mancarono del tutto la volontà, la coerenza e la disciplina intcriore, furono tuttavia deboli o intermittenti. Da qui le sue esitazioni, gli ondeggiamenti, i ritorni su se stesso … [Nella Natività mistica] si discosta dalla composizione geometrica in profondità, per cui le proporzioni delle figure diminuiscono in concordia con la distanza: riempie la tela come una pagina di messale, disponendo i personaggi su piani diversi in altezza.

La Madonna li domina tutti con la sua statura, ed è molto più grande delle figure in primo piano che, stando alle norme della prospettiva lineare, dovrebbero essere più grandi di lei. … Ogni realismo è assente da questa composizione, dove le forme allungate e sdutte sono rese con una certa negligenza: un fare maldestro che sarà da credere voluto, dal momento che il Botticelli ci sapeva fare; i visi stessi non hanno una espressione determinata, e il sentimento si rivela soprattutto attraverso i gesti, attraverso la linea in movimento.

Sergio Bettini, Botticelli, 1942

Berenson nota come il Botticelli preferisce la presentazione alla rappresentazione: ciascun elemento del quadro — figura o gruppo di figure — è da lui veduta come una ‘presenza’ così immediata, che ogni interesse di coordinato racconto passa in seconda linea. [L.] Venturi aggiunge che codesto interesse per il particolare crea i nuclei della stessa composizione del Botticelli : l’intensità con cui il particolare è sentito e realizzato con la linea determina quel ‘ritmo del particolare’, che è poi il segreto della poetica botticelliana. L’aggiustamento di Venturi . rende l’idea berensoniana più concreta criticamente; e dirime il sospetto, che in quella permaneva, d’una volubilità del linguaggio di Botticelli …

A togliere poi anche l’uggia che essa sia stata dettata dal gusto oggi divulgato, e alla fine arbitrario, di antologizzare, varrà il richiamo a quanto si osservò più di una volta : che per Botticelli codesto isolare le unità figurative significa propriamente mettere a fuoco l’immagine: la ‘presentazione’ dei particolari è effetto della necessità di rassodare il centro dei ritmi, d’aggiustare con assorbimenti centrali l’enunciato che, lasciato alla sua orizzontalità, si esaurirebbe in una fase descrittiva ancora lippesca …

Pertanto, non è Botticelli un ‘frammentario’, un facitore di mottetti, sviati dalla cultura del suo tempo in lasse: egli veramente compone, anche nei grandi affreschi della Sistina: soltanto, l’unità delle composizioni di questi non risiede, classicamente, nell’ordinato equilibrio dei piani prospettici, ma nella stessa serie ritmica, che rivela anzi qui una puntuale esattezza in ordine alla coerenza lirica e un’unità straordinariamente legata di strofe : una tessitura pittorica ben fitta, il cui rovescio, per così dire, rivelerebbe una trama di ritmi continuamente affioranti.

Giulio Carlo Argan, Botticelli, 1937

La pittura del Botticelli … segna la crisi dei grandi sistemi d’ordine figurativo che erano stati elaborati nella prima metà del XV secolo. È la crisi della concezione dello spazio e della prospettiva; quella della forma in quanto conoscenza o rappresentazione della natura; quella deìVhistoria considerata come una figurazione drammatica delle azioni umane; quella del carattere morale e religioso dell’arte; la crisi, infine, della funzione sociale dell’artista come rappresentante di un artigianato superiore, e quella della capacità produttiva di una comunità. Anche l’arte tende al bello, come il pensiero filosofico, lo studio dell’antichità e l’azione umana; o meglio, l’arte è il processo specifico per la ricerca della bellezza, per cui il lavoro dell’artista è più un esempio che un’opera vera e propria. …

Per la prima volta, un pittore del Rinascimento tende al ‘bello’ come fine supremo (e diciamo ‘pittore’ a ragion veduta, perché c’era già stato un artista, Agostino di Duccio, che aveva avvertito, sia pure in modo meno chiaro, una simile esigenza). È innegabile che il Botticelli, vedendo nell’arte l’attuazione o il ‘momento pratico’ di un ideale estetico, sia in qualche modo ritornato a certi dati medievali del Tardogotico: ma il suo ideale di pulchritudo non si collega più alle tesi torniste della bellezza e dell’armonia della Creazione, intese come i segni sensibili della perfezione del Creatore. Così si potrebbe dire che la pittura del Botticelli, pur essendo profondamente permeata di un’aspirazione religiosa, non raggiunge in realtà che un carattere religioso indeterminato, ‘laico’.

André Chastel, Botticelli, 1957

II Botticelli, geniale pittore di costumi e narratore intrepido, fantasioso, ha preso lo spunto dagli orefici e dagli illustratori fiorentini del 1460. Non ha dovuto creare i suoi tipi, le sue figure volteggiami, gli abiti di velo, le acconciature complicate, gli atteggiamenti romantici e i contrasti sentimentali; ma ha ricreato questo repertorio vivace e leggiadro, ha lavorato non tanto ad arricchirlo quanto ad epurarlo.

Ha saputo precisare i contorni, accomodare le pieghe, incurvare le figure, annodare e sciogliere i movimenti con la continua preoccupazione dell’arabesco. Il piccolo universo romanico è come ricostruito dall’interno, ricomposto, ricondotto a un ordine più acuto, a una eleganza più profonda, a una mimica più rigorosa: si sottopone a una poetica più sostenuta. Sandro è un distillatore, e la sua materia è il repertorio narrativo, l’eleganza accentuata da un avanzo di preziosismo gotico, degli ateliers fiorentini. Il tipo femminile longilineo, instabile, dal naso corto, dal mento triangolare, dallo sguardo lontano, in quest’arte fragile e leggiadra sembra attendere la venuta e il dono poetico di Botticelli.

Roberto Salvini, Botticelli, “Enciclopedia universale dell’arte”, 1963

Diverso, nelle diverse fasi del lungo percorso dell’artista, l’accento; ma unitaria nella sua essenza l’espressione; coerente il mondo poetico. Coerenza che si rispecchia nella costanza di svolgimento del linguaggio, basato su di una linea che include e riassume, in più discrete e in più spiegate allusioni, i valori di volume e di spazio. Sempre si accende l’ispirazione del Botticelli nel punto dove il moto trapassa nella posa, nel punto dove la vita diviene contemplata memoria, dove la realtà si fa immagine e simbolo e la storia si fissa nel cristallo del mito.

E. Maillard, Botticelli, 1965

Nessun grande pittore del Quattrocento si è compiaciuto più del Botticelli a diversificare gli schemi della ‘divina proporzione’. Certi di essi … sono rivelatori d’una conoscenza scientifica innegabile. Da dove gli veniva questo sapere? Rammentia­moci che ancor giovane era stato ammesso alla corte medicea, dove aveva conosciuto gli umanisti e i poeti — i cui influssi si rispecchiano nelle raffigurazioni mitologiche — ma anche i maggiori filosofi e matematici. Chi sa che tra questi e il pittore non si sia stabilita una stretta collaborazione nel tracciato di schemi prettamente geometrici …

La geometria botticelliana fornisce il lume necessario per capire appieno il significato dell’elogio del nostro artista, scritto nel 1485-86 [sic] e conservato negli archivi di Milano: le sue opere “hanno aria virile e sono cum optima ragione et integra proportione”. Non bisogna dimenticare che, a quel tempo, ‘proporzione’ significava l’equivalenza dei due rapporti che, collegati geometricamente, componevano schemi regolatori …

Tra le linee, tutte articolate le une alle altre per comporre una figura geometrica, Botticelli eccelleva nel discernere quelle suscettibili di guidarlo per collocare figure isolate o in gruppo e queste giustificavano le loro positure e anche i loro gesti, che esprimevano serenità perfetta o foga, sulla loro base.

La critica prima del Novecento

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