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Il Seicento e la scultura barocca

Scultura barocca

(pur essendo, questo, un portale che tratta Pittura, non possiamo escludere l’inserimento di qualche frammento di Scultura)

Gian Lorenzo Bernini : La forte e geniale multiforme personalità del Bernini (1598 – Roma 1680) domina il Seicento nel campo della scultura e dell’architettura. È figlio di uno scultore, studia e forma  il suo gusto artistico con gli stili ellenistici e dei grandi maestri italiani del Cinquecento. Nel 1624, con la commissione del baldacchino di bronzo in San Pietro, è già una delle personalità eminenti dell’arte romana.

Per la cattedrale pontificia e per la definizione degli spazi antistanti, il Bernini lavora come scultore e architetto fino quasi alla vecchiaia. Fra i suoi grandi capolavori, l’articolazione del palazzo Barberini e il palazzo di Montecitorio a Roma, poi i progetti, non realizzati per il palazzo del Louvre. Fra le sculture romane più importanti spicca l’Estasi di Santa Teresa in Santa Maria della Vittoria e la Beata Ludovica Albertoni in San Francesco a Ripa.

Bernini:Autoritratto
Colonnato di S. Pietro
Mochi: L’annunciazione

 

Bernini: altar maggiore
Bernini: ratto di Prosperina

 

 

Bernini: Apollo e Dafne

 

Bernini: obelisco della minerva

 

Bernini: Piloni della navata Basilica di S. Pietro
Monumento di Urbanio VIII (S. Pietro, Roma)
L’Assunzione di Pietro Bernini, Santa Maria Maggiore, Roma

Scultura del Seicento italiano

Tutti i campi dell’arte, e principalmente quelli della scultura, architettura e pittura, vengono in questo secolo condizionati dalla questione della Chiesa, che tuttavia rimane ancora uno dei maggiori committenti, per suggestionare i fedeli con rappresentazioni sfarzose e di grande effetto.

Intorno alla fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, nella Roma di papa Sisto V e nella Milano di Borromeo assistiamo, nel campo della scultura, all’applicazione dello spirito tridentino nell’alveo della tradizione in stile manierista. L’eredità lasciata da Michelangelo e la ricerca di una nuova espressività  piena di forti sentimenti, genera con Stefano Maderno (Lombardia 1576?-1636), una delle prime espressioni attribuibili allo stile barocco. Sceso a Roma nel 1597, aderisce al nuovo linguaggio per la libertà di disposizione nello spazio, per gli effetti di movimento e di contrasto. La Santa Cecilia (1601, Roma, Santa Cecilia in Trastevere), giacente con il fianco destro e con il viso volto all’indietro poggiato sul piano, modellata attraverso un leggero panneggio nel suo fiorente e morbido corpo, incastonata nell’altare in un insieme polimaterico di grande efficacia, è connotata da quello slancio malinconico e quella franchezza di effetti, insieme realistici e idealizzati, veri e teatrali, che riassumono la linea fondamentale e caratterizzante del linguaggio dell’età barocca.

Mochi: Santa Cecilia, Santa Cecilia in Trastevere, Roma

È    il toscano Francesco Mochi (1580-1654) a fare il passo decisivo per fare affermare il nuovo linguaggio con il gruppo dell’Angelo annunciante e della Vergine annunciata (1605-08 ad  Orvieto nel Museo dell’Opera del Duomo), dove l’angelo viene all’improvviso dal cielo e la Vergine si leva scattante. Un effetto incredibile di luci e cromatismo, le superfici levigate fino alla purezza, l’audacia nella composizione, il recitativo dei gesti si presentano come l’esito finale e raffinato del linguaggio manierista, stimolando le modalità di un nuovo stile. Con i celebri monumenti equestri ai duchi Ranuccio ed Alessandro Farnese (1612-20, Piacenza, piazza dei Cavalli), su un basamento adornato da putti corposi e bassorilievi, il Mochi rappresenta un’epoca (specialmente con la seconda più coerente ed armonica) e si sgancia in modo conclusivo dalle radici dei modelli rinascimentali e tardo-manieristi, suggerendo uno schema che sarà in seguito ripreso dal Bernini e dalla statuaria monumentale di tutta l’Europa.

Mochi: Alessandro Farnese, Piacenza

Le premesse di Gian Lorenzo Bernini, napoletano,  nascono, si trasformano nello studio di suo padre Pietro,  scultore (1562-1629) e si sviluppano con la conoscenza delle opere del fiammingo Giambologna (1529-1608), dei grandi esponenti  del Cinquecento e dei marmi antichi conservati nelle raccolte romane.

Sin dai primi tempi il Bernini entra negli ambiti di Scipione Borghese (un cardinale collezionista di opere d’arte), dove realizza per la sua villa, con l’aiuto del padre, quattro gruppi (Enea e Anchise ascritto al padre Pietro, 1618-19; Ratto di Proserpina, ascritto ad entrambi, 1621-22; David, 1623-24; Apollo e Dafne, 1622-25) liberamente introdotti nell’atmosfera privi di ogni schema rinascimentale, che regolamentano le modalità della scultura del Seicento: slanci intensi, portamenti dinamici, contorcimenti dei trepidi corpi, incisività gestuale e fisionomica, nitidezza chiara e brillante della superficie dei marmi, destrezza e capacità mimetica, visione circolare e molteplice dell’opera, coinvolgimento psichico dell’osservatore.

I buoni rapporti con  Maffeo Barberini, un uomo di grandissima importanza, divenuto in seguito papa (Urbano VIII dal 1623 al 1644), pone il Bernini in una posizione di indiscusso carisma e gli consente, come compenso, di ottenere le committenze più celebri. Già a partire dai primi anni di pontificato, il papa gli commissiona la realizzazione del baldacchino bronzeo di San Pietro. Realizzato in parte con i materiali decorativi del pronao del Pantheon, tutto l’insieme è composto con eleganza decorativa ed è integrato coreograficamente da angioletti nella cornice e quattro angeli disposti sopra le colonne.

Terminato il ciborio bronzeo nel 1633 arriva a Roma, per coadiuvarlo nei lavori, il giovane Francesco Borromini (Francesco Castelli 1599-1667), già scalpellino nella fabbrica del duomo di Milano. Il Bernini lo conferma come primo assistente e gli delega la resa progettuale e strutturale di alcuni propri disegni.

Diventato architetto ufficiale di San Pietro nel 1629, dopo la morte di Carlo Maderno, il Bernini inizia il suo importante intervento nella difficile trasformazione ornamentale della grande basilica: dall’inserimento di grandi nicchie sovrastate da logge con tabernacoli e sculture nei quattro immensi piloni della cupola, ai disegni per gli elementi ornamentali sacri, dai sepolcri dei papi al rivestimento delle navate con marmo policromo. Il suo intenso dinamismo in Vaticano, tuttavia, non lo distoglie dall’attività privata. Riesce perciò a realizzare,  nella sua organizzata bottega, la Fontana del Tritone (1642-1643, il Tritone e le Api, commissionata da Urbano VIII per la su famiglia, la Barberini). Interamente realizzata in travertino, raffigura il Tritone in ginocchio su una conchiglia sostenuta da quattro delfini in atteggiamento di soffiarci, dalla quale sgorga l’acqua che viene poi raccolta nella vasca. Lo stemma della famiglia Barberini (api) e lo stemma papale (chiavi) sono visibili fra le code dei delfini. Oltre la Fontana del Tritone, realizza nello stesso periodo ritratti definiti “parlanti”, tra i quali spicca quello di Scipione Borghese (1632, Roma, Galleria Borghese), dove si evidenzia uno scatto realistico e pittorico con una grande penetrazione psicologica. La sua grande capacità di conferire al marmo la luce propria della pittura, dà vitalità anche ai ritratti aulici, che diventeranno modelli del linguaggio ritrattistico del Settecento (Luigi XIV, 1665, Parigi, Muso del Louvre). Per Luigi XIV realizza anche un grande monumento equestre  (nel parco di Versailles con alcune trasformazioni).

 Nel 1644 con l’inizio del pontificato di Innocenzo X, il Bernini viene sostituito da Alessandro Algardi (1595-1654). Questi, considerato come rivale del Bernini, non vive di luce riflessa e ostenta continuamente le sue forti peculiarità e la sua autonomia, che lo porterà ad essere  molto amato dagli studiosi del suo periodo e dall’alta classe romana, la quale vede in lui la migliore occasione per esprimere il proprio stato sociale. Formatosi a Bologna alla scuola dei Carracci, sviluppa un orientamento dichiaratamente classico, confermato durante la permanenza alla corte di Mantova, nel 1622, e a Venezia. Arrivato a Roma intorno 1625, si dedica al restauro e alla rifinitura delle sculture antiche del cardinale Ludovisi. Nello stesso periodo conosce gli artisti emiliani che operano attivamente nella capitale, ed il pittore francese Poussin. Poco più tardi ottiene dal papa la promozione, come alternativa al “linguaggio artistico del Bernini”. Per Innocenzo X realizza monumenti improntati a una delicata dignità classica, talvolta contrassegnata da un caldo realismo: San Leone Magno mentre incontra Attila (1646-53) nella pala marmorea per San Pietro; nella fase tarda, attratto da effetti barocchi, realizza la statua in bronzo del Pontefice (1649-50, Roma, palazzo dei Conservatori), e con affinità agli schemi berniniani, specie nella ritrattistica, la Olimpia Pamphili, (ca. 1645, Roma, Galleria Doria Pamphili).

Nonostante il breve periodo di crisi con “la sua caduta in disgrazia”, Bernini è nel suo periodo più fecondo e la sua scuola ricomincia in breve tempo ad rinvigorirsi nuovamente, mettendo in opera a piazza Navona la fontana dei quattro Fiumi (1648-51), composta da una base che forma una grande vasca ellittica,  con sovrapposto un altrettanto grande gruppo marmoreo, dove nella sua sommità si eleva l’obelisco Agonale di età romana ritrovato nel 1647 sulla via Appia. Le statue hanno dimensioni maggiori di quelle naturali ed i nudi rappresentano il Nilo, Danubio, Gange e Rio della Plata. La multiforme decorazione della cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria (1646-52), rappresenta lo snodo basilare della cultura  barocca italiana ed europea. Il Bernini con l’Estasi di Santa Teresa raggiunge certamente l’apice della teatralità toccando i limiti estremi della dissolvenza plastica.

Con papa  Alessandro VII Chigi (dal 1655), Gian Lorenzo Bernini rientra nelle grazie del Vaticano e trionfalmente in San Pietro, creando la meravigliosa piazza prospiciente alla basilica e concludendo il percorso fisico-simbolico del fedele con la sistemazione, nell’abside, della grande macchina della cattedra, che dovrà contenere la reliquia del trono ligneo di San Pietro. Il Bernini si trova alle prese con il difficile compito di sviluppare un complesso programma celebrativo della supremazia del papato: viene concepita come suggestiva apparizione, fatta di luce e di colore, da vedersi a dovuta distanza, incorniciata dal baldacchino.

Tra le ultime opere del Bernini si evidenziano i dieci Angeli con gli strumenti simbolici della Passione per il ponte Sant’Angelo, la maggior parte di essi realizzati da allievi su disegni del grande maestro, e la Beata Ludovica Albertoni (1672-1673). In questo capolavoro, scultura, architettura, colori e luci vengono combinati con maestria creando un effetto puramente scenografico. La beata viene rappresentata negli attimi che anticipano la morte: la figura, colta agonizzante nel momento di maggiore sofferenza, è collocata sull’altare, inquadrata come in  un proscenio dalle due brevi ali divergenti della cappella e illuminata da una luce radente.

Gli espedienti spettacolari, come nella cappella Cornaro (l’Estasi di Santa Teresa è considerata dagli studiosi di Storia dell’arte come uno dei più grandi capolavori dell’artista), consolidano l’impatto emozionale, ma l’intonazione più raccolta e austera mette in evidenza il profondo senso religioso che anima Bernini nei suoi ultimi anni. Eredi del linguaggio artistico del Bernini sono gli allievi che collaborano con il maestro nella decorazione di Santa Maria del Popolo (a partire dal 1655): Ercole Ferrata (1610-86),  Paolo Naidini (1619-91) e Antonio Raggi (1624-86, con le sue forme allungate e concitate è il continuatore diretto  dello stile berniniano dopo la collaborazione al Noli Me Tangere) ai quali si ricollega anche Cosimo Fancelli (1620-88), allievo di Bernini e collaboratore di Pietro da Cortona nella decorazione del soffitto Barberini, e dello stesso Borromini.

A partire dal periodo che coincide con le morti di Ferrata e Raggi, entrambi spentisi nel 1686, la scultura della maniera romana, soprattutto quella dello stucco, è soggetta ad un curioso e fantasioso sviluppo, liberandosi dai canoni seicenteschi, tanto da essere decisamente inclusa nell’intero contesto del Rococò. Al ridondante linguaggio del Bernini e di Pietro da Cortona, o alle spigliate “fantasie” del Borrominini, altri artisti contrappongono una nuova pretesa di misura, di equilibrio, di riscontro razionale e sensato: una riaffermazione delle esperienze del linguaggio classico. Oltre ad Algardi, precursore di questi schemi, è Francois Duquesnoy (fiammingo, Bruxelles 1597- Livorno, 1643). Indiscussi sono anche i legami con lo stesso Algardi, nonostante la diversa sensibilità di animo. Giunge a Roma da Bruxelles nel 1618 ed è legato da una viscerale amicizia a Poussin, con quale condivide l’interesse per gli Andri del Baccanale di Tiziano (Prado, Madrid), come si manifesta con forte evidenza nelle sue composizioni con putti (Amor sacro e Amor profano, Roma, Galleria Dona Pamphili), molto ricercate dagli amanti dell’arte. Francois Duquesnoy collabora con il Bernini al ciborio bronzeo di San Pietro ed alla realizzazione delle famose statue dei piloni (Sant’Andrea, 1626-40), ma la sua più alta espressione in assoluto è nella statua di Santa Susanna (1629-33, Roma, Santa Maria di Loreto), dove la compostezza e sobrietà delle forme si unisce a una raffinatissima grazia, che ne fa un modello per tutta la scultura del Settecento.

Fondamentale, nella scultura del Seicento, è anche lo svolgimento della realtà napoletana con la presenza dei toscani Pietro Bernini (1562-1629 padre di G.Lorenzo), Giuliano Finelli (1601-57), quest’ultimo attivo a Roma con Gian Lorenzo Bernini dal 1622 (Michelangelo il Giovane, Firenze, casa Buonarroti), e Andrea Bolgi ( 1605-56). La figura più eminente della scultura napoletana rimane tuttavia Cosimo Fanzago nato a Bergamo 1591 e morto nel 1678. Il Fanzago crea a Napoli  una versione originalissima del Barocco locale, realizzata con ricchi intarsi marmorei colorati, ornanti le strutture ancora colmate di accenti manieristi. Egli è anche esperto architetto (cappella di Palazzo Reale, 1640-45, chiostro della certosa di San Martino, 1623-31). Fanzago funziona da tramite tra nord e sud Italia con elementi lombardi e, successivamente berniniani, mentre l’esempio della pittura stile Caravaggio, in diversi modi interpretata dai napoletani e dal Ribera, conferma in lui, come negli altri scultori attivi in in questa area intorno al 1650, le preferenze per una poetica essenzialmente realistica, ma con accenti crudi e colmi di drammaticità, molto vicini al linguaggio pittorico di Zurbaràn (San Brunone, 1623-31, Napoli, certosa di San Martino, in cui suo è anche il bellissimo chiostro).

In Liguria, intorno al 1666, il francese Pierre Puget (Marsiglia, 31/10/1620- Marsiglia, 2/12/694) importa il linguaggio del Bernini e le raffinate atmosfere di Pietro da Cortona nella cultura locale e in particolare in quella genovese, realizzando combinazioni spettacolari e di grande ricercatezza formale, a loro volta sensibili ai condizionamenti pittorici di Rubens. È attivo in Francia, tra Marsiglia e Tolone ed in diverse parti d’Italia, soprattutto in Liguria e a Roma, dove in quest’ultima, collabora con Pietro da Cortona alla decorazione del soffitto del Palazzo Barberini. Alcuni lavori importanti di Puget sono: le statue di San Sebastiano e del Beato Alessandro Sauli nella basilica dell’Assunta a Genova, il bassorilievo con raffigurati Alessandro e Diogene (Louvre, Parigi), la statua di Milone da Crotone, il bassorilievo di San Carlo durante la Peste (custodito nel Musée du Vieux a Marsiglia).

Al genovese Giacomo Filippo Parodi (1630-1702), con  un’esperienza romana alle spalle, si deve l’importazione di un’aura di rinnovamento a Venezia, ancora ancorata al linguaggio di Alessandro Vittoria (1525-1608). Sempre a Venezia, il fiammingo Giusto Le Court (1627-73), con il suo capolavoro del gruppo plastico nella chiesa della Salute offre, in maniera diversa ed unica, un analogo accordo dei linguaggi di Rubens e Bernini. Da questa esperienza emerge uno dei più grandi scultori  della regione veneta, Orazio Marinali (1643-1720), che gestisce un’attivissima bottega a Vicenza, dove lavorano anche i fratelli Angelo e Francesco, ormai già aperta al fresco linguaggio decorativo del nuovo secolo. Infine il linguaggio dello stile del Bernini dilaga per tutta l’Italia, lasciando a Milano una miriade di statue per il duomo e in particolare quelle di Dionigi Bussola (1612-87), contraddistinte da un tradizionale realismo popolare filtrato attraverso la scenografia del Barocco e il linguaggio influenzato dalle tendenze romane.

A Siena in modo particolare, ma anche in tutta la Toscana si svolge l’attività di un allievo di Bernini, Giuseppe Mazzuoli (1644-1725); a Firenze il linguaggio barocco è rappresentato dalla complessa pala d’altare nel Carmine (1685-90) di Giovan Battista Foggini (Firenze, 25/04/1652 – Firenze 12/04/1737), in aperta polemica con i sostenitori della persistenza alla tradizione di Giambologna e della scultura tardo-manierista, ancora tenuta in vita da Ferdinando Tacca (1619-86). Il Foggini procede con destrezza ed abilità nei più importanti settori dell’espressione artistica, esclusa la pittura. Egli nelle sue opere usa un linguaggio che calza perfettamente le aspettative di Cosimo III de’ Medici ed è sicuramente l’artista che incarna al meglio il suo gusto.

Opere del Bernini

Opere architettoniche: Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, Piazza San Pietro, Collegiata di Ariccia, Palazzo Montecitorio, Chiesa di San Tommaso da Villanova (Ariccia), Scala Regia in Vaticano, Palazzo Chigi Odescalchi.

Monumenti: Sepolcro di Urbano VIII, Baldacchino di San Pietro, Cattedra di San Pietro, Sepolcro di Alessandro VII, Elefante Obeliscoforo, Cappella Raimondi, Cappella Cornaro, Altare del Santissimo Sacramento.

Fontane: Fontana della Barcaccia, Fontana dei Quattro Fiumi, Fontana del Tritone.

Sculture: La Capra Amaltea, San Lorenzo sulla Graticola, Busto di Antonio Coppola, Busto di Paolo V, Ratto di Proserpina Enea, Anchise e Ascanio San Sebastiano, David Santa Bibiana, Apollo e Dafne, Busti di Scipione Borghese,  Busto del Cardinale Richelieu,  La Verità Busti di Innocenzo X, San Longino,  Busto di Costanza Bonarelli, Crocifisso dell’Escorial, Costantino a Cavallo, Busto di Francesco I d’Este, Maria Maddalena, Busto di Alessandro VII Busto di Luigi XIV, San Girolamo, Busto di Gabriele Fonseca,  Busto del Salvatore Angelo con la Corona di Spine, Luigi XIV a Cavallo. 

Frammenti:

Stefano Maderno (1571 – 1636) aderisce al barocco per la libera collocazione nello spazio, per gli effetti di movimento e per gli effetti di contrasto.

Camillo Mariano specialista nello stucco, conferisce alle sue opere un accento di pittoricismo veneto.

Francesco Mochi (1580 – 1564) compie la sua formazione artistica con il Gianbologna ma apprezza molto l’ambiente culturale veneto.

Gian Lorenzo Bernini riceve la sua prima formazione dal padre , Pietro.

Antonio Raggi (1624-1686), lombardo, con le sue forme allungate e concitate si avvicina al Bernini.

Ercole Ferrata (1610-1686), allievo di Tommaso Orsolino è influenzato dal Bernini ma tende a moderarne le cadenze, in particolare quelle classicheggianti.

Domenico Guidi (1625-1701) è l’allievo preferito dall’Algardi ed il suo linguaggio si accosta anche a quello del Bernini.

Camillo Rusconi (1658-1728) di formazione milanese è influenzato dal fascino berniniano.

Filippo (1696-1770) della Valle si forma con il Foggini.

Il palazzo Barberini, iniziato dal Maderno viene continuato al Bernini fino alla sua morte.

Pietro da Cortona (Pietro Berrettini, 1596-1669) ha una formazione fiorentina con il Cigoli.

Carlo Rainaldi (1611-1691) innalza due chiese, Santa Maria di Montesano e Santa Maria dei Miracoli a Roma su commissione di papa Chigi.

Carlo Fontana (1634-1714) è un allievo del Bernini. Opera nel palazzo di Montecitorio  ed alla chiesa Santi Apostoli.

Francesco Grimaldi è un punto di attraversamento tra il tardo Rinascimento ed il Barocco.

 Cosimo Fanzago (1591-1678) oltre che architetto è pittore e scultore.

Giovan Battista Foggini (1653-1737) non riesce ad imporre le esuberanze barocche nella costruzione di San Francesco de’  Macci a Firenze.

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