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Barocco ellenistico

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BAROCCO ELLENISTICO

L’indipendenza, dichiarata da Lisippo con l’allegoria del famoso Kairos, invita ogni autore a voler riconoscere la propria destinazione artistica, a voler cambiare le regole canoniche e convenzionali, a prendere una decisione, stabilendo una nuova, relativa verità: il modo di creare della cultura ellenistica, nel suo vero senso, è il rappresentare in base ad una valutazione sull’effetto finale e non in relazione a ciò che viene manifestato dalla natura; valutazione che viene eseguita ogni volta, prima di creare un’opera.

La consapevolezza del distacco e la non conformità alle regole del classico, dà origine alla più audace esperienza, che si conclude in concomitanza della battaglia di Pidna (300-168 a.C.). Possiamo sicuramente affermare che di tutte le età artistiche, il linguaggio del barocco ellenistico è quello che più si avvicina alla creatività artistica dei nostri tempi. Tanto gli artisti uscivano dai canoni del classico, quanto nelle nostre età procediamo in una trasformazione che ci porta dalla totalità al pluralismo, dalla conformità al divario.

Ci ritroviamo ripartiti tra stati sovrani, ma vagheggiamo lo schema generico di una cultura occidentale, come le civiltà dei regni ellenistici esponevano ai “barbari” l’alto esempio collettivo dell’arte greca. Ci avviciniamo agli artisti di quel periodo che possiamo considerare il “moderno” dell’antichità, fatto da un libero linguaggio espressivo che non attinge da norme convenzionali, ma ha origine dalle circostanze, in riferimento a mode casuali ed imprevedibili. Al di fuori delle usanze tradizionali, la forma si ispira alla vita comune di  un vasto pubblico. Pubbliche richieste di opere d’arte, creazione delle stesse e consegne si prestano a molteplici combinazioni.

Ancora come nella teatralità che conclude il mondo greco, la raffigurazione spettacolare si afferma con forza oggi di per sé, andando oltre le tradizioni e gli stili. Aristotele intuisce che paragonando  l’evento a qualcosa di possibile e il veritiero alla finzione, non emergono caratteristiche di identificazione nel messaggio, dove tutto è simultaneo. I domini avventurosamente formatisi in Egitto e in Anatolia competono in rappresentazioni monumentali già dalla prima generazione degli “Epigoni”, venuta dopo i Diadochi.

Lisippo è già uscito di scena quando i suoi discepoli spostano a Rodi le conoscenze artistiche  maturate a Tarante. Uno dei suoi allievi, Carete di Lindo, con i 32-36 metri del Colosso di Rodi (304 -293 a.C.), supera raddoppiando l’altezza raggiunta dal suo maestro con lo “Zeus”. L’immagine mette in evidenza in ogni senso il movimento della sagoma, dando origine ad un’arte allargata al mondo, una trasposizione visiva d’una ampiezza straordinaria. Boeda prefigge nel santuario del Sole l’atto ascensionale e l’espressione degli occhi di “colui che adora”, è così che si portava alla presenza del dio l’estasiata figura sagomata da Eubulo: mulier admirans. L’autografo di Eubulo è inciso sulla base di un bicchiere lasciato al suo destino nelle cavità dove avveniva la fusione, proprio nei dintorni dell’Acropoli di Rodi: fosse funzionali al 100%, grazie soprattutto al fasciame esterno in mattoni e a una struttura  ricca di incanalature per lo smaltimento della cera, da fare invidia a quello dei nostri tempi; qui si effettuavano i lavori modellando gli elementi con altezze che arrivavano generalmente a tre metri.

Ad Antiochia verso il 300 a.C., mentre Eutichide realizza la Tyche, il suo maestro Lisippo è alle prese con un nuovo colosso tarantino, al quale moltiplica ulteriormente le linee: l’Eracle meditante. A Pergamo la tendenza locale si incomincia ad intravedere non prima del 283 a.C., data che coincide con l’indipendenza politica di Filetero (282); forme piuttosto eccentriche, atteggiamenti che non corrispondono a quelli naturali, figure senza ancoraggio centrale e aggrappate al nulla. A questo punto lo spazio perde la sua valenza principale e diventa una sfida, un’opportunità di cattura del concernente.

Gli effetti di questa espressione artistica, che già in altri centri è presente prima dell’emanciparsi della scultura dalla “maniera”, sono tutti condensati presso Eumene I (263-241 a.C.) dai rappresentanti dei due principali movimenti del periodo classico: ateniese e sicionia. Nicerato, Firomaco e Senocrate realizzano la spontanea maturità delle creazioni pergamene, il “barocco” che deve diventare punto di riferimento universale e canonica testimonianza.

Dell’anatomia viene fuori con determinazione la struttura – scheletro e muscoli – attraverso una pelle tirata nella sua piena elasticità: il massimo è ottenuto con il cavallo dall’Artemisio. Nel movimento, si estendono in tutti i versi, sia gli arti inferiori che quelli superiori, fino a raggiungere l’estensione centrifuga del Combattente di Deh e del Fantino dell’Artemisio. Nei donari di Attalo I vengono celebrati, ad opera di Epigono, tutti gli elementi periferici, tanto da provocare l’occupazione dello spazio del visitatore dai Calati caduti (ca. 235 a.C.).

L’arte si confronta con la vita, entra dentro di essa con tutti i suoi imprevedibili eventi. Già a Rodi, grazie alle firme sui basamenti delle opere statuarie, è possibile riconoscere il fonditore dal plasmatore. La professionalità sviluppa l’attività a livello industriale. Il credito supera di gran lunga lo scambio tra beni oggettivi.

Modello dell'antica città di Pergamo
Modello dell’antica città di Pergamo.

Grazie al contributo delle banche, un impianto nominale doppia la consistenza delle cose, le raffigura simbolicamente in maniera completamente diversa, in termini che possono essere elaborati anche e soprattutto altrove. I prodotti destinati al mercato diventano numeri, semplicemente espressioni matematiche. Tutto questo è associato ad  un’urbanistica a vasto raggio e ad una plastica che configura le opere penetrando in profondità nel campo e nello sviluppo temporale: la prospettiva, come legge, viene utilizzata per esprimere con uno specifico linguaggio le cose in lontananza.  Le immagini di sfondo non sono la città come Pergamo, con le sue piazze piene di porticati, ma la costa rocciosa con la grotta, il mare, il verde della natura ed l’immancabile cielo.

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