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Arte di Roma: dal periodo dei re alla Repubblica

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Roma, con un popolo composto di agricoltori e combattenti, lentamente ma con ferma continuità, procede al dominio totale dell’Italia e di gran parte del mondo antico, trovando una decisa unità politica. L’impegno politico e militare di Roma è grande e tuttavia riesce a trovare gli spazi per sviluppare le varie forme d’arte. Nel primo periodo attinge alle fonti etrusche e greche, e solo successivamente, quando avrà consolidato il suo dominio, sarà in grado di portare avanti un proprio linguaggio, che diventerà l’arte universale classica. Questo avverrà in coincidenza con la nascita dell’Impero, ed i suoi sviluppi dipenderanno dall’attenzione,  dal gusto, e dal carattere propulsivo del principe. Tuttavia sarà la sensibilità del popolo a caratterizzare l’arte di Roma: un’arte ben ancorata a basi realistiche, non legata a tematiche religiose come quella dei greci o alla morte come quella etrusca. .

I periodi artistici che caratterizzano Roma sono quattro: il periodo Giulio Claudio (48 a. C. –  68 d. C) che, come sopra accennato, è influenzato dalle altre civiltà, soprattutto dall’arte greca; il periodo dei Flavi (69 d.C. – 96 d.C.)), nel quale l’arte romana si libera dagli influssi esterni; il periodo che va da Nerva a Commodo (96 d.C.-193 d.C.), in cui gli sviluppi delle forme artistiche si consolidano e si orientano verso un linguaggio che avrà precise caratteristiche; ed infine il periodo che va da Settimo Severo a Costantino, in cui l’unità di Roma incomincia ad sgretolarsi, mantenendo però la sua vita architettonica maestosa e pittoresca che servirà a dare un deciso avvio all’arte cristiana.

Se cerchiamo di analizzare profondamente il bisogno che lega un luogo alle opere da esso ed in esso generate, arriveremo alla conclusione che la fondazione della città eterna non è soltanto la nascita di un ammasso di abitazioni, avvenuta nel 735 a. C., sul Palatino. Alla base di un potere che riuscirà a fare dell’immagine un annuncio universale, sta una società fortemente organizzata, agricola e allo stesso tempo guerriera, che orna le tombe con oggetti decorativi ed armi, come elementi distintivi e ruoli di rango: nascono gli “ordines”  di un complesso strutturale che reggerà per parecchi secoli, non soltanto la politica, ma anche la produzione di beni artistici.

La lupa di Roma
La lupa di Roma

Sulle rive del Tevere si sviluppa in breve tempo un proficuo mercato. Il guado dell’isola  Tiberina, sulla riva del fiume (Foro Boario), diventa un luogo importante aperto agli scambi culturali che generano e sviluppano nuovi ed autonomi gusti. La nascente città, influenzata in pieno dalla cultura etrusca, si apre anche alla cultura e all’arte classica greca, con un orientamento che fin dall’inizio è di scelta e selezione. Roma partecipa in pieno, con la sua cultura, all’interpretazione del diffuso Orientalizzante e del gusto ionico. Altre forme artistiche vengono direttamente a Roma dalle colonie a sud dell’Italia e dalla Sicilia.

Nell’età della Repubblica (Res pubblica romana 509 a.C. – 27 a.C., è una lunga, complessa e decisiva fase della storia di Roma, in cui avvengono enormi trasformazioni) si incominciano a realizzare statue di culto in bronzo, come la “Lupa capitolina” (audace ritorno alla mitica nascita di una città che sta riconquistando la sua autonomia) e la divinità di Ariccia. In questo periodo Roma va incontro ad una brusca riduzione della produzione artistica per l’entrata in vigore di leggi aristocratiche contro il lusso privato e per la salvaguardia della spesa pubblica. È questo il periodo delle lotte dei plebei con i patrizi che durerà fino al 339 a.C., anche se, nel 366 a. C. i plebei riescono ad accedere a pieno titolo al consolato. Ritornata la pace, viene consolidato il dominio dei ricchi sui poveri a prescindere dalle origini familiari: Roma riprende il suo sviluppo economico-culturale in un momento in cui la grande economia del mondo orientale è, con Alessandro Magno (334-323 a.C),  nel suo massimo splendore. Anche in Roma aumenta la richiesta d’arte come testimonianza di uno stato sociale; entrano prepotentemente in essa, la tradizione classica (323 – 301) e la maniera barocco-ellenistica con le immancabili rinnovazioni di terrecotte votive e decorazioni architettoniche.

Con la caduta di Siracusa, avvenuta con la seconda guerra punica nel 212 a. C., l’orientamento verso gli schemi ellenici cambia nuovamente, e questa volta in modo drastico, imprevedibile e definitivo. I Romani portano via da Siracusa numerosissime opere d’arte, comprese statue e monumenti per abbellire templi, dimore private e luoghi pubblici. Avviene per questo, un’inevitabile decontestualizzazione delle grandi opere trasferite nell’urbe, così, in moltissimi luoghi, si sovrappongono diverse epoche, perdendo di fatto la consequenzialità con cui erano distribuite e stratificate nelle zone d’origine: tutto diventa attuale e confuso, a causa degli accostamenti fatti dal vincitore, che ne trae un’immagine, certamente simbolica, delle pubbliche gesta. A questo viene sommata l’alienazione del cittadino nella manipolazione dei dati riguardanti epoche e fonti: dalla viva contemplazione delle grandi opere nella nuova distribuzione, ha origine un’arte figurativa in grado di rifondere ai propri scopi una nuova produzione artistica, dove le forme, i linguaggi ed i contenuti appartengono ad un altro popolo. Le immagini servono come  oggetti di culto per la venerazione degli dei assunti dal Pantheon mediterraneo e degli dei tradizionali, come oggetti votivi e di commemorazione di defunti, come celebrazione dei trionfatori, come raffigurazione di grandi imprese.

Procedendo verso la tarda Repubblica

Dopo la seconda guerra con la Macedonia (200-197 a.C.) cresce la forza del versante familiare (la definizione è otium) rispetto a quella della vita sociale (nego-tium).

L’ornamento dell’oggettistica personale e di gruppo familiare viene considerato sempre più importante, le case private vengono riempite di opere d’arte di ogni genere e le pareti vengono spesso affrescate. Questa ambizione, espressa in modo palese con lo sfoggio dell’opera d’arte (la luxuria), diventa l’emblema del rinnovamento, come chiaramente narrano le parole preoccupate di Catone il Censore (anno di morte: 149 a. C.).

Nel periodo della tarda Repubblica(100 -31 a.C.), Roma controlla globalmente tutto il Mediterraneo, e gode il frutto di enorme ricchezze . Tutti i famosi centri d’arte, i cantieri, le officine (asiane, attiche e rodie) creano interessantissime opere nei luoghi d’origine, oppure vengono trapiantati presso le zone di Roma, dove inventano nuovamente, con perfette copie in marmo da famosi bronzi, l’attualità del classico o del barocco ellenistico: nascono così il neoatticismo ed i neoellenismo.

Persistono e si rafforzano in questo periodo le condizioni favorevoli per eleganti decorazioni ornamentali nelle dimore di benestanti, stimolando la creazione dei più svariati oggetti artistici e, nello stesso tempo riducendo in erme le figure statuarie: le ville si riempiono di vasi istoriati di ogni genere, candelabri, vasche di fontana, statue in ogni angolo, fuori e dentro la dimora. Le pareti si arricchiscono di scene storiche con immagini che spesso sono di celebri condottieri, atleti, oratori e pensatori: si diffonde una filosofia che determina immancabilmente un collezionismo sintomatico dell’ideologia del possessore.

Queste gallerie di esponenti famosi della grecità sono esattamente il corrispettivo delle raffigurazioni di famiglia nelle dimore tradizionali. Gli avi sono considerati maiores, sia per l’anteriorità che per la superiorità (intesa come altezza morale): garanzia di continuazione e stimolo all’emulazione, un aiuto alla risoluzione dei problemi che arriva dal passato, dettato dagli esempi dei filosofi.

Nelle figure (immagini: imagines) degli antenati viene trovata la ragione del nome (nomen) e del cognome (cognomen), l’espressione liturgica professata dalla stirpe. L’albero genealogico diventa importante e contiene la raccolta delle caratteristiche somatiche, un ricco e reale archivio delle corrispondenze nella somiglianza a sostegno della legittima discendenza. Simbolicamente, la somiglianza con Alessandro pretesa da Pompeo (106 – 48 a.C.) viene ispirata dall’esigenza, ormai ampiamente diffusa, di ricalcare gli effetti carismatici di importanti predecessori.

Arriva il momento in cui gli stampi delle maschere di cera prelevati dai volti degli antenati si riversano per le vie della città: ecco cosa scrive a proposito lo storico greco Polibio «Quando muore un illustre esponente della famiglia, le portano al funerale indossate da uomini che per la statura e l’aspetto generale risultino somiglianti. Vestono una toga bordata di porpora se rappresentano un console o un pretore, una toga tutta di porpora se si tratta di un censore, bordata d’oro nel caso di un trionfatore. Avanzano su carri, preceduti dai fasci, dalle scuri e da quante altre insegne sono abituali per i magistrati, secondo la dignità di cui ciascuno da vivo godeva tra i concittadini. Quando giungono ai Rostri siedono in fila su seggi d’avorio».

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