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Il dolore confortato dalla fede di Segantini

Giovanni Segantini: Il dolore confortato dalla fede

Giovanni Segantini: Il dolore confortato dalla fede
Giovanni Segantini: Il dolore confortato dalla fede, 151 x 131 cm. Amburgo Kunsthalle.

Sull’opera: “Il dolore confortato dalla fede (Il conforto della Fede) è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1896, misura 151 x 131 cm. ed è custodito nel Kunsthalle di Amburgo.

L’opera reca sul retro tre timbri, uno della dogana milanese e due di quella fiorentina: “Dogana di Milano 12 – mag – 96”, “Dogana di Firenze 8 – dic – 96”, “Dogana di Firenze 22 – apr – 97”. Si trova nella sede odierna dal 1898. Il Segantini stesso la citò nella lettera indirizzata a Domenico Tumiati (Maloja, 29.5.1898); Primo Levi la elencò ne 1899; Il Servaes la catalogò nel 1902 con il numero 115.

Segantini in un’altra lettera indirizzata al Tumiati (Maloja, 5.6.1896) scriveva che amava fare la “figurazione” negli ultimi anni della sua vita: “Vi ho spedito la fotografia del mio ultimo quadro; essa però non rende che le linee, il chiaroscuro non rende, ne il colore che illumina l’idea. Vi spiegherò quindi qualcosa sul colore per aiutarvi a vederla. Il quadro è espresso coi colori indefinibili del tramonto avanzato. La neve che copre il terreno è illuminata dal caldo cielo di ponente, e riflettuta nelle ombre dal cupo, azzurro cielo di levante. I monti del fondo sono turchini, involti nelle ombre, ed il sole dietro ad essi è tramontato da qualche tempo. Su in alto nella seconda parte del cielo, trionfa una grande nuvola dorata dagli ultimi raggi, ma la fotografia non ne accenna neppure il contorno. Gli angioli che vedete hanno colore e consistenza di nuvole nell’ombra. Quei coniferi, dove passano quelle simboliche macchiette, sono dei piccoli zembri di un verde cupo e, perché soli, spiccano vivi, verdeggianti sopra la neve, mi fecero pensare alla speranza (conforto)”

Dalle parole della lettera di Segantini si evidenzia nella figurazione un significato poetico e simbolico, mentre Grubicy nel  “Giovanni Segantini e la portata sociale della tecnica divisionista (La Triennale”, Torino 1896, n. 13) vi trovò una certa solidità, sia nell’impianto strutturale che negli elementi, ed una eccezionale ampiezza spaziale, senza fare il minimo accenno a nessi sentimentali che l’artista stesso volle conferire all’opera; anzi spiegò che erano quasi del tutto assenti: “Quell’insieme di segni, di abbreviazioni simboliche, formanti il linguaggio convenzionale della pittura […] sono in questa tela quasi totalmente scomparsi per far posto a una visualizzazione pressoché reale dell’oggettività in essa contenuta. L’intensità con cui mediante l’avvicinamento, anziché col miscuglio, dei colori – il cielo, la neve, gli esseri animati e inerti sono avvolti dalla luce che funziona in quel momento preciso su tutta la scena, ne rende talmente evidenti le singole proprietà caratteristiche che basta uno sforzo minimo d’attenzione intellettiva perché la superficie piana della tela abbia a convertirsi, all’occhio del riguardante il più analfabeta dell’arte, nella visione prospettica approfondita ed ingrandita della realtà”.

In effetti nella tela c’è l’uno e l’altro, tanto da far nascere una certa incoerenza fra l’atmosfera naturalistica che si respira nella zona bassa e l’evanescente formalità della parte alta, cosa che creò contrasti tra gli studiosi d’arte  e …..pare anche fra i dirigenti della Kunsthalle di Amburgo che decisero di separare le due parti. Adesso il quadro si trova diviso.

L’opera fu esposta nel 1896 a Monaco alla “Secession”; nel 1896-97 a Firenze; nel 1956 a San Gallo con i numeri 93 e 94.

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