Opere di Giovanni Segantini

Alcune tra le più importanti opere di Giovanni Segantini

Pagine correlate all’artista: Biografia e vita artistica di Segantini – la critica – la bibliografia relativa al pittore.

Autoritratto di Segantini
Autoritratto di Segantini

Ecco un elenco delle opere di Segantini raffigurate in queste pagine: Natura morta con fiori e pesce, Natura morta con carote, Azalee, Idillio, La benedizione delle pecore, Funghi, Prosciutto, Natura morta, Pesci, La lavandaia, Contrasto di luce, Ave Maria a trasbordo, La tosatura, Ragazza che fa la calza, Costume grigionese, Cavallo al galoppo, Gli orfani, Vacca bruna all’abbeveratoio, Le due madri, Ritorno all’ovile, Savognino d’inverno,  Ritorno dal bosco, Alpe di maggio, Capriolo morto, Sul balcone, L’angelo della vita, La signora Gaetana Casiraghi Oriani, Donna alla fonte, Ritorno al paese natio, Il dolore confortato dalla fede, Pascoli alpini, Dea d’amore, La sorgente, Paesaggio con due figure, Carlo Rotta, La vanità, Il castigo delle lussuriose, Le cattive madri, Il trittico della natura: la Natura.

I quadri più significativi di Segantini

0 opere di segantini

Natura morta con fiori e pesce, cm. 34,5 x 54,5 Museo Segantini Saint Moritz.

2 natura morta con carote

Natura morta con carote, cm. 51 x 75 Milano Galleria d’Arte Moderna.

3 azalee

Azalee, cm. 96 x 40 Museo Segantini a Saint Moritz.

3 idillio

Idillio, cm. 56,5 x 84,5 Art Gallery and Museum of Aberdeen.

4 la benedizione delle pecore

La benedizione delle pecore, cm. 198 x 120 Museo Giovanni Segantini a Saint Moritz.

5 funghi

Funghi, cm. 56 x 78  Museo Seganini Saint Moritz.

6 prosciutto

Prosciutto, cm.27 x 58 Proprietario privato residente a Bergamo.

7 natura morta

Natura morta, cm. 60 x 80 Proprietà privata Bergamo.

7 pesci

Pesci, cm.54 x 109 Museo Segantini Saint Moritz.

12 lavandaia

La lavandaia, cm. 46 x 31 Galleria d’Arte Moderna di Milano.

15 contrasto di luce

Contrasto di luce, 76 x 110 cm. Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique.

13 Ave Maria a trasbordo

Ave Maria a trasbordo, cm. 120 x 93 Proprietà privata San Gallo.

16 la tosatura

La tosatura, cm. 64 x 45 Museo Seganini Saint Moritz.

17 ragazza che fa la calza

Ragazza che fa la calza, cm. 54 x 88 Zurigo Kunsthaus.

19 costume grigionese

Costume grigionese, cm 54 x 79 Kusnacht proprietà privata.

22 cavallo al galoppo

Cavallo al galoppo, cm. 82 x 97 Galleria d’Arte Moderna Milano.

23 gli orfani

Gli orfani, cm. 21,7 x 17,8 Knsthaus Zurigo.

24 vacca bruna all'abbeveratoio

Vacca bruna all’abbeveratoio, cm. 88 x 69 Milano Galleria d’Arte Moderna.

25 le due madri

Le due madri, cm. 157 x 280 Galleria d’Arte Moderna Milano.

27 ritorno all'ovile

Ritorno all’ovile, cm 79,5 x 133 San Gallo proprietà privata.

30 savognino d'inverno

Savognino d’inverno, cm. 35 x 50 Milano proprietà Ramazzotti.

31 ritorno dal bosco

Ritorno dal bosco, 64,5 x 95,5 cm. San Gallo, Proprietà privata.

34 alpe di Maggio

Alpe di maggio, 54,5 x 86,5 Lugo di Vicenza Villa Valmarana Malinverni.

35 mezzogiorno sulle alpi

Mezzogiorno sulle alpi, cm. 77,5 x 71,5 Svizzera proprietà privata.

39 capriolo morto

Capriolo morto, cm. 55,5 x 96,5 Saint Moritz Museo Segantini.

40 sul balcone

Sul balcone,cm. 66 x 41,5 Chur Kunsthaus.

41 l'angelo della vita

L’angelo della vita, cm. 276 x 212 Galleria d’Arte Moderna Milano.

42 la signora gaetana

La signora Gaetana Casiraghi Oriani, cm. 100 x 70 Milano Galleria d’Arte Moderna.

Altri dipinti

43 donna alla fonte

Donna alla fonte, cm. 71,5 x 121 Winterthur, Stiftung O. Reinhart.

44 ritorno al paese natio

Ritorno al paese natio, cm. 161 x 299 Berlino, Staatliche Museen Nationalgalerie.

45 il dolore confortato dalla fede

Il dolore confortato dalla fede, cm.151 x 131Amburgo Kunsthalle.

47 pascoli alpini

Pascoli alpini, cm. 169 x 278 Zurigo proprietà privata.

48 dea d'amore

Dea d’amore, cm. 210 x 144 Galleria d’Arte Moderna Milano.

49 L'amore alle fonti della vita

L’amore alle fonti della vita, cm. 69 x 100 Galleria d’Arte Moderna di Milano (sotto un particolare).

52 la sorgente

La sorgente, cm. 48 x 51 Milano eredi del pittore Giuseppe Mascarini.

54 paesaggio con due figure

Paesaggio con due figure, cm. 20 x 29 custodito a Milano nella Galleria d’Arte Moderna.

55 Carlo Rotta

Carlo Rotta, cm. 190 x 115 Milano Ospedale Maggiore.

Giovanni Segantini: La vanità

La vanità, cm. 78 x 125,5 Milano proprietà privata.

Giovanni Segantini: Il castigo delle lussuriose

Il castigo delle lussuriose, cm. 40 x 74 Zurigo Kunsthaus.

Giovanni Segantini: Le cattive madri

Le cattive madri, cm. 40 x 74 Zurigo Kunsthaus.

Il trittico della natura: la Natura, cm. 234 x 400 Saint Moritz Museo Segantini.

Il trittico della natura: La morte, cm. 192 x 320 Saint Moritz Museo Segantini.

Le due madri (Galleria d’Arte Moderna) di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini: Le due madri

Segantini - le due madri
Le due madri, cm. 157 x 280 Galleria d’Arte Moderna Milano.

Sull’opera: “Le due madri” è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1889, misura 157 x 280 cm. ed è custodito nella Galleria d’Arte Moderna Milano.

L’opera in esame è firmata e datata in basso sul lato sinistro. Il Segantini la citò nella lettera a Domenico Tumiati (Maloja, 29.5.1898) con la definizione di “effetto di lanterna”; Primo Levi nel 1899 la elencò col titolo di “Le madri (interno di stalla)”; Il Servaes nel 1902 la catalogò con il numero 84. Il dipinto appartenne a Grubicy (Milano), che lo diede in prestito per lungo tempo al Museo Segantini a Saint-Moritz; poi appartenne a Benzoni, anch’egli a Milano.

A quell’epoca il Segantini stava lavorando ad una serie di composizioni aventi per tema gli ambienti interni, ma qui cercava una soluzione più articolata e cromaticamente più sviluppata: avrebbe dovuto creare effetti di luce artificiale con la sua rinnovata forza coloristica, e così fece. Alla manifestazione della Triennale di Brera del 1891, dove era esposta anche la “Maternità” di Previati – un’interpretazione simbolica un po’ mistica, eterea ed onirica – “Le due madri” ebbe un notevole successo ove apparve, per l’analogia, abbastanza evidente, la nuova tecnica, quale rappresentazione del divisionismo naturalistico contro un simbolismo idealizzante. L’interpretazione del simbolismo, concepito come “maternità universale”, in effetti comparirà in Segantini solo più tardi.

Un giornalista della “Cronaca dell’Esposizione di Belle Arti – Esposizione Triennale di Brera del 1891” del 28.5.1891 interpreta il dipinto in chiave nettamente chiave luministica: “Le due madri sono una mucca che ha vicino, sullo strame, il suo vitello, e una contadina che tiene in braccio il suo pattino, sonnecchiando al lume di una rustica lampada che pende dal soffitto. L’osservanza del fenomeno luminoso e la evidenza sono in questo quadro ammirevoli […]”;

Grubicy lo interpreta in chiave naturalistica, oltre che luministica: “È curioso il fatto che nelle numerose discussioni e nelle molte critiche pubblicate sulla Triennale nessuno ha approfondito lo studio dell’essenza caratteristica di quest’opera importante di Segantini, benché tutti, senza eccezione, vi abbiano riscontrato la forza poderosa del giovane maestro, ed alcuni, come il Sormani, l’abbiano anche acclamata pel sentimento della maternità, dirò così animale che essa racchiude. A mio avviso il movente generatore di quest’opera fu l’emozione provocata da un interessante effetto di luce artificiale e il capriccio di voler vincere l’enorme difficoltà che presentava l’interpretazione pittorica di essa. […] L’interesse e la difficoltà della scena consisteva nell’esprimere, nel suo giusto carattere, quell’ambiente colla sua luminosità bassa, ma diffusa abbastanza da circolare dappertutto, sì da sopprimere i neri — nero significa assenza di luce — e permettere allo sguardo di rilevare la natura di tutti gli oggetti. E Segantini, nel suo quadro, ha potuto vittoriosamente superare le difficoltà, ricorrendo all’applicazione dei colori divisi invece che al solito impasto sulla tavolozza”.

Il Barbantini nel 1945 vi trasse trasse alcune considerazioni come ad esempio quella che, intorno alla testa della donna in atteggiamento patetico “alla Botticelli” tirasse “un’aria da museo”.

Esiste una copia dell’opera custodita al Museo Segantini di Saint-Moritz,  realizzata da Gottardo, figlio del Segantini.

Fu esposta nel 1891a Milano alla Triennale di Brera con il n° 209; nel 1896 a Vienna alla manifestazione “Secession” (gran medaglia d’oro dello Stato austriaco); nel 1900 a Milano alla  “Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente”, alla “La pittura lombarda nel secolo XIX, n. 209”; nel 1904 a Londra alla manifestazione “Italian Exhibition at Earl’s Court”; nel 1906 a Milano con il n° 4; nel 1907 a Parigi col n° 281; nel 1908 a Saint-Moritz; nel 1913 a Saint-Moritz col n° 20; nel 1926 a Milano nella Galleria Scopinich ed all’Aasta Benzoni; nel 1926 a Venezia; nel 1930 a Londra al “The Exhibition of Italian Art at Burlington House”; nel 1935 a Parigi nel Musée des Écoles étran-gères contemporaines e nell’art italien de XIX et XX siècles;

Ritorno all’ovile di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini: Ritorno all’ovile

Giovanni Segantini: Ritorno all'ovile
Giovanni Segantini Ritorno all’ovile, cm 79,5 x 133 San Gallo proprietà privata.

Sull’opera: “Ritorno all’ovile è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1888 , misura 79,5 x 133 cm. ed è custodito da un privato a San Gallo (notizia 1970).

Nella zona in basso a destra sono riportate soltanto le iniziali “G. S.” di Giovanni Segantini, ma al centro (sempre destra), sullo stecconato, si legge la scritta: “G. SEGANTINI SAVOGNIN -MDCCCLXXXVIII”. L’opera comparve nell’elenco di Primo Levi (1899) e nel Catalogo del Servaes del 1902 (n° 87).

Questa composizione raffigura una tematica assai ricorrente del periodo brianteo, ma con un’elaborazione assai più matura che la distingue dalle opere di detto periodo, e che evidenzia il grande mutamento dell’artista già nei primi anni del suo soggiorno savogninese.

Vi si legge una tipica formulazione microcosmica della materia-luce riportata per intero sul supporto pittorico, dove il primo piano ne occupa quasi la totale superficie innalzando al massimo la linea dell’orizzonte. Qui, come in altri dipinti contemporanei dell’artista, viene superata la casualità descrittiva mediante una meditata struttura spaziale, ove ogni elemento viene equilibratamente distribuito a tale proposito.

Appartenne alla Galleria A. Grubicy di Milano (1902), più tardi ad O. Bernhard a Saint-Moritz (1949) ed ad O. Fischbacher a San Gallo.

L’opera fu esposta nel 1889 a Parigi alla Exposition Universelle; nel 1899 a Milano con il n° 34; nel 1900 a Parigi alla Exposition Interna-tionale Universelle con il n° 8 (numero dubbio); nel 1907 a Parigi con il n° 289(dubbio); nel 1949 a Saint-Moritz con il  n. 38; nel 1956 a San Gallo con il n. 74; nel 1958 ad Arco; nel 1970 a Milano con il n. 4.

Azalee (Saint Moritz) di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini: Azalee (Saint Moritz)

Azalee (Saint Moritz) di Giovanni Segantini
Giovanni Segantini: Azalee, cm. 96 x 40 Museo Segantini a Saint Moritz.

Sull’opera: “Azalee” o “Vasi con pianta di azalee” è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1881-83, misura 96 x 40 cm. ed è custodito nel Museo Segantini a Saint Moritz (deposito della Gottfried Keller-Stiftung, Berna).

Tradizionalmente la cronologia dell’opera in esame era  assegnata al 1880 ma più tardi si evidenziarono delle similitudini, sul lato pittorico e compositivo, con quelle degli anni 1881- 1883.

Le gamme cromatiche sono stese con gusto e raffinatezza in gradevoli ed armoniche gradazioni, le quali mettono a confronto i chiari dei fiori con i variatissimi rosati che li circondano, e, con le tonalità verdastre e brunastre spente di uno sfondo piacevolmente movimentato.

Segantini: bibliografia

Segantini: bibliografia

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Giovanni Segantini (Arco, 1858 – monte Schafberg, Pontresina, 1899) è stato uno tra i più grandi rappresentanti del divisionismo italiano.

Bibliografia:

Catalogo generale a cura di Annie-Paule Quinsac: “Segantini”, Milano, Electa, 1982.

“Segantini: trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi mecenati”, Annie-Paule Quinsac, Oggiono, Lecco, Cattaneo, 1985.

“Segantini: Ein Leben in Bildern”, Reto Bonifazi, Werd-Verlag/Pestalozzianum-Verlag Zürich, 1999.

Catalogo online Artgate della Fondazione Cariplo, a cura di Laura Casone: “Giovanni Segantini”, 2010, CC-BY-SA.

Idillio (Museum of Aberdeen) di Giovanni Segantini

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Giovanni Segantini: Idillio (Museum of Aberdeen)

Segantini - Idillio (Museum of Aberdeen)
Giovanni Segantini: Idillio, cm. 56,5 x 84,5 Art Gallery and Museum of Aberdeen (Scozia)

Sull’opera: “Idillio” è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1882-83 , misura 56,5 x 84,5 cm. ed è custodito nell’Art Gallery and Museum of Aberdeen (Scozia).

La composizione reca, in basso sulla sinistra, la scritta autografa “G. Segantini”. Lo stesso pittore la inserì nella serie delle opere pastorali appartenenti ai suoi quattro anni “briantéi” (1882 – 1885); venne più tardi catalogata dal Servaes (1902) con il numero 40.

Le due scure ed eleganti figure impostate contro un luminoso cielo e la stesura pittorica, portarono gli studiosi di storia dell’arte ad ipotizzate una cronologia intorno al 1884-85, non dando tanta importanza ad una lettera del 1883, dove Grubicy si riferiva alla suddetta opera citando, tra i vari “idilli pastorali”, anche quello con le due figure di Segantini.

I meriti che Grugicy assegnava all’artista erano “elevatissimi” anche se li riscontrava “a sbalzi”; poi lodava l’impianto compositivo “trovata, la composizione affascinante”, aggiungendo che “nei dipinti, l’insufficiente finezza del colore diminuisce il loro pregio”, e poi ancora non vedeva un’accurata ricerca nelle “figure contro il cielo e contro l’erba”. Una serie di osservazioni che portano direttamente all’opera sopra raffigurata, e che, perciò, non può essere postuma al 1883.

Fu esposta nel 1907 Parigi con il n. 294; nel 1908 Saint-Moritz; negli anni 1908-1909 a Parigi nel Salon pro Musée Segantini; nel 1924 a Londra nella Tate Gallery; nel 1956 San Gallo con il n° 33; nel 1970 Milano con il n°1.

Citazioni e critica su Giovanni Segantini

Citazioni e critica su Giovanni Segantini (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Autoritratto
Autoritratto di Segantini

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Cosa hanno detto i critici della Storia dell’arte su Segantini:

Ogni maggior entusiasmo che noi mettiamo nell’onorare il nostro grande estinto è tanto di guadagnato sull’apatia di un popolo che ha scordato i grandi ideali per prostituirsi (adopero una frase comune, ma vera) in nefandi amori colla burocrazia …. (G. Pellizza).

E fu pensiero gentile di non scordare, dovendo scrivere di Segantini, un altro scomparso negli ultimi tempi : Filippo Palizzi, poiché lui pure fu un forte la di cui arte fu sprone alle conquiste nuove. Prendo nota di una tua espressione al riguardo del primo : “E nei suoi paesi, non un sasso, non una ruga di roccia possono essere spostati senza danno“.  G. pellizza, cartolina a Ugo Ojetti, 23 novembre 1899.

Quella squisita sensibilità del sistema nervoso, che dava a Segantini il dono di afferrare e di rendere le più sottili delicatezze del bello naturale, era la causa stessa di una irritabilità, divenuta, non più occasionale, ma organica. La difficoltà dei primi passi, l’ostilità palese o tacita con cui egli veniva accolto dalle nullità boriose, dai mediocri fortunati, dai buoni istessi, a cui egli inspirava più ripulsione che simpatia, causa le stesse, conformi, espressioni dell’indole e dell’arte, mentre davano alle sue opere un senso di combattività, che a prima vista le rendeva meno attraenti, lo teneva personalmente in una specie di effervescenza spirituale, che era essa pure come uno stato di guerra permanente. Ogni giorno, ogni quadro, erano per lui una battaglia; ed era tale il commovimento interno che lo agitava lavorando, tale la lotta che, dipingendo, egli immaginava di durare con gli avversari suoi e dell’arte sua, che, se non riusciva a distraine il pensiero, era costretto a buttare i pennelli.

Egli stesso avvertiva il pericolo di questa auto-suggestione; ed era appunto per sottrarvisi che aveva adottato l’espediente di farsi leggere, mentre lavorava, i libri che andavano poco a poco formando, così, la sua coltura, disordinata, ma geniale. Il che però non tolse che una tale predisposizione non si riflettesse nell’opera sua; al punto da provocare a tutta prima negli osservatori anche più intelligenti e meglio disposti un senso di disagio, a cui non tardava a succedere un’ammirazione convinta, un godimento più che semplicemente estetico. Che il risultato di quella lotta immaginaria era sempre, caso per caso, una vittoria per l’artista unico, singolare.

Dato ciò, data la funzione di stimolante che questo atteggiamento del carattere esercitava, data l’intensità derivantene nell’intenzione artistica e nella produzione — ove alla prima concezione, dal movente puramente estetico, tosto si accoppiava l’idea della lotta che l’opera avrebbe affrontato; data la solitudine, epperò la generale, consuetudinaria esagerazione teoretica nell’esercizio del proprio io e delle proprie ragioni, è naturale che ai primi, e tanto più ai rinnovati successi, la coscienza della propria personalità andasse ampliandosi, con una quantità di nuovi elementi men naturali e meno assimilati, sicché si alterassero nel suo pensiero le proporzioni del vero intellettuale, mentre rimaneva meravigliosa la sua percettibilità del vero fisico. È naturale che poco a poco al primitivo concetto organico della uguaglianza dell’uomo con tutte le cose create, si andasse sostituendo un criterio, certo nobilissimo, ma eccessivo, della missione umana, sia di fronte alla umanità stessa, sia di fronte alle altre cose create.

Questa specie di sovranità quasi, dirò così, magica, che per lui si andava incarnando nell’uomo, nobilitava bensì la sua concezione della vita, ma gli imponeva di legiferare, nuovo Mosè, nuove leggi. Le quali, però, non avendo un fondamento abbastanza solido in tutto un sistema organico, innato e acquisito, fa. non riusciva a esprimere con esatta efficacia di propaganda.

Così, egli aveva ben potuto salire, salire sulla montagna, per avvicinarsi alla fonte della luce; non era meno per questo costretto alla terra.

Ora io non so se quelle letture, pure in parte propizie, perché giovavano a sedare nel suo cervello la battaglia delle idee che nell’opera d’arte in corso di esecuzione non potevano tutte essere utilizzate ed espresse, non siano anche riuscite, insieme, dannose, e se meglio non gli avrebbe giovato quella felice ignoranza, che lo avrebbe lasciato immune da ogni influsso non naturale, e non lo avrebbe portato in quelle regioni dell’iperbole, ove, a chi lo avvicinò negli ultimi anni, egli parve considerare e sé stesso, e la funzione e la missione della sua vita, in un grado e in un modo che non erano più in rapporto diretto con la realtà della vita stessa e col vero suo compito nell’arte.  P. levi, 11 prima e il secondo Segantini, in ‘Rivista d’Italia, 1899, XI.

Ci troviamo a duemila o duemilaquattrocento metri d’altezza. L’aria è sana, umida; l’atmosfera, molto rarefatta. Per quanto l’occhio riesca a spingersi lontano, penetra tutto ciò che scorge. E quelle cime : abissi le separano da noi, eppure s’impongono, entrano nel dipinto con tutta la loro densità e con la tensione dura e sonora dei larici, delle genziane, dei ranuncoli, dei doronici e dei rododendri che abbiamo sotto i piedi. Non ci sono più le brume e le lontananze di sogno della bassa Svizzera;

ma un abbaglio di chiarità penetranti fino nei menomi recessi del paesaggio : tutti i colori cantano ; le ombre sono parenti poveri, parenti però della luce. È la definizione stessa dell’impressionismo;

ne ci si deve stupire che, senza conoscere le ricerche dei Monet e dei Signac, Segantini sia stato parallelamente condotto alla medesima tecnica; la natura dell’alta Engadina, essa sola si è incaricata di insegnargliela. Si scorgono, nelle gole dell’Albula, acque verdi arancione lillà, come Besnard non ha mai avuto il coraggio di dipingerne; sulle cime dello Schafberg, di sera, si vedono incendi come Monet non ne ha accesi mai. Lassù, le fanfare più splendenti dei nostri luministi vengono subissate, in certi momenti, dalla luce naturale. L’Engadina vendica la Svizzera delle vecchie banalità. R. de la sizeranne, in “Revue de l’art ancien et moderne”, novembre 1899 Per la morte di Giovanni Segantini.

Implorazione dei monti, voci del regno alto e santo,

dolor selvaggio dei vènti combattuti, profondo pianto

delle sorgenti pure,

quando l’ombra discesa da un più alto regno benda

la rupe e il ghiacciaio albeggia solo come un camino che attende

grandi orme venture!

Salutazione dei monti, coro delle gioie prime, laude impetuosa dei torrenti, fremito delle cime percosse dalla meraviglia quando si fa la luce nelle vene di pietra come nelle fibre del fiore perché Demetra rivede la sua figlia!

Dominazione dei monti, purità delle cose intatte,

forza generatrice delle fiumane provvide e delle schiatte

armate per l’eterna guerra,

mistero delle più remote origini quando un pensiero

divino abitava le fronti emerse dei mari! O mistero,

purità, forza sopra la Terra!

Spenti son gli occhi umili e degni ove s’accolse l’infinita

bellezza, partita è l’anima ove l’ombra e la luce la vita

e la morte furono come una sola

preghiera, e la melodia del ruscello e il mugghio dell’armento

[e il tuono della tempesta e il grido dell’aquila e il gemito dell’uomo furon come una sola parola,

e tutte le cose furono come una cosa sola abbracciata per sempre dalla sua silenziosa potenza come dall’aria.

Partita è su i venti ebra di libertà l’anima dolce e rude di colui che cercava una patria nelle altezze più nude sempre più solitaria.

O monti, purità delle cose intatte, forza, mistero sopra la Terra, ella va e ritorna come un pensiero immortale sopra la Terra. O monti, o culmini, il suo dolore fu come la vostra ombra sopra la Terra. La sua gioia sarà oltre la sua tomba

un palpito della Terra.   G. d’annunzio, da Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, 1903-04

Ho scelto una ventina di pietruzze sul torrente che scende verso il paese. Mi pare di vedere in esse l’origine della pittura di Segantini, l’embrione della sua tecnica. Non era un divisionismo il suo, ma piuttosto una tersità colta in natura e tradotta per colore.                 G. Pellizza, da una lettera, di giugno o forse  luglio 1906

Ho veduto volare un piccione e come sempre mi ripeto l’idea che nell’arte moderna si sia obliata la poesia che io chiamerei dell’attimo. Pochi quadri moderni che esprimano modernamente (nel senso più assoluto) il cadere d’una foglia, il volo d’un uccello, l’intimità d’un piccolo angolo vivente, […] una nuvoletta dal profilo delle cose ecc. […] e tutte quelle sfumature particolari che commuovono nei quadri passati. Mi sembra che si creda che tutto questo nuoccia all’abilità e alla impronta di abilità che si vuole ostentare nei quadri. Aveva ragione Segantini di dire di ritornare all’umile margherita del prato, lasciando le arie di abili artistoni.  Ugo Boccioni dal suo diario 14 marzo 1907.

Tra le nevi di inverni quasi polari, sul Maloja (Alta Engadina), dipingeva per lunghe giornate, all’aria aperta, senza irritarsi per il freddo che gelava il colore sulla tela. Le immagini della Vita e della Morte si presentavano al pittore con una semplicità solenne, nell’austera dimora delle nevi immacolate. Nella grandezza tragica del paesaggio, il gesto semplice dei rari uomini assumeva l’importanza di un atto eterno, al quale partecipavano silenziosamente le cose intorno.

Il dolore degli umili, che hanno come spettatori il ghiacciaio e il bosco, si spande e grandeggia nel deserto infinito. Questo dolore non porta maschera, non conosce ne la menzogna convenzionale ne la posa teatrale : verità grande e unica al cui confronto il dolore nelle città si mostra con le apparenze ridicole di uno spettacolo di marionette. A. locateli, milesi, L’ouvre de Giovanni Segantini, 1907.

II Sig. Chiattone m’ha prestato un libro su Segantini di Primo Levi! Non ho ancora finito ma non so cosa scrivere, tanto mi commuove l’opera, la vita, l’anima di quel grande! Trovo giustissimo — perché lo provo io nel mio piccolo — l’effetto che in Segantini produceva la solitudine — Beata solitudo sola beatitudo.  U boccioni, dal Diario, 1° aprile 1908.

Noi non siamo affatto fanatici ammiratori della pittura segantiniana, anzi sono molte le ragioni che ce la fanno apparire inaccettabile in tutte le sue parti, e quindi possiamo anche riconoscere giusti i rimproveri che al Segantini muoveva il Grubicy;

sia per quel che riguarda la poca sorveglianza ch’egli metteva nel suo lavoro, sia anche per quel miscuglio di bambineria e di epicità da cui tutta l’opera è pervasa. Ma il credere che un artista rude e fiero, quasi allo stato selvaggio, quale era il pittore di Arco, si correggesse dei suoi errori di direzione pel tramite di parole altrui, ci è sempre parsa cosa insensata e sommamente pretenziosa.

Qui sta l’errore psicologico più grave in cui è scivolato l’attento critico. La pretesa è profondamente ridicola, per il fatto semplicissimo che l’opera di Segantini trova appunto in questo curioso miscuglio la sua più alta ragione di essere. Tutto questo potrà sorprendere coloro i quali cercano nell’opera del celebrato trentino ciò che non v’è, vale a dire Punita e la bellezza, non noi che di quella pittura panoramica e contraddittoria, modestia a parte, conosciamo tutte le vibrazioni. … …  C. carrà, Vittore Grubicy, m “II primato artistico italiano”, 1920-6.

La pittura di Segantini, maiuscola e poderosa, solenne e distante, impassibile e sovrana, rispecchia e costituisce una realtà diversa e separata da noi viandanti esili e affannati.

Non dipingeva con l’ansietà degli altri, i quali sanno bene che l’effetto è passeggero e che bisogna affrettarsi per accoglierlo in stato di grazia, che davanti allo stesso punto (vedi Monet) cambiavano dieci telai al giorno mentre la luce appena cambiava. Una volta che aveva piantato il telaio sul vero, Segantini tornava a dipingervi metodico e calmo, giorni e giorni, mesi e mesi. Non era l’apparenza, era la sostanziosa realtà delle cose che voleva realizzare, trasformare cioè in un’altra realtà, per quanto fosse possibile, equivalente. Aveva detto a se stesso che doveva conquistare (la parola è storica e documentata sua) quello che vedeva, e nel suo linguaggio d’uomo di forza e di parola, d’uomo solingo che, non perdendo tempo col prossimo, tempo non gli mancava, ‘conquistare’ significava rendersi conto ostinatamente e meticolosamente della struttura di ogni forma, della qualità d’ogni colore, sondando e analizzando ogni elemento creato, anche un filo d’erba, nonché delle proporzioni degli equilibri delle simmetrie che formavano l’ossatura di quel pezzo d’universo e cui s’era posto di fronte; e poi concretare la struttura d’ogni forma, la qualità d’ogni colore, l’ossatura del paesaggio in termini corrispondenti, adeguati non al respiro corto della creatura passeggera ma al respiro immenso dell’universo perenne. E poiché la natura consiste anche nel suo eguale sopravvivere, nella sua stabilità e perpetuità contrapposte a tutto ciò che di noi trascorre continuamente e continuamente si cancella, la pittura di Segantini interpretò l’immobilità e l’immutabilità dei prati delle rupi dei cieli, l’eternità delle cose che ci sembrano eterne. Così l’arte sua veniva conformando il proprio stile idealistico, per la strada maestra e prudente del proprio naturalismo integrale. […]

La pacificata lucidezza dei sensi e della niente causata da un sistema di lavoro tanto lenitivo e da un tenore di vita tanto rassicurante, fomentata dall’esercizio quotidiano di un’attività regolatissima, gli conferì la capacità di abbracciare e di erigere visioni grandiose ; e fu anche questa una prerogativa sua, che gli altri pittori, di fronte alla difficoltà di riconoscere e di rappresentare lo spazio in lungo e in largo, si limitano di solito a considerare qualche frammento esiguo che ne palesi o ne suggerisca un’impressione indiziaria. Nutrito delle briciole di Monet, corroborato dai sunti sostanziosi di Gézanne che se fossero più dilatati sarebbero meno espressivi, il paesaggio moderno, resoconto lirico d’impressioni soggettive e però relative e fugaci, consiste pertanto in scorci e frammenti. Ed è bene che sia tale, ne si pretende che ci dia altro o di più di quello che ci da. Le rappresentazione paesistiche sistemate studiatamente con rispondenze preziose di linee e di masse, non sono in generale che ritorni larvati alle ricercatezze delle vecchie vedute o rigurgiti di costumanze decorative strapassate.

Ma di Segantini che anche per questo, in onta alla sua apparente normalità, è poi un pittore d’eccezione, è caratteristica la vastità legittima dei tagli e dei formati. I suoi paesaggi si estendono talora tra confini terreni talmente distanti e sotto cieli talmente spaziosi, che le genti che vi dimorano ne sono sopraffatte. Codesta vastità non è però ne superflua ne arbitraria, ne potrebbe essere minore o diversa da quella che è. È istituita in conformità di una proporzione indefinibile ma certa, d’un equilibrio inderogabile e tale che le sue leggi e le sue cause non possono identificarsi, ma pretendono quei limiti distanti, pretendono quei cieli sterminati. Li pretendono e li stabiliscono nei punti dovuti. Ne fissano le proporzioni che non potrebbero essere diverse. Dirigono gli sviluppi, decidono i rapporti interni del paesaggio che non potrebbe sistemarsi ne cor-rispondersi in altra guisa. È ancora da notare che i paesaggi grandi degli altri, a rifarsi dai più venerabili, vengono suddivisi e scanditi dalla varietà dei propri elementi, come l’affresco trecentesco della Vita agricola sotto il buon governo nel Palazzo di Siena, tutto a dossi colline colture alberi paesi e popolo che s’industria in cento modi; o vengono scompartiti dalle figure o dalle altre masse che scompongono il paesaggio in tanti pezzi, sostituendo ai suoi ritmi e alle sue leggi gl’intervalli e i riscontri delle proprie situazioni contingenti ed intruse. Il paesaggio di Segantini domina le figure quando non le assorbe e se le assimila, e la sua immensità schematica e solitaria è ridotta sovente a un concerto essenziale di terra e di cielo, separati dal parco frastaglio delle cime imminenti al pascolo sublime.  N Barbantini ,  Giovanni Segantini, 1926.

Nell’impianto a grandi sbattimenti d’ombre e fulgide rastremature […] Alla stanga riassume, in una sorta di commiato, la storia della formazione di Segantini attraverso il chiaroscuro lombardo-piemontese. Le due madri (1889), Nell’ovile, ecc. ancora rievocheranno questa storia, in soavissime meditazioni notturne. Ma l’artista è ormai esaltato, in una regione, fisica e fantastica, di realtà e presenze elementari e immutabili, il sole, l’acqua, le rupi, sospesi in un perenne meriggio, nel quale l’ombra a pie della figura scivola e sparisce come la serpe sotto il sasso, e gli aspetti della creazione brillano in una stupefatta lenticolare nitidezza. La Pastora che fa la calza. Meriggio, Vacche aggiogate (1888), l’Aratura (1890) rappresentano così il Segantini essenziale; prima che la visione gli sconfini nel panoramico, e che dalla natura, quasi troppo a lungo fissata, germogli e ramifichi, in un incubo cristallino, la negra araldica dei simboli, sull’abbagliante risalto delle nevi; prima che l’austero trasporto d’affetti si affini in quel desolato struggimento che nelle ultime opere esala come un’ansietà mortuaria. E. Cuccai, Pittura italiana dell’Ottocento, [1926].

Giovanni Segantini ha diritto a un posto durevole nella nostra memoria. È stato, a parte la teoria del divisionismo e ogni questione di tendenza, per molti anni il centro di attrazione della gioventù italiana alla quale noi appartenevamo; è stato l’eroe, l’idolo della nostra fanciullezza. Si giurava sulla sua arte come il vangelo della vera pittura moderna. Ma se ebbe ammiratori entusiasti ebbe anche avversar! irriducibili. Sul principio del nuovo secolo, le sue tele sollevavano ancora clamori. Ora, possiamo anche sorridere di quel tempo lontano. Passati sono gli anni della fanciullezza incauta. Ma la vita di Segantini resta egualmente tipica, esemplare.  C. Carrà, Revisioni critichi: Giovanni Segantini, in “L’Ambrosiano”, 12 agosto 1935.

Savognino d’inverno di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini: Savognino d’inverno

Giovanni Segantini: Savognino d'Inverno
Giovanni Segantini: Savognino d’inverno, cm. 35 x 50 Milano proprietà Ramazzotti.

Sull’opera: “Savognino d’inverno è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1890 , misura 35 x 50 cm. ed è custodito nella collezione di Ramazzotti a Milano.

L’opera appartenne alla Collezione dell’Acqua e, quindi, attraverso passaggi ereditari pervenne alla collezione dei Ramazzotti (Milano). La tela, in basso sulla sinistra, riporta la firma “G Segantini” e la scritta “All’intelligente in Arte Luigi Dell’Acqua”.

Non vi compare la data, ma risulta ovvio che gli venga assegnato l’anno 1890 (o, al limite, il 1889), periodo in cui il Segantini inizia a frantumare le pennellate ed a renderne microscopiche le vibrazioni cromatiche senza che ne risenta la struttura complessiva, la quale viene altresì solidificata in scala di cortine sovrastanti.

Il dipinto fu esposto nel 1922 a Milano con il n° 5; nel 1952 a Venezia alla XXVI Biennale internazionale d’arte con il n. 37; nel 1958 ad Arco. Nel 1959 Milano alla “Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente” ed alla “50 Anni d’arte a Milano dal divisionismo a oggi2 con il n° 14: nel 1970 a Milano, tav. I.

Natura morta con fiori e pesce di Giovanni Segantini

Giovanni Segantini: Natura morta con fiori e pesce

Segantini - natura morta con fiori e pesci
Giovanni Segantini: Natura morta con fiori e pesce, cm. 34,5 x 54,5 Museo Segantini Saint Moritz.

Sull’opera: “Natura morta con i fiori e pesce o “Luccio e rose” è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1882 , misura 34,5 x 54,5 cm. ed è custodito nel Museo Segantini a Saint Moritz.

In alto a sinistra, la tela reca la data e la firma di Segantini, mentre sul retro c’è la convalida del figlio Gottardo.

Ritorno dal bosco di Segantini

Giovanni Segantini: Ritorno dal bosco

Giovanni Segantini: Ritorno dal bosco
Giovanni Segantini: Ritorno dal bosco, 64,5 x 95,5 cm. San Gallo, Proprietà privata.

Sull’opera: “Ritorno dal bosco o L’inverno a Savognino è un dipinto autografo di Giovanni Segantini realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1890, misura 64,5 x 95,5 cm. ed è custodito da un proprietario privato a San Gallo (notizia del 1970, circa).

Sul retro della tela è riportata la scritta “G. SEGANTINI / Savognin 1890 / Op. LXXXVIII”. L’opera in esame viene citata dal Segantini nella lettera a Domenico Tumiati, con la titolazione “di sera, effetto di neve”; comparve nell’elenco del 1899 di Primo Levi con il titolo “Sera d’inverno sulle Alpi”  con la specifica di “neve, con donna che tira la slitta”; il Servaes la catalogò con il n. 95.

Questa composizione è una delle varianti del paesaggio invernale di Savognino, in cui le delicatissime gamme cromatiche, tendenti agli azzurri, ai variatissimi grigi, agli spenti verdi-bulastri, stese con forti ed efficaci contrasti, conferiscono all’insieme una carica di significato simbolico. A questo proposito basti osservare la scena in primo piano con il grosso e contorto ceppo trasportato sulla slitta.

L’opera appartenne ad un milanese (1945) e poi ad O. Fischbacher a San Gallo (1956).

Fu esposta nel 1935 a Basilea; nel 1949 a Saint-Moritz con il n° 84; nel 1956 a San Gallo con il n° 77; nel 1958 ad Arco.