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Citazioni e critica su Albrecht Dürer

Citazioni e critica su Albrecht Dürer (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Pagine correlate: La sua biografia e vita artistica – Le sue opere – Il periodo artistico – bibliografia

Albrecht Dürer: Adorazione della Santissima Trinità, cm. 135 x 123,5, Kunsthistorisches Museum, Vienna.
Albrecht Dürer: Adorazione della Santissima Trinità, cm. 135 x 123,5, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

 Come hanno parlato di Dürer gli studiosi di Storia dell’arte

W. K. F. (probabilmente Goethe), in “Jenaische Allgemeine Literatur-Zeitung”, 19 marzo 1808

Consideravamo Dürer un artista serio, che imitava la natura con puntuale fedeltà e senso aperto verso la vita, i colori e le forme, al quale codesta imitazione era talvolta riuscita senza la solita durezza sgradevole … riconoscevamo anche che egli possedeva ricchezza inventiva; lo credevamo però senza grazia e ben poco capace di trasposizioni in chiave serena e poetica. Questi disegni di Dürer [nel Libro d’ore di Massimiliano, alla Staatsbibliothek di Monaco] allargano e giustificano il nostro giudizio sul suo talento artistico.

Egli appare qui più libero di quanto avessimo mai pensato, più incantevole, sereno, umoroso e abile oltre ogni aspettativa nella scelta dei motivi, così legata a condizioni esterne [di spazio], e del significato simbolico delle raffigurazioni.

Il lavoro richiedeva che il tutto fosse tenuto entro i limiti di una semplice decorazione: senza superare tali limiti, apparentemente angusti, il grande maestro ha saputo fornire un’esuberante ricchezza di ‘motivi’ importanti; si può ben dire che egli faccia passare davanti ai nostri occhi l’intero mondo dell’arte, dalle figure della divinità fino ai segni artistici dei maestri di calligrafia.

Herman Grimm, Albrecht Dürer, 1866

… non è ancora stato fatto questo: riunire in un unico luogo tutte le copie esistenti delle sue opere e renderle patrimonio pubblico, creando così un monumento degno di lui [Dürer];

solamente quando ciò sarà avvenuto/ potremo parlare di lui in modo fruttuoso: per comprendere un artista occorre vederne le opere. E così, rendendo omaggio all’uomo, assicuriamo la piena conoscenza della sua grandezza anche nel futuro. Coloro che lo amano, devono sempre tener presente che il suo più grande valore risiede nella personalità: il lato poco appariscente delle sue opere è una componente della loro perfezione ; la mancanza, quasi, di avvenimenti esterni nella sua vita, una delle condizioni del suo sviluppo.

Per quanti non conoscono Dürer esiste una grave lacuna nella nozione della nostra storia [tedesca]; per quanti lo conoscono, invece, il solo udirne o pronunciarne il nome suscita una risonanza, come se si dicesse: “Germania”, “patria”.

Heinrich WOLFFLIN, conferenza su Durer, 1921

Finora si diceva. “Dürer” quando si voleva riassumere l’arte tedesca in un solo nome. Nonostante alcune riserve egli era l’artista tedesco per antonomasia, nello stesso senso in cui possiamo citare Rembrandt per l’arte olandese e Rubens per la fiamminga

Oggi il giudizio è mutato. Si sono create nuove idee sull’essenza dell’arte tedesca, e Grünewald è passato da una situazione marginale ad una centrale. Egli è diventato lo specchio, nel vero senso della parola, nel quale la maggior parte dei tedeschi si riconoscono, e non è più un isolato: al ricordo della sua arte colleghiamo immediatamente quella di Altdorfer, di Cranach il Giovane, di Hans Baldung Grien e altri.

Ora è piuttosto Dürer ad apparire come un caso a sé … Non è facile aver ragione di una tale critica. Benché si possa agevolmente scorgere che l’atteggiamento di Dürer affonda saldamente le radici nel terreno tedesco, e che il maestro sembra ancora eser citare un segreto potere regale, pure spesso, e in modo convincente, è stato provato che tale potere lo hanno anche altri.

Ancora Heinrich WOLFFLIN sulla conferenza

Certo, con nessun altro abbiamo quello stretto rapporto personale che esiste con lui. Di lui possediamo estesissime notizie biografiche; mentre, per quanto riguarda la vicenda umana, Grünewald e lo stesso Holbein sono mere ombre. Neppure si è potuto delineare un’immagine esteriore della loro persona;

di Dürer ognuno sa — o almeno crede di sapere — quale aspetto aveva. In più sussistono lettere, diari, grande copia di annotazioni, documenti nei quali si rivela quasi affatto come uomo davvero attraente: lo sentiamo vivere, e noi viviamo con lui, siamo testimoni delle sue profonde emozioni psichiche, e in tal modo ci diventa familiare più che mai.

Ma oltre a ciò, chi può negare che egli non possieda al massimo grado, anche come artista, un carattere nazionale? Non sempre, è vero. Si danno opere sue che ci risultano estranee, ma attraverso altre egli opera ancora in mezzo a noi come una persona viva.

Julius Schlosser Magnino, Die Kunstliteratur, 1924 (edizione italiana, 1964)

… il più grande artista tedesco, il quale, in assoluta solitudine, primo nel Nord rivolse il suo spirito instancabile ai problemi che da più di un secolo avevano occupato il mondo artistico italiano e li rese accessibili ai suoi connazionali: Albrecht Dürer …

Il Dürer è il primo artista nordico in cui l’antichità e l’arte italiana siano diventate forme viventi della visione. Incisioni e disegni italiani ebbero presto un influsso su di lui e l’attrassero nella loro orbita …

Egli intuisce un nuovo mondo di là dai monti nella luce del Sud e nel lontano passato, un mondo che segue leggi diverse da quelle della tradizione medievale della sua patria, ed anela con tutta la forza del suo animo forte, fedele e profondo a trovare la chiave di questa porta chiusa. Un duplice soggiorno nell’Italia settentrionale gli diede in parte, non mai interamente, l’appagamento dei suoi desideri.

Così crebbero gli sforzi teorici del Dürer, di cui possiamo risalire le tracce fino allo scorcio del secolo precedente.

Altro di Julius Schlosser su Die Kunstliteratur, 1924

Ma a queste sue aspirazioni verso la forma ideale classico-italiana, si opponeva la sua derivazione artistica dall’empirismo dei paesi nordici e dall’ininterrotta tradizione del Medio Evo, specialmente nella trattazione del corpo umano.

Rivivere questo mondo interiormente, non attraverso un’imitazione esteriore come accadde ad artisti più tardi, doveva essere per lui altrettanto difficile, quanto è difficile a noi oggi, grazie alla rivoluzione spirituale dell’uomo del Nord, affrontare senza sensibili impedimenti la sua arte e quella in genere del nostro passato nazionale.

Il problema della bellezza sentita individualmente e della correttezza obiettiva dell’aspetto del mondo determinata dal pensiero scientifico, che ha orientato lo sviluppo artistico dell’Europa fino all’impressionismo e che solo adesso di nuovo esita incerto verso nuovi modi d’espressione, si manifestava, personificandosi con una gran forza nella potente individualità di Leonardo, in una cosciente ostilità contro il modo di vedere ben diverso del mondo ‘gotico‘, colla sua negazione e col suo disprezzo per la realtà oggettiva, con la sua maniera deduttiva da Leonardo così odiata, con la sua gioia delle cose spirituali e della vita propria degli spiriti elementari.

Era un abisso profondo su cui a mala pena si poteva costruire un ponte e il Dürer lo sentì e non riuscì mai a superarlo interamente. Nel nuovo secolo i suoi sforzi incessanti, seri e fa ticosi tendono a trovare le leggi della forma di quelle immagini misteriosamente affascinanti, ad appropriarsele, a trasportarle nel suo mondo ed infine a dominarle.

Thomas Mann, Dürer, 1928, in Altes und Neues. Kleine Prosa aus fùnf Jahrzehnten, 1953

Pensare a Dürer significa pensare all’amore, al sorriso e al ricordo di sé. Significa conoscenza di ciò che è più profondo e impersonale, di quanto si trova al difuori e al disotto dei limiti materiali del nostro io, ma che lo determina e lo nutre. È storia come mito, storia che è sempre materia e tempo presente, poiché noi siamo molto meno individui di quanto speriamo o temiamo di essere.

Roberto Longhi, in Romanità e germaneismo, 1941

… Il vecchio, pervicace dualismo dell’arte tedesca, mera natura e mero sogno, si complica in lui, a contatto dell’Italia, del nuovo dualismo: natura e legge di natura.

Dov’era il segreto? Esso non era tale per noi, ma il Dürer credeva a un segreto, quasi a una magìa di cui gli artisti italiani fossero investiti.

Racconta che, nei suoi esordi, avrebbe dato un regno perché il veneziano Jacopo de’ Barbari, che vagava lassù, gli confidasse il mistero delle proporzioni. Dunque “il mio regno per un cavallo”, proporzionato? Norma (e non mistero) proporzionale era per noi, se non erro, legata a norma spaziale, alla “dolce prospettiva”; il Pacher l’aveva bene inteso. Ma il Dürer è di un’altra tempra, quasi alla guisa di un nordico Pollaiolo. La forma l’ossessiona, non lo spazio; ancora e sempre, la forma.

In questo campo la sua curiosità è instancabile; quasi altrettanto che in un Leonardo : un dito” un libro una mano una pianta una piega un bosco; ma non ha mai la certezza, direi la confidenza metodica degli italiani. Vorrebbe ogni volta calarsi nelle cose stesse, ed ecco la vecchia tecnica artigiana a intimidirlo, togliere alla mano l’affetto, abbindolare i tratti estremi in capriccio fabrile.

Altro ancora di Roberto Longhi in Romanità

Mentre va facendosi botanico e geologo, entomologo e chirurgo, il vecchio empirismo già lo storna e il libero esame cui intendeva ora s’inceppa o s’impietra, calcoloso. Partito come un Pollaiolo o un Verrocchio, finisce per rassomigliar di più (specie nella fase prima) allo Schiavone o allo Zoppo.

Sarebbe anzi da chiedersi se il primo viaggio a Venezia sul Novantacinque, non l’abbia portato più presto a Murano nello studio di Bartolommeo Vivarini, che a Venezia in quel del Bellini … Ma non vorrei far delle scoperte di corsa … Troppo facile, troppo italiano, sarebbe cavar fuori dal corpus del pittore tedesco i pochi ritratti ‘alla veneta’ e dir che lì sta il Dürer migliore. Sarebbe intenderne troppo poco.

La sua mira più alta fu, ben presto, proprio il ritmo unito e concluso che appena albeggiava a Firenze e a Roma e ch’egli aveva verosimilmente intuito dai più antichi esperimenti in Leonardo, in Lombardia. In ogni caso è dopo il secondo viaggio, nel 1506, che il Dürer si prova nei colpi d’ala più lunghi …

Ma, fino all’ultimo, ripungono gli aculei delle vecchie astrazioni e la norma intraveduta si arrovella in maniera. È allora ch’egli piace al Pontormo, come avverte il Vasari nel celebre passo dal quale i critici di Germania han cavato tutto il profitto possibile. Spirito tormentato e tormentatore, il Dürer ci assilla fino all’estremo con la sua eterna inchiesta: che cos’è la forma, o, addirittura, che cos’è l’arte? che è troppo domandare mentre si opera; e la domanda resta, così, aperta anche nelle più ce lebri incisioni che, dopo tanto tempo, sempre mi riescono, non mi vergogno a dirlo, di lettura un po’ difficile.

Gillo Dorfles, A. Durer, 1958

Lo studio della prospettiva … e quello delle proporzioni umane e animali — entrambi già ampiamente sviluppati in Italia — trovano in Dürer un cultore entusiasta. Ma pur applicandone le leggi nei suoi lavori, egli rimane egualmente fedele ad una sua ‘personale’ spazialità goticizzante; tanto che quasi ognuna delle sue opere — tolte alcune più direttamente influenzate dai modelli italici — presenta, si potrebbe dire, simultaneamente, uno sdoppiamento parziale: quasi la compresenza dell’immagine tradizionalmente elaborata secondo l’usanza germanica del tempo e di quella realizzata col nuovo sistema.

Vive dunque in Dürer una con-temporalità ed una conspazialità; ed è codesto embricarsi di due temporalità e di due spazialità opposte ed egualmente sentite che da alle sue opere quella vibrazione caratteristica e irrepetibile, lontana tanto dalla staticità decorativa del tardogotico quanto dalla staticità volumetrica e chiaroscurale italiana. Anzi, diremmo, è proprio l’elemento chiaroscurale quello che in lui non riesce a svincolarsi (o non vuole) dall’ombreggiatura gotica.

Anche là dove il disegno è costruito architettonicamente secondo i nuovi canoni rinascimentali, egli continua a mantenere alle sue figure ed ai suoi paesaggi quell’ombreggiatura ottenuta da un fine e rigido tratteggio, senza mai raggiungere quel tonalismo dolcemente sfumato che possiamo ammirare in un Pollaiolo, in un Giambellino e tanto più in Leonardo …

Roberto Salvini, Durer, Incisioni, 1964

La personalità di Aibrecht Dürer si presenta all’analisi, sia dal punto di vista della posizione storica che da quello della sostanza espressiva delle opere, carica di antinomie che soltanto l’eccezionale vigore fantastico e la conseguente sicurezza formale risolvono alla fine — e talvolta si direbbe in extremis — in una salda e coerente unità.

La sua concezione dell’arte e del posto che all’artista compete nella società è indubbiamente contrassegnata dallo sforzo costante di elevarsi al di sopra della tradizionale condizione artigiana dell’artista tedesco — tanto legato, ancora in pieno Quattrocento, alla pratica e alla consuetudine della bottega — e di conferire all’arte, sull’esempio degli italiani, dignità di scienza assicurando all’artista lo status del cultore di arti liberali.

Altre citazioni su Incisioni di Roberto Salvini

Ma d’altronde la tecnica, anzi l’esercizio manuale delle tecniche incisorie, la sperimentazione continua e sagace delle possibilità espressive inerenti alle diverse pratiche, la ricerca stessa di un’estrema finitezza formale preoccupano costantemente l’artista e lo tengono avvinto, con i legami di un affetto antico e naturale, alla tradizione artigiana della sua terra.

Una modesta, intensa laboriosità, una dedizione tenace alla più diligente e scrupolosa manualità convivono in Dürer con atteggiamenti palesemente umanistici e con una tensione intellettuale che lo innalzano a teorizzatore della propria arte.

E benché prima di lui un Michael Pacher avesse ricercato, senza rinnegare le proprie origini, un rapporto altrettanto profondo con l’arte italiana, spetta a lui solo di poter essere considerato il più tedesco e insieme il più universale degli artisti germanici: altrettanto aperto al fascino del Rinascimento quanto legato alla tradizione ‘gotica’ del Nord. Tale bipolarità o dualità di atteggiamento di fronte alla concezione dell’arte e dinanzi alle due diverse tradizioni che in lui confluiscono trova.   

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