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Le citazioni e la critica su Giambattista Tiepolo

Le citazioni e la critica su Tiepolo (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Pagine correlate all’artista: La critica del Settecento, Ottocento e Novecento – Biografia e vita artistica – Il periodo artistico – Le operebibliografia.

Il pensiero critico degli studiosi di Storia dell’arte su Tiepolo:

La rivalutazione del Tiepolo, iniziatasi circa mezzo secolo fa, coincide naturalmente con quel generale processo di revisione del Barocco che doveva portare gli studi storico-artistici sopra un piano di nuova aggettivazione critica rispetto all’arte del Seicento e Settecento.

Tuttavia è singolare il fatto che in quest’opera di rivendicazione il Tiepolo apparisse come un fenomeno a sé stante … Invero egli era considerato come l’ultimo dei vecchi grandi maestri del Rinascimento, redivivo nel secolo decimottavo, e come una eccezione assoluta in un mondo di decadenza: giudizio che appare ancora nel Berenson, il quale risente di questi concetti; ma che un passo più avanti pur colpisce tanto nel segno, affermando la grande efficacia esercitata da lui, attraverso il Goya, sulla pittura moderna.

Quest’uomo piccolino, manieroso, mite, che i Veneziani chiamavano con scherzosa bonomia ” il Tiepoletto ” covava dentro di sé un mare di fantasie, era agitato da una bruciante passione per l’arte. Bastano, ad indicarcelo, quei suoi occhi spiritati, mordenti, che ci vengono incontro dai suoi autoritratti, e quella tensione sensuale nel suo naso d’aquila e nelle sue tumide labbra sinuose. Fu di una potenzialità creatrice quasi senza limiti. Egli abbracciò tutti i generi di pittura: la sacra e la profana, l’eroica e l’aneddotica, la storica e la ritrattistica: toccò le corde più drammatiche e quelle più liriche: dominò superfici murali di centinaia di metri quadrati e schizzò telette delicate di poco più che una spanna. La pittura gli era entrata nel sangue; e fu anche gioioso tormento di ricerche, di perfezione, di superamento: e sempre nell’ordine d’una esperienza vissuta e conquistata giorno per giorno. Giambattista era giunto in Ispagna in un’età in cui è difficile subire influssi; tuttavia egli li subì, non dagli artisti ma dalla natura; da quelle aride petraie della vecchia Castiglia … che, non ultime, forse, contribuirono alla intensificazione del tono ceruleo, o fulvo, o grigio-argento, delle sue opere più significative in cedesti anni. A. Morassi, G. B. Tiepolo, 1943.

… Quanto al Tiepolo, nessun dubbio ch’egli avesse sortito un genio poco inferiore a quello del Guarini o del Juvarra. Vengono a mente dei nomi di architetti perché il genio di Tiepolo è proprio per la ‘disposizione’ in ordine sparso, scaleno, asimmetrico; per nuove piante o costellazioni di figure a rincantonarsi sui piani inclinati dei suoi cicli, sforbiciati poi, in basso, dalle finte sfumature, fratte e immaginose, del fido collaboratore Mingozzi-Colonna. Nulla dunque di quel Tiepolo corrente per la critica che si proverebbe a rinnovare i trionfi spaziali di Paolo, sarebbe anzi un Paolo risorto. Tiepolo la sapeva troppo lunga. Sapeva che dalla sua arguzia spaziale non avrebbe mai potuto sboccare quella stessa gioia, quello stesso riso festevole. Che anzi egli è caricato, scontroso, scorbutico persino. Il suo ritratto del Querini, in confronto a quelli dei Longhi, è un’agra caricatura. Certo che se il Tiepolo non ci avesse lasciato che le prime idee dei suoi quadri, i suoi felicissimi abbozzi, non esiteremmo a riporlo fra i maggiori settecentisti. Ma dobbiamo renderci conto della insoddisfazione che sorge ed insiste di fronte all’intero corpo della sua pittura. Il fatto è che i vari elementi della sua cultura, forse troppo ricca, risolvendosi in stadi diversi del suo fare, si elidono talvolta. Il primo grido di Tiepolo è per l’abbozzo più furioso e lì la sua rapidità di visione. la sua prodigiosa anamnesi formale danno le cose più alte, aggiornando in fluidità settecentesca il sublime, incondito ‘scarabocchio’ di fonte rembrandtiana (giacché non è dubbio che il Tiepolo, e non soltanto per le incisioni, abbia fondato mollo della sua prima visione proprio sul Rembrandt). Se non che, per lui, questo non era che il primo stato dell’opera, ne egli avrebbe mai ardito, come il Guardi, collocarlo senz’altro sugli altari. Qui, il primo limite tecnico del suo atteggiamento. Né intendeva il Tiepolo che quel primo ordito incondito era. sorto come segno primo di una fantasia da scoppiare in disperato dramma attraverso le opposizioni del bianco e nero. Tuia» al contrario il Tiepolo fidava di potersene servire come di prima guida tecnologica per sboccare in una presentazione niBa palese, dove anzi trionfassero in chiarità atti vestiture e via da nobili ordinatori, disposti in istorie antiche e moderne mitologiche sacre  o profane. ……….il film in costume e, peggio ancora, in ‘technicolor’, ne vengono certe detonazioni di colore che bucano i soffitti, o certe smontature improvvise, certe metrature di raso freddo, certi panneggi in carta da pacchi (come sentii dire un giorno da uno spirito arguto), certi pezzi di ‘trompe-l’oeil’ che rasentano Cesare Maccari e Cecil B. de Mille. Si aggiunga che il Tiepolo non credeva più a quel suo mondo tronfio e immaginoso; ma, per consuetudine. lo riveriva. E non era il mondo smemorato, smarrito e ironico del Longhi, ne quello soavemente fatuo di Rosalba; anzi un mondo di dominanti altezzosi e scadenti, congegnato in un’atavica accidia di gesti oratori, deprecativi, magnanimi a vuoto, benignanti dall’alto. Questo continuo ritratto composito dell’aristocrazia cattolica di corte settecentesca rimestato nel calderone della mitologia classica, alleatasi ad una storia ad usum delphini, non va esente da una certa, purtroppo quasi sempre involontaria, comicità. Che il Tiepolo abbia riservato il suo capolavoro d’affresco a maggior gloria di un colosso storico della forza di Carlo Filippo di Greiffenciau, Principe Vescovo di Wùrzburg, mi ha sempre fastidito. In quella volta, l’argomento di Apollo che conduce al Barbarossa la sposa Beatrice di Borgogna è di una tale iperbolica disinvoltura mitologica da mozzare il fiato. Non so perché sia stato tanto rimproverato l’antico critico che nell’affresco di Brescia, per verità di mano del Tiepolo figlio, già trovò a beccare nel console romano che fuma la pipa. Ma che dire del baciamano di Marcantonio a Cleopatra nel bozzetto del padre per palazzo Labia? Anche questa era una bevuta da Guazzoni-film ; tanto che il Tiepolo, messo sull’avviso, la soppresse nell’opera definitiva. L’arroganza però restava quella. Un Alessandro più impudente del suo, nella Visita a Diogene, non l’ho incontrato mai; e il peggio si è che il Tiepolo stinge codesta albagia anche nella sua pittura sacra. Le tre sante dei Gesuati io ho sempre amato chiamarle “le amiche di Maria Teresa” e parecchi dei suoi santi maschi, sotto il travestimento teatrale, mi si scoprono maggiordomi incaricati di tener la poveraglia fuor dei cancelli con una degnativa distribuzione di spiccioli. Ed è vero che il Tiepolo sul tardi prova a farsi più intimo e umile nei bozzetti per Aranjuez; ne lo diminuisce il fatto che ciò avvenga, probabilmente, per l’ascendente del figlio Gian Domenico, artista più schietto del padre, come provano anche gli affreschi, sinceramente popolari, della Foresteria di villa Valmarana … R. Longhi Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946

Da Piazzetta a Ricci, da Veronese a Tintoretto e a Rembrandt: quanti indirizzi nel carnet di Giambattista Tiepolo! Ma non si pensi che la sua personalità ne uscisse frammentaria e indefinita. Le sue citazioni sono sempre trascrizioni spregiudicate e spesso sconcertanti: così non è da sorprendersi che egli avesse raggiunto un suo stile proprio di decorazione, pur togliendone il modello dalla pittura del Cinquecento: perché egli sa sempre trasfondere negli schemi classici o barocchi della tradizione il colorismo smaliziato e lo spirito frizzante del rococòT. Pignatti, Tiepolo, 1951.

… Quanto alla retorica celebrativa, che ai grandi cicli tiepoleschi viene di frequente imputata come segno di debolezza morale e di falsità estetica, si può replicare che, all’assunto celebrativo, le coreografie tiepolesche paiono altrettanto poco pertinenti, quanto le “corbellerie” dell’Ariosto, al dichiarato proposito di glorificazione estense. D. Gioseffi, Pittura veneziana del Settecento, 1956.

… la poetica del Tiepolo è profondamente congiunta al ‘700 e ne riflette un atteggiamento dello spirito: rispecchia cioè l’esigenza, propria del tempo, di portare anche nella pittura quel cerimoniale sfarzoso e complicato che regolava la vita religiosa e sociale, che era modello all’abito e al linguaggio e che aveva trovato la sua più completa documentazione nel teatro … Se a proposito di alcune figure tiepolesche abbiamo parlato di classicismo, non dobbiamo confondere questa aspirazione ad una bellezza e ad una compostezza formale, del tutto spontanea, con la nascente teorica neoclassica, che comportava il netto rifiuto della tradizione precedente. La pittura del Tiepolo fu invece sempre agli antipodi della freddezza e del raziocinio degli artisti dell’età neoclassica, come ben ci dimostra l’incomprensione cui fu soggetto il maestro alla Corte di Madrid, quando il gusto ufficiale cominciava ad essere dominato da un mediocre pittore quale Raffaello Mengs.    P. d’Ancona, Tiepolo a Milano. Gli affreschi di Palazzo Clerici, 1956.

La dilatazione su scala monumentale non pregiudica i valori pittorici del Veneziano e raffresco non è traduzione, ma proiezione del bozzetto, e questo, sempre stupendo, spontaneo, ricchissimo di modulazione, è il mirabile risultato di un momento di lirica esaltazione pittorica … G. de Logu, Pittura veneziana dal XIV al XVIII secolo, 1959

… Solo la sua arte, di tutta l’arte veneziana del tempo, può vantare un carattere di unicità. M. Levey, Painting in XVIII Century Venice, 1959.

La sua virtuosità decorativa, capace di popolare centinaia di metri di soffitto con allegorie o scene mitologiche, sempre più staccate da quel senso di vita verso il quale puntano intorno al ’40 il Piazzetta, e quindi Pietro Longhi, e da quel sentimento della realtà verso il quale s’orientava il Canaletto, corrispondeva però alle esigenze di un gusto e di una società … Si creava così la grande illusione del grand goùt tiepolesco, proprio mentre la potenza politica di Venezia non era più che una parvenza e la società veneziana mostrava i germi di un decadimento inesorabile, accentuato dai primi sintomi di rinnovamento di quella schietta classe borghese che il Goldoni, con tanta naturalezza, portava sulla scena … Si sente che il Tiepolo ha posto ogni impegno nel grande» soffitto con V Apoteosi della Spagna: che in tale soffitto giocava una grande carta non solo di fronte a se stesso, ma anche di fronte a chi ormai gli era nemico. Seppe congegnare ancora la gran macchina con una virtuosità veramente spettacolare, ma purtroppo non fu in grado di ravvivarla con quella inimitabile sua sostanza poetica, con la quale aveva saputo dar vita alle Allegorie di Wùrzburg, cioè con l’atmosfera chiara e argentina dei suoi cieli … il cielo è opaco e sordo, mentre le nubi si fanno violacee: tutto così prende un’aria di cartapesta, rimanendo purtroppo sul piano di fastosa decorazione rococò. Non è detto che anche nei suoi soffitti più nettamente prosastici non si possano isolare brani dove alcune sue creature sono rappresentate in tutta la loro urgenza di vita. Insomma G. B. Tiepolo, là dove non è impigliato nella rettorica celebrativa, è ancora poeta e poeta di grande respiro. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, 1960.

Innamorato delle nuvole belle e degli azzurri vertiginosi da cui esse emergono e in cui si rituffano, egli ha portato nella sua pittura non soltanto il soffio degli orizzonti marini, ma anche il sentimento dell’infinito, e la malinconia che a questo sentimento sempre si accompagna. D. Valeri, Il mito del Settecento veneziano, 1960.

L’arte del Tiepolo, di una vistosità e di una generosità che non trovano confronti tra i suoi contemporanei del rococò francese, prende lo spunto dalla bellezza luminosa celebrata dai maestri del ‘500 …; la sua vena narrativa, il suo senso di uno spazio infinito danno, per l’ultima volta, l’idea di un grande organismo dove tutto è magnificamente armonizzato per la rappresentazione visiva del religioso e del profano. A. Chastel, II Settecento veneziano nelle arti, 1960.

Critica prima del 1943

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