Sull’opera: “Venere e Vulcano” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1758-60, misura 69 x 87 cm. ed è custodito nella J. G. Johnson Collection, Filadelfia.
Si pensa che l’opera sopra raffigurata sia il pendant di “Apollo e Dafne” custodito nella National Gallery (Kress) di Washington (tela 68,6 x 87 cm.). Infatti analizzando a fondo il dipinto si evidenzia uno stesso impianto compositivo che rispetta una linea diagonale in senso opposto, quella cioè costruita in gran parte dal raffinato corpo della Venere, ben ricco di lucentezza, capace di illuminare l’antro di Vulcano.
Non sfugge all’osservatore il particolare faceto delle colombe di Venere che fuggono terrorizzate da Vulcano verso l’apertura.
Per quanto riguarda la cronologia, il dipinto è certamente a ridosso dagli affreschi di Villa Valmarana.
Per dovere di cronaca si segnala che Lionello Venturi in “Italian Paintings in America” (1933) lo considerava – sicuramente sbagliando – uno studio preparatorio per un soffitto del Palazzo reale di Madrid, assegnando ad esso una datazione intorno al 1762.
Sull’opera: Gli “Affreschi di Palazzo Reale a Madrid” appartengono ad una serie di dipinti realizzati da Giambattista Tiepolo – con aiuti di altri collaboratori – negli anni 1762-66.
Descrizione e storia
Prima di intraprendere il grande lavoro madrileno intercorsero lunghe ed elaborate trattative tra l’artista e il duca de Montealegre, l’allora l’ambasciatore spagnolo a Venezia.
Giambattista Tiepolo partì per la Spagna il 31 marzo 1762 portando con sé i figli Domenico e Lorenzo ed un mercante di Padova, ma per raggiungere la capitale dovettero trascorrere tre mesi a causa di tappe forzate e stressanti, tanto che quando, il 4 giugno raggiungeva Madrid, fu costretto a stare a letto per qualche tempo.
A Venezia, poco prima di partire, aveva realizzato il modello per la Sala del trono, con la Gloria di Spagna (si vedano i quattro particolari sopra riportati), preparandolo – secondo lo Zannandreis – su indicazioni dell’allievo Lorenzi.
È talmente evidente però che le tematiche tiepolesche nelle celebrazioni rappresentate nel Palazzo reale di Madrid costituiscono, più o meno, una sintesi dell‘opera generale del grande frescante.
Dopo la riabilitazione fisica, durata una quindicina di giorni, il Tiepolo incominciava ad affrontare la grande decorazione del soffitto, che fu portata a termine nel 1764 (sul cornicione si legge la scritta: “TiepoIo A, 1764”).
Dal momento che l’artista per il soffitto Pisani – più o meno delle stesse dimensioni – aveva previsto un lavoro di tre o quattro anni (come già indicato in altre pagine. A causa delle forzate interruzioni nella stagione invernale), nonostante avesse due laboriosi collaboratori quali i suoi due figli, non pare verosimile che abbia lavorato contemporaneamente ad un altro affresco (Sala della guardia), come afferma Ceán Bermùdez nel “Diccionario historico de los más illustres professores de las bellas artes en España” (c. 1800), portando perciò a termine entrambi i soffitti in due anni.
A proposito di ciò Il Morassi propose una validissima controprova dal momento che il lavoro complessivo fu portato a termine nel 1766, proprio quando l’artista chiedeva alla corte madrilena che gli fossero assegnati altri nuovi lavori.
Sembra perciò poco probabile che avesse impiegato altri due anni per decorare un solo soffitto, per giunta assai più piccolo, come quello dell’anticamera della regina, conosciuto anche come “Saleta”.
Sala del trono
La decorazione raffigura la “Gloria di Spagna” (soffitto, 2700 x 1000 cm.), la “Abbondanza” (sovrapporta a grisaille) e la “Virtù con il Merito” (sovrapporta a grisaille).
Dalle chiarificazioni e dalle messe in evidenza di F. J. Fabre in “Descripcián de las alegorias plntadas en la bovedas del Real Palacio de Madrid” (ed. 1829), il dipinto più grande è, a tutti gli effetti, dedicato alla glorificazione della dinastia spagnola, poeticamente esaltata, circondata dai diversi Stati ed assistita dalla Virtù.
Sull’alto supporto architettonico che fa da cornice all’affresco del soffitto, appaiono immagini allegoriche che enfatizzano le qualità di re Carlo lll, cui fa riferimento la frase scritta sulla base della piramide. Le province di Spagna, ovvero, Castiglia, Cordova, Estremadura e Galizia vengono raffigurate con i prodotti peculiari, mentre l’’America, con i propri popoli.
Nella celebrazione sono inseriti riferimenti storici, quali i doni portati da Cristoforo Colombo, ed evocazioni tratte dalla mitologia, come gli dèi marini su bianche nuvole con piccoli navigli e pesci di immense dimensioni.
La Virtù viene incarnata, in scorcio, secondo un armonioso ritmo – che troviamo anche nel Veronese – la coppia della Pace con la Giustizia ed il Vangelo della Fama.
La “Saleta”
Nel soffitto dell’anticamera della regina viene raffigurata l’Apoteosi della monarchia spagnola (1500 x 900 cm.), impostata secondo una struttura a spirale che viene originata, a sinistra, dalle Colonne d’ErcoIe, presidiate da quest’ultimo e dal dio Nettuno.
La composizione continua fino all’allegoria adombrante il trono reale, dove viene evidenziata una fortezza – simbolo di stabilità – nei cui pressi stanno Mercurio e Apollo protetti da Giove, assiso in alto e circondato da muse e putti alati.
Sala della guardia
Anche in questo ambiente, l’attività di Giambattista è concernente al solo soffitto, dove viene rappresentata l’Apoteosi di Enea (1600 x 2300 cm.).
In primo piano notiamo la fucina di Vulcano ed il Tempo che permette ad Enea di conquistare l’immortalità. Qui si svolge la spirale compositiva che porta al gruppo dell’eroe troiano – con la Virtù che lo assiste – nel momento in cui si rivolge a Venere, sua madre, accompagnata dalle Grazie e da putti, che regge un elmo piumato, certamente tenuto in serbo per il figlio.
Le raffigurazioni
Particolare dell’Apoteosi della monarchia spagnola, cm. 400 (assieme, 1500 x 900).
Particolare sinistro della Gloria di Spagna, cm. 325 (assieme, 2700 x 1000 cm.).
Particolare destro della Gloria di Spagna, cm. 325 (assieme, 2700 x 1000 cm.).
Particolare destro della Gloria di Spagna, cm. 350 (assieme, 2700 x 1000 cm.).
Particolare destro della Gloria di Spagna, cm. 450 (assieme, 2700 x 1000 cm.).
Sull’opera: “L’Immacolata Concezione” è un dipinto realizzato – con collaboratori a tecnica ad olio su tela – nel 1767-69 da Giambattista Tiepolo, misura 279 x 152 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid. L’opera appartiene da una serie di dipinti, detta “Le sette pale per Aranjuez”.
L’opera in esame è firmata con la scritta “Dn. Juan Batta Tiepolo inv: ef pinx”`.
Tutti gli studiosi di Storia dell’arte sono concordi nel definire la composizione in esame come l’espressione più alta del Tiepolo sul tema “Immacolata”, la cui prima rappresentazione (anni 1734-36, olio su tela dalle dimensioni di 378 x 187 cm.) è attualmente custodita nel Museo Civico di Vicenza.
Il severo schema della Vergine – prettamente piazzettistico – in questa composizione è completamente assente e sostituito dalla radiosa eleganza che si evidenzia anche nelle figure degli affreschi madrileni.
Al vigoroso colpo di luce, contrastante con un ombra ancor più enfatizzata, al punto di sfiorare la spettacolarità barocca, si sostituisce una un’atmosfera rarefatta, dove la figura principale, quasi sospesa nel cielo, sembra innalzarsi delicatamente, sorretta dal leggero manto rigonfio dal vento.
Sull’opera: “Giovane che suona il mandolino” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1758, misura 93 x 74 cm. ed è custodito nel’Institute of Art a Detroit.
La donna che posa per questa composizione è la sessa modella che conosciamo, coperta da una soffice pelliccia, presente nella riproduzione a pastello di Lorenzo (Attualmente a Washington) e che il il Tiepolo ha ripreso moltissime volte negli affreschi di Villa Valmarana.
Nel presente dipinto, il morbido e splendente carnato viene enfatizzato dalla seta che, con sapiente maestria nelle variazioni cromatiche del panneggio, l’artista conferisce una gradevole una cornice armoniosa. L’autografia del dipinto è stata confermata dal Morassi nel 1962.
Sull’opera: “Giovane con pappagallo” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1768-70, misura 72 x 53.5 cm. ed è custodito nel Ashmolean Museum a Oxford.
Questa magnifica composizione corrisponde probabilmente al pendant della “Giovane con pelliccia”, dalle identiche dimensioni. Tale ipotesi viene avvalorata dalla riproduzione a pastello – attualmente custodita alla National Gallery di Washington – del figlio Lorenzo.
L’esuberante e raggiante figura di questo dipinto non dissolve la carica visuale del Tiepolo, eccezionale colorista, che crea con poche e decise pennellate uno straordinario pezzo virtuosistico nella figura del pappagallo rosso fiammante, brioso e perfido allo stesso tempo.
Per quanto riguarda la cronologia, è verosimile assegnare alla composizione il periodo degli affreschi alla Villa Valmarana.
Sull’opera decorativa: “Affreschi di Villa Valmarana” presso Vicenza è un complesso pittorico realizzato nel 1757 da Giambattista Tiepolo e dal figlio Domenico, con la collaborazione di altri artisti fra i quali spicca il quadraturista Mengozzi Colonna.
Descrizione e storia
Il complesso decorativo della villa Valmarana ai Nani (nominativo che deriva dalle statuette ornanti il muro di cinta), presso Vicenza, come già sopra accennato non venne realizzata completamente dall’artista ma con aiuti di altri pittori.
Tra questi i più fedeli collaboratori furono il figlio Domenico ed il quadraturista Mengozzi Colonna.
Dal periodo del soggiorno a Würzburg gli affreschi vennero portati a termine da altri artisti.
In un dipinto della foresteria, firmato Domenico compare una data (1737) che ha tratto in inganno per più di due secoli tutti gli studiosi di Storia dell’arte, fino a quando, nel 1944, il Morassi “l.A” 1944] rettificò gli errori, interpretando quel “3” in “5” ottenendo così la datazione 1757, distinguendo quindi l’opera di Giambattista da quella di Domenico, sulla base di una persuasiva analisi stilistica.
Le antiche citazioni riguardanti gli affreschi alla Villa, già dai primissimi anni (Gozzi, “Gazzetta Veneta”, 19 aprile 1760), non davano indicazioni di paternità né fornivano notizie cronologiche precise, limitandosi esclusivamente a decantare il meraviglioso impianto pittorico.
Oggi, invece, Possiamo affermare, anche se con qualche piccolo dubbio, che Giambattista affrescò le cinque stanze situate al pianterreno dell’edificio principale, ovvero: la Sala centrale, conosciuta come “Sala di Ifigenia”, e i quattro piccoli vani disposti a coppia in corrispondenza delle pareti più grandi della stessa Sala: da una parte la “Stanza dell’Orlando furioso” e la “Stanza dell’Iliade”, mentre sul lato opposto si trovano, la “Stanza della Gerusalemme liberata” e la “Stanza dell’Eneide”.
Ed ancora, nella foresteria, stanno altri affreschi di Giambattista che decorano la “Stanza del Carnevale” (ubicata sull’ingresso), la “Stanza dei putti” e la “Sala dell’Olimpo”.
Tutta la critica ufficiale è concorde nell’affermare che il Mengozzi Colonna, che collaborava nella creazione delle inquadrature architettoniche illusionistiche, abbia avuto al suo seguito altri assistenti, tra cui certamente Antonio Visentini – per le prospettive della loggia della foresteria – per portare a termine il meraviglioso complesso di affreschi.
Gli affreschi
I due affreschi raffigurati nella presente pagina sono il “Sacrificio di Ifigenia” e “Briseide condotta ad Agamennone”:
Il Sacrificio di Ifigenia è ambientato entro il porticato, dalle imponenti e candide colonne, di una sontuosa villa veneta.
Agamennone, raffigurato in modo assai tradizionale (nella zona di destra, non visibile nel presente particolare), in preda ad un forte stato emotivo si copre gli occhi con il manto per non vedere la scena che sta per consumarglisi di fronte: il sacrificio della figlia. I personaggi pittorescamente abbigliati sono pochi e radi, mentre un enorme vessillo rosso spicca agitato dal vento contro un cielo sereno.
Euribate e Taltibio conducono Briseide ad Agamennone: dopo Ifigenia, ecco un altro sacrificio di un’innocente, sconvolta e terrorizzata. La struttura compositiva, rispetto al riquadro precedente, è più incerta e sensitiva, con un cromatismo delicato e soffice, quasi a definirlo “primaverile”.
Parte centrale del “Sacrificio d’Ifigenia”, cm. 400 (assieme 350 x 700).
Sull’opera: “Santa Tecla libera Este dalla pestilenza” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1758, misura 675 x 390 cm. ed è custodito nel Duomo di Santa Tecla ad Este (Padova). Il modelletto, raffigurato, nella presente pagina è custodito nel Metropolitan Museum a New York.
Il dipinto principale venne ubicato sull‘altare maggiore della chiesa di Santa Tecla il 24 dicembre 1759; nella firma, autografa, sono riportate le parole “Gio. Batta. Tiepolo f.”.
L’opera può essere considerata tra i grandi capolavori dell’artista.
Al di la dell’ottima forza creativa, che traspare in tutta la composizione, si deve riconoscere la scrupolosità e la premura con cui l’artista ha conferito una veritiera contemporaneità ad un episodio abbastanza remoto (la peste del 1638): le orazioni di S. Tecla che misero fine ai lutti, scacciando quell‘incubo che ormai teneva oppressa la cittadina (visibile sul fondo, a destra della Santa).
Lo splendido modelletto raffigurato in questa pagina (tela di 80 x 45 cm.) (fonti: Molmenti, 1909; Sack, 1910) è custodito al Metropolitan Museum di New York (Rogers).
A parte le dimensioni ridotte e qualche particolare in più – come il trasporto del cadavere – questa composizione è perfettamente identica alla realizzazione del grande dipinto.
Certamente risulta, qui, più vibrante l’impeto fantastico e l’intonazione generale, ancor più drammatica.
Sull’opera: “Apoteosi della famiglia Pisani” è un affresco di Giambattista Tiepolo, realizzato con aiuti nel 1760-62, misura 2350 x 1350 cm. ed è custodito nel Museo Nazionale di Villa Pisani a Stra (Venezia). Il modelletto raffigurato nella presente pagina è una tela ad olio che misura 134 x 80 cm ed è custodito nel Musée des Beaux Arts a Anger.
Dallo scambio di lettere tra il Tiepolo ed il conte Algarotti si deduce che l’artista lavorò per il grande affresco al soffitto del salone nella villa dei Pisani (attualmente Museo Nazionale di Villa Pisani) dal mese di maggio 1760 – periodo in cui realizzava il modello – fino a gennaio-febbraio 1762.
Se si pensa che il lavoro a fresco diventa molto difficile nei mesi invernali, si ricava che l’operosità di Giambattista doveva essere stata veramente assai intensa. Infatti il meraviglioso complesso pittorico fu portato a termine alla fine dell’estate del 1761 quando il pittore stava per recarsi a Madrid (nell’autunno dello stesso anno affrescava anche il soffitto di palazzo Canossa a Verona). Sarà bene tenere presente, a tal proposito, che il grande frescante – secondo il Fogolari (“NA” 1942) – aveva intenzione di occuparvisi per tre-quattro anni.
La grande opera d’affresco occupa una vastissima superficie, incorniciata da architetture dipinte, che misura 2350 x 1350 cm., ove sono raffigurati bellissimi satiri – maschi e femmine – in monocromia, indefinibili creature che evidenziano forti cariche nostalgiche di quello che fu la natura primordiale, di gusto settecentesco, mentre intorno al meraviglioso palazzo erano già si largamente estesi boschetti e giardini scrupolosamente coltivati e disegnati.
Secondo il Morassi (1952) le figure mitologiche sono state realizzate dal Crosato (Venezia 1686-1758), ultimo periodo della sua vita, mentre le otto bellissime raffigurazioni allegoriche – anch’esse in grisaille su fondo oro – sovrastanti le finestre e le porte, sono attribuibili al figlio Domenico.
Il modelletto della presente pagina, una tela dalle dimensioni di 134 x 80 cm., custodito nel Musée des Beaux-Arts di Angers dal 1863), ricalca fedelmente il grande affresco e costituisce la riprova per una sicura cronologia, riferibile al maggio del 1760.
Si può notare nei due dipinti il raggiungimento da parte del Tiepolo di un alto livello stilistico, che fissa, attraverso una personale gestualità nella coloristica – dai morbidi chiaroscuri – e nei tratti – decisi e vibranti – forti luminosità, visioni evanescenti, imprevisti atteggiamenti di figure completamente immerse nell‘atmosfera, immagini riprese in scorcio in modi quasi innaturali, ma veritieri, soprattutto per la l’onestà creativa del Tiepolo.
Particolari del grande affresco di Villa Pisani (sopra 900 cm.; sotto, 300 cm. ciascuno)
Sull’opera: “Mosè salvato dalle acque” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela intorno al 1740, misura 200 x 339 cm. ed è custodito nella National Gallery of Scotland ad Edimburgo.
Purtroppo – non se ne conosce la ragione – il dipinto venne mutilato, a metà Ottocento, della sua parte destra; attualmente quel frammento di 200 x 132, raffigurante un Alabardiere, appartiene ad un collezionista torinese privato (notizia degli anni Settanta).
Entrambi i dipinti hanno un’altezza di circa 200 cm. ma il frammento, leggermente superiore, fa presupporre che vi sia stata anche un’altra piccola mutilazione nella dimensione verticale, della zona alta.
Secondo il Sack (1910), l’opera in precedenza ornava Palazzo Barbarigo a Venezia. Per quanto riguarda la cronologia non si hanno documentazioni ad essa inerenti, e l’anno sopra indicato appare alquanto incerto.
Secondo il Sack (1942) ed il Morassi (1962) la composizione appartiene al periodo della maturità, ovvero agli anni Cinquanta, cosa che contrasta con lo stile coloristico, assai intenso e con netti contrasti, con la grandiosa struttura compositiva, con la decisa semplicità del tratto, che troviamo – in una sola volta – nei dipinti di Verolanuova (anni 1738-40) e negli affreschi dei Gesuati (anni 1737-39).
Sull’opera: “Il martirio di Sant’Agata” è un dipinto autografo di Giambattista Tiepolo, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1748-50, misura 184 x 131 cm. ed è custodito nello Staatliche Museen a Berlino.
In precedenza la pala d’altare in esame si trovava a Lendinara nella chiesa di Sant’Agata delle Benedettine (Brandolese, 1795). La tematica è esattamente quella del “Martirio di Sant’Agata” custodito a Padova nella basilica del Santo.
Nella stampa realizzata dal figlio dell’artista, Domenico, la composizione prosegue, nella zona superiore (centinata), con una corona di spine ed un cuore.
Per quanto riguarda la cronologia, per il Molmenti (1909) il dipinto sarebbe stato realizzato attorno all’anno 1750.
Come sopra accennato, in questa composizione sono presenti gli stessi elementi della pala nella basilica padovana, ma elaborati con maggior disciplina stilistica e con superiore carica di drammaticità. Risulta chiaro il fatto che l’artista sia impegnato sull’atteggiamento, carico di pietà, dell’amica della Santa, che si preoccupa di coprire la tremenda ferita.
Molto suggestiva appare anche la scena in secondo piano, dove domina la figura del violento carnefice, come una maligna presenza.
I meravigliosi giochi di luminosità, tutti dai toni tendenti all’ocra ed al rosé, costituiscono il commento allusivo del Tiepolo alla tormentata giovinezza di Agata.