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Il trionfo di Galatea di Raffaello

Raffaello Sanzio: “Il Trionfo di Galatea“, anno 1511, cm. 295 x 225, Farnesina (Roma).

Raffaello Sanzio: “Il Trionfo di Galatea“, anno 1511, cm. 295 x 225, Farnesina (Roma).

Raffaello Sanzio: Il trionfo di Galatea

Raffaello Sanzio: Il trionfo di Galatea (particolare)
Il trionfo di Galatea (particolare), Roma Farnesina (cm. 225)

Sull’opera: “Il Trionfo di Galatea” è un dipinto autografo di Raffaello realizzato con tecnica ad affresco alla Farnesina (Roma) nel 1511 e  misura 295 x 225 cm.

L’opera, la cui tematica è ispirata  a Teocrito ed Ovidio, molto probabilmente attraverso il poeta quattrocentesco Angelo Ambrogini detto il Poliziano, venne realizzata dal Sanzio nel 1511, nella sala  detta “della Galatea” situata al piano terra della bellissima villa di Agostino Chigi. Raffaello affrescò “Il trionfo di Galatea” sotto una lunetta di Sebastiano del Piombo (1485 – 1547); a proposito di quanto detto, esiste una descrizione nel De Viridario Augustini Chigi … libellus del Gallo, pubblicato proprio nel 1511 a Roma.

Galatea, raffigurata negli aspetti e negli atteggiamenti della Santa Caterina d’Alessandria (olio su tavola anch’essa realizzata dall’artista nel 1508, attualmente alla National Gallery di Londra) scivola trionfalmente sulle onde in una conchiglia trainata dai delfini guidati dal fanciullo Palemone; il suo sguardo è rivolto verso il cielo, dove sta – sopra una nube – un amorino che reca un fascio di frecce nelle mani a simboleggiare la purezza dell’amore platonico. Nella composizione, il ritmo danzante e vorticoso, con al centro una Galatea dinamica e vigorosa, evidenzia una forte espressione compositiva ed una chiara allusione al classicismo, quello inteso da Raffaello come la ‘maniera antica’.

La luce cristallina mette in forte evidenza i corpi vigorosi dei tritoni sul pregevole intarsio del fondo in una tonalità tendente al verde delle impraticabili acque. Insieme alla figura centrale, spicca con forza il solido rosso del manto svolazzante per il vento: il tutto in un cromatismo irreale che porta direttamente all’antica pittura romana.

Qualche studioso, fu d’accordo con Cavalcaselle ad avvicinare la composizione in esame al bassorilievo del Coro dì Afrodite (nei Musei Capitolini) e, quindi, ad attribuirne a Giulio Romano gran parte della raffigurazione: tale ipotesi, mai suffragata da documentazioni, fu respinta da gran parte della critica ufficiale.

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