Citazioni e cenni critici su Giotto

Citazioni e cenni critici su Giotto (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Pagine correlate: Biografia e vita artistica – Le opere – La sua pittura.

Come hanno parlato gli studiosi di Storia dell’arte di Giotto:

In Giotto e nella scuola, le forme individuali stanno come in plastico isolamento entro la tensione compositiva. La raffi­gurazione dell’episodio si sdoppia in azione primaria e azione secondaria. La prima è racchiusa fra le diagonali convergenti della piramide centrale; la seconda, si direbbe a un momento drammaticamente staccato dal più acuto vertice emotivo al centro della composizione; e si raccoglie in erette figure latera­li, che rinforzano la composizione stessa mediante la loro cor­posità e verticalità.    R. Offner Sudies in Fiorentine Painting, 1927

La differenza tra la fecondità di Giotto e quella d’altri ar­tisti consiste in questo : ch’egli poteva ripetere un motivo in più opere, mai poteva darne una manifestazione facile e direi momentanea; ogni sua opera è veramente una costruzione so­lida e, per il grado raggiunto in quel momento dall’artista, perfetta. La fecondità di Giotto ha la propria ragione e il pro­prio segreto nella potenza di chiusura d’ogni espressione in se stessa; onde l’artista ogni volta si poneva in grado di ripren­dere la creazione con novità e con perfetto distacco. 

o stesso ordine riposato d’ogni conclusione, la stessa energia con la quale Giotto porta a fondo un dipinto, rendono possibile il rinnovamento, e quindi la creazione nuova.   G. L. luzzatto, L’arte di Giotto, 1928.

Cézanne si manifesta come un erede dei veneziani, non so­lo, ma di tutta la tradizione volumetrica italiana; dalla sua
eccelsa sorgente, Giotto, titanico estruttore di moli poliedriche, a Masaccio che scolpisce le sue figure entro massicci blocchi chiaroscurali.    M. tinti, Italianismo di Cézanne, Pinacotheca , 1929.

Più si osservano queste scene [a Padova], più si resta sog­giogati dalla grandezza dell’artista che, dalle regioni ideali dell’arte dugentesca, ha saputo per sola virtù del proprio genio portare l’arte nella realtà della vita e degli affetti umani, espri­mendosi con forma e tecnica già prossime alla perfezione classica.     C. Gamba, Giotto 1930.

La realtà! Giotto con fermi passi vi giunse fin sotto le mu­ra, sospinse anche la porta, vi sprofondò lo sguardo per com­prenderne il senso, ne misurò la grandezza, ma non varcò la soglia … Giotto ha dunque della realtà la conoscenza: ma non è ancora l’amore. Anzi tra l’amore antico e la conoscenza nuo­va l’arte sua si fa somma perché entrambi li riassume e li su­pera in una sintesi adamantina, nella quale l’aspirazione al divino si scalda di un palpito umano, la tendenza dell’arte medievale si riunisce alla tendenza dell’arte umanistica, pro­feticamente intesa … Precursore, profeta, lampadoforo; ma ancora uomo della vecchia legge, che illumina la via per chi verrà dopo di lui.   L. coletti, L arte di Tomaso da Modena, 1933.

Come Cimabue, Giotto si collega alla scuola romana di pit­tori mosaicisti. Ma l’apporto personale, che basta alla sua glo­ria, è che, pur accettando talune convenzioni prevalenti alla sua epoca, introdusse una grandiosa semplicità di concezione, una forza ancora ignota d’espressione patetica, e un equilibrio di spirituale e sensibile, di natura e pensiero, che si trasmisero a quanti vennero dopo di lui. Perciò, primo in ordine tempo­rale fra i geni pittorici, è vero precursore dell’arte moderna.     P. jamot, Exposition de l’Art Ilalien, Petit Palais, Paris, 1935.

Alla profonda e poetica umanità di s. Francesco, che, in una identificazione ancora più lirica che mistica, sentiva la fratellanza con tutte le cose come la responsabilità universale di tutte le colpe umane, Giotto si avvicinò con penetrante chia­rezza, senza turbamenti mistici o apocalittici, e nel santo es­senzialmente vide l’uomo. Questo senso della dignità umana, sempre altissimo in Giotto, si può controllare [ad Assisi] perfi­no nella noncuranza a seguire un’aneddotica e un’iconografia francescana già allora stabilita, a scendere ad un determinato particolare : s. Francesco non è il santo emaciato e ascetico di Bonaventura Berlinghieri o di Cimabue … Donde nessuna an­datura rapsodica, nessun improvviso entusiasmo, neppure nei Miracoli, nelle Stigmate o nel Crocifisso di S. Damiano, ma la ricerca uguale e inflessibile d’una concretezza umana e non naturalistica, divenuta concretezza figurativa, nel momento che si attua da una coscienza morale per cui la santità, come mas­sima dignità dell’uomo, non appare necessario frutto di allu­cinazioni e di digiuni, ma è la stessa umanità, nella redenzione sociale cristiana dell’uomo, santo in quanto uomo, noi} uomo come santo.         C. Brandi Giotto, le arti, 1938.

A parte la condizione pregiudiziale della chiarezza narrati­va, l’impegno di Giotto fu tutto nell’affermare la dignità del destino umano attraverso il significato materiale della figura umana. Questa è poi rafforzata dal vincolo di una composizione organica dove ogni figura, in virtù della predominante verticalità e del contorno semplificato, viene a trovarsi, da sola o a gruppi, in immediato rapporto coi limiti laterali del qua­dro. In base allo stesso principio le figure si distribuiscono nel senso della larghezza in una continuità che le armonizza anche con i limiti orizzontali. La composizione si avvicina così ad un regolare schema geometrico che ne assicura l’assimilazione en­tro la comice rettangolare …    R. offner, Giotto-non Giotto, “The Burlington Magazine”, 1939.

Le composizioni di Giotto, potentemente drammatiche, rias­sommano l’azione nel momento culminante, spesso cogliendo quello che può suggerire i momenti precedenti e il seguito ridotte ai particolari e alle personae indispensabili, subordinano sempre idealmente i particolari alle figure, all’azione.     P. toesca, Giotto, 1941
… Giotto anche nella sua maturità e sino al termine, fu un instancabile innovatore, perfino di fronte a se stesso.   P. toesca,  Il Trecento, 1951.

Per chi, ora, si collochi al centro del pavimento della Cap­pella [Scrovegni], e cioè nel luogo più adatto ad abbracciare con un solo sguardo la parete in cui si apre l’abside, torna su­bito chiaro, palmare, sensibile fino all’illusione, che i due finti vani [sulla parete del fondo] ‘bucano’ il muro, mirano ad in­tervenire nell’architettura stessa del sacello. All’effetto di ve­ridica illusione convengono le due volte gotiche concorrendo ad un solo centro che è sull’asse della chiesa e cioè nella pro­fondità ‘reale’, esistenziale dell’abside; conviene la luce inter­na che, partendo dal centro, si diffonde inversamente nei due vani, persino sulle colonnine e sugli stipiti delle due bifore;
conviene la luce esterna di cielo che colma l’apertura delle bi­fore stesse non di un oltremarino ‘astratto’ ma di un azzurro biavo che si accompagna a quello (vero) fuor delle finestre dell’abside; al punto che vien fatto di attendersi di vedervi trapassare le stesse rondini che sfrecciano dalla gronda, poco distante, degli Eremitani…     R. longhi, Giotto spazioso, “Paragone”, 1952
Era nel vero … l’antica tradizione nello scorgere nell’arte giottesca l’alta intellettualità e l’insuperato magistero di stile, e insieme la quasi ingenua freschezza e immediatezza di chi sco­pre e rivela i più semplici veri. Sono motivi la cui interdipen­dente verità, la cui reciproca relazione è compito della critica moderna indagare e chiarire. E si comprenderà come sia ideal­mente al termine di una lunga e profonda evoluzione spiritua­le questa semplicità che è frutto di eliminazione e di scelta cosciente; come la forza liberatrice della poesia tale non sa­rebbe, così illuminante e possente, se non avesse quell’humus, quel ‘retroterra’ di riflessione e di pensiero, più vasto di quello di qualsiasi altro artista dell’epoca; come l’essenza del ritmo formale sia nell’impeto nativo dei sentimenti non meno che nella forza che li equilibra e li misura.     C. Gnudi, Giotto 1959.

A Padova … quell’insistenza sull’incisività del contorno, ne­cessaria ad Assisi per arginare il movimento della massa e per
potenziare al tempo stesso il motivo mimico saliente, non ha più ragion d’essere : la continua modulazione delle masse in intimo rapporto col piano risolve in sé ogni tensione. La forma è quasi dolcemente tornita oppure decisamente stagliata se­condo piani piatti, non è più sbalzata dal fondo, come ad As­sisi, da lumeggiature violente. Il polso drammatico vi è ancora più robusto, ma in uno spirito più pacato e sereno : le masse si allargano senza nulla perdere in efficacia di risalto, le com­posizioni tendono a farsi più complesse ma al tempo stesso più serrate e, nel ritmcTpiù lento, più strettamente concatenate.    R. salvini, Tutta la pittura di Giotto, 1962.

È soltanto con Giotto che la spazialità della figura si affran­ca dalla subordinazione alla superficie della parete senza ri­correre all’illusione visiva ne alla suggestione psicologica : le figure sono masse colorate, e la spazialità della figurazione dipinta si coordina bensì allo spazio definito dall’architettura, ma conservando la propria autonomia di spazio pittorico, an­che quando nelle scene figurate appaiono architetture che in­fatti non sono architetture finte o illusorie, ma oggetti o fatti pittorici, come le figure, gli alberi e le rocce.     G. C. argan, Pittura, in “Enciclopedia universale dell’arte”, vol. X, 1963.

… C’è, di nuovo, una chiarezza di nessi, una struttura logica della composizione, una cosciente subordinazione di ogni ele­mento secondario al centro drammatico della narrazione, che è stata a torto definita classica, perché è in realtà solamente giottesca ed è il portato della sua partecipazione piena alla mentalità tendenzialmente laica e razionalistica della nuova borghesia in ascesa. Se questo amore per i discorsi chiari e le strutture logiche non lo portarono mai ad una forma astraente fu però perché egli rimase sempre aperto ai suggerimenti, rinnovantisi ad ogni incontro culturale, delle correnti ‘romanze’ popolari, che erano, soprattutto nella valle padana ma anche in Umbria, ancora vivacissime, e si facevano portatrici dei ri­sultati di una messe immensa di esplorazioni sulla realtà della vita quotidiana sconosciute alla tradizione classicistica dell’Ita­lia centro-meridionale. Esperienza questa che non poteva certo dispiacere al fiorentino il quale, dopotutto, se si dichiarava ‘antico’, lo faceva probabilmente in quanto negli antichi rico­nosceva come Dante i maestri di color che sanno, i possessori del miglior metodo di interpretazione della realtà; ma per il quale non vi poteva essere dubbio alcuno sul fatto che la real­tà che interessa sia quella di questo mondo e contemporanea. Diversamente da Cimabue e allievi … non v’è nessuna vena di nostalgia nel suo classicismo.              G. Previtali, Giotto 1964.

Ciò che assolutizza ogni sentimento è la sua profonda co­scienza che in termini formali diviene un ordine compositivo, chiarezza della trama, monumentalità di ogni commento. L’arte gotica contemporanea a Giotto conosce sentimenti non meno intensi, strazi, sogni, estasi, ma è questa consapevolezza, questo equilibrio a renderli in Giotto più universali e, se è pos­sibile, più eloquenti. Perché in Giotto tutto rientra in una vi­sione superiore che indaga le supreme leggi dell’universo sve­lando i valori della dignità e della libertà umana.    C. semenzato, Giotto: la Cappella degli Scrovegni, 1966.

Citazioni e itinerario critico di Giotto

Citazioni e itinerario critico di Giotto (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Come hanno parlato gli studiosi di Storia dell’arte di Giotto:

Credette Cimabue nella pintura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura.   Dante, Divina Commedia (Purgatorio), 1310.

… il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al na­turale …     q villani, Cronica, 1340.

… ebbe uno ingegno di tanta eccellenza, che niuna cosa da la natura, madre di tutte le cose e operatrice col continuo girar de’ cieli, che egli con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse sì simile a quella, che non simile, anzi piuttosto dessa paresse, intanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo essere vero che era dipinto.

E per ciò, avendo egli quella arte ritornata in luce, che molti secoli sotto gli error d’alcuni che più a dilettar gli occhi degl’ignoranti che a compiacere allo ‘ntelletto de’ savi dipignendo intendevano, era stata sepulta, meritamente una delle luci della fiorentina gloria dirsi puote …  G. boccaccio, Decameròn, 1350 C.

… tabulam meam sive iconam beatae Virginis Mariae, operis locti pictoris egregii, … cuius pulchritudinem ignorantes non intelligunt, magistri autem artis stupent.  F. petrarca, Epislolae de rebus familiaribus, 1361.

Da questo laudabile uomo … uscirono chiarissimi rivoli di pittura; i quali essa pittura rinnovata, emulatrice della natura fecero preziosa e piacevole.    F. villani, De origine civitatis Florentiae et eiusdem famosis cicibus, 1381 e.

… rimutò l’arte del dipingere di greco in latino, e ridusse al moderno; et ebbe l’arte più compiuta ch’avessi mai più nessuno.  C. Cennini, Libro dell’arte, 1390.

Di quinci veggiamo innanzi a Giotto la pittura morta; e maestra di figure da ridere da lui rilevata, e da’ suoi discepoli mantenuta, e ad altri data, esser venuta ad essere in molti quanto più può degnissima.      M. Palmieri, della vita civile 1440.

Fecesi Giotto grande nell’arte della pictura. Arrecò l’arte nuova, lasciò la rozeza de’ greci … Vide Giotto nell’arte quello che gli altri non agiunsono. Arecò l’arte naturale e la gentilezza con essa, non uscendo delle misure. Fu peritissimo in tut­ta l’arte, fu inventore e trouatore di tanta doctrina la quale era stata sepulta circa d’anni 600.   l. ghiberti, Commentarii, 1450.

lile ego sum, per quem pictura extinta revixit, cui quam recta manus, tam fuit et facilis. Natura- deerat nostra; quod defuit arti :
plus licuit nulli pingere nec melius. …
Denique sum Jottus, quid opus fuit illa referre?
Hoc nomen longi carminis instar erit.    A. poliziano, epitaffio di Giotto, 1490.

II pittore avrà la sua pittura di poca eccellenza, se quello piglia per autore l’altrui pittura; ma s’egli imparerà dalle cose naturali farà bono frutto, come vedemo ne’ pittori dopo i ro­mani, i quali sempre imitarono l’uno dall’altro e di età in età sempre mandare detta arte in declinazione. Dopo questi venne Giotto fiorentino il quale, non stando contento a imitare l’opera di Cimabue suo maestro, nato in monti solitari cominciò a di­segnare … e dopo molto studio avanzò non che i maestri del­la sua età, ma tutti quelli di molti secoli passati.   Leonardo, Codice Atlantico; 1500.

… Bene è vero, che come i poeti discrivono ancora il di fuo­ri, così i pittori mostrano quanto più possono il di dentro, ciò è gli affetti, e il primo che ciò anticamente facesse questo … fu Aristide Tebano, e modernamente Giotto.    B. varghi, Lezione nella quale si disputa della maggioranza dell’arti, 1546.

… divenne così buono imitatore della natura che sbandì af­fatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di na­turale le persone vive; il che più di duegento anni non s’era
usato •••      G. Vasari, Le vite, 1568.

… [si trovano ad Assisi] molte pitture a fresco della mano di Cimabue Fiorentino e di Giotto … [pittori] di que’ tempi an­dati, ne’ quali ancor bambina avvolta in fasce se ne stava la Pittura, per dover poscia doppo il corso di 400 anni in circa divenir Gigantessa ne’ nostri giorni.    L. scaramuccia Le finezze de’ pennelli italiani, 1674.

… Egli scoprì tanto, anzi tanto s’inoltrò nella pratica di que­ste eccellenze, che fece stupire tutta quella età … essendo ch’ei mostrasse alcun principio del modo di dar vivezza alle teste con qualche espressione d’affetto, d’amore, d’ira, di timore, speranza e simili; s’accostasse alquanto al naturale nel piegar de’ panni, e scoprisse qualcosa dello sfuggire e scortare delle figure, e una certa morbidezza di maniera, qualità al tutto di­verse che per l’avanti.    F. baldinucci, Apologià a prò delle glorie della Toscana, 1677

Oggi le pitture di Giotto si riguardano. Ma non s’ammira­no, o se l’ammirazione vi s’induce accade in ordine al gran progresso che a fatto l’arte.  F. L. del migliore, Riflessioni e aggiunte alle ‘Vite’ … del Vasari, post 1681

… ne deesi negare che Giotto non alzasse maggior grido d’ogni altro in quell’età; ma che sia rimasto nella tromba della
fama egli solo, e che di più d’altri ne pur si sappia il nome, chiarissima è la ragione perché di lui e degli altri toscani fu scritto, e di quei dell’altre città non fu scritto.   S. maffei, Veruna illustrala, 1732.

… I lavori di Giotto, successore di Cimabue, sono parec­chio meglio, quantunque assai cattivi … Questo gran maestro, tanto esaltato in ogni storia dell’arte, oggi non sarebbe accet­tabile nemmeno per dipingere un’insegna. Eppure, nei suoi scarabocchi, si scorge un certo ingegno, del talento.    C. de brosses, Lettres familtìres ecrites d’Italie, 1739-40

Giotto fece dei quadri che ancor òggi si vedono volentieri.   voltaire, Essai sur Ies moeurs, 1746
Cimabue stesso a paragone di Dante è un miserabile arti­sta, e poco meno l’è Giotto a paragone di Petrarca. Ma Dante e Petrarca eran uomini addottrinati dagli antichi d’ogni ma­niera, laddove Giotto e Cimabue non vedevano fuorché pit­ture e sculture rozzissime, e non aveano scoperte statue greche o romane, come fecero poscia Raffaello e Michelangelo.    S. bettinelli, Del Risorgimento d’Italia, 1775.

Ed io più mi compiaccio di que’ colli torti, che Giotto e Simone [Martini] diedero alle loro figure … che non di quelli affettati che il Parmigianino diede alle sue … [Giotto] nel picciolo supera Simone … ma Giotto a vicenda non è pari a Simone nel fare grande, e variamente composto … [Le figure di Simone] hanno le proprietà di chi è svegliato e comincia ad agire : mentre quelle del pittor fiorentino sono per lo più tra il sonno e la vigilia, o nello stato di chi siede affaticato, o sta ritto per forza.         G della Valle, Lettere sanesi sopra le belle arti, 1785.

Se Cimabue fu il Michelangiolo di quella età, Giotto ne fu il Raffaello. La pittura per le sue mani ingentilì in guisa, che ne verun suo scolaro, ne altri fino a Masaccio lo vinse, o lo uguagliò, almen nella grazia … La simmetria divenne per lui più giusta, il disegno più dolce, il colorito più morbido : quelle mani acute, que’ piedi in punta, quegli occhi spauriti, che teneano ancora del greco gusto, tutto divenne più regolato.    L. lanzi, Storia pittorica della Italia, 1789.

Delle proprie capacità d’inventore e compositore fornisce esempi che possono ancora oggi essere studiati con profitto dall’artista desideroso di eccellere …    W. Y. ottley, Thè Italian School of Design. 1808-23.

Nei più antichi esempi delle pitture dell’età moderna, come in quelli di Giotto … sono evidenti questa complessità, questa varietà e questo carattere simbolico, più pienamente sviluppati nelle più possenti opere di Michelangiolo e di Raffaello.  S. T. coleridge, Generai Character of the Ghotic Mind in the Middle Aee, 1818.

Mai egli è stato superato nella grandezza e nella verità del­l’idea, nel severo, continuo nesso di una singola rappresenta­zione o di una serie di rappresentazioni …   J. D. passavant, Ansichten uber die bildenden Kunste … in Toscana, 1820.

Pur riconoscendo in Dante le grandi qualità d’animo e di spirito, saremo assai agevolati nella valutazione delle sue opere, se terremo presente che proprio ai tempi suoi, nei quali visse anche Giotto, l’arte figurativa risorgeva nella sua forza natu­rale. Anch’egli fu dominato da questo genio della significazio­ne fisico-immaginativa; e fissava con tanta chiarezza gli oggetti con l’occhio della sua immaginazione, da poterli rendere con netti Contorni …             W. Goethe, Dante (Italienische Litteratur), 1826.

… [Egli ha] se non del tutto abbandonato, almeno posposto la tendenza dei predecessori a elaborare nobilmente caratteri sacri e divini, e nell’avere per contro rivolto la pittura italiana verso l’espressione dilazioni e di affetti, nei quali, secondo l’es­senza del monachesimo, il burlesco trovava posto accanto al patetico … Date queste circostanze, non so a cosa tendano alcuni che propongono d’esaltare con tutte le loro forze le diret­tive e la produzione di Giotto, come le più eccelse nell’arte nuova.         C. F. rumohr, Italienische Forschungen, 1827.

Giotto mutò la maniera di preparare i colori fino allora usata, e mutò il concetto e le direttive della rappresentazione pittorica. Egli si attenne al presente e alla realtà; e le figure e gli affetti da lui impresi a esprimere confrontò sulla vita che gli si agitava intorno. Assieme a tali disposizioni, si dette la felice congiuntura che non soltanto, ai tempi di Giotto, i co­stumi divennero più liberi e la vita si fece più gaia, ma inter­venne il culto di nuovi santi, fioriti in tempi prossimi a quello in cui visse il pittore. Tali santi, in particolare, furono prescelti da Giotto, spinto dalla propensione per l’immediato presente. Nel contenuto stesso della sua pittura fu così implicita la natu­ralezza delle figure corporee, la presentazione di caratteri defi­niti, di azioni, passioni, situazioni, atteggiamenti e movimenti. A causa di questa tendenza venne tuttavia perdendosi, relativa­mente parlando, quella grandiosa, sacra austerità, posta a fon­damento nei gradi maggiori dell’arte precedente. Il mondano prese posto e si estese; e, secondo lo spirito del tempo, anche Giotto, accanto al patetico, accolse il burlesco.    G. G. F. hegel, Vorlesung ùber die Aesthetik, 1829.

Robuste, anzi grandiose, ma per niente graziose mi sem­brano le opere di Giotto.      J. G. quandt, in Geschichte der Molerei in Ilalien … von L. Lanzi, 1830.

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Giotto di Bondone: bibliografia

Giotto di Bondone: bibliografia

“Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”, Giorgio Vasari, 1568.

“Sulla cappellina degli Scrovegni nell’Arena di Padova e sui freschi di Giotto in essa dipinti”: Letteratura critica, Pietro Selvatico, Padova, 1836.

“Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, 1: Dai primi tempi cristiani fino alla morte di Giotto” seconda edizione con aggiunta di un’appendice,  Joseph A. Crowe e Giovan Battista Cavalcaselle, Le Monnier, Firenze, 1886.

“Giotto and his works in Padua”, John Ruskin, Londra, 1900 (2ª ed. 1905).

“A history of painting in Italy: Umbria, Florence and Siena from the second to the sixteenth century”, volume secondo: “Giotto and the giottesques”, Joseph A. Crowe, J. Murray, Londra, 1903.

“Giotto und die Giotto-Apokryphen”,  Friedrich Rintelen, Müller,München – Leipzig, 1912.

“Giotto and some of his followers” (tradotto in inglese da Frederic Schenck), Osvald Sirén, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), edizione 1917, (ristampato a New York nel1975).

“Giotto”, Igino Benvenuto Supino, Istituto di edizioni artistiche, Firenze, 1920.

“Giotto”, terza edizione durchgesehen von W. F. Volbach, (Kunstler-Monographien; 43). Velhagen & Klasing, Henry Thode,  Bielefeld – Leipzig, anno 1926.

“Giotto”, (Le vite), Igino Benvenuto Supino, Le Monnier, Firenze, 1927.

Catalogo della mostra giottesca di Firenze (anno 1937) a cura di Giulia Brunetti e Giulia Sinibaldi: “Pittura italiana del Duecento e Trecento”,  Sansoni, Firenze, 1943.

“Giotto. Bibliografia”, Roberto Salvini, Fratelli Palombi, Roma, 1938.

“I primitivi. Dall’arte benedettina a Giotto” (volume primo), Luigi Coletti, Istituto geografico De Agostini, Novara 1941.

“Giotto”, (I grandi italiani. collana di biografie; 18), Pietro Toesca, Utet, Torino, 1941.

“I commentari” a cura di Ottavio, Lorenzo Ghiberti, Morisani, Ricciardi, Napoli, 1947.

“Giotto” (seconda edizione) (Valori plastici), Emilio Cecchi, Hoepli, Milano, 1942 (3ª ed. 1950).

“Giotto”, (Biblioteca moderna Mondadori; pagine 227-228), Carlo Carrà, A. Mondadori, Milano, 1951.

“Tutta la pittura di Giotto” (Biblioteca d’arte Rizzoli; 8-9), Roberto Salvini, Rizzoli, Milano, 1952. (2. ed. ampiamente rinnovata, 1962).

“Giotto, (I sommi dell’arte italiana)”, Cesare Gnudi, Martello, Milano,1958.

“Giotto and Assisi”, Millard Meiss, University press, New York, 1960.

“Giotto spazioso”, in “Paragone” n° 31, Roberto Longhi, 1958.

“La fortuna dei Primitivi”, Giovanni Previtali, Einaudi, Torino, 1964.

“Giotto architetto”, Decio Gioseffi, Edizioni di Comunità, Milano, 1963.

“L’opera completa di Giotto”, apparati critici e filologici di Edi Baccheschi (Classici dell’arte; 3). Rizzoli editore, Milano, 1966.

“Giotto e la sua bottega”, Giovanni Previtali, Fabbri, Milano, 1967.

“Novità su Giotto: Giotto al tempo della Cappella Peruzzi ” (Saggi; 438), Ferdinando Bologna, Einaudi, Torino, 1969.

“Giotto e i giotteschi in Assisi” Canesi, Roma, 1969.

“Arnolfo di Cambio e lo Stil nuovo del gotico italiano”, Angiola Maria Romanini, 1969.

Giotto e il suo tempo: atti del Congresso internazionale per la celebrazione del VII centenario della nascita di Giotto (Assisi-Padova-Firenze, 24 settembre – 1 ottobre 1967) De Luca, Roma, 1971.

“The Assisi problem and the art of Giotto: a study of the legend of St. Francis in the upper church of San Francesco”, Alastair Smart, Clarendon Press, Oxford, 1971.

“Chronica parva Ferrariensis”, con introd. ed. e note di Gabriele Zanella, Riccobaldo da Ferrara, Ferrara, 1983.

“La pecora di Giotto”, (Saggi; 681), Luciano Bellosi, Einaudi, Torino, 1985.

Catalogo completo dei dipinti (I gigli dell’arte; 2): “Giotto”, Sandrina Bandera Bistoletti, Cantini, Firenze, 1989.

“La Madonna d’Ognissanti di Giotto restaurata”, (Gli Uffizi; 8) Centro Di, Firenze 1992.

“Il ciclo di Giotto ad Assisi: struttura di una leggenda” (L’arco muto; 9), Umberto M. Milizia, De Rubeis, Anzio, 1994.

“Giotto”, Francesca Flores D’Arcais, Federico Motta Editore, Milano, 1995. (ed. 2001).

“Giotto: le storie francescane”, (I capolavori dell’arte), Giuseppe Basile, Electa, Milano, 1996.

Catalogo della mostra tenuta a Firenze nel 2000 a cura di Angelo Tartuferi: “Giotto”, Giunti, Firenze, 2000.

“Giotto: La Croce di Santa Maria Novella”, a cura di Max Seidel e Marco Ciatti, Edifir, Firenze, 2000.

“Giotto e Pietro Cavallini, la questione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a fresco”, (Biblioteca d’arte; 5), Bruno Zanardi, Skira, Milano, 2002.

“Giotto: gli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova”, Giuseppe Basile, Skira, Milano 2002

“Giotto a Napoli”, Pierluigi Leone de Castris, Electa, Napoli, 2006.

“Giotto”, a cura di Laura Cavazzini; tradotto da Electra Cannata, (Miniature; 63), Roger Fry, ed. Abscondita, Milano, 2008.

“L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella degli Scrovegni”, (Saggi; 899), Chiara Frugoni, Einaudi, Torino, 2008.

“I volti segreti di Giotto. Le rivelazioni della Cappella degli Scrovegni”, Giuliano Pisani, Rizzoli, Milano, 2008.

“La O di Giotto”, Serena Romano, Electa, Milano, 2008.

“Giotto e il Trecento: il più sovrano maestro in dipintura catalogo” a cura di Alessandro Tomei della mostra allestita a Roma nel 2009 (secondo volume), Skira, Milano, 2009.

“Giotto” (Beck’sche Reihe; 2503), Michael Viktor Schwarz, Beck, München, 2009.

Il linguaggio e lo stile di Giotto

La pittura gotica: Il linguaggio e lo stile di Giotto

Pagine correlate: le opere di Giotto – la critica su Giotto – il Gotico.

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1-giotto-crocifissoGiotto rinnova l’espressione del Cristo sulla croce. Il Crocifisso di Santa Maria Novella a Firenze perde ogni segno di violenza e quindi ogni segno di spossatezza e di sofferenza.

Il Cristo “umano” sarà realizzato – e non soltanto dai suoi seguaci – proteso in avanti sulla croce per tutto il Trecento.

Anche la sua “Maestà” (Pala di Ognissanti, Uffizi a Firenze), opera di grande respiro, servirà come modello agli artisti per tutto il periodo trecentesco. Una figura, quella della Madonna, carica di plasticità e di un equilibrato cromatismo, il cui sguardo pacato e tranquillo è rivolto direttamente verso l’occasionale osservatore. Il suo corpo è armonicamente articolato e diverge verso sinistra dall’asse verticale, il che le conferisce ulteriore umanità

Giotto: Maestà (Madonna di Ognissanti), Galleria degli Uffizi, Firenze
Giotto: Maestà (Madonna di Ognissanti), Galleria degli Uffizi, Firenze

Il Bambino, con il suo robusto aspetto, ha un atteggiamento da Cristo Benedicente, che gli conferisce autorevolezza e moralità. La sua veste a gamme rosse è ben intonata con tutto il contesto. Intorno al trono vi sono i santi e gli angeli, collocati in diversi piani, uno dei quali è superiore a quello della Madonna con il Bambino in trono, ma nonostante ciò, le loro immagini sono di proporzioni minori, tanto che sembrano quasi disperdersi. Al grande senso plastico dei soggetti, in un seppur limitato spazio, concorre certamente il cromatismo dello sfondo con la sua tonalità per nulla aggressiva, per effetto del mosaico, e con le gradevoli tendenze verdoline dei carnati, colpiti in alcuni punti da efficaci riflessi delle vesti. Gli effetti chiaroscurali in quest’opera rispecchiano effettivamente la morbidezza, la giusta fusione e la decisa compattezza, proprie del maestro. Giotto riesce, in maniera eccezionale, a fondere una nutrita articolazione figurativa – propria della pittura gotica – alla sostenuta spazialità di stampo romanico, nello sviluppo di un più maturo linguaggio che troveremo negli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova.

Giotto: Particolare dell'ancella che origlia nell'Annunzio a Sant'Anna (Cappella degli Scovegni, Padova)
Giotto: Particolare dell’ancella che origlia nell’Annunzio a Sant’Anna (Cappella degli Scovegni, Padova)

Nelle opere del periodo padovano, dove domina un sfondo a tinta quasi unita tendente generalmente all’azzurro, spiccano sia le grandi composizioni architettoniche, sia le vitali figure in una gradevole armonia cromatica. Qui Giotto raggiunge la vetta più alta dell’espressività: la composizione tiene fede al rapporto organico tra il cromatismo e le forme dell’architettura, conferendo al contesto una generale uniformità; le parti decorate, la simulazione delle architetture e dei coretti che riproducono accessi sulla parete, sono elementi che rispettano una generale visione unitaria, sia cromatica che prospettica (l’azzurro è dominante in tutte le scene); tutti i riquadri hanno le stesse dimensioni; paragonando queste opere a quelle realizzate in precedenza nella basilica di San Francesco ad Assisi si notano consistenti sviluppi, soprattutto nella stesura del colore, con decise e gradevoli variazioni tonali che accrescono plasticità e spazialità.

Oltre alle articolate composizioni del Giudizio e dell’Annunciazione sui lati brevi, le rimanenti trentasei storie che narrano la vita della Vergine e di Cristo, si ispirano generalmente ad un’iconografia italo-bizantina, con un linguaggio conciso ma più sobrio di quello dominante nella basilica francescana.

Il chiaroscuro è assai più cospicuo nelle variazioni cromatiche, e le figure si distinguono le une dalle altre in una più ricca varietà di umane sfumature. Molto semplificate sono le storie di Giovacchino, solitario nella montagna, e di Anna, dove si riflette poeticamente il genuino scorrere della normale vita casalinga, nell’atteggiamento dell’ancella che nel filare sembra stia ad ascoltare quello che accade intorno ad essa.

Le forme, rappresentate con tanta intensità plastica, sono sempre cariche di una profonda umanità che domina in tutte le storie. La Preghiera dei pretendenti mette in chiara evidenza l’indole umile dell’umano nei confronti della divinità.

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Giotto e la Cappella Scrovegni

Pagine correlate a Giotto e la Cappella Scrovegni: Cenni biografici su Giotto – le opere di Giotto – Cosa ha detto la critica su Giotto – il periodo Gotico nella pittura.

La pittura gotica: Giotto e la Cappella degli Scrovegni

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La pittura giottesca si sviluppa con la ricerca di un linguaggio – come detto nelle pagine precedenti – capace di conferire espressività umane ai personaggi sacri.

Nelle sue opere, le scene più toccanti si consumano in ambienti sempre naturali, dove le architetture vengono rappresentate come scatole in prospettiva, molto spesso iterate per aumentare l’effetto di profondità.

Il forte senso plastico delle figure nella pittura di Giotto, riecheggia ininterrottamente nelle opere realizzate dopo l’esperienza di Assisi. Si prenda ad esempio la Fuga in Egitto con le ripetute pendenze delle rocce che sembrano guidare i pellegrini nel loro cammino; San Giuseppe, la Madonna ed il Bambino Gesù per sottrarsi ad Erode fuggono in Egitto, dopo essere stati informati da un angelo nel sogno. Lo stesso angelo indica al gruppo la giusta via da seguire. Nel gruppo c’è una giovane donna con una corona d’edera sul capo ed altri tre giovani a seguito. Oltre al plasticismo, ottenuto dalle ricche variazioni cromatiche, le figure sono cariche di espressività e di calda umanità.

Giotto: la fuga in Egitto
La fuga in Egitto, cm. 185, Cappella degli Scrovegni, Padova

La Deposizione (o Compianto) è una delle scene più espressive di tutto il ciclo di affreschi, grazie all’impareggiabile vigore di Giotto nella rappresentazione della spazialità, delle immagini e degli atteggiamenti delle figure che circondano il Cristo esanime. Giovanni apostolo, al centro del riquadro e leggermente chino verso Gesù con le braccia aperte, sembra addirittura ripreso in tre dimensioni; Maria ha uno sguardo profondo che manifesta chiaramente la disperazione umana, come pure i dieci angeli che volano agitatamente nel cielo che esprimono con dramma la stessa angoscia. Nella scena, un solo albero privo di foglie riassume sinteticamente con forza la desolazione della natura, dove una roccia, come un lungo ed irreale muro, si fa spazio verso i piani superiori per raggiungere la scena centrale del dolore.

Giotto: La Deposizione, o Compianto
Giotto: Particolare della Deposizione o Compianto (Cappella degli Scrovegni, Padova)

Nella rappresentazione della Salita al Calvario, Giotto conquista la calma e l’ordine, mentre nel Bacio di Giuda con una forte movimentazione di aste e lunghe fiaccole in uno sfondo assai scuro, egli conferisce all’opera un’atmosfera cupa e drammatica della folla che si stringe in direzioni centripete verso i due principali protagonisti, Cristo e Giuda. Il primo ha uno sguardo triste e fermo mentre il traditore è chiaramente turbato in volto. Il grosso mantello che avvolge quest’ultimo riecheggia il malvivente che arresta San Pietro.

Giotto Il bacio di Giuda, Cappella Scrovegni
Giotto: Il bacio di Giuda (Cappella degli Scrovegni, Padova)

Nel maestoso Giudizio finale, presieduto dal Cristo Redentore – giudice imponente ed assoluto – vi sono particolari dettagliatamente descritti riguardo le pene infernali che portano la pur impareggiabile arte di Giotto al semplice carattere illustrativo. Ve ne sono altri – e sono i più numerosi – che invece sono colmi di calda umanità, come ad esempio nella scena dove Enrico Scrovegni  presenta alla Vergine il modello della sua Cappella. Osservando bene la scena (in basso sotto la croce a sinistra) ci si accorge che Enrico è stato raffigurato con le identiche proporzioni delle tre immagini nimbate che stanno accettando l’offerta.

Giotto: Il Il Giudizio Finale (Cappella degli Scrovegni, Padova)
Giotto: Il Il Giudizio Finale (Cappella degli Scrovegni, Padova)

Bibliografia:

  • “The Scrovegni Chapel in Padua” (La Cappella degli Scrovegni a Padova), collana Mirabilia Italiae – Guide, Editore Franco Cosimo Panini, 2005.

  • “I volti segreti di Giotto. Le rivelazioni della Cappella degli Scrovegni”, Giuliano Pisani, Rizzoli, Milano 2008.

  • “Il programma della Cappella degli Scrovegni”, in Giotto e il Trecento, Giuliano Pisani. Il catalogo è a cura di A. Tomei, Skira, Milano 2009, I – I saggi, pp. 113 – 127.

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Giotto in Santa Croce

La pittura gotica:  Giotto in Santa Croce

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Dopo le esperienze di Assisi e di Padova, alla pittura di Giotto è affidata la decorazione delle cappelle Bardi e Peruzzi nella basilica Santa Croce a Firenze (certamente posteriore al 1317, anno in cui viene canonizzato San Ludovico di Tolosa).

Nella cappella Peruzzi vengono narrate le storie di Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, con modelli compositivi obliqui e piuttosto vari, ma sempre costruttivi.

Tra questi non si può non ricordare la Resurrezione di Drusiana, dove in un profondo sfondo in cui si immergono rilievi, cavità, protuberanze e cupole ispirate a Sant’Antonio, vengono integrati due gruppi – uno di fronte all’altro – con simmetrie condizionate dalla candida figura di Drusiana risorta. Qui le figure, elaborate in un linguaggio prosastico classicheggiante, assumono un’importanza solenne.

Giotto: La resurrezione di Drusiana (Cappella Peruzzi, Santa Croce, Firenze)
Giotto: La resurrezione di Drusiana (Cappella Peruzzi, Santa Croce, Firenze) (foto da Wikimedia commons)
Nella cappella Bardi, vengono narrate le storie di San Francesco, dove gli stessi soggetti della basilica superiore di Assisi vengono integrati ed arricchiti con le rievocazioni di Padova, come nella scena della Rinuncia dei beni terreni. Tali integrazioni sono pregevoli modifiche a livello espressivo: c’è meno bipartizione in un impianto architettonico che è visto in profondità senza interromperne la narrazione, che invece la unisce. Le immagini sono più rifinite e la loro struttura anatomica è più armoniosa, grazie anche ad un cromatismo che oltretutto le rende più plastiche.
Giotto: Particolare della rinuncia degli averi (Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze)
Giotto: Particolare della rinuncia degli averi (Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze) (foto da Wikimedia commons)

La scena dei Funerali di San Francesco, narrata in due pitture parietali, rappresenta i funerali del Santo. Qui è certamente meno dettagliata e meno solenne di quella di Assisi, ma è visibile un forte miglioramento in fatto di espressività, sviluppatosi con la maturazione del maestro.

La scena drammatica della morte di San Francesco, collocato in primo piano, è descritta con chiara naturalità, ed i personaggi, uniti intorno al suo corpo esanime e ridotti al minimo, conferiscono alla scena un carattere intimo e familiare.

Nell’opera, contrariamente a quella di Assisi, non vi sono abbellimenti a scopo puramente decorativo come l’accentuazione della luminosità ed i vari effetti chiaroscurali. Negli affreschi della Cappella Bardi i gesti dei personaggi sono più concisi e più carichi di drammaticità.

Quasi tutte le composizioni della cappella Bardi sono centrali e simmetriche, ed hanno una ben ragionata rispondenza di relazione fra narrazioni opposte, concludendosi con una rappresentazione sopra l’arco d’entrata, con San Francesco che riceve le stimmate. Questa scena è ravvivata da sottili e gradevoli effetti di luminosità.

Giotto: I funerali di San Francesco (Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze)
Giotto: I funerali di San Francesco (Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze) (foto da Wikimedia commons)

La pittura di Giotto in tarda maturità si arricchisce sull’ornamentale che vedremo nelle opere realizzate per gli Angioini a Napoli (dal 1330 al 1332) e per i Visconti a Milano (come dicono le documentazioni), oggi perdute.

Nel 1332 Giotto è nuovamente in Santa Croce per la realizzazione di un maestoso polittico per la cappella Baroncelli. La parte centrale, nella sua solida compostezza e con gli angeli nel loro fervore, manifesta il nobile linguaggio di Giotto, nonostante la folta schiera di santi che invade i quattro scomparti laterali, i quali perdono solennità diventando quasi una qualsiasi folla idealizzata dalla sua bottega. La pittura di Giotto dell’ultimo periodo è più classica e ricca di ornamentazioni, e si avvicina di più allo spirito dell’arte trecentesca, dai cui aspetti, presto deriverà la pittura fiorentina.

Concludendo, la pittura del Grande maestro ha una chiara ed intuitiva spazialità in un ambiente assai lontano da quello naturalistico: egli crea, in modo semplice, forme di grande senso plastico, ed i suoi personaggi esprimono la loro vitalità legata principalmente ai gesti. Questi gesti sono carichi di umanità e mai casuali, con un cromatismo sempre astratto. Giotto è perciò un personaggio del Medioevo, ma di grandissima importanza, capace di trasferire con una nuova forza e con classicità, nel mondo dell’alta sensibilità, l’essenza della vita umana.

Giotto: L'Incoronazione della Vergine (Cappella Baroncelli, Santa Croce, Firenze)
Giotto: L’Incoronazione della Vergine (Cappella Baroncelli, Santa Croce, Firenze) (foto da Wikimedia commons)

La pittura di Giotto

La pittura gotica- La pittura di Giotto: Frammenti

Si dice di una leggenda che vede Giotto di Bondone (1266-1337, il cui nome è forse diminutivo di Angiolo o Ambrogio) come pastore nel Mugello, scoperto e incoraggiato alla strada dell’arte da Cimabue.

Anche la sua formazione, pare sia avvenuta sotto la guida di Cimabue. Giotto immette nella pittura del periodo, ancora influenzata dalle ultime ventate della cultura di Bisanzio, una nuova, sana e vigorosa linfa vitale.

Egli, intorno alla fine del XIII secolo, si trova a lavorare ad Assisi, nella basilica Superiore di San Francesco, per la decorazione degli interni, iniziata da Cimabue e poi continuata da importanti maestri della scuola romana.

Il vasto ciclo narrativo su cui opera Giotto come caposcuola, è quello della vita del Poverello, comprendente ventotto storie, alcune da lui realizzate per intero, altre con l’aiuto di coadiuvanti e le ultime quattro che sembra non siano state neanche sfiorate dal suo pennello.

Giotto: La donazione del mantello al povero gentiluomo
Giotto: La donazione del mantello al povero gentiluomo, Chiesa Superiore di   San Francesco, Assisi (foto da Wikimedia commons)

Giotto si ispira alla leggenda francescana di San Bonaventura (Legenda Maior), già narrata con la coloristica degli artisti duecenteschi, raffigurando le storie con una inedita semplicità, che invita l’osservatore a sostare davanti a quelle equilibrate composizioni. Ad esempio nella popolare scena della vita di san Francesco La Donazione del mantello al povero gentiluomo («Or avvenne che si incontrò con un cavaliere nobile, ma povero e malvestito. Mosso a compassione, spogliatosi lo rivestì»), sia il santo che il nobile poverello si evidenziano con un valenza di importante rilievo, collocati in primo piano a confronto di uno sfondo paesaggistico che mantiene tutte le caratteristiche della pittura duecentesca.

Giotto: La rinunzia dei beni terreni
Giotto: La rinunzia dei beni terreni , Chiesa Superiore di San Francesco, Assisi (foto da Wikimedia commons)

Se ben si osservano le pieghe del mantello, oggetto della donazione, si riesce ad intravedere la contrastata ed incisiva luministica di Cimabue. A differenza di questi, è molto marcata la scansione dei vari piani e sono più sviluppate le qualità coloristiche. Le forme ed il modellato, che risultano più compatte, unite al suo più intenso senso spaziale, rilevano le influenze della scuola romana, ed in modo particolare quelle del Maestro Romano (Maestro d’Isacco).Ma Giotto ha un stile personalissimo.

Nella storia della Rinunzia ai beni terreni («L’amante vero della povertà non indugiò un minuto. Eccolo dinanzi al Vescovo. In un baleno, alla presenza di tutti si spoglia e ridona le vesti a suo padre») si trovano due gruppi di persone, l’uno di fronte all’altro in un acceso dibattito, dove spiccano un astioso Pietro Bernardone (gruppo di sinistra) ed un irremovibile Vescovo di Assisi, rigido come la squadrata paesaggistica dello sfondo.

Giotto: La La cacciata dei demoni da Arezzo
Giotto: La La cacciata dei demoni da Arezzo, Chiesa Superiore di San Francesco, Assisi (foto da Wikimedia commons)

Tra questi è collocato San Francesco, in atteggiamento di preghiera con le mani giunte innalzate al cielo e nettamente delineate in un fondo azzurrino. Tutto il resto, compresa la folla collocata in più piani, assume un’importanza secondaria, cioè semplicemente una valenza corale di gruppo.

 La storia della Cacciata dei demoni da Arezzo («Trovandosi ad Arezzo quando la città era tutta sconvolta da lotte, vide demoni esultanti che incitavano i cittadini all’odio. Mandò allora frate Silvestro alla porta della città perché li cacciasse. Questi cominciò a gridare: «In nome di Dio, via di qui demoni tutti») e la scena dell’Estasi di San Francesco danno l’idea della forza giottesca nella raffigurazione delle architetture.

Giotto: L'Estasi di san Francesco
Giotto: L’Estasi di san Francesco , Chiesa Superiore di San Francesco, Assisi (foto da Wikimedia commons)