Sull’opera: “La rinuncia degli averi” è un affresco parzialmente autografo di Giotto, realizzato nel 1325, misura 280 x 450 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi, Santa Croce a Firenze.
La “Rinuncia degli averi” è un’opera autografa di Giotto ma soltanto in parte: il tema è identico a quello raffigurato nella chiesa Superiore di Assisi, anche riguardo i personaggi impiegati, ma in una più decisa e potente determinazione della volumetria e della dilatazione spaziale.
I particolari raffigurati nella presente pagina appartengono ai due gruppi dell’opera di assieme, di cui il secondo (vedi particolare sotto) è certamente autografo di Giotto. Qui sono evidenti i richiami stilistici ai i dipinti della cappella Peruzzi (sempre in Santa Croce).
Sull’opera: “L’Apparizione al capitolo di Arles” è un affresco parzialmente autografo di Giotto, realizzato nel 1325, misura 280 x 450 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi, Santa Croce a Firenze.
Anche qui il tema è lo stesso di quello rappresentato nella Chiesa di Assisi ma si differenzia, come già detto nella pagina della “Rinuncia degli averi”, nella distribuzione delle figure e nell’impianto ambientale, più “determinato con nuova ampiezza dalle tre arcate”, come affermava il Salvini (studioso di storia dell’arte).
L’assieme dell’opera è stata realizzata da Giotto con la collaborazione di altri pittori.
A proposito di questo lo Gnudi affermava che, tranne alcuni interventi di altri artisti, nei visi troppo insistiti e piccoli, l’opera si presenta autografa di Giotto e da considerarsi, “per la novità dell’invenzione prospettica, come per la perfetta, luminosissima stesura pittorica, fra le pagine più alte dell’artista”.
Sull’intera opera: “I dipinti della Cappella Bardi” appartengono ad un ciclo di affreschi di Giotto, realizzato nella Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze intorno al 1325. Alcuni affreschi sono autografi, altri, eseguiti con la collaborazione di altri artisti.
Il ciclo degli affreschi murali della cappella Bardi è custodito nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Fu citato dalle fonti più antiche ad iniziare dal Ghiberti, quindi dal Billi, dall’Anonimo Gaddiano e dal Vasari.
Gli studiosi di Storia dell’arte concordano all’unanimità nel ritenere come autografa di Giotto la grande opera, con piccolissime riserve in alcuni scomparti dove si evidenziano diversi tipi di stile, come vedremo nelle pagine relative ai vari riquadri. Soltanto l’Ortel nelle pubblicazioni del 1949 e 1953 si scostò dal pensiero unanime della critica per proporre l’intero ciclo come opera di Maso di Banco o del Maestro di Figline.
Gli scomparti appartenenti a questo ciclo sono sette, disposti lungo le pareti laterali, di cui una lunetta e due rettangolari per lato, e sul grande arco d’entrata. Gli episodi raffigurano la vita di San Francesco con episodi che richiamano quelli della chiesa Superiore di Assisi. Sulla parete di fondo sono raffigurati quattro santi, collocati ai lati della finestra, dei quali soltanto i due sulla sinistra – Ludovico da Tolosa (in alto) e quello di Chiara – sono in discreto stato di conservazione. Delle altre due figure, collocate sulla destra, è rimasta Santa Elisabetta d’Ungheria (in basso), che si presenta molto rovinata. L’intero ciclo di affreschi fu completamente ricoperto da una scialbatura, probabilmente eseguita nel Settecento (documentazioni certe ci fanno sapere che nel 1730 gli affreschi erano già spariti), e venne riportato all’antico splendore nel 1852.
Alcuni particolari dei riquadri
“La rinuncia agli averi”, particolare, cm. 83 (particolare del gruppo a sinistra realizzato con aiuti).
“La rinuncia agli averi” particolare, cm. 96 (particolare del gruppo di destra, autografo di Giotto).
“L’Apparizione al capitolo di Arles”,particolare, cm. 20 (opera realizzata con collaboratori).
“L’accertamento delle stimmate”, particolare, cm. 31, (opera autografa di Giotto).
“L’accertamento delle stimmate”particolare, cm. 33,5, (opera autografa di Giotto).
“L’accertamento delle stimmate”, particolare, cm. 58,5, (opera autografa di Giotto).
“Santa Chiara, ” particolare, cm. 70 (opera autografa di Giotto).
“La conferma della regola, ” particolare, cm. 29 (opera realizzata con collaboratori).
“L’apparizione a fra Agostino e al vescovo, ” particolare cm. 34,5 (opera realizzata con collaboratori).
“Allegoria della castità, ” particolare cm. 136 (opera recentemente attribuita a Giotto).
Sull’opera: “L’accertamento delle stimmate” è un affresco autografo di Giotto, realizzato nel 1325, misura 280 x 450 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze.
Come i dipinti già presi in esame, anche questo ha un tema simile a quello di due riquadri raffigurati nella Chiesa Superiore di Assisi. L’opera di assieme è autografa di Giotto. Particolare 1, particolare 2
Sull’opera: “Santa Chiara” è un affresco autografo di Giotto, realizzato nel 1325, misura 230 x 70 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi in Santa Croce, Firenze.
La figura di Santa Chiara è collocata nella parete di fondo, sotto quella di S. Ludovico da Tolosa, entrambi a sinistra della finestra.
In questo dipinto vengono rispettate regole dell’iconografia tradizionale. Secondo lo Gnudi ed il Salvini, nella pregiata qualità del dipinto si evidenzia la mano di Giotto.
Sull’opera: “La conferma della regola” è un affresco di Giotto, realizzato con la collaborazione di altri artisti nel 1325, misura 280 x 450 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze.
Lo stesso episodio fu realizzato da Giotto anche nel riquadro della Chiesa Superiore di Assisi ma con una collocazione dei personaggi inversa e in un ambiente architettonico molto diverso.
L’opera è stata eseguita dall’artista ma con la collaborazione di altri artisti.
Secondo gli studiosi di storia dell’arte Gnudi e Salvini, l’esecuzione del dipinto si deve per gran parte a un seguace dell’artista, dalla mano molto raffinata, che rispetta la modulazione stilistica dei riquadri della cappella Peruzzi.
Sull’opera: “L’apparizione a fra Agostino e al vescovo” è un affresco di Giotto, realizzato con collaboratori nel 1325, misura 280 x 450 cm. ed è custodito nella Cappella Bardi, Santa Croce a Firenze.
Anche qui, come nelle altre opere già prese in esame, l’artista riprende la stessa tematica di uno scomparto della chiesa di Assisi.
L’iconografia risulta però diversa nella struttura compositiva. L’opera è stata realizzata con la collaborazione di altri pittori.
Sull’opera: “Allegoria della castità” è un affresco recentemente attribuito a Giotto, realizzato nel 1325 ed è custodito nella Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze.
L’allegoria, recentemente attribuita a Giotto, è raffigurata sulla volta del soffitto.
Questa è ripartita con costolature in diagonale che simulano l’opus cosmatesco* (uno stile) dividendola in quattro settori, contenenti ognuno una mezza figura di Santo, inserita in una cornice lobata. Comatesco: una caratteristica ornamentazione dei marmorari romani molto impiegata nel periodo romanico, consistente negli abbellimenti di cibori, pavimenti, chiostri … ecc.
Sull’opera: “Crocifisso” è un dipinto prevalentemente attribuito a Giotto, realizzato con tecnica a tempera su tavola nel 1313-17, misura 430 x 303 cm. ed è custodito nel Tempio Malatestiano a Rimini.
Non si sono trovate antiche documentazioni riguardo l’opera in esame che fu citata per la prima volta, a distanza di quasi sei secoli (1864), dal Tonini nella “Guida di Rimini”.
La tavola è arrivata ai nostri giorni in uno stato alquanto precario e, per di più, mutilata delle sue parti terminali.A dispetto del rovinoso stato della pittura, emerse subito l’alto pregio del dipinto, ma non si pensò a Giotto fino al 1934, anno in cui il Longhi gliela assegnò con decisione contro il parere di gran parte degli studiosi di Storia dell’arte.
Nel 1935, dopo un’accurata pulitura eseguita nell’anno precedente, il Crocifisso venne esposto alla “Rassegna di Rimini” come opera di “pittore locale intorno al 1310-15” (fonte : Brandi 1935). In quell’anno il dipinto aveva già i requisiti che avrebbero portato la critica ad un forte richiamo verso Giotto, quindi, mancava soltanto che venisse affiancato alle sue opere per stimolare la fantasia degli studiosi. Questo avvenne casualmente due anni dopo in occasione di una mostra a Firenze dedicata a Giotto.
L’attenzione al dipinto ed i riferimenti all’artista furono all’inizio unanimi ma più tardi seguì un significativo ridimensionamento: il Beenken ed il Coletti, che già prima (1936) si erano pronunciati timidamente a favore, ne confermarono l’attribuzione, che venne accolta con qualche riserva Van Marle, Salmi e Suida (1935-37), i quali evidenziarono interventi più o meno consistenti di uno discepolo riminese.
Si pronunciarono poi a favore altri eminenti critici d’arte come la Sinibaldi (1941-42), lo Gnudi (1959), il Salvini (1962).
Sull’opera: “L’ingresso a Gerusalemme” è un affresco annoverato fra le opere di Giotto, realizzato con ampia partecipazione di altri pittori nel 1304-06, misura 200 x 185 cm. ed è custodito nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
In questa composizione vi è stata una ampia collaborazione con altri pittori.
A proposito del gruppo di figure che salutano devotamente l’arrivo di Gesù stendendo gli abiti in terra al suo passaggio, e con particolare riferimento alla donna con il capo coperto, il Selvatico fa curiosamente notare: “capricciosa sconcezza colui che asconde il capo sotto il mantello d’uno prostrato dinanzi al Verbo umanato“.