Biografia di Giovanni Bellini detto il Giambellino

Biografia di Giovanni Bellini (Venezia, 1430 o 33 circa – Venezia, 26 novembre 1516)

Lo stile del Giambellino

La trasfigurazione, cm. 68, Civico Museo Correr, Venezia.
La trasfigurazione, cm. 68, Civico Museo Correr, Venezia.

Giovanni Bellini, soprannominato il Giambellino, nasce a Venezia intorno al 1430-33 e muore nella stessa città il 26 novembre 1516.

L’artista, uno tra gli esponenti più importanti del Rinascimento, eserciterà una grandissima influenza  sui pittori veneti per tutto il Quattrocento e gran parte del Cinquecento: è da lui che nasce il famoso “tonalismo veneto”, dove la profondità viene accentuata dalla caratteristica degradazione delle sue gamme cromatiche. Le tematiche più frequenti sono a sfondo religioso e trattano la vita di Gesù.

La crocifissione è il tema più ripetuto e viene raffigurato sempre in diversi modi, talvolta insieme alla Madonna e a San Giovanni.

Crocifissione, cm. 30, Civico Museo Correr, Venezia.
Crocifissione, cm. 30, Civico Museo Correr, Venezia.

Nella sua pittura giovanile si riconosce l’influenza del Mantegna, suo cognato, pittore a lui molto vicino. Tali influssi si riscontrano – soprattutto osservando l’Orazione dell’orto – nella prospettiva, negli scorci, nella resa volumetrica del figurativo, nel risalto e nell’importanza che l’artista dà ai contorni, nonché nell’impiego degli elaborati schemi di composizione del Mantegna.

Più avanti, Bellini riuscirà a distaccarsi, anche se non del tutto, dagli insegnamenti del cognato raggiungendo una propria maturità stilistica caratterizzata dalla particolare luminosità, dall’armonia delle gamme cromatiche, dalla grandissima sensibilità verso il paesaggio naturale e dalla capacità di lanciare forti segnali emozionali con le sue figure.

Cristo morto, cm. 38, Museo Poldi Pezzoli, Milano.
Giovanni Bellini: Cristo morto, cm. 38, Museo Poldi Pezzoli, Milano.

Alcuni critici leggono nelle sue opere un plasticismo di sapore metafisico, come nei lavori di Piero della Francesca, ed un esasperato realismo umano come nei lavori di Antonello da Messina.

La sua pittura si svilupperà ulteriormente con il passare degli anni e, insieme ad essa, migliorerà anche il suo schema di composizione, che lo porterà ad essere l’unico protagonista del suo tempo.

Il suo stile raggiunge la completa maturazione agli inizi del Cinquecento; la sua tecnica preferita è sempre più spesso quella della tempera ed i suoi lavori saranno le famose pale d’altare raffiguranti la Madonna in trono circondata dai santi, dove le figure, i paesaggi e le architetture si compongono in un perfetto equilibrio di curve di luce e di emozioni.

Bibliografia:

“Un amore di Giovanni Bellini”, Giovanni Agosti, Officina Libraria, Milano 2009.

“Giovanni Bellini, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale)”, a cura di Mario Lucco e G.C.F. Villa,  Milano 2008.

“Giovanni Bellini, in AA.VV., Pittori del Rinascimento”, Mariolina Olivari,  Scala, Firenze 2007.

“Storia dell’arte italiana”, Giulio Carlo Argan, Sansoni, Firenze, 1968.

“Arte nel tempo”, a cura di Pierluigi De Vecchi ed Edda Cerchiari, Bompiani, Sonzogno, 1991.

“Giovanni Bellini”, Stefano Zuffi, Arnoldo Mondadori Arte, Milano, 1991.

Elenco delle opere realizzate da Giovanni Bellini

Elenco delle opere di Giovanni Bellini

Pagine correlate all’artista: Cenni sulla biografia – Le opere – Il periodo artistico – La critica degli storici – Bibliografia.

 I dipinti eseguiti dal Giambellino

Opere realizzate in gioventù, durante la formazione

San Girolamo nel deserto (attribuzione dubbia), anno 1450 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 44 × 23 cm., Birmingham, Barber Institute of Fine Arts.

Cristo morto tra la Vergine e Giovanni Evangelista, anno 1455-1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 52 × 42 cm., Accademia Carrara, Bergamo.

Crocifissione di San Salvador, anno 1455-1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 55 × 30 cm., Museo Correr, Venezia.

Trasfigurazione di Cristo, anno 1455-1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 143 × 68 cm., Museo Correr, Venezia.

Il Cristo in pietà nel sepolcro, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 48 × 38 cm., Museo Poldi Pezzoli, Milano.

Cristo morto sorretto da due angeli, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, Museo Correr, Venezia.

Il Cristo morto sorretto da Maria e Giovanni (Pietà), anno 1460-1465 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 86 × 107 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.

Cristo benedicente, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 58 × 44 cm., Louvre, Parigi.

Madonna col Bambino, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 47 × 31,5 cm., Pinacoteca Malaspina, Pavia.

La Madonna col Bambino, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, Philadelphia Museum of Art, Collezione John J Johnson, Filadelfia.

Madonna Lehman, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 72 × 46 cm., Metropolitan Museum, New York.

La Madonna col Bambino su un parapetto, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 67 × 49 cm., Staatliche Museen, Berlino.

Madonna col Bambino, anno 1460 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 33 × 27 cm., Ashmolean Museum, Oxford.

Altre opere

La Madonna col Bambino, anno 1460-1465, tecnica a tempera su tavola, 78 × 50 cm., Pinacoteca del Castello Sforzesco, Milano.

Madonna col Bambino benedicente, anno 1460-1464, tecnica a tempera su tavola, 79 × 63 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

La Madonna greca (Madonna col Bambino), anno 1460-1464, tecnica a tempera su tavola, 82 × 62 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.

Madonna col Bambino, anno 1460-1464, tecnica ad olio su tela trasferito su tavola, 52 × 43 cm., Museo Correr, Venezia.

La Madonna Lochis, anno 1460-1464, tecnica a tempera su tavola, 47 × 34 cm., Accademia Carrara, Bergamo.

Presentazione al Tempio, anno 1460-1464, tecnica a tempera su tavola, 80 × 105 cm., Fondazione Querini Stampalia, Venezia.

Cristo uomo di dolori e un angelo, anno 1460-1465 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 47 × 34 cm., National Gallery, Londra.

Opere della maturità

Trittico di San Sebastiano (in collaborazione con altri pittori), anno 1464-1470, tecnica a tempera su tavola, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Il Trittico di San Lorenzo (in collaborazione con altri pittori), anno 1464-1470, tecnica a tempera su tavola, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Trittico della Madonna (in collaborazione con altri pittori), anno 1464-1470, tecnica a tempera su tavola, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Il Trittico della Natività (in collaborazione con altri pittori), anno 1464-1470, tecnica a tempera su tavola, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Polittico di San Vincenzo Ferrer, anno 1464-1470 (intorno al), tecnica a tempera su tavola:, Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia.

  •  San Vincenzo Ferrer nel pannello centrale, 167 × 67 cm.
  • Pannelli laterali con San Cristoforo e San Sebastiano, 167 × 67 cm.
  • Angelo annunziante e Vergine Annunziata, 72 × 67 cm.
  • Cristo in pietà, 72 × 67 cm.
  • Predelle con le Storie di Vincenzo Ferrer

Preghiera nell’orto, anno 1465 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 81 × 127 cm., National Gallery, Londra.

Testa del Battista, anno 1465-1470, tecnica a tempera su tavola, tondo, diam 28 cm., Musei civici, Pesaro.

Altre opere

Cristo morto sorretto da due angeli, anno 1465-1470 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 83 × 68 cm., Staatliche Museen, Berlino.

Madonna col Bambino, anno 1465 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 82 × 58 cm., Kimbell Art Museum, Fort Worth.

Cristo morto trasportato dagli angeli, anno 1465-1470 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 94 × 71 cm., National Gallery, Londra.

Crocifisso, anno 1465-1470 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 57 × 41 cm., Galleria Corsini, Firenze.

Crocifissione tra i due dolenti, anno 1465-1470 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 71 × 63 cm., Louvre, Parigi.

Altre opere

Pala di Pesaro, anno 1471-1483 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, Musei civici (uno in Vaticano), Pesaro:

  • Incoronazione della Vergine e santi, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 262 × 240 cm. Musei civici.
  • Caduta di san Paolo, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 40 × 36 cm., Musei civici.
  • Conversione di san Paolo, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 40 × 42 cm., Musei civici.
  • San Gerolamo penitente, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 40 × 36 cm., Musei civici.
  • San Terenzio, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 40 × 36 cm., Musei civici.
  • Compianto su Cristo morto, anno 1471-1474, tecnica ad olio su tavola, 106 × 84 cm., Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.

Madonna Contarini Pietà fra due santi, anno 1472, tecnica a tempera su tela, 115 × 317 cm., Palazzo Ducale, Venezia.

Polittico di Genzano di Lucania, anno 1473-1474 (intorno al), 155 × 190 cm., chiesa di Santa Maria della Platea, Genzano di Lucania.

Altre opere

Cristo morto sorretto dagli angeli, anno 1474 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 91 × 131 cm., Pinacoteca Comunale, Rimini.

Ritratto di Jörg Fugger, anno 1474, tecnica ad olio su tavola, 50 × 38,6 cm., proprietà privata, Milano.

Madonna adorante il Bambino dormiente, anno 1475, tecnica a tempera su tavola, 120 × 65 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

La Madonna col Bambino, anno 1475 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 77 × 57 cm., Museo di Castelvecchio, Verona.

Madonna col Bambino, anno 1475 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 83 × 62 cm., Palazzo Roverella, Pinacoteca dell’Accademia e del seminario a Palazzo Roverella, Rovigo.

La Madonna col Bambino, anno 1475 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 75 × 50 cm., Chiesa della Madonna dell’Orto, Venezia.

Madonna in adorazione del Bambino, anno 1475 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 77 × 56 cm., Collezione Contini Bonacossi, Firenze.

La Madonna col Bambino, anno 1475 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 76 × 53 cm., Staatliche Museen, Berlino.

Madonna Contarini, anno 1475-1480, tecnica ad olio su tavola, 78 × 56 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Altre opere

Ritratto di umanista, anno 1475-1480, tecnica ad olio su tavola, 35 × 28 cm., Pinacoteca del Castello Sforzesco, Milano.

Resurrezione di Cristo, anno 1475-1479, tecnica ad olio su tavola trasferita su tela, anno 148 × 128 cm., Staatliche Museen, Berlino.

Trasfigurazione di Cristo, anno 1478-1479 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 115 × 152 cm., Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli.

Pala di San Giobbe, anno 1480-1485 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 471 × 258 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

San Francesco in estasi, anno 1480-1485, tecnica ad olio su tavola, 120 × 137 cm., Frick Collection, New York.

San Girolamo Contini-Bonacossi, anno 1480 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 49 × 39 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Madonna col Bambino, anno 1480-1485 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 52 × 41 cm., National Gallery of Art, Washington.

Madonna con Bambino, anno 1480-1490 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 78 × 58 cm., National Gallery, Londra.

San Gerolamo leggente nel deserto, anno 1480-1505, tecnica ad olio su tavola, 49 × 39 cm., National Gallery of Art, Washington.

Madonna di Alzano, anno 1485 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 83 × 66 cm., Accademia Carrara, Bergamo.

Altre opere

Ritratto d’uomo con barba, anno 1485 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 13 × 10 cm., Philbrook Museum of Art, Tulsa.

Ritratto d’uomo Madonna dai cherubini rossi, anno 1485 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 77 × 60 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Madonna col Bambino, anno 1485 (intorno al), tecnica ad olio su tavola trasferita su tela, 72 × 55 cm., Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City.

La Madonna col Bambino, anno 1485-1488, tecnica ad olio su tela, 62 × 47 cm., Burrell Collection, Glasgow.

Madonna col Bambino, anno 1485-1490, tecnica ad olio su tavola, 89 × 71 cm., Metropolitan Museum, New York.

Ritratto di giovane in rosso, anno 1485-1490, tecnica ad olio e tecnica a tempera su tavola, 32 × 26 cm., National Gallery of Art, Washington.

Ritratto di condottiero, anno 1485-1500, tecnica ad olio su tavola, 51 × 37 cm., National Gallery of Art, Washington.

Madonna degli Alberetti, anno 1487, tecnica ad olio su tavola, 74 × 58 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

La Madonna col Bambino, anno 1487, tecnica ad olio su tavola, 75 × 59 cm., Museu de Arte, San Paolo del Brasile.

Madonna col Bambino e i santi Pietro e Sebastiano, anno 1487 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 84 × 61 cm., Louvre, Parigi.

Altre opere

Trittico dei Frari, anno 1488, tecnica ad olio su tavola, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia:

  • Pannello centrale con la Madonna col Bambino, 184 × 79 cm.
  • Pannelli laterali con San Pietro e Sant’Agostino e San Marco e san Benedetto, entrambi 115 × 46 cm.

Pala Barbarigo, anno 1488, tecnica ad olio su tela, 200 × 320 cm., chiesa di San Pietro Martire, Murano.

Quattro allegorie, anno 1490 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 32 × 22 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia:

  • La Perseveranza
  • La Falsità
  • La Fortuna
  • La Prudenza

Madonna col Bambino tra le sante Caterina e Maria Maddalena, anno 1490 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 58 × 107 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Madonna col Bambino tra le sante Maria Maddalena e Orsola, anno 1490, tecnica ad olio su tavola, 77 × 104 cm., Museo del Prado, Madrid.

Allegoria sacra, anno 1490-1500, tecnica ad olio su tavola, 73 × 119 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

San Pietro Martire, anno 1490-1500 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 194 × 84 cm., Pinacoteca provinciale, Bari.

Ritratto d’uomo, anno 1490-1500 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 31 × 26 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Altre opere

Angelo annunziante e Vergine Annunziata, anno 1500 (intorno al), tecnica ad olio su tela, entrambi 224 × 105 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Cristo benedicente, anno 1500 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 59 × 47 cm., Kimbell Art Museum, Fort Worth.

Ritratto virile, anno 1500 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 32 × 26 cm., Louvre, Parigi.

Il Ritratto di giovane biondo, anno 1500 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 34 × 26 cm., Pinacoteca Capitolina, Roma.

Ritratto d’uomo, anno 1500 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 31 × 25 cm., National Gallery of Art, Washington.

Compianto sul Cristo morto, anno 1500 (intorno al), disegno su carta, 76 × 121 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista ed Elisabetta, anno 1500-1501 (intorno al), tecnica a tempera su tavola, 72 × 90 cm., Städelsches Kunstinstitut, Francoforte.

Battesimo di Cristo, anno 1500-1502, tecnica ad olio su tavola, 400 × 263 cm., chiesa di Santa Corona, Vicenza.

Testa del Redentore, anno 1500-1502, tecnica ad olio su tavola, 33 × 22 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Piccolo albero con una scritta, frammento, anno 1500-1502, tecnica ad olio su tavola, 31 × 22 cm., Venezia, Gallerie dell’Accademia.

Sacra conversazione Giovanelli, anno 1500-1504, tecnica ad olio su tavola, 75 × 84 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Ritratto del doge Leonardo Loredan, anno 1501, tecnica ad olio su tavola, 62 × 45 cm., National Gallery, Londra.

Crocifisso in un cimitero ebraico, anno 1501-1503, tecnica ad olio su tavola, 81 × 49 cm., Galleria di Palazzo Alberti, Prato.

Altre opere

Predica di san Marco ad Alessandria (in collaborazione con Gentile Bellini), anno 1504-1507, tecnica ad olio su tela, 347 × 770 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.

Madonna del Prato, anno 1505, tecnica ad olio su tela trasferita su tavola, 67 × 86 cm., National Gallery, Londra.

San Girolamo leggente nel deserto, anno 1505, tecnica ad olio su tavola, 49 × 39 cm., National Gallery of Art, Washington.

Cristo portacroce, anno 1505 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 48 × 27 cm., Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi, Rovigo.

Pietà, anno 1505, tecnica ad olio su tavola, 65 × 90 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Pietà, anno 1505 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 103 × 64 cm., Nationalmuseum, Stoccolma.

Realizzazioni dell’ultimo periodo dell’artista

Pala di San Zaccaria, anno 1505, tecnica ad olio su tela trasferito su tavola, 402 × 273 cm., Chiesa di San Zaccaria, Venezia.

Pietà Martinengo, anno 1505 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 65 × 90 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Ritratto di giovane uomo, anno 1505 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 43 × 35 cm., Royal Collection, Windsor.

San Girolamo che legge nel deserto, anno 1505, tecnica ad olio su tavola, 49 × 39 cm., National Gallery of Art, Washington.

Nunc dimittis, anno 1505-1510, tecnica ad olio su tavola, 62 × 83 cm., Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid.

Pala Priuli, anno 1506-1510, tecnica ad olio su tavola, 130 × 64 cm., Museum Kunst Palast, Düsseldorf.

Altre opere

Madonna col Bambino, quattro santi e un donatore, anno 1507, tecnica ad olio su tavola, 90 × anno 145 cm., Chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia.

Continenza di Scipione, anno 1507-1508, tecnica ad olio su tela, 74,8 × 35,6 cm., National Gallery of Art, Washington.

Uccisione di san Pietro Martire, anno 1509, tecnica ad olio su tavola, 67 × 100 cm., Courtauld Institute Galleries, Londra.

Madonna col Bambino, anno 1509, tecnica ad olio su tavola, 84 × 106 cm., Institute of Arts, Detroit.

La Madonna col Bambino, anno 1510, tecnica ad olio su tavola, 85 × 118 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.

Madonna col Bambino, anno 1510 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 94 × 73 cm., High Museum of Art, Atlanta, Georgia.

La Madonna col Bambino, anno 1510 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 50 × 41 cm., Galleria Borghese, Roma.

Vergine in gloria e santi, anno 1510-1515, tecnica ad olio su tavola, 350 × 225 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Santi Cristoforo, Girolamo e Ludovico di Tolosa, anno 1513, tecnica ad olio su tavola, 300 × 185 cm., Chiesa di San Giovanni Crisostomo, Venezia.

Festino degli dei, anno 1514, tecnica ad olio su tela, 170 × 188 cm., National Gallery of Art, Washington.

Altre opere

Bacco fanciullo, anno 1514 (intorno al), tecnica ad olio su tavola, 48 × 37 cm., National Gallery of Art, Washington.

Giovane donna allo specchio, anno 1515, tecnica ad olio su tela, 62 × 79 cm., Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Orfeo in un paesaggio, anno 1515 (intorno al), tecnica ad olio su tavola trasferito su tela, 39 × 81 cm., National Gallery of Art, Washington.

Ebbrezza di Noè, anno 1515 (intorno al), tecnica ad olio su tela, 103 × 157 cm., Musée des Beaux-Arts, Besançon.

Ritratto di fra’ Teodoro da Urbino, anno 1515, tecnica ad olio su tela, 63 × 50 cm., National Gallery, Londra.

Compianto sul Cristo morto, anno 1515-1520, tecnica ad olio su tela, 444 × 312 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Citazioni e critica su Giovanni Bellini

Citazioni e critica su Giovanni Bellini (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore) – Bibliografia

Pagine correlate: Le opere dell’artista – Elenco delle opere – Il periodo artistico – La critica degli storici dal 1550 – La critica (pdf) dalle Vite di Giorgio Vasari – Biografia e vita artistica

Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Giovanni Bellini, detto il Giambellino:

… naturalmente, non si vuoi negare … l’efficacia di Antonello e sull’ambiente veneziano in genere e su Giambellino in ispecie. Solo che essa è stata negativa. Vale a dire che essa ha deviato e ritardato il processo evolutivo della pittura veneziana nel senso della integralità pittorica, alla quale l’aveva già gloriosamente avviata Giambellino colle pale di Pesare, di S. Zanipolo, di S. Giobbe. Questa opinione che sconcerta forse quella corrente su que.sti fatti, ma della quale sono fermamente convinto, si basa oltreché sulla ‘precedenza’ di Giambellino … su altri fatti inoppugnabili e sulle deduzioni che inevitabilmente ne conseguono.    L. coletti, Pittura veneta del Quattrocento, 1953.

Mantegna e Giorgione sono i due poli tra i quali andò sviluppandosi il gusto di Giovanni Bellini. Nel Mantegna il veneziano vide costituita in modo preciso la visione di spazio plastico ereditata dai toscani, e riformata in senso prospettico con un rigore perfino eccessivo. Il Bellini addolcì tale visione, umanizzandola nella liricità del suo colore. Spazio e tempo in Bellini s’identificano nella luce: una luce reale, che il suo colore emana, districandosi da ogni implicazione astratta di forma. Il colorismo del Bellini preparò la strada a Giorgione: come, a sua volta, il tonalismo giorgionesco fecondò il gusto del vecchio Bellini.   R. pallucchini, Giovanni Bellini, 1959.

presto sarà evidente che l’esperienza padovana per il Bellini non fu che un mezzo, un passo per procedere oltre. Dell’amore archeologico e tormentoso del Mantegna per la materia — pietra o metallo che fosse, oro o smalti preziosi — nulla è rimasto al Bellini. Le stesse tipologie donatelliane si stempe.rano subito in una armonia più addolcita, e soprattutto è già avvertibile un uso diverso del colore. Mentre in Mantegna questo era fin dall’inizio, e poi rimase sempre, una specie di ‘sovrastruttura’, qui nel veneziano il colore è l’impegno più forte, che condiziona e costruisce la sua poesia. Non per nulla Giovanni era il figlio di una città dove la tradizione cromatica era sempre stata al centro degli interessi pittorici, come un fiume grandioso e lento, ma sempre ricco e costante.

Basterà ricordare la Pietà del Correr, per avvertire la melo.dia che dal grigio violetto si stinge negli avori e nei bruni più soavi, fino a spegnersi nelle sfumature del cielo. C’è l’intenzione di esprimere con quelle variazioni tonali una patetica religiosità;

c’è soprattutto nello scolorarsi delle carni livide del Cristo morto una trasposizione di sentimento umano in immagine, che caratterizza la personalità di Giovanni. Già ora la lezione del Mantegna può dirsi superata.    T. pignatti, Pittura veneziana del Quattrocento, 1959.

L’arte di Giambellino, tutta penetrata di candore religioso, di serenità e gentilezza d’animo, sembra rappresentare quell’istante privilegiato d’equilibrio tra divino e umano che è il momento ancora aurorale e cristiano del Rinascimento. La lunga operosità, quasi immune, come per uno stato di grazia, da ogni inquietudine e da ogni turbamento, di questo artista, forse il più completo con Raffaello e Tiziano che l’arte italiana abbia posseduto, pare condurre il gracile e composto ritmo bizantino al classicismo razionale, spaziale, e corporeo del Rinascimento, penetrandoli in una calda atmosfera d’umana dolcezza, il cui segreto sta nel colore, sentito nella luce dorata d’un giorno divinamente terrestre.   G. Fiocco, Giovanni Bellini, 1960.

Da quando … uscì il libro del Gronau al 1949, anno della

mostra dedicata, a Venezia, al Bellini, l’opera del grande veneziano si ampliò di sempre nuove attribuzioni e non guadagnò certo di chiarezza, ne di coerenza.

La mostra stessa anzi, come tante altre mostre del secondo dopoguerra, documentò le tappe successive di una vicenda du­rata circa vent’anni e denunciò il gioco arrischiato di una critica che aveva, forse, colmato, con qualche disinvoltura, le lacune esistenti nel vasto corpus belliniano adducendo nuove opere, non proprio intimamente legate a quelle che precedevano o seguivano. Dove vien fatto di osservare che proprio la grande diversità di atteggiamenti assunta dal pittore, sembrò autorizzare gli studiosi a procedere in modo analogo, integrando l’opera del Bellini con dipinti che (come quelli proposti per gli inizi dell’artista) non offrono talora alcun diretto appiglio con quelli che seguono; ma recano solo indizi che conducono, a ritroso nel tempo, verso un’area, molto generica, di cultura, sulla quale poterono per avventura, ma solo in via del tutto ipotetica, fondarsi le prime opere del pittore e non già, come avrebbe richiesto un sano metodo critico, verso almeno un’opera di sicura scrizione e datazione. Il che è veramente un po’ poco.   E. arslan, Studi belliniani, in ‘Bollettino d’Arte”, 1962.

Antonello attraverso l’esperienza belliniana torna a stringere la sua forma nella serrata architettura della pala di San Gassiano o del San Sebastiano di Dresda, mentre il Bellini, attraverso l’esperienza antonelliana, può liberare la conquistata struttura spaziale da ogni sottinteso geometrico (il limite razionale, di cui si diceva) per quella assoluta spazialità cromatica sulla quale s’accampa, con il suo, il paesaggio moderno. Le tarsie coloristiche si convertono in tal modo in praterie cromatiche aperte ad infinitum contro la magica sospensione dei cieli che riempiono delle loro luci, nel variare delle ore e delle stagioni, le giornate delle valli romite e silenziose, abitate dalla vaga bellezza dei suoi sogni. S Bottari, Tutta la Pittura di Giovanni Bellini..

Una grazia tra classica e bizantina amora sempre nei suoi contesti pittorici, trasformando in senso rinascimentale la religio cristiana. Non per nulla l’acuto Boschini lo aveva avvicinato a Raffaello. Pochi artisti ebbero la responsabilità di trasformare il corso di una tradizione come fece il Bellini. Non fu un rivoluzionario come Masaccio o Caravaggio: ma la sua azione non fu meno stimolatrice per il rinnovamento del gusto veneziano.

Accettando la cultura rinascimentale toscana, secondo le premesse mantegnesche, e quindi quelle pierfranceschiane, il Bellini non rinnegò affatto la tradizione veneziana, ma anzi la potenziò in una nuova struttura linguistica, cioè in quel linguaggio tonale che fu basilare per l’avvio alla pittura moderna.

Quella dialettica fra innovazione e conservazione, che è alla base della storia di Venezia, caratterizza anche il percorso dell’arte del Bellini. Mentre egli conserva cioè quanto di più originale e vivo fluiva nella tradizione veneziana, la visione del colore d’oriente e la spiritualità bizantina, egli le imprime una nuova dimensione, quella del Rinascimento.

In questo senso l’umanesimo veneto ha in Giovanni Bellini il suo più alto rappresentante.     R. PALLUCCHINI, L’arte di Giovanni Bellini, in “Umanesimo europeo e Umanesimo veneziano”, 1964.

Dire anche che il Bellini, nel corso del primo decennio del secolo, mentre nella pittura veneta è in espansione il movimento giorgionesco, abbia sviluppato i propri modi espressivi (dalla Madonna del prato in poi) conformemente al giorgionismo, quasi per un’identità poetica, sarebbe del tutto improprio. A parte gli scambi di natura formale, riteniamo di poter conclu­dere che nella serie di opere comprese fra la Madonna di Londra e quella Sannazzari, i problemi artistici comuni a Giorgione e Giambellino dipendano da un comune archetipo di cultura (che è poi il medesimo cui appartiene la formazione umanistica dei committenti.    M. bonicatti, Aspetti dell’umanesimo nella pittura veneta dal 1455 al 1515, 1964.

Non è soltanto un nuovo solvente che produce il colore morbido della pittura del Bellini. In molti punti, e particolarmente nelle rocce, egli distese le velature d’ombra e il verde della vegetazione sopra una campitura di blu-verde leggero. In precedenza, le ombre erano sempre state preparate con colori scuri, e sebbene si cominciasse ad abbandonare questa tecnica già con Masaccio, fu proprio il Bellini, seguendo l’insegnamento dei fiamminghi, a rovesciarla completamente. Le zone oscure della roccia acquistano così una luminosità e una profondità senza precedenti nella pittura italiana. Queste qualità risultano inoltre evidenziate dal metodo delle velature, che il Bellini derivò pure dagli olandesi. In tal modo, per esempio, egli distendeva sopra un fondo di verde una velatura trasparente di bruno. Tanto più la velatura poteva essere distesa irregolarmente, come nella chioma di un grande albero, tanto meglio il pittore poteva modificare la qualità di un verde, sia agendo sul pigmento stesso, sia sulla velatura soprastante. Con tale tecnica il Bellini raggiunse una nuova intensità di colore. L’atmosfera assunse una maggior vibrazione, e la diffusione della luce divenne il merito maggiore della sua pittura.     M. meiss, Giovanni Bellini’s St. Francis in the Frick Collection, 1964.

il confronto tra l’Orazione nell’orto del Mantegna e quella di Giambellino mostra chiaramente i due diversi tipi di accostamento al racconto. Mantegna costruisce un epos storico, con drappeggi neoromani, maschere violentemente espressive e, infine, all’interno di una tradizione scenica consciamente rievocata, stratifica la struttura del dipinto in un proscenio e in un luogo più alto raggiungibile da un ‘praticabile’ (la scala), ove sta il Cristo. Giambellino nel suo quadro invece semplifica le strutture: le pieghe che Mantegna cita dalla plastica romana del II secolo d. C. si dissolvono in una modulazione diversa, non organizzata da una ‘regola’, e soprattutto l’impianto architettonico generale si muta. La gran città storica di Mantegna con le rovine romane, le case medioevali, gli edifici rinascimentali, si trasforma in un paesaggio apertissimo, in una veduta — lontana — di qualche borgo sulla collina veneta. E Bellini ce lo descrive, colpito dalla luce; e la stratificazione architettonica, segnapiano, che qui è creata dalla luce stessa, postula, a nostro vedere fin da adesso, l’esperienza di Piero, conosciuto dunque forse a metà secolo a Ferrara oppure, poco dopo, a Rimini, due tra le più famose corti settentrionali e certo mete di frequenti viaggi di Giambellino.   C. quintavalle, Giovanni Bellini, 1964.

Fin dai primi dipinti, i sentimenti che incontriamo nell’espressione belliniana sfumano in un tono elegiaco. Abbiamo già osservato che non c’è in essi la determinatezza di una passione, come non c’è mai, nell’azione rapida, una drammaticità in atto. Allo stesso modo mancano affermazioni perentorie alla monumentalità del Bellini. Come la sua eroicità è potenziale e viene allentata dalle divagazioni del colore e da una visione panica che annulla le gerarchie, così il significato drammatico delle figure devia in un insieme di rispondenze ritmiche, di correlazioni raffinate e mobili che lo attraggono in una sfera contemplativa. Più che sviluppare una trama dal significato immediato ed evidente, ogni scena s’immerge in un sistema in cui i rapporti sono più sottili, più vasti, ed al di fuori dello schema che apparentemente prevale. È qui che si caratterizza in tutta la sua originalità la pittura di Giovanni Bellini, perché queste assonanze nascono all’interno della volumetria, si affidano alle vibrazioni sottili del colore, alle sequenze delle linee che divengono puro limite di cromie, di luci, di toni.   C. semenzato, Giovanili Bellini, 1966.

La concezione belliniana del rapporto tra figure e paesaggio si risolve in un approfondimento del loro carattere contemplativo. Le figure sono in riposo, oggetti silenti che si collocano con naturalezza nel paesaggio. Nelle sue maggiori pitture di paese — il San Francesco, la Preghiera nell’orto, la Madonna del

prato — il senso di religioso silenzio è senz’altro prevalente. Siccome le figure sono ferme, ne vi è alcun altro suono, tutto il nostro interesse è rivolto alla suggestione dello spazio e della luce, alle sottili allusioni che sono il segreto della pittura di paesaggio.    R. Turner, The Vision of Landscape in Renaissance Italy, 1966.

Benché non ci siano rimaste testimonianze dirette sulla formazione umanistica di Giovanni Bellini, possiamo ricostruire il mondo in cui visse, la fervida spiritualità dei committenti, quali i Contarini, i Marcelle, i Vendramin; degli amici ed ispiratori, come il grande Pietro Bembo; dei colleghi scultori ed architetti, che nella seconda metà del ‘400 erano intenti ad inserire, nella complicata trama del gotico veneziano, organismi architettonici, magari attraverso le sontuose decorazioni policrome. Non è certo un caso che la pala belliniana di S. Giobbe sia incastonata, con le sue architetture illusionistiche, nelle limpide strutture della chiesa rinascimentale, appena terminata; o la pala di S. Giovanni Crisostomo accordi la sua semplice solenne arcata con le strutture rigorose del tempio del Coducci. Se, nella loro immobilità e immediata percezione, le forme figurative ci suggeriscono più facilmente le loro interdipendenze, più arduo è ascoltare la consonanza tra cultura letteraria, o filosofica, e cultura artistica; eppure è impossibile sfuggire alla suggestione di una affinità intellettuale ed umana tra un artista come Giovanni Bellini e un umanista come Ermolao Barbaro (1453-1493), soprattutto per il loro atteggiamento verso la cultura classica, conciliata con lo spirito del messaggio cristiano; o, in un tempo più avanzato, non fantasticare sulle amicizie e gli scambi culturali nella fervida fucina di Aldo Manuzio, nella quale convengono, oltre gli intellettuali veneziani, come il Bembo, studiosi d’ogni parte d’Italia, e dotti bizantini, che aiuteranno il Manuzio ad imprimere un carattere particolare all’Accademia Aldina, purista e filoellenica. D’altra parte, il riesame dell’antica cultura, iniziato nella tipografia aldina con largo spirito eclettico, continua un suo filone, in cui trova posto, ai primi del ‘500, la fervida attività di Erasmo, e si insinua la sua tendenza allo scherzo, di gusto lucianeo.   A. pallucchini, Giovanni Bellini, 1966

Le prime critiche sul Giambellino

Citazioni e critica al Giambellino

Citazioni e critica al Giambellino (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore) – Bibliografia

 Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Giovanni Bellini detto il Giambellino:

O imagine mia celeste et pura; Che splendi più che ‘l sole a gli occhi miei, Et mi rassembri il volto di colei, Che scolpita ho nel cor con maggior cura; Credo che ‘l mio Bellin con la figura T’habbia dato il costume anche di lei: Che m’ardi, s’io ti miro: et per tè sei Freddo smalto, cui giunse alla ventura.   P. bembo, Le rime, 1535.

le cose morte e fredde di Giovanni Bellino, di Gentile e del Vivarino … le quali erano senza movimento e senza rilievo …      L. dolce, Dialogo della pittura, 1557.

Le prime opere di Giovanni furono alcuni ritratti di naturale, che piacquero molto … Fece dopo … una tavola nella chiesa di San Giovanni … La qual opera fu delle migliori che fusse stata fatta insino allora in Venetia.     G. vasari, Le site …. 1568′.

Zambelin per el manco è un Rafael, Per l’idee, per le forme, e diligenza …

Zambelin se puoi dir la primavera Del Mondo tuto, in ato de Pitura:

Perché da lù deriva ogni verdura, E senza lù l’arte un inverno giera.   M. boschini, La carta del navegar pitoresco, 1660.

Alcuni hanno creduto che il maggior merito di Gian Bellino, non dall’originale miglioramento delle vecchie maniere provenisse; ma unicamente dall’aver veduto le belle opere di Gior-gione, e pensarono che il discepolo avesse aperto gli occhi al maestro ; ma non posero mente all’ordine de’ tempi, e non hanno considerato, che varie belle opere di Giovanni fatte furono nella puerizia di Giorgione, in tempo forse ch’egli cominciava ad apprendere i primi insegnamenti di esso Giovanni. Non può negarsi dall’altra parte, che in fine il discepolo fatto già adulto non dasse maggior coraggio al maestro nel colorire e nell’ombreg-giare; ma di tutto ciò nell’esame d’ogni sua opera si parlerà.      A. M. zanetti, Della pittura veneziana, 1771.

Con più felicità condusse altre opere dopo gli esempi di Giorgione. Ideò allora più novamente, e diede più rotondila alle figure, riscaldò le tinte, passò con più naturalezza dall’una all’altra, più scelto divenne il nudo, più grandioso il vestito; e se avesse avuta una perfetta morbidezza, e tenerezza di contorni, a cui mai non giunse, si potrebbe proporre come compito esemplare dello stile moderno.     L. lanzi, Storia pittorica della Italia, 1795-96.

Con un ingegno, forse nella composizione minor del fratello, lo superò di lunga mano nelle altre parti della pittura, perché riuscì disegnatore savio, chiaroscuratore ragionatissimo, e soave poi in tutti que’ volti ed atti in cui era mestieri manifestare la mansuetudine amorosa, la speranza devota, la malinconica aspirazione ai mistici prodigi del ciclo. S’aggiunga, a suprema sua lode, che in tutta la storia dell’arte non vi ha forse altri, da Raffaello in fuori, che al par di lui abbia dato passi più progressivi, dal cominciare di sua carriera fino alla fine. Per la qual cosa, quando si paragonano le sue opere prime con quelle ch’egli condusse decrepito, siamo quasi indotti a credere ch’esse appartengano a secoli differenti, e che più generazioni abbisognassero per valicare una tale distanza: sicché ben si appose chi il disse “il più antico de’ moderni, il più moderno fra gli antichi.      P Selvatico, Storia estetico-critica delle arti del disegno, 1856.

Lasciando al Mantegna lo studio più recondito del classico e gli astrusi problemi della prospettiva lineare, Giovanni Bellini ne imparò quanto bastava allo scopo del colorista. Lasciando al Crivelli il combinare la serenità mantegnesca con la vaghezza degli umbri, ai Vivarini gli effetti più superficiali del realismo padovano, egli potè inoltrarsi fino ai più riposti penetrali del cuore umano, e schivando la rigida maniera bizantina vi sostituì la naturalezza delle espressioni, dalla maestosa serenità sino alla calma beata, all’ardente simpatia ed al geniale sorriso. Sostituì nei suoi dipinti all’effetto pesante e convenzionale dei fondi dorati o di finte pareti, fin allora in uso, ondulazioni di terreno con qualche alberetto o ruscello sotto un limpidissimo cielo azzurro, talora cosparso di crespe nuvolette, oppure v’introduceva qualche fabbrica ed altri accessori, producendo così un insieme più piacevole e naturale. Anche per questo riguardo è notevole il progresso fatto dall’artista, se ne confrontiamo i primi tentativi coi lavori più maturi dell’età progredita. Nulla ritenendo d’orientale, ove si eccettui la pittoresca foggia del vestire, evitando del pari i violenti contrapposti dei colori vivaci e forti, e la debolezza delle tinte troppo chiare fatte risaltare imperfettamente col mezzo di forti scuri nelle ombre, egli si avvicinò alla natura quieta e riposata assai più di qualunque suo con­temporaneo …         G. B. Cavalcaselle – J. A. crowe, Tiziano …. 1877-78.

Molti dei lavori tardi del Bellini hanno già questo carattere: essi sono pieni di quella sottile, raffinata poesia che si può esprimere solo in forma e colore. Pure, essi erano ancora un po’ troppo austeri nella forma, troppo rigidi nel colore, per la gaia, spensierata gioventù del suo tempo.    B. berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, 1894.

Nessuna Galleria d’Europa che si rispetti potrebbe oggidì fare a meno del nome del Giambellino nel catalogo, eppure dalla seconda metà del secolo XVI, sino circa alla metà del nostro, non si pensava quasi più a lui quando si parlava dei pittori veneziani, ma solo ai suoi grandi scolari e successori …    G. morelli, Della pittura italiana. Le Gallerie Borghese e Doria Pamphili in Roma, 1897.

Nel settimo e nell’ottavo decennio, Giambellino mantiene nel disegno vari ricordi mantegneschi ; ideando nuove pose ai gruppi, ora s’allontana ora s’avvicina alle concezioni parallele del Mantegna ; la gamma coloristica muta interamente ; sparisce il risalto tra due tonalità vicine; alla vivacità non frenata di due gradazioni subentra una maggiore armonia, uno studio più raffinato dei passaggi. Così Giambellino progredisce verso la verità della vita, veduta attraverso l’aria che attenua, armonizza ogni tinta; le carni diventano più morbide, le vesti, anche sul disegno antico, piegano naturalmente.    L. Venturi, Le origini della pittura veneziana, 1907.

La Santa Giustina della collezione Bagatti Valsecchi di Mi­lano è uno dei più completi capolavori della pittura italiana del Quattrocento. Persino in un secolo dove il genio abbondava a, tal punto, non si trova un artista tanto grande da non poter esser fatto ancora maggiore dall’attribuzione di una tale pittura.    B. berenson, La Sainte Justine …, in “Gaiette des Beaux-Arts”, 1913.

La trasformazione che il mantegnismo subisce qui [nella pittura di Giovanni Bellini] è opera di un artista che tende a dare allo sbalzo statuario di Mantegna e al suo altorilievo una maggiore larghezza di piani, un contorno più riposato e meno nervoso, che passa cioè dall’altorilievo e dalla finta statuaria allo stacciato del bassorilievo, evidentemente per intenti pittorici, cioè di superficie. Questo è appunto il compito del primo periodo di Bellini. Il senso del bassorilievo era il massimo risultato pittorico che potesse raggiungere un artista ancora aggiogato dall’orbita mantegnesca come Giovanni Bellini: ed era vente bassorilievo il suo, se Pietro Lombardo poteva traspor tarlo talora nel marmo con perfetto risultato estetico.   R. longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana, in “L’Arte’, 1914.

Giovanni sapeva trarre dalla sua lira solo le più delicate armonie. Pareva inebriarsi della dolcezza dei suoni, farsi fanciullo coi fanciulli, per cantare con le loro voci argentine le litanie alla Vergine, e unirsi ai loro giochi, e vivere della loro vita ingenua. Col cuore semplice e pio, offrì alla Vergine i fiori della bellezza primaverile, della gentilezza umana, ai santi porse forme incorrotte, temprate dalla salute eterna e dalla grazia • infinita. Nulla dimenticò dei materiali del suo lavoro : la forma del trono della primitiva Madonna adorante il Bambino dormiente, e perfino le volute fogliate dello scanno, ritornano poi, si ripetono con qualche modificazione, più tardi. Questi ed altri particolari ci danno il modo di comprendere come tutta l’arte di Giambellino, per il continuo assiduo lavoro di elaborazione purificatrice, giunse a scoprire la bellezza: dal minerale, col cadere di mano in mano delle scorie, uscì la purissima gemma.   A. Venturi, Storia dell’arte italiana, 1915.

Intimi nei rapporti sociali, per la stretta parentela (erano cognati), il Mantegna e Giovanni Bellini rimasero differenti e lontani l’uno dall’altro nell’arte loro. Tutto dogma il primo, tutta fede il secondo: l’uno lavorava seguendo un programma, l’altro si affidava alla propria spontaneità; mentre il padovano tracciava una linea schematica a contenere una figura, nel veneziano il contorno era la vibrante esteriorizzazione di una intrinseca energia. Il Mantegna era professionalmente un intellettuale, il Bellini invece non concepì forse mai un’astrazione; il padovano era un romano infervorato, il veneziano non appartenne di proposito deliberato ad alcun tempo o ad alcun luogo. Di conseguenza limitato per necessità il progresso del primo, non mai arrestato nel secondo. La storia dell’arte quasi non annovera grande maestro in cui la fine meno s’allontani dall’inizio come nel Mantegna e tanto se ne distacchi come nel Bellini. Per cinquant’anni Giovanni guidò la pittura veneziana di vittoria in vittoria, la trovò che rompeva il suo guscio bizantino, minacciata di pietrificarsi sotto lo stillicidio di canoni pedanteschi, e la lasciò nelle mani di Giorgione e di Tiziano, l’arte più completamente umana di qualsiasi altra che il mondo occidentale conobbe mai dopo la decadenza della cultura greco-romana.     B. berenson, Venetian Paintings in America, 1916.

Giovanni Bellini non sentì soltanto la poesia realistica dell’anima umana ma bensì quella della natura, come forse nessun altro prima di lui.

In Toscana e altrove vi furono artisti che intesero il valore complementare del paesaggio quale fondo di scena; vi furono artisti che cercarono di risolvere scientificamente i segreti della natura; vi furono artisti che immaginarono paesi di fantasia animati da spiritosi particolari. Giovanni Bellini invece volle riprodurre i paesi come li vedeva e renderne l’incanto naturale. Egli studiò sul vero fin dai primi tempi i rapporti di colore e di tonalità fra i vari elementi paesistici, tra terra nuda e prati, tra acque e rive, tra rocce e piante, tra edifizi in ombra e in luce, tra monti vicini e lontani, e studiò con passione il cielo con le sue sfumature di colore dall’orizzonte alla sommità, così all’alba come al tramonto, con le varie forme di nuvole estese o gonfie, adombrate o lucenti e i conseguenti riflessi sul suolo e sulle cose circostanti. Egli fu il primo a dar un valore compositivo cromatico e illuminativo al cielo; ciò che diverrà una delle caratteristiche della pittura veneziana.     C. gamba, Giovanni Bellini, 1937.

Anche il sentimento religioso che il Bellini espresse in tante sue opere con rara interiorità ebbe un accento di particolare armonia. Una elezione tuttavia umana, ne astratta ne legata al caratteristico, altamente spirituale ma con amoroso studio degli aspetti corporei. Ciò s’avverte in particolare nella figurazione della Madonna, della quale pochi artisti sentirono intimamente l’idealità quanto il Bellini.

D’altra parte la purezza dello stile prova l’intensità di un sentimento sul quale talvolta, magari ingenuamente, gli artisti hanno speculato.

Si comprende quindi come la religiosità stessa del Bellini ci appaia sotto un aspetto classico, improntata ad un ideale di bellezza intimamente legato ad un senso armonico e sintetico degli aspetti formali …                      V. Moschini,  Giambellino, 1943.

Scrivere di Giovanni Bellini è come scrivere la storia della pittura europea. Egli fu davvero una grande figura del Rina.scimento, il figlio di Masaccio e il padre di Giorgione e di Tiziano; ma attraverso costoro egli divenne anche il protagonista di un grande movimento europeo. La storia della sua evoluzione artistica è forse unica. Le premesse delle sue idee si possono scorgere nella vita dei grandi artisti che lo precedettero, da Gioito a Masaccio e a Piero della Francesca; ma nessuno di loro giunse così lontano. Uno sviluppo simile al suo si può trovare in Tiziano o nel Greco e in Rubens; ma egli aveva dato un indirizzo indispensabile a tutti gli artisti futuri, ed essi non avevano fatto che seguirlo. La sua evoluzione tecnica, persino la varietà della sua espressione, sono soltanto un segno esteriore di una rivoluzione della visione, nella quale egli travasò tutta una inedita profondità spirituale e un caldo soffio di vita. Il suo atteggiamento nuovo verso l’uomo e la natura e i mezzi nuovi e particolarmente aderenti con cui li espresse, trasformarono la pittura italiana del Rinascimento nella pittura europea, e misero le basi per il suo sviluppo nei secoli futuri.     ph. hendy  – Goldscheider, Giovani» Bellini, 1945.

Uomo di meditazioni instancabili, mai pago di evocare l’anitico, d’intendere il nuovo e di provarli, egli fu tutto quel che si dice: prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco; eppure sempre lui, caldo sangue, alito accorato, accordo pieno e profondo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia, e il manto della natura. Accordo tra le masse umane prominenti e le nubi alte, lontane, e cariche di sogni narrati; tra le chiostre dei monti e le absidi antiche, le grotte di pastori e le terrazze cittadine, le chiese color tortora del patriarcato e il chiuso delle greggi, le rocche medievali e le rocce friabili degli Euganei. Una calma che spazia fra i sentimenti eterni dell’uomo: cara bellezza, venerata religione, eterno spirito, vivo senso; e una paicificazione corale che fonde e sfuma i sentimenti, dall’alba di rosa al tramonto di viola, secondo l’ora del giorno.    R. longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946.

[Il Bellini] nell’attività giovanile aveva prediletto la vivida luce dell’alba e del tramonto, e sempre, poi, era tornato a raffigurare quei momenti di esaltata emozione quando potevano sottolineare il significato dei suoi temi, come nella Resurrezione del Friedrich Museum di Berlino … Ma, invecchiando, l’artista andò sempre più innamorandosi della piena luce del giorno, in cui tutte le cose possano espandersi ed essere completamente se stesse. Questo è il sentimento che pervade il San Francesco ora nella collezione Frick, vera illustrazione dell’inno al sole di san Francesco. Nessun’altra grande pittura, forse, contiene in così grande numero particolari naturali osservati e resi con incredi.bile pazienza: perché nessun altro pittore è stato capace di dare ad una simile varietà di cose Punita cui perviene solo l’amore …  K. clark, Landscape into Art, 1949.

Le cento e più Madonne non sono temi di un pittore “divoto”, ma semplici spunti al vagare di una fantasia artistica che prende a pretesto la realtà per esprimere, nella trasfigurazione della natura, un’interiore e armoniosa liricità. Il Giambellino non è un pittore religioso, ma un ‘umanista’, privo tuttavia del tormento intellettuale toscano, classico per istinto. E della classicità egli rappresenta il primo tempo : proprio la ‘circoscrizione’ delle forme nello spazio è il segno stilistico di una ‘misura’ che Tiziano con la sua poesia edonistica e Giorgione con la sua romantica sensualità oltrepasseranno.

Il Giambellino resta invece in quella fase platonica del Quattrocento in cui miracolosamente si conciliarono le antitesi del mondo cristiano e pagano.     F. wittigens, Pietà e Madonne di Giovanni Bellini, 1949.

Fu piuttosto Antonello, giunto nell’Italia settentrionale quando già a Venezia grandeggiava l’opera di Giovanni (a non parlare dell’arte di Piero della Francesca, che doveva già essergli nota da tempo), ad aver la rivelazione di un nuovo stile … Non che sia negabile un influsso inverso di Antonello su Giovanni, ma. non fu un influsso eversivo: esso operò nel senso di promuovere nello stile di Giambellino una maturazione di forme plastiche più tornite e serene. Le antiche spezzature, il rovello lineare, di cui qualche intensa vibrazione innerva ancora le forme della pala di Pesare, non torneranno più nelle opere successive, che procedono verso uno stile sempre più disteso e pittorico.    A. M. brizio, Considerazioni su Giovanni Bellini, in “Arte veneta”, 1949.

Continua la critica sul Giambellino

Ritratto del doge Leonardo Loredan di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: Ritratto del doge Leonardo Loredan

Giovanni Bellini: Ritratto del doge Leonardo Loredan
Giovanni Bellini: Ritratto del doge Leonardo Loredan, cm. 45, National Gallery of  London.

Sull’opera: “Ritratto del doge Leonardo Loredan” è un dipinto autografo di Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica ad olio su tavola nel 1501, misura 61,5 x 45 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

In basso, sulla targhetta bianca in campo rosso, si legge la scritta “IOANNES BELLINVS.”.

In precedenza l’opera faceva parte delle “Collezioni Grimani” di Venezia, quindi passò a quelle di Beckford di Fonthill.

La prima attribuzione al Giambellino fu avanzata dal Cavalcaselle nel 1871 con il parere favorevole di altri eminenti studiosi di Storia dell’arte, quindi concordemente accettato dal resto della critica ufficiale.

Per quanto riguarda la cronologia, il Davies (Catalogo della Galleria, 1961) indica un periodo di esecuzione antecedente al 1501, anno in cui il Loredan salì al potere, all’età di sessantacinquenne.

L’opera, che attualmente si trova in ottimo stato di conservazione, è uno dei ritratti più significativi dell’artista, soprattutto per la suggestività e la raffinatezza da orafo, per cui, a proposito di quest’ultima, alcuni critici di storia dell’arte pensarono alla collaborazione con il fratello Gentile, in atto proprio nel corso di tale periodo.

Merita soffermarsi anche sulla ricchezza e sull’armonia delle gamme cromatiche in un gioco di contrasti volumetrici sotto una luce proveniente da due direzioni opposte. Quella che illumina la figura proviene da sinistra, mentre sullo sfondo, il chiarore parte da destra per scurirsi sulla sinistra.

Pietà, o Cristo morto in grembo alla Madonna di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: Pietà, o Cristo morto in grembo alla Madonna

Giovanni Bellini: Pietà
Giovanni Bellini: Pietà, cm. 65 x 90, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Sull’opera: “Pietà”, o “Cristo morto in grembo alla Madonna”, è un dipinto autografo di Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica ad olio tavola nel 1505, misura 65 x 90 cm. ed è custodito nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Il dipinto, in basso, sulle rocce, reca la scritta “JOANNES BELLINVS”. Appartenne alla famiglia Martinengo, poi passò alla collezione “Dona dalle Rose” a Venezia come opera realizzata dagli allievi di bottega del Giambellino (Adolfo Venturi in ‘A”, 1907).

Soltanto nel 1922 si avanzò la prima ipotesi d’attribuzione al Bellini (von Hadein in “ZK”, 1922) che però venne accettata soltanto con riserva dagli altri studiosi di Storia dell’arte e contrastata dal Berenson (1932) e dal Dussler (1935).

Tra i favorevoli all’autografia era il Gronau (1930), al quale seguì l’approvazione del Moschini (1943) ed il cambio di rotta, sia del Dussler (1949) che del Berenson (1957).

Più tardi arrivò la sottoscrizione di altri eminenti critici di storia dell’arte come il Pallucchini (1959), lo Heinemann (1962) e il Bottari (1963). L’opera venne restaurata nel 1935 da Mario Pellicioli.

San Gerolamo leggente in un paesaggio (Washington) di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: San Gerolamo leggente in un paesaggio (Washington)

Giovanni Bellini: San Gerolamo leggente in un paesaggio (Washington)
Giovanni Bellini: San Gerolamo leggente in un paesaggio, cm. 39, National Gallery di  Washington.

Sull’opera: “San Gerolamo leggente in un paesaggio” è un dipinto autografo prevalentemente attribuito a Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica ad olio su tavola 1505, misura 49 x 39 cm. ed è custodito nella National Gallery di Washington.

L’opera è firmata e datata con la scritta “Joannes Bellinus Mcccccv”. Appartenne alle collezioni di Monson e, più tardi, a quelle di Benson, entrambe londinesi.

In precedenza era stato assegnato al Basalti e, soltanto nel 1930, il Gronau l’attribuì al Giambellino con l’approvazione quasi generale degli studiosi di storia dell’arte, tranne  alcuni come il Dussler (1957), lo Heinemann (1962), il Bottari (1963) che espressero qualche perplessità riguardo la stesura paesaggistica.

Anche il Bonicatti si espresse a favore dell’autografia.

Madonna con il bambino, san Giovanni Battista e una santa di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: Madonna con il bambino, san Giovanni Battista e una santa

Madonna con il bambino, san Giovanni Battista e una santa
Giovanni Bellini: Madonna con il Bambino, san Giovanni Battista e una santa, cm. 54 x 76, Gallerie dell’Accademia, Venezia

Sull’opera: “Madonna con il Bambino, san Giovanni Battista e una santa”, o “Sacra conversazione Giovannelli”, è un dipinto autografo di Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica ad olio su tavola nel 1500-04, misura 54 x 76 cm. ed è custodito nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

In basso si legge la scritta “IOANNES BELLINVS”. L’opera apparteneva alla “Collezione Giovanelli” di Venezia.

Prima di essere assegnato al Giambellino dal Longhi (“VA”, 1927),  il quadro aveva avuto altre attribuzioni, tra le quali quelle legate al veneziano Vincenzo Catena ed al bergamasco Andrea Previtali.

La proposta avanzata dal Longhi fu universalmente accettata da tutti gli altri studiosi di Storia dell’arte, eccetto il Dussler (1935).

Per quanto riguarda la cronologia del dipinto, c’è pieno accordo in un’esecuzione intorno 1500. La Meschini Marconi (1955), accettando anche il 1500, ipotizzò un ante quem al 1504.

Questa composizione costituisce uno dei più bei capolavori del Giambellino, che, all’inizio del nuovo secolo, si prepara da affrontare con fermezza le difficoltà intrinseche della dilatazione spaziale nel modo naturalistico.

Dietro le figure che mantengono un distacco “quattrocentesco”, sta uno sfondo alquanto articolato e realistico che rappresenta l’ampia veduta di un porto.

Il battesimo di Cristo (Vicenza) di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: Il battesimo di Cristo (Vicenza)

Giovanni Bellini: Il battesimo di Cristo (Vicenza)
Giovanni Bellini: Il battesimo di Cristo, cm. 263, Chiesa di Santa Corona, Vicenza.

Sull’opera: “Il battesimo di Cristo” è un dipinto prevalentemente attribuito a Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno agli anni 1500 – 1502, misura 400 x 263 cm. ed è custodito nella Chiesa di Santa Corona a Vicenza.

Breve descrizione e storia

In basso a destra, sulle rocce, sta un cartiglio con la scritta “IOANNES / BELLINVS.”

L’opera fu realizzata per essere collocata sull’altare Garzadori della chiesa di Santa Corona, eretto nei primi due anni del Cinquecento (Bortolan, Santa Corona, 1889), ma non c’è pieno accordo da parte degli studiosi di storia dell’arte sul fatto che il periodo d’esecuzione delle due opere coincidesse. Sulla pala, infatti, parte della critica ipotizza una cronologia prossima alla fine del primo decennio per la presenza di particolarità giorgionesche.

L’ArsIan, nel “Catalogo delle cose d’arte …” (1956) avanza l’ipotesi di una collaborazione con il Giorgione per l’esecuzione dell’angelo avvolto dal manto rosso (il terzo sulla sinistra), che peraltro, secondo altri studiosi, porterebbe la cronologia della pala a coincidere con quella dell’altare (1500 – 1502), dal momento che tale collaborazione sarebbe stata possibile solamente durante l’apprendistato del suo celebre allievo durante i suoi primissimi anni trascorsi a Venezia.

Tuttavia non risulta da nessuna documentazione, nonché dallo studio delle opere belliniane, che il Giorgione abbia fatto da assistente al maestro, tantomeno al raggiungimento dell’apice della sua carriera artistica, la quale, come sappiamo, fu traumaticamente interrotta pochi anni dopo (1510) all’età di trentadue anni.

Madonna col Bambino su un prato di Giovanni Bellini

Giovanni Bellini: Madonna col Bambino su un prato

Giovanni Bellini: Madonna del prato
Madonna del prato, cm. 67 x 86, National Gallery di Londra.

        Sull’opera: “Madonna del prato”, o “Madonna col Bambino su un prato”, è un dipinto autografo di Giovanni Bellini detto il Giambellino, realizzato con tecnica ad olio su tavola (trasferito poi su tela) nel 1505, misura 67 x 86 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

L’opera in esame, prima di pervenire alla National Gallery londinese, apparteneva alla “Collezione Farina” di Faenza.

In precedenza era attribuita al Basalti (Frizzoni in “Arte italiana ….” 1891; Cavalcaselle, 1912), quindi venne riconosciuta autografa del Giambellino dal Gronau (1928) al quale seguirono le sottoscrizioni di tutti gli altri studiosi di Storia dell’arte.

Nel 1949 venne trasferita da tavola a tela, e, in seguito ad un restauro si sono rilevate consistenti mancanze di materia coloristica negli incarnati della Madonna e del Bambino.

Per quanto riguarda la cronologia del dipinto, il Davies (1961) gli assegna i primi tre-quattro anni del Cinquecento, accostandolo al Trittico di Berlino – ormai perduto –  datato Gronau in relazione ad esistenti documentazioni dell’altare.

Secondo la critica, l’opera in esame è tra le più belle e significative del Bellini (Moschini, 1943; Pallucchini, 1959; Bottari, 1963).

Il paesaggio dietro alle due figure, ordinato e vivo nei suoi elementi narrativi, assume – soprattutto nella coloristica – una valenza lirica e, allo stesso tempo, di “verità”,  evidenziando l’interesse prevalente del Giambellino, che non si limita alla raffigurazione dei due importanti personaggi in primo piano.