Salvator mundi di Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci: Salvator mundi

Leonardo da Vinci: Salvator mundi, realizzato con tecnica a olio su tavola intorno al 1499, dimensioni 66 x 46 cm., custodito in una collezione privata.
Leonardo da Vinci: Salvator mundi, tecnica a olio su tavola intorno al 1499, dimensioni 66 x 46 cm, collezione privata.

Sull’opera

Il Salvator mundi è un dipinto attribuito a Leonardo da Vinci, realizzato con tecnica a olio su tavola intorno al 1499, misura 66 x 46 cm. ed custodito in una collezione privata.

Leonardo: Salvator mundi presentato con varie ridipinture
Leonardo: Salvator mundi (b.n.) presentato con le varie ridipinture

L’opera si rese pubblica nel 2011 alla National Gallery di Londra, in occasione di una mostra, dopo un delicatissimo intervento di restauro, dove gli rimossero vecchie ridipinture.

L’attribuzione a Leonardo è stata sottoscritta con pareri unanimi da quattro autorevoli studiosi di storia dell’arte a livello internazionale [cit. Panza].

La notizia del ritrovamento del quadro fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Artnews, a cui seguì quella del Wall Street Journal, che dava anche una prima valutazione intorno ai 200 milioni di dollari [cit. Panza].

Nell’estate del 2013 fu acquistata da un privato a 75 milioni di dollari [artsbeat].

Nel novembre 2017 il Salvator mundi è stato battuto all’asta per la cifra record di 400 milioni di dollari, ai quali c’è da aggiungere i 50 come diritti d’asta) [quotidiano la Repubblica, 16 novembre 2017]. Il compratore dell’opera – Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud – è un principe appartenente ad un ramo remoto della famiglia reale saudita.

Storia del quadro

La pregiatissima tavola fu dipinta da Leonardo poco prima che egli si allontanasse da Milano in seguito alla caduta degli Sforza.

Leonardo da Vinci: Studio del Salvator mundi custodito alla Royal Library di Windsor
Leonardo da Vinci: Studio del Salvator mundi custodito alla Royal Library di Windsor

A testimonianza dell’esistenza di un Salvator mundi realizzato dall’artista, di cui si sa che fu commissionato da un privato, rimase qualche studio preparatorio. Tra questi citiamo del castello di Windsor.

L’opera, di cui si persero le tracce fino alla recentissima scoperta, fu anche incisa intorno al 1650 da Wenceslaus Hollar, ma la storia del Salvator mundi leonardesco rimane praticamente sconosciuta [cit. Panza].

Della tavola si sapeva!

Il successo della tavola portò infatti alla realizzazione di innumerevoli riproduzioni. Purtroppo le tracce di queste copie, spesso, hanno contribuito a creare confusione e dirottamenti nella ricerca dell’opera originale.

Leonardo da Vinci: Studio del Salvator mundi custodito alla Royal Library di Windsor
Leonardo da Vinci: Studio del Salvator mundi custodito alla Royal Library di Windsor

Alcuni studiosi ritengono come il “Salvator mundi”, dopo che Milano fu occupata dai francesi, si trovasse in un convento di Nantes.

Si sa invece che quando Wenceslaus Hollar la incise l’opera si trovasse presso le collezioni di Carlo I d’Inghilterra, a cui piacevano molto gli artisti italiani.

Innumerevoli furono, infatti, le opere che il re acquistò nella nostra penisola.

Quando Carlo I venne decapitato il suo patrimonio artistico fu disperso in gran parte nelle varie aste.

Il Salvator mundi di scuola leonardesca

Scuola leonardesca: Salvator mundi di Boltraffio o Marco d'Oggiorno, o Francesco Melzi
Scuola leonardesca: Salvator mundi di Boltraffio o Marco d’Oggiorno, o Francesco Melzi

Un Salvator mundi riapparve nel corso del XIX secolo presso le collezioni di sir Francis Cook ma si scoprì che fosse opera di scuola leonardesca.

Detto quadro in seguito passò tramite acquisto al barone di Lairenty, che lo vendette al marchese de Ganay a Parigi di cui è ancora proprietario.

Trattasi probabilmente, secondo gli studiosi, di un’opera di Francesco Melzi, una derivazione di quella principale di Leonardo da Vinci [cit. Panza].

Altre attribuzioni a questa riproduzione andrebbero a Marco d’Oggiono e Boltraffio.

Le ultime notizie sull’opera

L’opera apparteneva recentissimamente (si parla di qualche giorno fa, e il presente articolo lo stiamo realizzando oggi 18 novembre 2017) a un consorzio di commercianti americani capeggiato da Robert Simon, proprietario e gestore di una galleria d’arte a New York city.

Pochissime sono le notizie circa il precedente acquisto del dipinto, che lo acquistarono in un’asta (2004 o 2006) dedicata ad una vendita immobiliare.

Dopo l’acquisto il Salvator mundi leonardesco passò agli esperti del Metropolitan Museum e del Museum of Fine Arts di Boston per una valutazione. Né il primo, né il secondo museo si pronunciarono riguardo il valore del dipinto.

L’autografia, la valutazione degli esperti e la vendita del novembre 2017

Nel 2010 pervenne alla National Gallery di Londra, dove il responsabile Nicholas Penny incaricò quattro critici d’arte per una valutazione.

I critici erano: Maria Teresa Fiorio e Pietro Marani, studiosi milanesi e autori di vari saggi sul Rinascimento e su Leonardo da Vinci; Carmen C. Bambach, curatrice del dipartimento (sezione grafica) del Metropolitan Museum e Martin Kemp, studioso di storia dell’arte e professore emerito all’Università di Oxford.

I pareri sull’autografia dell’opera sono stati tutti positivi e, subito dopo, si è deciso di farla restaurare ed esporla alla grande manifestazione monografica su Leonardo, aperta al pubblico dal 9 novembre 2011 alla National Gallery di Londra [cit. Panza].

La notizia del ritrovamento del dipinto di Leonardo è stata riportata per la prima volta dalla rivista Artnews, a cui seguì quella del Wall Street Journal che aveva azzardato un valore intorno ai 200 milioni di dollari [cit. Panza].

Il Salvator mundi lo vendettero poi privatamente nel 2013 per 75 milioni di dollari.

Nel novembre 2017 Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud acquistò il dipinto all’asta al prezzo record di 450 milioni di dollari, una cifra pari a 380 milioni di euro, comprendente anche i diritti.

Secondo alcune voci di Twitter, ancora da verificare, il quadro andrà al museo Louvre di Abu Dhabi, negli Emirati.

Descrizione della tavola

La ripresa frontale a mezza figura

La raffigurazione del Cristo è ripresa decisamente in modo frontale e a mezza figura, come voleva la tipica iconografia del tempo (si osservi bene anche il Salvator mundi realizzato da Antonello da Messina, anch’esso custodito nella National Gallery), con la mano destra sollevata nel cenno della benedizione, mentre nell’altra reca il globo, simbolo del suo potere universale [cit. Panza].

La rimozione delle ridipinture

La tavola arrivò nelle mani dei restauratori della National Gallery in pessime condizioni, offuscata dagli eventi del tempo ma soprattutto dalle antiche ridipinture, tanto da farla apparire come un lavoro di bottega.

Barba e baffi del Cristo – di cui si pensa le aggiunsero in seguito alla Controriforma, per adeguare l’immagine alla fisionomia “ufficiale” – le rimossero riportando il volto all’antico splendore..

Le prove autografiche

Già nel corso dei lavori di restauro si scoprì una qualità pittorica di gran lunga superiore alle aspettative: una coloristica del tutto paragonabile al Cenacolo dello stesso Leonardo, come osservò Pietro Marani, uno degli studiosi incaricati dalla National Gallery di Londra.

I toni del color carne sono morbidi e sfumati, come l’artista era solito configurare, mentre il panneggio è ricco di tonalità azzurrine e rosse, che possono essere paragonate a quelle della Madonna delle Rocce della National Gallery.

Infine le analisi scientifiche e le numerose riflettografie eseguite sulla tavola confermerebbero le affinità agli studi preparatori dell’artista [Cit. Panza].

Tra i particolari di miglior maestria spicca il globo che il Salvator mundi reca nella mano sinistra, simulante il cristallo di rocca. Tale raffinatezza testimonia un’approfondita ricerca sulla rifrazione della luce attraverso corpi trasparenti, in perfetta sintonia con gli interessi scientifici del grande artista [Cit. Panza].

L’adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci

Adorazione dei Magi di Leonardo

Leonardo da Vinci: L'adorazione dei magi
L’adorazione dei magi (prima del restauro), 1481-1482, cm . 246 x 243, Uffizi, Firenze.

Sull’opera: “L’ADORAZIONE DEI MAGI” è un dipinto allo stato di abbozzo di Leonardo realizzato su tavola nel 1481-1482, misura 246 x 243 cm. ed è custodito alla Galleria degli Uffizi, Firenze.

Descrizione e storia

Opera rimasta incompiuta ed allo stato di abbozzo in una tonalità giallina e bistro, che fu proprietà della famiglia Amerigo Benci avendola avuta in dono dallo stesso Leonardo quando questi, nel 1482, si trasferì da Firenze a Milano, come scrive il Vasari nel 1568.

Quest’ultimo precisò anche che la tavola era “già” stata in casa Benci (quindi nel 1568 non c’era più).

Nel 1621 l’opera viene vista nel casino mediceo in via Larga, come proprietà della famiglia di Antonio de’ Medici, quindi del figlio Giulio.

Alla scomparsa di questi, nel 1670, l’Adorazione dei Magi venne a far parte della collezione d’arte della Galleria Medicea (oggi gli Uffizi) ed inventariata nei registri del 1704 e del 1753.

Più tardi passò nella villa di Castello per ritornare alla Galleria degli Uffizi di Firenze, esattamente il 21 febbraio del 1794 (fonte: Poggi, “RA” 1910).

Si conoscono i committenti  dell’opera perché certamente si tratta di quella pala richiesta a Leonardo dai monaci del convento di San Donato a Scopeto nella primavera del 1481.

La pala doveva essere consegnata entro due anni o al massimo non superare i sei mesi seguenti. Invece Leonardo non la consegnò mai, tanto che i monaci ne commissionarono un’altra “analoga” a Filippino Lippi che gliela consegnò nel 1496: Anch’essa è attualmente esposta agli Uffizi.

Attualmente (ottobre 2012) la pala è nelle fasi finali di un accurato restauro (Opificio delle Pietre Dure), iniziato alla fine del 2011. Pare che alcuni colori stiano ritornando alla luce.

Dopo il restauro

Leonardo da Vinci: L'adorazione dei magi dopo il restauro, periodo 1481-1482, dimensioni cm . 246 x 243, Uffizi Firenze.
L’adorazione dei magi dopo il restauro, periodo 1481-1482, dimensioni cm . 246 x 243, Uffizi Firenze. (Foto da Repubblica.it)

Il lavoro è durato più di cinque anni, un tempo assai lungo per il restauro di un singolo dipinto.

L’opera in esame la “ricoverarono” d’urgenza a causa della sua progressiva perdita di vigore tonale, ormai arrivata al punto di creare illeggibilità su alcune zone.

Giunta all’Opificio, la tavola, prima che i lavori fossero iniziati, fu sottoposta ad un accurato studio preliminare – durato un anno – con macchinari di controllo tecnico-scientifici all’avanguardia, tra i quali un dispositivo a raggi infrarossi che, sfruttando le differenze dell’ampiezza d’onda, riusciva a rilevare i vari livelli del tratto di pittura.

Due equipe di esperti

Per la pulizia dell’opera

Dopo aver ottenuto una mappa delle problematiche, ebbe inizio il lavoro manuale delle zone in perdizione: un restauro realizzato da un’equipe di cinque esperti. Alcuni di questi si dedicarono alla delicata rimozione di materiale estraneo imparentatosi nell’arco dei secoli nella galleria granducale. Ridonarono così quel tono azzurrino del cielo, il color carne con panneggi originali alle figure e il puro cromatismo della natura.

Per il restauro

Altri esperti di dedicarono al parziale rifacimento, con interventi da certosino, non solo relativi al pregiato strato di pittura ma in un’operazione di microchirurgia sulla tavola di supporto. Questa era gravemente rovinata in 4 zone con con profonde fenditure che avrebbero potuto minare la tenuta stessa dell’opera.

L’inaugurazione dell’opera rinnovata

L’inaugurazione per la nuova esposizione al pubblico è avvenuta il 27 marzo del 2017.

Per saperne di più dell’opera e della pittura di Leonardo entrare nella pagina Pittura di Leonardo 2.

Il Battesimo di Cristo (agli Uffizi) di Andrea del Verrocchio, Leonardo ed altri

Andrea del Verrocchio, Leonardo ed altri: Il Battesimo di Cristo (agli Uffizi)

Andrea del Verrocchio: Il Battesimo di Cristo (agli Uffizi)
Il Battesimo di Cristo, 1475-1478,  olio e tempera su tavola, cm. 177 x 51, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Descrizione e storia

Sull’opera: “Il Battesimo di Cristo” è un dipinto di Andrea del Verrocchio, Leonardo ed altri (tra cui forse il Botticelli), realizzato con tecnica a olio tempera su tavola intorno al 1472-78, misura 177 x 151 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze. 

La composizione in esame la commissionarono per il monastero vallombrosano di San Salvi nel periodo in cui la produzione artistica del Verrocchio era considerata  come la più pregiata nell’area fiorentina. Il Vasari nelle Vite ne descrisse la genesi, che nel 1854 fu confermata dalle analisi radiografiche.

Il Vasari ricorda

Sempre a proposito dell’opera il Vasari ricordava: … Andrea del Verrocchio […] faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un Angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’Angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui. Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Vita di Lionardo da Vinci pittore e scultore fiorentino (1568). »

L’intervento del Verrocchio e quello di pregiati aiuti

Come riportato dal grande storico dell’arte, il Verrocchio impostò completamente la composizione dipingendo – solo in parte – le figure del Cristo e di Giovanni Battista. Pertanto si evidenzia il suo stile lineare, ma snello e vigoroso, derivato dal continuo lavoro di oreficeria. Ad opera ancora in piena fase d’esecuzione intervenne – probabilmente – Sandro Botticelli, autore del volto dell’angelo al lato di Cristo, ed un aiutante di livello mediocre, responsabile dello sfondo paesaggistico roccioso a destra e della palma a sinistra.

L’intervento leonardesco avvenne soltanto nella fase finale, con la raffigurazione dell’angelo inginocchiato e l’uniformazione della paesaggistica con le figure. Anche la rifinitura con le velature del paesaggio sulla sinistra è suo.

I due eminenti esponenti della pittura rinascimentale dell’arte erano in quel periodo allievi nella bottega del Verrocchio.

La pala la trasferirono nel monastero di Santa Verdiana. Quindi, durante le soppressioni, nella Galleria delle Belle Arti insieme ad altre numerosissime opere d’arte di pregiato valore, confluitevi dalle chiese fiorentine.

Quando nel 1810 avvenne la ridistribuzione delle collezioni presenti a Firenze, la tavola pervenne agli Uffizi.

Ritratto di musicista di Leonardo

Leonardo: Ritratto di musicista

Leonardo: Ritratto di Musicista
Ritratto di Musicista, olio su tavola, 1490 cm. 44 x 32 (Milano, Pinacoteca Ambrosiana).

Sull’opera: “Ritratto di musicista (Franchino Gaffurio)” è un dipinto di Leonardo realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1490, misura 44 x 32 cm. ed è custodito nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Il musicista effigiato da Leonardo fu individuato, in formula abbastanza dubitativa, in Franchino Gaffurio, l’allora maestro di musica della cappella del duomo di Milano, che abitualmente frequentava la corte ducale, e, quasi certamente aveva rapporti di amicizia con l’artista.

Del maestro musicista si conosce la data di nascita (1451), e quindi, l’effige dell’opera può effettivamente corrispondere ad un uomo di trentanove anni.

A suffragare tale teoria potrebbe essere l’edizione “Pratica musica” del Gaffurio uscita nel 1496 i cui disegni, realizzati da Leonardo per le incisioni, provano stretti rapporti di collaborazione.

Ritratto di donna (Pinacoteca Ambrosiana) di Leonardo

Leonardo: Ritratto di donna (Pinacoteca Ambrosiana)

Leonardo: Ritratto di donna (Pinacoteca Ambrosiana)
Ritratto di donna, 1490,  51 x 34 cm, Pinacoteca Ambrosiana Milano.

Sull’opera: “Ritratto di donna La danna dalla reticella di perle; Beatrice d’Este?” è un dipinto di Leonardo realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1490, misura 51 x 34 cm. ed è custodito nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Per analogie (origine del supporto ligneo pittorico, dimensioni, cromatismo) con il Ritratto di musicista, raffigurato nella pagina precedente, questa effige fu legata per moltissimo tempo al Maestro musicista Gaffuro, diventato duca di Milano. Più tardi invece, nel tardo Ottocento, fu messa in relazione a Ludovico il Moro.

Ad originare la prima tesi fu l’illustrazione del dipinto nel Musaeum e quindi la catalogazione come donazione di Federico Borromeo (1618) del ritratto di una “duchessa di Milano dal mezzo in su di mano di Leonardo”.

Il fatto che l’effige fosse di una duchessa milanese non fu mai messo in dubbio, tanto che fu titolato Ritratto di Beatrice d’Este, ma nell’Ottocento alcuni documenti provarono che il presunto duca sarebbe stato un musicista non presente nella donazione, e probabilmente proveniente dall’ambiente romano.

Da questo periodo cadde la tesi che legava le due tavole.

Bacco (Louvre) di Leonardo da Vinci

Leonardo: Bacco (Louvre)

Leonardo: Bacco (Louvre)
Bacco, 1511-1515, 177 x 115 cm. Louvre, Parigi.

Sull’opera: “Bacco” è un dipinto di Leonardo realizzato con tecnica ad olio su tavola (trasportato su tela) tra il 1511 ed il 1515, misura 177 x115 cm. ed è custodito al Louvre, Parigi.

L’opera in esame nacque come rappresentazione della figura di San Giovanni Battista e,  come riportano le varie documentazioni, proviene quasi certamente dalla collezione di Francesco I. Il dipinto con San Giovanni Battista apparve per la prima volta al castello di Fontainebieau e fu visto da Cassiano del Pozzo (1625) che scriveva: “… S. Giovanni nel deserto. La figura, minore di un terzo del vero, è opera delicatissima ma non piace molto perché non rende punto di devozione ne ha decoro ovvero similitudine: è assise a sedere, vi si vede sasso e verdura di paesi con aria” (Biblioteca Vaticana, ms. Barberiniano latino 5688).

Da come il tema viene descritto, non può essere altro soggetto che quello rappresentato nell’opera.

Tra il 1683 ed il 1695 avvenne la trasformazione di San Giovanni Battista in un dio pagano con aggiunte e modifiche: la corona di pampini, la pelle di pantera, l’uva, la modifica della capigliatura e la trasformazione in tirso della croce.

I raggi X evidenziarono questi interventi ma non stabilirono la netta separazione cronologica fra la pittura di Leonardo e quella appartenente al pittore dell’intervento posteriore, in quanto l’opera – per essere trasferita dalla tavola alla tela – subì un trattamento di cerussa, sostanza questa che impedì parzialmente ai raggi X di impressionare chiaramente la pellicola.

La Gioconda – Monna Lisa di Leonardo

Leonardo da Vinci: La Gioconda

Leonardo: La Gioconda (Monna Lisa)
La Gioconda (Monna Lisa), 1503-1505,  cm. 77 x 53, Louvre, Parigi.

Sull’opera: “La Gioconda (Monna Lisa)” è un dipinto di Leonardo realizzato con tecnica ad olio su tavola tra il 1503 ed il 1505, misura 77 x 53 cm. ed è custodito al Louvre, Parigi.

Descrizione e storia della Gioconda

Quello della Gioconda è il solo dipinto la cui paternità non sia mai stata messa in dubbio da nessuno in cinque secoli.

Stessa cosa si potrebbe dire per il suo Autoritratto a sanguigna (custodito a Torino) e per il ritratto su cartone effigiante Isabella d’Este (Parigi, Museo del Louvre).

La totale documentazione dell’opera in esame è abbastanza precisa e dettagliata, anche se in alcuni piccoli particolari non tutti gli studiosi sono d’accordo.

Dubbi invece sono sorti sul’identità dell’effigiata (fino al 2005 come vedremo).

La prima volta che l’opera venne menzionata fu quella di Antonio de Beatis nel suo diario: il 10 ottobre 1517, durante una sua visita a Leonardo che si trovava al castello di Cloux, egli scriveva di tre quadri, uno di “…..certa donna Fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de Medici, l’altro di S. Joane Battista giovane, et uno della Madonna e del figliolo che stan posti in grembo a S. Anna. tutti perfettissimi”. Più tardi il Vasari scriveva nel 1550 (e poi ancora, diciotto anni dopo): “Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatevi, lo lasciò imperfecto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableu”.

A questo segue una dettagliatissima descrizione rivolta soltanto alle caratteristiche del volto, alcune delle quali, se confrontate con quelle attuali, non corrispondono assolutamente alla verità: ad esempio parla di ciglia che la nostra Gioconda non ha.

Qui il Vasari potrebbe probabilmente riferirsi addirittura ad un altro ritratto di Leonardo o ad una copia della stessa Gioconda. Per quanto riguarda la cronologia è probabile che l’opera fu iniziata intorno al 1503.

Dal ritratto si riconosce una certa corrispondenza all’età dell’effigiata Lisa Gherardini nata nel 1479 ed andata in sposa a Francesco Bartolomeo del Giocondo nel 1495. Ma non si ha la certezza che nel ritratto sia rappresentata proprio lei. A proposito di questo, nel corso di questi cinque secoli sono stati versati fiumi di inchiostro, la maggior parte inutilmente perché risulta pressoché unanime il fatto che l’effigiata sia proprio la Gherardini come asserisce il Vasari e Cassiano del Pozzo.

Lisa sarebbe appartenuta ad un ramo secondario della famiglia Gherardini che venne esiliata nel corso della guerra tra i guelfi ed i ghibellini. Ma Antonio de Beatis – come abbiamo già accennato sopra – in visita a Leonardo insieme al più celebre cardinale di Francia, quando fu nelle vicinanze del quadro apprese, dallo stesso Leonardo, che so trattava di “certa donna Fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de Medici”: un’amica di Giuliano de Medici quindi, l’effige della quale, si diceva, egli riconsegnò all’artista dopo aver sposato Filiberta di Savoia. Probabilmente sarà così oppure, come altri asseriscono, non proprio così!. Potrebbe essere che l’amica del “quondam Juliano” fosse stata effettivamente la Lisa Gherardini, cioè la Gioconda che sicuramente (da documentazioni) già faceva parte delle collezioni della casa reale.

Tralasciando tutto il seguito delle svariatissime scritture e numerosissime testimonianze, arriviamo ai nostri giorni, nel 2005, quando il Professor Veit Probst (1958 Heidelberg), eminente storico e attuale direttore della Biblioteca di Heidelberg in Germania, parla di un ritrovamento effettuato dallo studioso Armin Schlechter (1960 Heidelberg) riguardo una nota recante la data del 1503 che testimonia in modo inequivocabile l’identità di Lisa Gherardini e quindi la tesi del Vasari.

Nella nota il Cancelliere fiorentino Agostino Vespucci (segretario o collaboratore di Machiavelli) afferma che Leonardo da Vinci sta raffigurando Lisa del Giocondo: “Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris virginis. Videbimus, quid faciet de aula magni consilii, de qua re convenit iam cum vexillifero. 1503 octobris”.

Perché la Gioconda si trova in Francia

Fu lo stesso artista a trasferire l’opera nel 1516 in Francia. Si suppone dovette essere poi acquistata – insieme ad altri dipinti – da Francesco I, per la consistente somma di 4.000 ducati d’oro.

Dopo poco più di un secolo, nel 1625, un ritratto dal titolo “La Gioconda” veniva descritto dettagliatamente da Cassiano dal Pozzo insieme ad altre opere appartenenti alle collezioni dei reali di Francia.

Sembrerebbe che la suprema opera, fin dal 1542, facesse parte degli ornamenti del castello di Fontainebleau (in particolare quelli della “Salle du bain”).

Più tardi fu trasferita da Luigi XIV a Versailles e quindi, dopo la Rivoluzione francese, fatta pervenire al Museo del Louvre. Napoleone Bonaparte se ne impossessò personalmente per breve tempo (poi fu riportata al Louvre) facendola appendere in una parete della sua camera da letto. Durante la Guerra Franco-Prussiana del 1870-1871 la Gioconda venne nascosta in un posto sicuro custodito da persone affidabili.

Il furto

Il furto della grande opera avvenne di domenica (o di lunedì), la sera del 20 Agosto 1911 (o la mattina del giorno seguente).

Il momento del furto non fu casuale perché corrispondeva alla chiusura di un giorno del museo.

Della clamorosa sottrazione venne subito sospettato il poeta francese Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicky, meglio conosciuto come Guillaume Apollinaire (Roma, 1880 – Parigi, 1918), che venne arrestato il 7 settembre.

In precedenza aveva più volte fatta esplicita dichiarazione di voler distruggere le opere custodite nei musei per sostituirle con quelle della nuova arte. In tale occasione fu chiamato a rispondere anche Pablo Picasso, ma entrambi furono poco dopo rilasciati. I sospetti si spostarono poi sull’Impero tedesco, all’epoca nemico della Francia.

Ormai si incominciava a pensare che il dipinto non dovesse più riapparire: il vuoto lasciato dalla Gioconda nel Museo del Louvre fu riempito provvisoriamente da un’opera di Raffaello, il “Ritratto di Baldassarre Castiglione”.

Si venne a sapere più tardi che Vincenzo Peruggia, un ex-impiegato del Museo, originario di Dumenza (comune italiano nel Luinese), convinto che il dipinto – realizzato da un pittore italiano – fosse esclusiva proprietà dell’Italia e che quindi non dovesse rimanere in Francia, lo aveva trafugato uscendo a piedi dal Louvre tenendolo semplicemente nascosto nel suo cappotto.

Riposta la Gioconda dentro una valigia, tenuta sotto il letto di una piccola pensione parigina, la portò quindi a Luino con il preciso intento di farne dono alla nazione Italia, reclamando anche delle garanzie sul futuro dell’opera  che sarebbe dovuta rimanere nel suo paese: era infatti convinto che la Gioconda fosse stata rubata dalle truppe napoleoniche. Venne scoperto ed arrestato soltanto quando, nel 1913, cercò di venderla ad Alfredo Geri, un antiquario di Firenze.

Il quadro, realizzato in Italia da un artista italiano, con il clima di amicizia che allora regnava nei rapporti tra le due nazioni, rimase ancora nel nostro Paese per diverso tempo, seguendo un preciso programma itinerante: Uffizi a Firenze, ambasciata francese di Palazzo Farnese a Roma, Galleria Borghese (periodo natalizio) e poi …… il definitivo ritorno alla sede naturale.

Voci sulla vendita della Gioconda ai tempi del covid 19

Nel maggio del 2020 circolano voci clamorose sulla Gioconda: viene messa in vendita al prezzo di 50 miliardi. Per alcuni è una boutade, per altri potrebbe essere un affare, per altri ancora invece la cosa fa semplicemente rabbrividire.

Stephane Distinguin, un conosciutissimo imprenditore nel campo delle nuove tecnologie, sostiene che la vendita del più famoso quadro di tutti i tempi potrebbe risollevare le precarie risorse economiche della cultura francese. E pare speri che il già martoriato popolo italiano (la prima vittima europea del covid 19) faccia la sua parte nell’acquisto, impossessandosi di nuovo del quadro.

La Gioconda – come appare dalle pagine di tutti i quotidiani del mondo – pare sia stata messa in vendita all’incredibile prezzo di 50 miliardi di euro. Un’assurda cifra che, per l’appunto, nessuno può stabilire se trattasi di richiesta troppo alta, oppure miseramente bassa.

La terribile crisi economica che sta subendo l’Italia non potrebbe infatti permetterci di effettuare questo pesantissimo travaso di soldi in un Paese, per giunta, più ricco e meno colpito dal covid. Questo virus risulta essere il principale responsabile del prosciugamento delle casse dei musei di tutto il mondo, quindi, proprio per rimediare a questa sciagura, l’imprenditore Stéphane Distinguin propone e lancia per primo la clamorosa vendita.

All’incredibile notizia della rivista “Usbek & Rica”, fondata dallo stesso Distinguin, a cui ha fatto seguito il ricamo di quelle dei giornali di tutto il pianeta, il museo del Louvre reagisce con un fortissimo silenzio … seguiremo gli sviluppi!

particolare del viso:

49 la gioconda-monna lisa

Particolare del viso

Particolare del viso della Gioconda di Leonardo

Leonardo: Particolare del viso della Gioconda

Particolare della Gioconda (Monna Lisa)
Leonardo da Vinci: Particolare della Gioconda (Monna Lisa), Louvre Parigi.

Sull’opera: “La Gioconda” è un dipinto di Leonardo da Vinci eseguito con tecnica ad olio su tavola negli anni tra il 1503 ed il 1505, misura (nel suo assieme) 77 x 53 cm. e è conservato nel Museo del Louvre a Parigi.

Quello rappresentato in questa pagina è il particolare del volto; per maggiori ragguagli entrare nella pagina dell’opera intera.

S. Anna, la Madonna, il bambino e S. Giovannino di Leonardo

Leonardo: S. Anna, la Madonna, il bambino e S. Giovannino

Leonardo: Cartone - Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino,
Cartone: Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino, 1498, 159 x 101 cm. National Gallery Londra.

Sull’opera: “SANT’ANNA, LA MADONNA, IL BAMBINO E SAN GIOVANNINO è un’opera di Leonardo realizzata con tecnica a carboncino con lumeggiature di biacca su cartoncino nel 1498, misura 159 x 101 cm. ed è custodita al National Gallery di Londra.

Opera realizzata da Leonardo con la tecnica a carboncino lumeggiando con la biacca e dando contrasti di tenue chiaroscuro con leggeri sfumati policromatici; questo, insieme al ritratto di Isabella d’Este, risulta essere l’unico cartone rimasto non danneggiato fra quelli di cui Leonardo non dava grande importanza.

Intorno alla tematica della composizione sono nate moltissime polemiche e fantasticherie che in questa pagina di Frammentiarte sarebbe superfluo parlarne.

Numerosi sono stati gli studi preparatori e frammenti grafici che sono attualmente conservati nei Musei.

Due fra questi sono quello che si trova al British Museum (proveniente dalla collezione Galichon), dove compaiono la Vergine e Sant’Anna racchiuse in un rettangolo, e quello a matita – non meno importante e pertinente – che raffigura una testa virile (sempre al British Museum)

Sotto, altri due disegni preparatori del cartone Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino: quello di sinistra al Louvre e l’altro alla Windsor Royal Library (Londra).

studio preparatorio per Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino
studio preparatorio per Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino. Carboncino su carta 16 x 12 cm. 
studio preparatorio per Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino
studio preparatorio per Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e San Giovannino – Carboncino su carta 16 x 14,5 cm.

S. Anna, la Madonna e il bambino con l’agnello di Leonardo

Leonardo: S. Anna, la Madonna e il bambino con l’agnello

Leonardo da Vinci: Sant’Anna, la Madonna e il Bambino con l’agnello, anno 1510, dimensioni 168 x 130, Museo del Louvre, Parigi.
Leonardo da Vinci: Sant’Anna, la Madonna e il Bambino con l’agnello, anno 1510, dimensioni 168 x 130, Museo del Louvre, Parigi.

Sull’opera: “Sant’Anna, la Madonna e il Bambino con l’agnello è un dipinto di Leonardo realizzato con tecnica ad olio su tavola nel 1510-13, misura 168 x 130 cm. ed è custodito nel Museo del Louvre a Parigi..

Leonardo da Vinci ritornò con decisa risolutezza su questa tematica a Firenze. L’artista aveva realizzato un secondo cartone della Sant’Anna con la Vergine ed il bambino con l’agnello, che andò perduto; pare che dovesse servire per la realizzazione della tavola per la Santissima Annunziata, su cui Leonardo avrebbe dovuto lavorare durante il suo soggiorno presso i Serviti.

Questo cartone, cui non si sa bene che fine abbia fatto, rappresentava i soggetti modificati in uno sviluppo di passaggio dal primo (quello a carboncino, biacca e tenui colori presentato nella pagina precedente) alla tavola in esame.

All’Accademia di Venezia è custodito il disegno di cui ne parlò Heydenreich intorno al 1500, Popham nel 1498-99 e Pietro Novellara in una lettera indirizzata alla marchesa di Mantova, che riporta il seguente scritto: “… [Leonardo] pinge un Cristo bambino di età circa uno anno, che uscendo quasi de bracci ad la mamma piglia uno agnello et pare che lo stringa. La mamma quasi levandosi de grembo ad S. Anna, piglia il bambino per spiccarlo dallo agnellino. S. Anna, alquanto levandose da sedere pare che voglia ritenere la figliola che non spicca il bambino dallo agnellino”. 

Anche l’Anonimo Gaddiano parlando di Leonardo fa riferimento allo stesso cartone: ” …… fece disegni, cose meravigliose, e infra gli altri una Nostra Donna e una S. Anna che andò in Francia”. Il Vasari, nonostante non avesse visto con i propri occhi né il cartone né l’opera pittorica sulla tavola, lo descrive con enfasi precisando: ‘In questo mezo [parlando del del periodo di soggiorno presso i Serviti, all’Annunziata, come scritto nell’edizione’ del 1550, e non “finalmente”, come riportato nel testo del 1568] fece un cartone dentrovi una nostra Dona e una S. Anna con un Cristo, la quale non pure fece meravigliare tutti gli artefici, ma finita che ella fu, nella stanza durarono duoi giorni di andare a vederla gli uomini e le donne, i giovani e i vecchi, come si va alle feste solenni, per vedere le meraviglie di Leonardo che fecero stupire tutto quel popolo”. Il Vasari prosegue quindi nella descrizione riferendosi anche a un San Giovannino (“un San Giovanni piccol fanciullo che si andava trastullando con un pecorino”) collocato ai piedi della Vergine, aprendo così l’ipotesi dell’esistenza di un terzo cartone preparatorio, anche questo andato perduto. Ma proprio su questo cartone interviene il Berenson elencando disegni di particolari ne testimoniano l’esistenza:

  • Carboncino su carta con tocchi di crolore per lo studio della testa della Madonna, talmente particolareggiato da supporlo come frammento del cartone stesso (foglio Mond del Metropolilan Museum).

  • Carboncino, bistro e biacca su carta con le gambe con il panneggio coprente le gambe della Vergine (n 2257, Louvre).

  • Sanguigna su carta rossa per il dorso del Bambino (n 12538, Windsor Castle).

  • Carboncino su carta con i vari particolari, dove in alcuni sono presenti lumeggiature con biacca (N° 12526, 12527, 12529, 12530, 12531, 12532  Windsor Castle).