Le “Storie degli ultimi giorni” di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Storie degli ultimi giorni

Luca Signorelli: Storie degli ultimi giorni
Gli affreschi si trovano nella Cappella di San Brizio (foto sopra) del Duomo di Orvieto.

Sull’opera: Le “Storie degli ultimi giorni” è un ciclo di affreschi iniziato nel 1447 da Beato Angelico e Benozzo Gozzoli e portato a compimento intorno al 1499-1502 da Luca Signorelli. Il complesso pittorico si trova nella Cappella Nova (Cappella di San Brizio) del Duomo di Orvieto.

Descrizione e storia

La cappella di San Brizio per la singolarità tematica, per l’originalità spaziale e volumetrica, nonché iconografica viene considerata dagli studiosi di Storia dell’arte come un “unicum” nell’arte [Touring, cit., pag. 596].

L’edificazione della cappella nel Duomo fu iniziata nel 1396 in seguito al lascito testamentario di Tommaso di Micheluccio di Orvieto, in cui esprimeva il desiderio che si creasse una cappella dedicata alla Vergine Incoronata. Il lavoro fu portato a termine 1444[Touring, cit., pag. 596].

L’Opera del Duomo deliberò la realizzazione del ciclo pittorico nella nuova cappella assegnandolo a Beato Angelico, che in quello specifico periodo soggiornava a Roma, alla decorazione  della Cappella Niccolina al servizio di papa Niccolò V (Sarzana, 1397 – Roma, 1455).

Il frate pittore, che aveva già  avuto degli incontri l’anno precedente con Francesco Baroni, il maestro vetraio del Duomo di Orvieto, approfittò dell’occasione che gli permise, tra l’altro, di evitare la forte calura estiva romana, allontanandosi dalla capitale, per l’appunto, nel mese di giugno.

Con lui si spostò anche Benozzo Gozzoli, Giacomo de Poli e Giovanni Antonio da Firenze, ai quali si aggiunse in seguito Pietro di Nicola Baroni [Touring, cit., pag. 597].

Sembrerebbe che il tema relativo al Giudizio Universale fosse stato scelto con la consulenza di Beato Angelico, che oltretutto era un frate assai colto e ben preparato in teologia [Touring, cit., pag. 597].

Nel Duomo l’artista rimase per una quindicina di settimane, affrescando due delle grandissime vele della campata soprastante l’altare con le raffigurazioni del “Cristo Giudice tra angeli” e dei “Profeti”.

Per gli studiosi di Storia dell’arte tre-quattro mesi di lavoro per il completamento di una stesura pittorica di tale portata risulterebbero insufficienti; è verosimile perciò che l’autografia del maestro sia alquanto limitata [Pope-Hennessy, cit., pag. 68].

Nel settembre 1447 l’Angelico e la sua cerchia di assistenti lasciavano Roma, forse con l’intento di ritornarvi l’anno dopo. Questo non avvenne e nel 1449 il contratto era già stato annullato, come dimostrerebbe il fatto che il Gozzoli, trovandosi nella capitale per tutta la seconda metà di quell’anno, ormai affrancatosi dal suo maestro, tentò inutilmente di farsi riassegnare l’importante incarico [Pope-Hennessy, cit., pag. 69], che restò in sospeso per una quarantina d’anni.

Nel 1455 a causa di infiltrazioni d’acqua nelle volte venne rialzato il tetto[Touring, cit., pag. 596].

Entrata in scena del Signorelli

Prima di scegliere il Signorelli (5 aprile 1499) l’Opera del duomo cercò di accordarsi con il viterbese Antonio del Massaro(Viterbo, ca. 1450 – Viterbo, prima del 1516) detto il Pastura e soprattutto, per circa un decennio, con Pietro Perugino le cui prestazioni venivano però considerate troppo elevate [Touring, cit., pag. 597].

Il pittore cortonese – che in quel periodo stava evadendo delle committenze tra Toscana, Umbria e Marche – accettò l’importante incarico.

Dalle ricche documentazioni [pubblicate da Luzi nel 1866 e da Fumi nel 1891] si ricava che la scelta ricadde sul Signorelli non solo per motivi economici – il costo finale era molto più basso di quello del Perugino – ma anche per la celebrità, ormai consolidata, di pittore efficiente, attento e rapido [Paolucci, cit., pag. 288].

Il contratto

Il contratto venne rispettato dal Signorelli con solerzia: infatti l’anno successivo, il 23 aprile 1500, gli affreschi delle volte erano già stati portati a compimento e il pittore aveva già i disegni pronti per lo svolgimento delle altre tematiche – “dalle volte in giù” – che gli vennero confermate qualche giorno dopo per la somma di 575 ducati [Touring, cit., pag. 597].

Mantenimento del tema

Il tema del Giudizio, scelto in precedenza dall’opera del Duomo con il consiglio dell’Angelico, fu mantenuto sugli impulsi dei turbamenti politici di quel particolare momento, che già sconvolgevano la regione dai primi anni Novanta, e dei cattivi presagi sull’avvicinarsi del nuovo secolo, che coincideva con la metà del secondo millennio [De Vecchi-Cerchiari, cit., pag. 157].

Gli affreschi

Le decorazioni interessano le volte e le pareti: nelle prime sono articolate in vele su fondo oro, separate da costoloni con ornamenti vegetali e attorniate da cornici di gusto classicheggiante, con fasce i cui toni generali, tendenti al rosso, fanno da sfondo confrontandosi con elementi tratti dalla miniatura, intervallati da forme esagonali con testine [Touring, cit., pag. 597].

Le pareti ospitano raffigurazioni con grosse lunette nella zona alta, inquadrati dalla simulazione di grandi archi e cassettoni con rosette in rilievo.

Questi, con profondità prospettica simulata di due metri circa, permettono un’ampia visualità alla base delle composizioni conferendo alle figure un’efficacissima plasticità ed un’eccezionale stacco, come se stessero uscendo dai riquadri.

Trattasi di un’eccezionale struttura compositiva che, sebbene non sia stata realizzata per il punto di vista del fruitore “a pavimento” (soprattutto quella dell’Angelico), riesce a cambiare l’aspetto dell’architettura gotica in un interno di gusto rinascimentale, equiparandone le dimensioni.

Tutte le luci provengono da un’unica direzione, corrispondente alla posizione delle finestre della parete di fondo, e le ombre vengono quindi generate in un medesimo verso [Touring, cit., pag. 598].

Gli episodi raffigurati sono (si veda, soprattutto, la tabella riportata in fondo alla pagina): la “Predica e fatti dell’Anticristo”, il “Finimondo”, la “Resurrezione della carne”, i “Dannati”, i “Beati”, il “Paradiso”, l’ “Inferno.

 Sotto ai riquadri corre una fascia inferiore ritmata da colonnato di paraste – simulato – che regge una una finta trabeazione con un sontuoso fregio a grottesche contro un fondo aureo.

La zoccolatura della parete è dipinta a lastre che ricordano rilievi di antichi sarcofagi romani, distanziate dalle basi delle paraste. I riquadri sono ornati con motivi a grottesche ove sono inseriti, nella zona centrale, ritratti di personaggi celebri, scrittori, e poeti.

Molti di questi ritratti sono stati ripresi, sembrerebbe, in modo da creare confusione all’occhio del fruitore, mentre sfogliano libri che appaiono fuori dal davanzale visto in scorcio [Touring, cit., pag. 598 ].

A ridosso di alcune di queste personalità appaiono dei medaglioni in grisaille con la didascalia, o l’illustrazione, della rispettiva opera, come quella della Divina Commedia.

A completamento della figurazione, negli sguanci delle finestre, appaiono gli arcangeli Raffaele con Tobiolo e Gabriele (raffigurati sulla destra), Michele che cerca di respingere un demone mentre sta pesando le anime (sulla sinistra) e i santi vescovi Costanzo e Brizio, protettori della città (al centro), mentre nella piccola cappella incavata in uno spessore della parete è rappresentato un “Compianto sul Cristo morto tra i santi Parenzo e Faustino”.

Le vele delle volte

La volta è suddivisa in otto parti (vele), intervallate da fasce decorate con motivi vegetali. Sono dell’equipe dell’Angelico quella soprastante l’altare con “Cristo giudice tra angeli” e quella affiancata, a destra, con “Sedici profeti”. In particolare sono considerate autografe del frate pittore la figura, alquanto rovinata, del Cristo, un gruppo di angeli e qualche profeta seduto [Pope-Hennessy, cit., pag. 68]. A parte qualche altra pittura, come le bordure decorative con testine (Gozzoli) e di aiutanti dell’Angelico, tutte le altre vele sono del Signorelli, che vi raffigurò:

  • “Gloriosus Apostolorum chorus” (Apostoli), sulla sinistra, prima campata.

  •  “Signa iudicium indicantia” (Simboli della Passione e preannuncio del Giudizio con angeli), verso l’ingresso, prima campata.

  • “Martyrum candidatus exercitum” (Martiri), verso l’altare, seconda campata.

  • “Nobilis Patriarcharum coetus” (Patriarchi), sulla sinistra, seconda campata.

  • “Doctorum sapiens ordo” (Dottori della Chiesa), seconda campata a destra.

  • “Castarum Virginum chorus” (Vergini), verso l’ingresso, seconda campata.

Mettendo a confronto gli affreschi di Luca Signorelli con quelli di Beato Angelico, si evidenzia un resa pittorica alquanto dissimile:  il primo lega tutto al fruitore dell’opera ed impiega una tecnica decisa, fluente e – anche per venire incontro alle varie richieste della committenza – sbrigativa, pur sempre di alta qualità [Touring, cit., pag. 598].

L’Angelico invece affrontava la decorazione rispettando, come se lavorasse su una tavola, il dettaglio nei minimi particolari, senza tener conto che questi non sarebbero poi stati goduti in pieno dallo spettatore a causa della lontananza del suo punto di osservazione:  nella prima metà del Quattrocento la pittura era ancora considerata, sopra ogni cosa, un’offerta a Dio, il fruitore principale della decorazione!

Le raffigurazioni

Compianto su Cristo morto con i santi Parenzo e Faustino

Compianto su Cristo morto con i santi Parenzo e Faustino (Cappellina dei Corpi Santi).

Autoritratto da diavolo

Autoritratto da diavolo di Signorelli mentre afferra una giovane e formosa ragazza.

Dante Alighieri

Dante Alighieri, basamento.

Virgilio, basamento

Virgilio, basamento.

Arrivo dell'angelo in Purgatorio

Arrivo dell’angelo in Purgatorio, parete sinistra.

Entrata in Purgatorio

Entrata in Purgatorio, parete sinistra.

L' "Empedocle"

L’ “Empedocle”, parete d’ingresso.

Polittico di Arcevia di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Polittico di Arcevia

Luca Signorelli: Polittico di Arcevia
Polittico di Arcevia, 1507, tecnica a tempera su tavola, 393 × 315 cm., Collegiata di San Medardo, Arcevia.

Sull’opera: “Polittico di Arcevia” è un dipinto di Luca Signorelli (con ampi aiuti di bottega, tra cui Girolamo Genga) realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1507, misura 393 x 315 cm. ed è custodito nella Collegiata di San Medardo ad Arcevia. 

Il complesso pittorico in esame è il primo, nonché il più monumentale, che il Signorelli realizzò nel paese di Rocca Contrada (l’attuale Arcevia, nei pressi di Ancona). Qui l’artista vi si recò nel periodo tardo della sua attività artistica, di ritorno da un soggiorno romano, dove aveva appena evaso un lavoro per Giulio II Della Rovere.

 Anche il presente polittico è legato a quella famiglia, con il committente Marco Vigerio I Della Rovere, vescovo di Roccastrada e Senigallia, sostenuto economicamente dal Comune di Rocca Contrada: infatti alla base dei pilastrini appaiono i loro due stemmi.

Quella in esame è una tra le più importanti opere della produzione tarda dell’artista, da cui si evidenziano, oltre il pregio della stesura pittorica che sfiora l’impeccabilità, anche i limiti e la regressione ormai in atto già da tempo nello sviluppo artistico di Signorelli.

Il polittico è costituito, su due ordini, da dieci pannelli principali (due centrali, grandi, e due coppie per ogni lato), cinque riquadri di predella e pilastrini con raffigurazione di numerosi santi. Il tutto è attorniato da una preesistente cornice in legno, dorata ed intagliata in motivi prettamente gotici da Corrado Teutonico, a cui spetta anche il coro della chiesa. Ogni pannello è totalmente indipendente dall’intero complesso.

Secondo Blasio [cit., pag. 103] trattasi di un caratteristico polittico di zona adriatica, macchinoso e complesso, nel quale l’artista introdusse, su sfondi neutri, le sue monumentali e “protomanieristiche” figure.

I santi sono, da sinistra a destra, dall’alto in basso: Giacomo Maggiore, Pietro, Giovanni Battista, Paolo, Rocco, Andrea, Medardo e Sebastiano.

Sulla predella appaiono, tra gli stemmi della famiglia Della Rovere e del Comune di Rocca Contrada, la Strage degli innocenti, la Fuga in Egitto,  l’Adorazione del Bambino, la Natività e l’Annunciazione.

Nei pilastrini vengono raffigurati, a mezzo busto, molti santi.

La firma dell’artista appare nel pannello centrale basso con la Madonna: LUCAS. SIGNORELLUS / PINGEBAT M. D. VIII.

Lo stato conservativo di tutto il complesso pittorico, compresa la struttura di supporto e di ornamento, è ottimo.

 

Madonna della Trinità di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Madonna della Trinità

Madonna della Trinità di Luca Signorelli
Madonna della Trinità, la Trinità, sant’Agostino e sant’Atanasio d’Alessandria,  272 × 180 cm., Galleria degli Uffizi

Sull’opera: “Madonna della Trinità, la Trinità, sant’Agostino e sant’Atanasio d’Alessandria” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1910, misura 272 x 180 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze. 

 Trattasi di una Sacra Conversazione con al centro una monumentale Madonna col Bambino tra due arcangeli (raffigurati in alto), due santi vescovi (in basso) e, nella zona superiore, la Trinità attorniata da un nimbo di cherubini.

L’arcangelo a sinistra è San Michele, mentre quello a destra è San Gabriele. Il primo, con abiti da guerriero romano armato di lancia, reca una bilancia con la quale soppesa le anime; l’altro, un giglio ed un cartiglio con la scritta: AVE MARIA GRATI[A PLENA.

Nella zona in basso appaiono, seduti, sant’Agostino (a sinistra) e sant’Atanasio d’Alessandria. In alto è rappresentata la Trinità con il solidissimo Crocifisso, tipica raffigurazione signorelliana, retto dall’Eterno, e la colomba dello Spirito Santo. L’iconografia ricorda quella del Perugino e si presenta ormai abbastanza desueta, in un periodo già completamente rivoluzionato dalla pittura del giovane Raffaello.

L’opera intera era costituita dalla pala in esame e dalla predella con la raffigurazione delle Storie della Passione di Cristo, attualmente staccata ma pur sempre conservata agli Uffizi, le cui narrazioni sono: l’Ultima Cena, la Flagellazione e l’Orazione nell’orto.

La Comunione degli Apostoli di Luca Signorelli

Luca Signorelli: La Comunione degli Apostoli

Luca Signorelli: Comunione degli Apostoli
Comunione degli Apostoli, 1512, tecnica ad olio su tavola, 232 × 220 cm., Museo diocesano, Cortona.

Sull’opera: “Comunione degli Apostoli” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a olio su tavola intorno al 1512, misura 232 x 220 cm. ed è custodito nel Museo diocesano a Cortona. 

La scena della composizione in esame, che si presenta con un’iconografia abbastanza rara nella pittura italiana, è stata certamente tratta dalle tematiche di tradizione fiamminga, tra le quali Signorelli aveva probabilmente avuto occasione di osservare nella Pala del Corpus Domini (olio su tavola, 331×335 cm., 1472-1474) di Giusto di Gand a Urbino. 

Qui Cristo è raffigurato al centro, contro lo sfondo di un porticato classicheggiante ed un cielo intensamente azzurro, attorniato dagli apostoli disposti – a scalare – ai lati di una struttura piramidale, che accompagna lo sguardo del fruitore verso l’imponente figura centrale.

Gesù reca in mano un piatto contenente le ostie da distribuire agli apostoli, ripresi in svariati atteggiamenti con un cromatismo assai sgargiante.

Risalta in primo piano, sulla destra, la figura di Giuda Iscariota, tanto elogiata dal Vasari, che voltata verso lo spettatore, abbassa lo sguardo versando nella borsa la moneta d’oro, frutto dell’imperdonabile tradimento. Trattasi di un teatrale accorgimento che mette in evidenza le alte capacità illustrative di Signorelli, anche nella fase ormai già avanzata della sua decadenza artistica.

Madonna col Bambino e santi (Arezzo) di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Madonna col Bambino e santi (Arezzo)

Luca Signorelli: Madonna col Bambino e santi (Arezzo)
Madonna col Bambino e santi, 1519-1523, dim. 357 × 248 cm., Museo statale d’arte Medievale e Moderna, Arezzo.

Sull’opera: “Madonna col Bambino e santi” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1519-23, misura 357 x 248 cm. ed è custodito nel Museo statale d’arte Medievale e Moderna ad Arezzo. 

 La grandiosa pala fu commissionata al Signorelli nel 1519 per la sede della Confraternita di San Girolamo di Arezzo. L’opera fu realizzata a Cortona e, al momento del trasferimento, lo stesso artista si recò nella città, soggiornando in casa della famiglia Vasari. Qui egli conobbe il giovanissimo Giorgio che, come è riportato nelle “Vite”, fu stimolato nello studio dell’arte dal padre proprio su consiglio dello stesso artista settantenne, “tutto grazioso e pulito”.

La presente composizione è considerata come l’ultima opera completa di Signorelli che poco più tardi, ritornato a nella città natale, morì (1523).

Il tema della grande tavola è una sacra conversazione alla quale il pittore conferisce, senza tanti ostentamenti, l’effetto scenografico e decorativo, che sembra preludere ad una pittura da controriforma.

Su di una nuvola formata da pallidissimi cherubini la Madonna è assisa col Bambino in braccio come in un trono, mentre l’Eterno appare in alto in gloria, attorniato da angeli e ripreso in scorcio mentre si protende con le mani in avanti.

La Vergine reca in mano il tipico giglio bianco, che allude alla sua purezza, mentre il Bambino è nell’atto di rompere il calice col sangue (simbolo della sua Passione) tenuto da un santo vescovo (a sinistra) dalla sfarzosa pianeta riccamente ornata a ricami.

Due angeli musicanti stanno suonando ai lati della maestosa figura della Madonna, mentre sulla destra appare santo Stefano in un atteggiamento patetico, con lo sguardo rivolto al cielo.

In basso, in primo piano, si trovano san Girolamo con la pietra (a sinistra), tre profeti seduti tra i quali Re Davide che sta suonando (al centro), un vescovo ed il committente inginocchiato (a destra).

Allegoria della Fertilità e dell’Abbondanza di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Allegoria della Fertilità e dell’Abbondanza

Luca Signorelli: Allegoria della Fertilità e dell'Abbondanza
Luca Signorelli: Allegoria della Fertilità e dell’Abbondanza, 1500, tempera su tavola, 58 × 105,5 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Sull’opera: “Allegoria della Fertilità e dell’Abbondanza” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1500, misura 58 x 105,5 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze. 

 L’allegoria in esame, la cui cronologia corrisponde a quella della decorazione nel Duomo di Orvieto, è una di quelle composizioni realizzate a monocromo che richiama gli antichi bassorilievi, che ornavano i freddi “studioli” degli umanisti.

Trattasi molto probabilmente di un’allusione alla fertilità agricola, ove una donna seminuda con due bambini (sicuramente figli entrambi), di cui uno in braccio, reca una cornucopia mentre viene incoronata da un personaggio che può essere verosimilmente identificato in Bacco, vestito con un semplice perizoma di foglie di vite e acini. In secondo piano, seduta su un un pianale naturale, appare una donna altrettanto nuda con un cesto pieno di frutti della terra.

Le figure adulte, fluenti ed efficaci, richiamano quelle di altri ignudi realizzati dal Signorelli, sia negli affreschi orvietani (si segua il link del Duomo di Orvieto) che in altre composizioni, come ad esempio quella della “Madonna col Bambino tra ignudi“.

Compianto sul Cristo morto (Cortona) di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Compianto sul Cristo morto (Cortona)

Compianto sul Cristo morto (Cortona)
Compianto sul Cristo morto, 1502, tempera su tavola, 270 × 240 cm., Museo diocesano, Cortona.

Sull’opera: “Compianto sul Cristo morto” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1502, misura 270 x 240 cm. ed è custodito nel Museo diocesano a Cortona.

Descrizione e storia

 Dalle Vite di Giorgio Vasari (edizione del 1568) si ricava che nel 1502 all’artista morì il figlio Antonio a causa della peste che a quel tempo imperversava a Cortona. Intensamente turbato Signorelli si sarebbe recato sul luogo del triste evento per riconoscerne il corpo, che ritrasse, dopo averlo fatto completamente svestire: “con grandissima constanza d’animo, senza piangere o gettar lacrima […], per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani quella che la natura gli aveva dato e tolto la nimica fortuna”.

 L’episodio sopra descritto si adegua sufficientemente alla nobilitazione che il Vasari spesso riservava alle vite dei pittori. Alcuni studiosi hanno voluto identificare nella figura del Cristo delle due versioni del “Compianto sul Cristo morto” – quella della presente pagina e quella della Cappellina dei Corpi Santi nel Duomo di Orvieto – il ritratto del figlio morto.

È comunque comunque probabile che l’aneddoto sopra riportato non corrisponda al vero, specialmente nel quadro dell’enfatizzazione ideale della vita artistica dei soggetti nelle “Vite” vasariane, soprattutto nel caso di Signorelli che, secondo il disegno letterario del grande critico, avrebbe dovuto prefigurare la vicenda del “divino” Michelangelo Buonarroti.

La scena principale è ambientata sotto la croce, con un nutrito gruppo di personaggi attornianti il corpo di Cristo, appena deposto, mantenuto staccato dal terreno dal sostegno delle ginocchia della Madonna e delle gambe della Maddalena.

Tutt’intorno appaiono le pie donne, Giovanni apostolo con le mani incrociate e due uomini che conversano. Uno di questi ultimi – quello con la barba –  reca la corona di spine ed i chiodi. In primissimo piano spiccano un teschio, tipico “memento mori” (“ricordati che devi morire”) del Calvario, e il martello impiegato per piantare i chiodi per la crocifissione di Gesù.

Alcuni raccapriccianti particolari integrano la già intensa espressività della narrazione, come il fresco e fluente rivolo di sangue che ancora scende dalla croce. Sullo sfondo appare, al centro, la tipica veduta paesistica con costruzioni affacciate su un lago, e, ai lati, le scene della Crocifissione (a sinistra) e della Resurrezione (a destra).

L’opera mostra un “drammatico affollamento “[Paolucci, cit., pag. 310].

Predella

L’opera è corredata della predella, nella quale vengono raffigurate quattro scene degli eventi avvenuti prima della Passione: Orazione nell’orto, Ultima cena, Cattura di Cristo e Flagellazione. Si evidenzia in questi piccoli riquadri uno stile più sbrigativo e poco fluente, realizzati probabilmente da aiuti bottega su disegno dell’artista.

Le raffigurazioni della predella

L'orazione nell'orto

L’orazione nell’orto.

L'ultima cena

L’ultima cena.

La cattura di Cristo

La cattura di Cristo.

La Flagellazione

La Flagellazione.

“Crocifisso con la Maddalena” di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Crocifisso con la Maddalena

Luca Signorelli: Crocifisso con la Maddalena
Crocifisso con la Maddalena, 1502-1505, tecnica a tempera su tela, 247 × 165 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Sull’opera: “Crocifisso con la Maddalena” è un dipinto di Luca Signorelli realizzato con tecnica a tempera su tela intorno al 1502-05, misura 247 x 165 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze. 

 Non si conosce il luogo d’origine, né quello di prima destinazione, della composizione in esame: Si sa invece che fu per la prima volta inventariata nella Galleria dell’Accademia a Firenze dove, intorno alla fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, si cercava di raccogliere tutte le opere d’arte che decoravano monasteri e conventi fiorentini prima della loro soppressione.

 La vicenda delle assegnazioni all’artista ha subito in passato diverse vicissitudini: riferita inizialmente dal Cavalcaselle ad Andrea del Castagno (presente anche nel catalogo del Masselli), nel 1889 venne attribuita dalla Cruttwell – e confermata poi da Adolfo Venturi – ad un allievo di Signorelli.

Già diversi anni prima però il Vischer (1879) l’aveva riconsegnata all’artista, secondo una logica che viene generalmente accolta dalla critica moderna: la composizione viene inserita nella fase tarda del Signorelli, in ragione di un significativo abbattimento dei valori pittorici, ma con una permanenza ancora viva di tenore creativo. Più tardi sottoscrissero l’autografia del Signorelli anche Berenson, Salmi e la Moriondo.

Nel corso del restauro del 1953 fu trovato sul verso della tela una figura che, secondo l’iconografia tradizionale, si identificherebbe con un San Girolamo. Il disegno si trova attualmente ricoperto da una seconda tela in modo che possa essere, all’occasione, visionato con estrema facilità.

Contro lo sfondo di un’irreale visione paesaggistica con punte rocciose, di fronte ad un mare dai toni chiarissimi ed un cielo cosparso di nubi, spicca, netta e monumentale, la scena della Crocifissione, con il Cristo anatomicamente sbalzato del quale sono ancora visibili i segni della Passione. Ai suoi piedi appare la Maddalena inginocchiata mentre, addolorata dall’evento, alza le braccia in atteggiamento di forte disperazione.

In basso si trova un teschio ed un piccolo serpente, una simbologia tipica ai piedi del Calvario che allude alla certezza della morte (memento mori).

Nei secondi piani, con proporzioni poco assecondate dalle linee prospettiche, appaiono scene accessorie con il pentimento di Pietro, la deposizione dalla Croce (in alto a destra) e il trasporto del corpo di Cristo (più in basso).

“Stendardo della Crocifissione” di Luca Signorelli

Luca Signorelli: Stendardo della Crocifissione

Stendardo della Crocifissione - Crocifissione
Stendardo della Crocifissione: Crocifissione (recto)
Stendardo della Crocifissione - Sant'Eligio e Sant'Antonio
Stendardo della Crocifissione: Santi Eligio e Antonio (verso)

Stendardo della Crocifissione, 1502-1505, tempera su tela, 212 × 157 cm., chiesa di Sant’Antonio abate, Sansepolcro.

Sull’opera: “Stendardo della Crocifissione” è costituito da due dipinti di Luca Signorelli realizzati con tecnica a tempera su tela intorno al 1502 1505. Le composizioni, che misurano entrambe 212 x 157 cm., sono custodite nella chiesa di Sant’Antonio abate a Sansepolcro.

 Le due composizioni, certamente riferibili al periodo tardo dell’artista, sono dipinte su entrambi i lati dello stendardo. Vi appaiono la “Crocifissione” e “Sant’Eligio e Sant’Antonio coi confratelli inginocchiati”.

 La Crocifissione, dipinta sul recto, dal raffinato cromatismo e colma di patetica espressività, mostra il Cristo contro uno sfondo aperto ad arte ad una visione paesaggistica con una città (zona centrale) e lontani ammassi rocciosi sulla riva di un lago che si perdono in lontananza. Ai lati, in un piano anteriore, si trovano le consuete fantasiose quinte: un arco naturale e uno cumulo roccioso del tipo “fiammeggiante” che ricorda quelli di Mantegna.

In secondo piano si svolge la scena della Deposizione dalla Croce, in cui appaiono i due ladroni ancora appesi ai patiboli.

Ritornando alla scena principale, con il Cristo sofferente ed i dolenti in primo piano, non si può non notare l’enfatizzazione dell’espressività, conferita ad arte dal pittore, che arriva a toccare punte altissime. Quest’ultima spicca soprattutto nell’accentuazione anatomica della muscolatura, trasfigurata dalle tensioni del dolore provocato dalle profonde ferite, ancora copiosamente sanguinanti.

In basso si trovano la Madonna, priva di sensi, sostenuta da due Pie Donne, San Giovanni che intreccia le mani (a sinistra), Sant’Antonio Abate che osserva sconcertato la croce quasi a volerla abbracciare, e un’altra dolente stanca e incredula.

Nel verso dello stendardo sono dipinti Sant’Eligio e Sant’Antonio con i confratelli (i committenti, inginocchiati in basso), con le loro caratteristiche tonache bianche con il cappuccio.

“San Benedetto rimprovera due monaci che avevano violato la Regola mangiando in una locanda” di Luca Signorelli

Luca Signorelli: San Benedetto rimprovera due monaci che avevano violato la Regola mangiando in una locanda

San Benedetto rimprovera due monaci che avevano violato la Regola mangiando in una locanda
Dalle “Storie di San Benedetto”, Abbazia di Monte Oliveto Maggiore ad Asciano (Si)

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Sull’opera: “San Benedetto rimprovera due monaci che avevano violato la Regola mangiando in una locanda” è un affresco di Luca Signorelli e della sua bottega, appartenente al ciclo delle “Storie di San Benedetto”, realizzato intorno al 1497-98 e custodito nell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore ad Asciano (Si). 

 Nella presente scena sono raffigurati due monaci mentre pranzano in una locanda e, sullo sfondo – in alto a destra – San Benedetto che li rimprovera per non aver rispettato la Regola. Trattasi, per gli studiosi, dell’episodio meglio raffigurato del ciclo [Paolucci, cit., pag. 280].

La scena del pranzo si svolge in ambiente interno dove due amabili domestiche stanno servendo l’illecito pasto ai due monaci, che appaiono chiaramente appagati in tutto. Un ragazzino avanza con incerto incedere, recando un recipiente colmo minestra, attento a non versarla. Altre due inservienti, sullo sfondo, sono impegnate a sbrigare alcune faccende domestiche.

Sull’entrata si vede un giovane di spalle, ripreso in controluce, con atteggiamento tipico delle figure signorelliane.

Secondo gli studiosi il presente riquadro sarebbe stato interamente affrescato dall’artista.