La Resurrezione di Cristo (Accademia di Carrara) di Mantegna

Mantegna: La Resurrezione di Cristo (Accademia di Carrara)

Andrea Mantegna: La Resurrezione di Cristo, 1500-1505, trmpera su tavola, 48×37 cm, Accademia Carrara, Bergamo
Andrea Mantegna: La Resurrezione di Cristo,  1492-93, tempera su tavola, 48 × 37 cm, Accademia Carrara, Bergamo

Al primo elenco opere del Mantegna

Resurrezione di Cristo

Sull’opera: “La Resurrezione di Cristo è un opera autografa di Andrea Mantegna realizzata con tecnica a tempera su tavola intorno al 1492-1493, misura 48 x 37 cm. ed è custodita nell’Accademia Carrara a Bergamo.

La presente opera è stata per un lungo tempo nei depositi dell’Accademia, prima che ne fosse riconosciuto il pregiato valore.

Una piccola croce nella parte inferiore del supporto pittorico ha permesso di scoprirne l’autografia.

Il dipinto cronologicamente attribuibile al periodo 1492-1493, è stato ora finalmente riconsegnato al Mantegna, dopo esser stato per circa due secoli considerato come una copia di un’opera dello stesso artista.

Recenti studi sulla tavola hanno appurato che quella piccola croce nella parte inferiore, ubicata sotto l’arco di pietra, ha di fatto una corrispondenza in una zona di stesura mancante.

Valutando, infatti, la continuità tra sopracitata croce e l’asta, perfettamente contigua che la sorregge, si ricava che la parte bassa dell’opera corrisponde alla parte alta della Discesa di Cristo al limbo. A conferma di ciò  si osservi anche la coincidenza delle rocce dell’arco, che ha perfetti scambi interfacciali.

Quest’ultima è custodita nella collezione di Barbara Piasecka Johnson a Princeton.

La Discesa al limbo

Andrea Mantegna: Discesa al limbo, 1492, Collezione di Barbara Piasecka Johnson a Princeton.
Andrea Mantegna: Discesa al limbo, 1492, Collezione di Barbara Piasecka Johnson a Princeton.

Sull’opera: la Discesa al limbo è un’opera di Andrea Mantegna realizzata intorno al 1492 con tecnica a tempera e oro su tavola, misura 38,8 × 42,3 cm, ed è custodita presso la Collezione di Barbara Piasecka Johnson a Princeton.

Per ulteriori approfondimenti e per vedere la simulazione di accoppiamento delle due opere si suggerisce di seguire il link sotto riportato:

https://it.wikipedia.org/wiki/Discesa_al_Limbo_(Mantegna)

Il Dalila e Sansone (Londra) del Mantegna

Mantegna: Il Dalila e Sansone (Londra)

Mantegna: Dalila e Sansone
Mantegna: Dalila e Sansone, cm. 47 x 37, National Gallery di Londra.

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Dalila e Sansone” è un dipinto autografo in monocromo del Mantegna, realizzato con tecnica a tempera su tela nel 1495, misura 47 x 37 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

L’opera in esame simula, in gamma monocromatica, il rilievo di un complesso marmoreo.

Sul fondo, gli accesi colori contrastano con la delicatezza delle due figure e degli altri elementi in primo piano.

Sul tronco si legge la locuzione “FOEMINA / DIABOLO TRIBVS / ASSIBVS EST / MALA PEIOR”, già abbondantemente impiegata nel Medioevo, soprattutto negli ambienti della magia. A proposito della scritta, la Tietze-Conratui vi ipotizza un commento satirico nel contrasto fra l’acqua della fonte e la vita attorta sull’albero. La raffigurazione della scena è quella tradizionale, cioè l’attimo in cui Dalila effettua il taglio dei capelli a Sansone immerso in un sonno profondo. L’opera si trova alla National Gallery di Londra dal 1883, pervenuta dalla “vendita” Sutherland (cfr. la stessa “vendita”; Davies, 1951).

Per quanto riguarda l’autografia, gli studiosi di Storia dell’arte sono universalmente d’accordo, tranne il Knapp che avanzò vari dubbi; per la cronologia, gli studiosi sono d’accordo nell’assegnazione relativa all’ultimo periodo dell’attività artistica del Mantegna, talvolta indicando anche l’anno 1495. La Cipriani e il Camesasca definiscono l’opera come il “pezzo” più pregiato della serie monocromatica custodita “in pezzi autonomi” nei musei di Vienna, Dublino e Parigi.

Il trionfo di Scipione (Londra) del Mantegna

Mantegna: Il trionfo di Scipione (Londra)

Il trionfo di Scipione (Londra) del Mantegna
Mantegna: Il trionfo di Scipione 73,5 x 268 cm, National Gallery di Londra.

Al primo elenco opere del Mantegna

Sull’opera: “Il trionfo di Scipione” o “L’introduzione del culto di Cibele in Roma” è un dipinto autografo in monocromo del Mantegna, realizzato su fondo variegato intorno al 1500, misura 73,5 x 268 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

Mantegna: Il trionfo di Scipione
Un particolare de “Il trionfo di Scipione”,  cm. 11 (circa). Altro particolare

L’opera è stata realizzata in monocromia con un bruno che simula alla perfezione un rilievo su fondo variegato. Il suonatore, ultima figura sull’estrema destra, reca sulla mantellina la scritta “SPQR”, come pure lo stendardo che si trova più o meno al centro del dipinto.

Sulla sommità delle due tombe verso sinistra si può leggere, nel fondo, altre due scritte: “SPQR / GN SCYPIO /NI CORNELI /VS F (ilius) P.(osuit)” e “P SCYPIONIS / EX HYSPANIENSI / BELLO / RELIQVIAE”. Un’altra scritta, certamente ritoccata,  che si riferisce a Cibele – un’antica divinità anatolica definita la “Gran Madre” degli dei, raffigurata sulla portantina e non sul tradizionale trono tra leoni e leopardi – si trova sullo zoccolo del supporto: “S HOSPES NVMINIS IDAEI C”.

La tematica è tratta da un episodio della guerra punica del 204 a. C. dove si racconta che Annibale era arrivato nella nostra penisola e che, per metterlo in condizione di andarsene, si cercò la soluzione nei libri sibillini i quali suggerivano il trasferimento da Pergamo a Roma del busto di Cibele, dea della natura: fu decretato dall’oracolo di Delo che ad accoglierlo fosse la persona più meritevole della città, e venne quindi richiesta la presenza di Publio Cornelio Scipione Africano Maggiore. Sempre nell’occasione dell’arrivo della Gran Madre, la matrona Claudia Quinta (figura inginocchiata al centro e rivolta verso la dea) poté dimostrare alla gente la propria castità. Scipione viene identificato – ma non con certezza – nella figura alle spalle di Claudia Quinta.

L’opera venne commissionata all’artista nel 1504 da Francesco Cornaro, un veneziano che si presumeva discendente della famiglia dei Corneli. A causa di disaccordi che si riferiscono al pagamento dell’opera, questa rimase presso la bottega del Mantegna e passò per eredità al figlio Francesco.

Pervenne più tardi nella collezione del cardinale Sigismondo Gonzaga (1469-1525), quindi, in palazzo Cornaro a San Polo di Venezia. Nel 1815, o forse prima, il dipinto fu acquistato da Antonio Sanquirico, poi passò in Inghilterra alla famiglia Vivian dalla quale pervenne, nel 1873, alla National Gallery di Londra.

Cristo morto (Brera) di Mantegna

Mantegna: Cristo morto (Brera)

Mantegna: Cristo morto (Brera)
Cristo morto, cm. 66 x 81, Pinacoteca di Brera, Milano.

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Cristo morto” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato con tecnica a tempera su tela nel 1480, misura 66 x 81 cm. ed è custodito nel Pinacoteca di Brera a Milano.

Ludovico Mantegna, in una missiva datata 2 ottobre 1506 ed inviata al marchese Gonzaga, cita l’opera – che alla morte del padre era ancora presso la sua bottega – titolandola “Cristo in scurto”.

Più tardi venne venduta, insieme ad altre opere tra le quali “Il trionfo di Scipione”, al cardinale Sigismondo Gonzaga (1469-1525). Per un po’ di tempo si perdono le tracce, per cui le vicende successive appaiono alquanto imbrogliate, nonostante le dettagliate analisi di H. Tietze (‘AA” 1941) e del Camesasca.

Si ipotizza quasi all’unanimità che intorno al 1630 o poco dopo, in seguito a sacco di Mantova (avvenuto, appunto, in quell’anno), il dipinto pervenne nella capitale, dove fu citato dal Félibien (seconda metà del Seicento) che lo vide presso la collezione del cardinale Giulio Raimondo Mazzarino (1602-1661).

Più tardi un dipinto con la stessa tematica, probabilmente la tela in esame, sarebbe pervenuto a Camillo Pamphilj che lo donò al re di Francia Luigi XIV (1638-1715), presso la cui reggia lo vide il Bernini durante il suo soggiorno a Parigi nel 1665.

Della tela non si sa più nulla di certo fino al 1824, anno in cui pervenne alla Pinacoteca milanese insieme, probabilmente, ai beni di Giuseppe Bossi (1777-1815, pittore, scrittore, poeta ed esponente del neoclassicismo).

Il Yriarte fa notare invece, che la tela, prima del 1824, si trovava a Venezia (questo confermerebbe la presenza di due o più versioni). Infine nell’inventario del 1611 della famiglia Aldobrandini di Roma (Della Pergola, “AAM”, 1960), l’opera viene catalogata con la dicitura “Un quadro con Cristo in scorto in una tavola, morto, con doi donne che piangono, di mano di Andrea Mantegna”

Il Parnaso (Louvre) del Mantegna

Mantegna: Il Parnaso (Louvre)

Mantegna: Il Parnaso (Louvre)
Mantegna: Particolare del Parnaso, cm. 31, Louvre Parigi. particolare 1  particolare 2

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Il Parnaso” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato su tela nel 1497, misura 160 x 192 cm. ed è custodito nel Museo del Louvre a Parigi.

L’opera venne realizzata dall’artista nel 1497, destinata a Mantova per ornare una parete dello studiolo di Isabella d’Este (1474-1539), sua committente. Venere e Marte, entrambi in piedi, sono abbracciati sopra una piccola altura (parte superiore centrale).

Ai loro piedi, sulla destra di Marte, sta la piccola figura di Cupido che lancia una freccia, non verso i due amanti ma contro Vulcano, marito di Venere, il quale sta lavorando nella sua fucina. In primo piano, a destra del cavallo alato Pegaso, sta Mercurio, mentre le nove Muse danzanti si trovano al centro. La figura situata nella zona estrema di destra che sta suonando la cetra è quella di Apollo.

Il Mantegna rappresenta così l’amore per le arti liberali della sua celebre committente. L’opera in esame, insieme ad altre, pervenne al cardinale Richelieu intorno al primo ventennio del Seicento (probabilmente nel periodo 1627-1629), per passare, nell’Ottocento, al Museo Napoleon di Parigi e quindi nell’attuale sede.

Esistono, nell’arco dei secoli, forti contrasti per quanto riguarda l’interpretazione della tematica. Il Forster (“JPK” 1901) evidenziava il dissenso delle ninfe verso la manifesta illegittima unione Venere e Marte, mentre la Tietze-Conrat (“JKS” 1917), ricordando l’epitalamio introdotto nel 1487 da A. M. Salimbeni per la sorella d’Isabella, ipotizzava invece che quel legame non veniva disapprovato da nessuno, tanto meno dagli eruditi che frequentavano la corte di Mantova.

Il Wind fornì una tortuosa interpretazione della tela, rapportandola ad Omero, i cui celebri scritti si stavano espandendo fin dal 1488 con l’aiuto delle traduzioni di letterati umanisti come Raffaele da Volterra e Lorenzo Valla.

Tuttavia lo studioso di storia dell’arte credeva che il tono dell’origine greca fosse stato interpretato nel “Parnaso” come una sorta di “eroismo burlesco” e non vi escludeva , senza tanto indugiare sugli atteggiamenti delle muse danzanti, un significato pornografico.

Ritratto del cardinale Carlo de’ Medici del Mantegna

Mantegna: Ritratto del cardinale Carlo de’ Medici

Mantegna: Ritratto del cardinale Carlo de' Medici
Mantegna: Ritratto del cardinale Carlo de’ Medici, cm. 29,5, Galleria degli Uffizi, Firenze

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Ritratto del cardinale Carlo de’ Medici” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato su tavola – con tecnica non ben riconosciuta – nel 1466, misura 40,5 x 29,5 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Fino al primo decennio del secolo scorso l’effigiato era stato identificato in uno dei Gonzaga. Nel 1912 lo Schaeffer, attraverso uno studio approfondito, stabilì che si trattava invece del Cardinale Carlo de’ Medici (riportato in “MK” dello stesso anno).

Tuttavia nel 1937 in una rassegna allestita a Padova e dedicata alle iconografie dei Gonzaga, il ritratto appare con la catalogazione tradizionale. Per il Kristeller, l’opera in esame non è autografa ma una “debole copia” d’un originale cinquecentesco ormai andato perduto.

Universalmente accettato come autografo da tutti gli studiosi di Storia dell’arte, eccetto la Tietze-Conrat che solleva forti perplessità a causa del cattivo stato della tavola dalla quale, tra l’altro, non si rileva neanche la tecnica pittorica impiegata per la realizzazione.

Per quanto riguarda il periodo di esecuzione, il più attendibile risulta essere quello relativo al soggiorno dell’artista a Firenze, cioè intorno al 1466.

La presentazione al tempio (Berlino) del Mantegna

Mantegna: La presentazione al tempio (Berlino)

Mantegna: La presentazione al tempio (Berlino)
La presentazione al tempio, cm. 67 x 86, Staatliche Museen Berlino, particolare

Al secondo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “La presentazione al tempio” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato con tecnica a tempera su tela nel 1465 – 1466, misura 67 x 86 cm. ed è custodito a Berlino (Staatliche Museen).

La Madonna con il Bambino in braccio ed il sacerdote sono raffigurati in primo piano: nei tre personaggi collocati in secondo piano sono stati identificati lo stesso Mantegna, sulla sinistra, e sua moglie Nicolosia Bellini (sorella di Gentile e Giovanni), sulla destra (fonte: Prinz, “BEM” 1962).

L’opera appartenne alla famiglia dei Gradenigo di Padova, dalla quale pervenne alla raccolta Solly a Berlino, e quindi all’attuale Museo (Staatliche).

Ritratto di un prelato di casa Gonzaga del Mantegna

Mantegna: Ritratto di un prelato di casa Gonzaga

Mantegna: Ritratto di un prelato di casa Gonzaga
Mantegna: Ritratto di un prelato di casa Gonzaga, cm. ( circa 18 x 25), Gallerie Nazionali di Capodimonte.

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Ritratto di un prelato di casa Gonzaga” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato su tela – con tecnica non ben riconosciuta – intorno al 1461 (?), misura circa 25,5 x 18 cm. ed è custodito nelle Gallerie Nazionali di Capodimonte.

L’effigiato sarebbe, secondo il Frizzoni (“N”, 1895), Francesco Gonzaga, figlio del marchese Ludovico III che, all’età di sedici anni ricevette il galero (cappello prelatizio).

Tale identificazione viene universalmente accettata dagli studiosi di Storia dell’arte, tranne il Fiocco, il quale ipotizza trattarsi invece del fratello Ludovico, eletto vescovo alla tenera età di nove anni.

Per la cronologia, sull’anno 1461 vi sono diversi e motivati dubbi, uno fra i quali è da mettere in relazione alla difficoltà ad identificarne la tecnica a causa dell’alterato aspetto dovuto a sporcizia e ridipinture.

“Camera degli sposi – La corte” del Mantegna

Mantegna: Camera degli sposi – La corte

Mantegna: Camera degli sposi - La corte
Mantegna: Camera degli sposi – Particolare del “La corte”

Altri particolari: 1    2    3    4

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Camera degli sposi – La corte – ” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato con la tecnica a secco su muro probabilmente intorno all’anno 1474, misura 600 cm. ed è custodito nel Castello di San Giorgio a Mantova.

In questa composizione l’artista riesce in una impresa abbastanza ardua per il suo tempo, cioè quella di far convivere le sue nuove ricerche prospettiche con un gusto ancora “gotico” internazionale della corte, che trova il suo palesarsi nelle vesti, nei particolari vegetativi e nella coloristica brillante ed aurea. Si evidenzia inoltre la ricerca di una commistione tra elementi architettonici ed il tratto del disegno.

Per quanto riguarda il riferimento all’episodio, molte sono state le ipotesi, tutte poco attendibili, come pure quella che si riferisce alla consegna della missiva della duchessa di Milano Bianca Maria Visconti, nella quale ella mette a conoscenza Ludovico III della malattia del marito Francesco Sforza e del bisogno di assistenza per rendere più sicuri i suoi domini. Sarebbe stato così immortalato un momento di vita di corte, celebrato nella maniera più manifesta possibile per evidenziare la capacità di governare della famiglia Gonzaga.

Un altro riferimento fu ipotizzato dall’Equicola (Commentarii mantovani. 1521) nell’identificazione del celebre ricevimento offerto dalla corte mantovana all’Imperatore Federico III ed al re Cristiano I di Danimarca.

Il tendaggio, praticamente spostato in gran parte verso sinistra, è del tutto assente nell’altra metà, dove si intravede l’uomo con il guanto in mano (insieme ad altri, ma non nel particolare raffigurato nella pagina) illuminato a giorno (quale il bigio cielo dietro la transenna, a sinistra, non farebbe certamente ipotizzare: una delle molte “incoerenze”‘ che il dipinto mette in evidenza).

Nel piano di posa stanno tappeti  di gusto orientale, probabilmente di provenienza anatolica. Sotto al gruppo in posa è ubicato un vasto camino.

“Camera degli sposi – L’incontro” del Mantegna

Mantegna: Camera degli sposi – L’incontro

Camera degli sposi - Camera degli sposi - L'incontro (particolare)
Mantegna: Camera degli sposi – L’incontro – Castello di San giorgio, Mantova.  altro particolare

Al primo elenco opere del Mantegna

        Sull’opera: “Camera degli sposi – L’incontro – ” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato con tecnica a fresco nel 1474, misura 235 cm. ed è custodito nel Castello di San Giorgio a Mantova.

Per quanto riguarda la tematica, gli studiosi – soprattutto quelli del Novecento – si orientano ad identificarci il ricevimento del cardinale Francesco Gonzaga, figlio secondogenito di Ludovico III di Gonzaga (meglio conosciuto come Ludovico II, o Ludovico il turco), durante uno dei suoi rientri a Mantova.

Un probabile rientro, raffigurato ne “L’incontro”, potrebbe essere quello subito dopo la concessione del galero (cappello prelatizio) del dicembre 1461, oppure l’altro, ancor più importante, dell’agosto 1472, quando assunse il titolo di Sant’Andrea (fonte: Andrea Schivenoglia – 1445-84 – “Raccolta di eronisti e documenti storici Lombardi inediti vol. 11, s. 177 f.).