“Il disinganno (Le pene d’amore)” del Veronese

Il disinganno (Le pene d’amore) di Veronese

Il Veronese: Il disinganno (Le pene d'amore)
Il disinganno (Le pene d’amore) cm. 185 x 193

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Sull’opera: “Il disinganno (Le pene d’amore)” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, appartenente al ciclo delle “Quattro allegorie”, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1565, misura 186 x 193 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

Fra i quattro dipinti della serie, quello in esame, si presenta come il meglio conservato. Gli studiosi di storia dell’arte hanno rilevato alcuni ritocchi che corrono lungo la linea di sutura nella zona centrale, ma anche molti ‘pentimenti’ dell’artista con conseguenti ridipinture, soprattutto negli incarnati delle figure, putto compreso. L’opera fu sottoposta ad una pulitura nel 1950.

“Il sacrificio di Abramo” del Veronese

Il sacrificio di Abramo di Veronese

Il Veronese: Il sacrificio di Abramo
Il sacrificio di Abramo, cm. 129 x 95, Prado, Madrid

Descrizione e storia

Sull’opera: “Il sacrificio di Abramo” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela, misura 129 x 95 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

L’opera in esame viene citata nel 1657 da P. Santos che la indica ubicata nella sagrestia dell’Escuriale. Si trova nell’odierna sede dal 1837.

Il dipinto, di cui non si conosce con esattezza il periodo cronologico, si ipotizza realizzato dall’artista in tarda età (Fiocco, 1928; Pallucchini in “EUA” 1966).

La struttura compositiva delle figure “in diagonale” richiama quella della “Resurrezione di Cristo” (136 x 104 cm. anno 1572) delle Gemäldegalerie di Dresda.

“L’adorazione dei magi” del Veronese

L’adorazione dei magi di Veronese

Il Veronese: L'adorazione dei magi
L’adorazione dei magi, cm. 320 x 234, chiesa di Santa Corona, Vicenza

Sull’opera: “L’adorazione dei magi” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1578, misura 320 x 234 cm. ed è custodito nella chiesa di Santa Corona a Vicenza.

L’opera la commissionarono al Veronese per l’altare della cappella Cogoli  della chiesa di Santa Corona a Vicenza. L’altare, fatto innalzare da M. A. Cogoli, fu portato a termine nel 1573, e tale data costituisce il il limite minimo per la datazione della tela.

Citato con grandi lodi dai vecchi studiosi di storia dell’arte e dal celebre filosofo Charles de Brosses (Lettres familières (1739-40). Nel 1807 il demanio napoleonico lo fece trasferire a Milano, dove sostò per pochissimo tempo per poi ritornare nella stessa cappella della chiesa di Santa Corona. Nel 1860 la tela fu trasferita su un’altro altare della stessa chiesa.

Secondo il Pallucchini (1963-64), stilisticamente presenta molte affinità con l’Adorazione dei magi (355 x 320, 1573) custodito nella National Gallery di Londra, sia per i richiami alla pittura bassanesca (Jacopo da Ponte detto Bassano), sia per il cromatismo a carattere crepuscolare, qui ben più solido ed intenso, tanto da fargli pensare di posticiparne la cronologia di qualche anno.

Tradizionalmente, nella figura del re, avvolto in un manto rosso a sinistra della Madonna, si identifica il committente.

“Sacra famiglia con i santi Barbara e Giovannino” del Veronese

Sacra famiglia con i santi Barbara e Giovannino di Veronese

Il Veronese: Sacra famiglia con i santi Barbara e Giovannino
Sacra famiglia con i santi Barbara e Giovannino, cm. 86 x 122, Galleria degli Uffizi, Firenze

Sull’opera: “Sacra famiglia con i santi Barbara e Giovannino” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1562 (?), misura 86 x 122 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Il dipinto lo cita Carlo Ridolfi in “Le maraviglie dell’arte” (1648), che lo indica ubicato nella residenza della famiglia Widman a Venezia.

Da documentazioni certe si ricava che la tela, più tardi, passò al veneziano Paolo del Sera, il quale la vendette, nel 1654, al cardinale Leopoldo de’ Medici (Firenze, 1617 – Firenze, 1675) .

Molto probabilmente alla tela asportarono delle fasce laterali di varia grandezza.

C’è stato un periodo, anche abbastanza lungo, in cui il tema della presente composizione era stato confuso con le “Nozze mistiche di Santa Caterina”.

“Venere e Adone dormiente” di Veronese

Venere e Adone dormiente di Veronese

Il Veronese: Venere e Adone dormiente
Venere e Adone dormiente, cm. 212 x 191, Prado, Madrid

Sull’opera: “Venere e Adone dormiente” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1580, misura 212 x 191 centimetri. La pittura è attualmente custodita nel Museo del Prado a Madrid.

L’identificazione

Da documentazioni certe si ricava che un dipinto, probabilmente identificabile in quello in esame, sia stato acquistato a Venezia nel 1641 dal grande Velàzquez, su commissione dei reali di Madrid. Nel 1866 era esposto nella Galeria del Mediodia all’Alcàzar.

Il Borghini (1581), entrando in contatto con due opere del Veronese, tra cui – probabilmente – quella in oggetto, ne fece una dettagliata descrizione. Scrisse: due “quadri bellissimi”, l’uno “di Procri, l’altro di Adone addormentato in grembo a Venere, dipinti dal Veronese ultimamente”.

Cronologia del dipinto

Dal frammento del Borghini si rileva che – se certa è l’identificazione della tela – l’opera potrebbe essere datata tranquillamente intorno al 1580, in contemporanea col altre affini lavori dello stesso periodo.

“Venere e Marte legati da Amore” del Veronese

Venere e Marte legati da Amore di Veronese
Il Veronese: Venere e Marte legati da Amore
Venere e Marte legati da Amore, cm. 206 x 161, Metropolitan Museum, New York

        Sull’opera: “Venere e Marte legati da Amore” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1580, misura 206 x 161 cm. ed è custodito nel Metropolitan Museum di New York.

In basso, sulla destra, scolpita su pietra si legge la firma “PAVLVS VERONENSIS F.”. Il tema, che oggi appare evidente, nei secoli scorsi venne interpretato in vari modi, come ad esempio  “Ercole adottato da Giunone” (Eisler), “La Forza marziale nutrita dalla Bellezza” (Cagnola, “RSA” 1911), “L’amore che trasforma la Carità in Castità” (Wind), ed altri ancora.

Il dipinto si trova nel Metropolitan Museum di New York dal 1910, col fondo Kennedy. Tradizionalmente, ma erroneamente, fu ritenuto come uno dei lavori realizzati su commissione per Rodolfo II, perché identificato in una delle tele menzionate dal Borghini e dal Ridolfi (1581 e 1648) in tale contesto.

Nel secolo scorso lo Zeri (“P” 1959) smentiva questa ipotesi asserendo che l’opera avesse avuto una storia indipendente, nonostante coincidesse il periodo della realizzazione con le opere citate dagli studiosi.

Per quanto riguarda l’autografia del Veronese, gli studiosi di Storia dell’arte si sono sempre espressi universalmente a favore.

Concorde è anche il giudizio positivo sull’alta qualità stilistica e compositiva.

“Mosè salvato dalle acque” di Veronese

Mosè salvato dalle acque di Veronese

veronese - mosè salvato dalle acque
Mosè salvato dalle acque, cm. 50 x 43, Prado Madrid

        Sull’opera: “Mosè salvato dalle acque” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1580 misura 50 x 43 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Da documentazioni certe si ricava che l’opera, nel 1666, già si trovava nell’Alcàzar di Madrid: Il Madrazo dal suo catalogo (1843) ipotizzò l’identificazione della presente tela in una delle tre opere citate da Carlo Ridolfi (Le maraviglie dell’arte, 1648) come raffiguranti il tema biblico con Mosè. Il dipinto in esame dovrebbe essere lo stesso di quello indicato presso la residenza dei marchesi della Torre a Verona, ma nessuna documentazione certa può suffragare tale ipotesi, che tuttavia venne ripresa nel secolo scorso da R. Fastnedge (“Liverpool Bulletin”, 1953).

Su “Mosè salvato dalle acque” esistono numerose versioni, più o meno autografe dell’artista con la collaborazione – principalmente degli artisti di bottega –  in misura più o meno vasta.

Il dipinto in esame è considerato all’unanimità dagli studiosi di Storia dell’arte come la versione più pregiata e, molto probabilmente, l’unica totalmente autografa, ricca di armonia coloristica e forte come valori formali.

Per quanto riguarda la cronologia, Hadein (1911) avanzò l’assegnazione di un periodo abbastanza ampio (tra il 1560 e il ’70), che non fu accettato di buon grado dal resto della critica ufficiale, che verosimilmente la ritardò al 1575-80.

“Dama con cagnolino” del Veronese

Dama con cagnolino di Veronese

Il Veronese: Dama con cagnolino
Dama con cagnolino, cm. 98, Prado, Madrid

Sull’opera: “Dama con cagnolino” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela intorno al suo ultimo periodo di attività artistica, misura 121 x 98 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

L’opera in oggetto si trovava nell’Alcàzar di Madrid, i cui antichi inventari – sia quelli relativi al 1600, che quelli del 1636 – identificavano la figura del dipinto con Livia Colonna, moglie di Marzio Colonna (generale di papa Clemente VIII), che fu assassinata nel 1552.

Ma i connotati, stimati in relazione all’età della donna effigiata, contrastano con la cronologia presupposta dell’opera, che, nonostante sia considerata “incerta”, è attribuibile al periodo tardo del Veronese.

“Giuditta con la testa di Oloferne” del Veronese

Giuditta con la testa di Oloferne di Veronese

Il Veronese: Giuditta con la testa di Oloferne
Giuditta con la testa di Oloferne, cm. 100,5, Kunsthistorisches Museum.

Descrizione e storia dell’opera

Sull’opera: “Giuditta con la testa di Oloferne” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato con tecnica ad olio su tela intorno al suo ultimo periodo di attività artistica, misura 111 x 100,5 centimetri. Il dipinto è attualmente custodito nel Kunsthistorisches Museum.

L’identificazione del dipinto

La composizione in esame apparteneva all’arciduca Leopoldo Guglielmo, nella cui casa la vide il Boschini (Miniere della Pittura, edizione 1664). Il pittore-scrittore ne fece una dettagliata ed enfatica descrizione.

Secondo il Fiocco invece, che ne parlò nel 1928 e 1934, è probabilmente identificabile con la tela citata da Raffaello Borghini nel “Riposo” (1584), che si trovava presso il duca Carlo di Savoia.

Nel catalogo (1965) del Kunsthistorisches Museum si ipotizza, tuttavia, che si tratti dell’opera vista da Carlo Ridolfi (Le maraviglie della Pittura, 1648) in casa del nipote del Veronese, Giuseppe Caliari.

Autografia e cronologia del dipinto

Per quanto concerne la piena autografia dell’artista, gli studiosi di Storia dell’arte sono universalmente d’accordo.

Anche per la cronologia, pur non esistendo le relative documentazioni, c’è il pieno consenso nel ritenerla appartenente al periodo tardo del Veronese, fase in cui – per il Pallucchini, 1963-64 – il maestro, “pur immergendo le figure in atmosfere più cupe e malinconiche, non rinuncia al godimento di colori vibranti, anche se in sordina”.

“Trionfo di Venezia” del Veronese

Trionfo di Venezia di Veronese

Il Veronese: Trionfo di Venezia
Trionfo di Venezia, cm. 904 x 580, Palazzo Ducale

        Sull’opera: “Trionfo di Venezia” è un dipinto autografo di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato nel 1583, con collaboratori, impiegando la tecnica ad olio su tela; misura 904 x 580 cm. ed è custodito nel Palazzo Ducale a Venezia.

Un devastante incendio, scoppiato il 20 dicembre del 1577 nel Palazzo, ducale distrusse importantissimi cicli pittorici, fra cui quelli del soffitto della sala. Questo fu completamente rifatto entro il 1585, su progetto di Cristoforo Conte, impiegando ornamenti in oro, festoni, cartigli e volute.

Per la parte pittorica della decorazione vennero contattati, oltre all’artista in esame, il Tintoretto e Palma il Giovane. Il Veronese realizzò, nella zona adiacente al “Paradiso” del Tintoretto – dentro uno spazio ovale – il “Trionfo di Venezia, incoronata dalla Vittoria”.

Il dipinto venne elogiato sin dai primi periodi dagli studiosi d’arte, ad iniziare dal pittore-scrittore Raffaello Borghini (“Il Riposo”, 1584), mentre oggi c’è la tendenza ad evidenziarne le carenze, soprattutto nel tono prosastico celebrativo, nonostante la riconosciuta armonia compositiva e coloristica.

Per quanto riguarda l’autografia totale, nessun critico d’arte ha avanzato ipotesi a favore, tanto appare innegabile l’intervento di collaboratori (fonti: Coletti e  Berenson), tra i quali il fratello Benedetto (fonte: il Pallucchini, 1963-64). I vari restauri e ridipinture che seguirono, appesantirono varie zone rovinandone l’armonia cromatica.