Rinascimento e il ritorno all’antico

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Il ritorno all’antico

Busto di Platone ritrovato nel 1925 a Roma
Busto di Platone ritrovato nel 1925 a Roma entro l’area sacra in Largo Argentina. Trattasi di una copia, attualmente nel Musei Capitolini romani, di un’opera di Silanion [Enciclopedia dell’Arte Antica (1965)].
“Rinascimento” … già questa parola lascia intendere qualcosa che ha a che vedere con il recupero del passato.

Nella cultura umanistica di questo vasto periodo il “recupero dell’antico” significava “ritorno al classico”.

Si intraprese, quindi, un accurato studio su antichi autori che il medioevo aveva posto in seconda rilevanza.

Le ricerche riguardarono anche i temi filosofici, soprattutto quelli relativi al Neoplatonismo.

Il Neoplatonismo – di cui si conosce il nome del padre fondatore, cioè il filosofo Plotino –  nacque e si sviluppò nel III secolo, dopodiché perse la sua forza.

Il Neoplatonismo

La testa, identificata come quella di Plotino, plausibile ma non esiste una prova a riguardo.
La testa identificata come quella di Plotino è plausibile ma non esiste una prova a riguardo.

Il Neoplatonismo ritornò di moda a Firenze e dintorni nel XV secolo, grazie a grandi pensatori come Giovanni Pico della Mirandola (1463 – 1494), Lorenzo Valla (1405 o 1407 – 1457) e Marsilio Ficino (1433 – 1499).

Senza entrare a fondo in questioni prettamente filosofiche possiamo affermare che il neoplatonismo fu fonte di importanti riflessioni verso temi che in beve tempo, con l’arte rinascimentale, divennero impellenti. Impellente fu, ad esempio, il recupero della bellezza.

Arte e bellezza nei vari periodi della Storia dell’arte

Molto spesso Arte e bellezza appaiono come sinonimi. Questo è vero soltanto in alcuni periodi della storia – per esempio in quello dell’antica Grecia –  quando la stessa arte aveva per fine la bellezza.

Non lo fu, invece, nel periodo medievale, dove la visione artistica era essenzialmente basata sulla religione, escludendo qualsiasi riferimento alla bellezza. L’arte aveva semplicemente un fine didattico, cioè quello insegnare la religione cristiana attraverso la storia. La bellezza passava in secondo piano e, spesso, veniva considerata assai pericolosa perché poteva spingere al peccato. Necessitava un’arte che inducesse ai buoni precetti.

Bellezza e perfezione

Nel Rinascimento invece si assistette ad un radicale cambiamento di rotta, dove gli artisti recuperarono il concetto della bellezza. Il perché è ovvio: bellezza intesa come espressione stessa della perfezione.

La perfezione, già dal Primo Rinascimento, divenne così il metro di misura per giudicare la capacità creativa dell’artista nella raffigurazione di un mondo nuovo, proprio come avvenne nel periodo dell’antica Grecia.

La riflessione sulla bellezza

Il Neoplatonismo con la sua filosofia influì molto sul pensiero degli artisti rinascimentali, che arrivarono ad una riflessione sulla bellezza: tutto quello che è bello è anche buono, come pure ciò che è buono è anche bello. Veniva in tal modo annientato l’annoso conflitto tra sfera etica ed estetica.

La questione però – come ben sappiamo – rimane nel tempo sempre controversa, alternandosi nel corso della Storia dell’arte, soprattutto in quella occidentale.

In tal modo, quindi, con il Rinascimento si ebbe un ritorno all’antico e cioè un recupero della bellezza, del gusto per le proporzioni e, quindi, per la perfezione delle forme.

Infine, proprio come avvenne per l’arte classica,  anche gli artisti rinascimentali si misero alla ricerca di un più perfetto naturalismo. Si iniziò così lo studio per una perfetta rappresentazione del mondo reale.

Possiamo perciò affermare che anche l’arte contribuì alla creazione del nuovo uomo del Rinascimento. Un uomo che con ogni mezzo cercava di approfondire accuratamente lo studio della bellezza del mondo esterno per meglio rappresentarlo.

Il rifiuto rinascimentale dell’arte gotica

Il ritorno al classico, in un primo momento,  si materializzò in architettura, poi si espanse nella scultura e nella pittura.

Il Rinascimento, sin dall’inizio, rifiutò l’architettura gotica con tutte le sue geometrie prive di ogni regolarità.

Tale rifiuto portò, in alternativa, gli architetti rinascimentali a recuperare tutte le regole della grande architettura romana.

Più tardi il ritorno all’antico si manifestò in altri campi, anche grazie ad una profonda ricerca sulla mitologia, che permise agli artisti di arricchire con nuove figure le loro rappresentazioni.

Ma il Rinascimento nella Storia dell’arte fu soprattutto, oltre che un semplice recupero di elementi decorativi, il rispetto più profondo verso la bellezza e il naturalismo.

Il Cinquecento e il Manierismo

Il Cinquecento e il Manierismo

Pagine correlate: Quattrocento – Pieno Quattrocento – Pittura veneziana e veneta del Quattrocento – Primo Cinquecento – Manierismo (frammenti) – Rinascimento europeo.

La punta più alta del classicismo

Giorgione: Le tre età dell'uomo, cm. 77, Palazzo Pitti, Firenze.
Giorgione: Le tre età dell’uomo, cm. 77, Palazzo Pitti, Firenze.

Lo studioso svizzero Heinrich Wölfflin (Winterthur, 1864 – Zurigo 1945) riconosce a pieno quel particolare momento di splendore della civiltà rinascimentale nel figurativo. Un periodo dove la pittura, soprattutto quella italiana, riesce ad esprimersi con tutto il suo vigore attraverso artisti che diventeranno un esempio per tutti i secoli a venire.

È questo il periodo degli insigni personaggi, quali Giorgione, Tiziano, Michelangelo, Correggio, Leonardo e Raffaello. Un periodo di altissimo valore che lo stesso Vasari (Arezzo 1511- Firenze 1578) si spinge a definire come “l’ultima età dell’oro”.

Federico Faruffini: La gondola di Tiziano (bozzetto), anno 1861, cm. 17 x 32, collezione privata, Milano.
Federico Faruffini: La gondola di Tiziano (bozzetto), anno 1861, cm. 17 x 32, collezione privata, Milano.

Ad oggi e con la nostra cultura,  non è affatto semplice specificare la durata di un periodo di così sottile raffinatezza, incluso nel grande oceano rinascimentale in pieno fermento. Un momento, questo, certamente di breve durata, che si inserisce in un contesto in cui è già presente il germe della lenta ma potente crisi. Un periodo che riesce tuttavia, anche se per breve tempo, ad annullare questa crisi, e definirlo classico sarebbe troppo riduttivo. È questo un momento storico di eccezionale importanza, in cui gli ideali più alti – quali eleganza, armonia, serena raffinatezza, giusto e consapevole equilibrio tra la razionalità dell’uomo e le bellezze della natura, tra il sentimento dell’uomo e la divinità – già compresi nella cultura del Rinascimento, riescono in un eccezionale salto di qualità, di grande portata storica.

Il Manierismo

Pontormo: La pala Pucci - Madonna col Bambino
Pontormo: La pala Pucci – Madonna col Bambino

Corrente prevalentemente pittorica che copre gran parte del XVI secolo, nata dalla necessità dei pittori di superare i limiti dell’armonia, dell’ordine e della perfezione, che hanno contraddistinto il Rinascimento, ispirandosi alla “maniera”, uno stile fatto di eleganza, armonia e sicurezza.

Il Manierismo inizia intorno al 1525 e si conclude, per le tematiche religiose, intorno al 1563, continuando ancora qualche decennio per l’arte in generale.

Il termine “maniera” è sempre presente nel Cinquecento, ma con il passare del tempo assume diversi significati: il Vasari lo utilizza, ad esempio, per descrivere il virtuosismo artistico del pittore.

Giulio Romano: Madonna col Bambino
Giulio Romano: Madonna col Bambino

Con il passare dei secoli il significato della parola “maniera”, inteso dal Vasari, viene rafforzato e spesso utilizzato per dimostrare nell’arte non il virtuosismo, ma l’eccesso di virtuosismo e di artificiosità tecnica riguardante la composizione, gli effetti di luce, le numerose espressioni delle figure con altrettante varietà di pose, l’esasperata rappresentazione di intensi stati d’animo, l’importanza del drappeggio portato ai limiti del reale fino a diventare quasi innaturale, ed infine i colori delle figure stesse e degli sfondi portati agli eccessi a seconda della loro importanza.

Il Cinquecento, il tardo Rinascimento ed il Manierismo

Già  si profilano in modo evidente le molte strade che la cultura dell’arte figurativa italiana sta percorrendo: strade che si intrecciano e si distanziano, approfondendo con forza casi particolari o dirigendosi con grande vitalità verso i principali centri culturali, ad esempio Roma, Bologna, Padova, Brescia, Verona, Venezia, Milano e Firenze.

Rosso Fiorentino: La Pietà
Rosso Fiorentino: La Pietà

Quale studioso d’arte europeo potrebbe immaginarsi, intorno agli anni venti, periodo in cui dominano le pitture di Michelangelo e Raffaello, che gli audaci sperimentalismi di alcuni pittori avrebbero potuto un giorno trionfare? Proverebbe sicuramente  un senso di forte sconcerto vedendo, prima di raggiungere Roma, le opere del Correggio (Antonio Allegri 1489 – 1534) di prima maniera a Parma, dove la coloristica e l’accentuazione degli scorci e del movimento è portata al massimo, poi gli esordi di Pontormo (Jacopo Carrucci, Empoli 1494 – Firenze 1556 o 57) con le Storie dei santi (Galleria dell’Accademia di Firenze) e poi del Rosso Fiorentino (Giovan Battista di Jacopo ca. 1495-1540) con l’Incendio di Catania (Galleria Francesco I, Fontainebleau). Nel 1520 muore il giovane Raffaello e sette anni dopo, c’è la la triste vicenda del “Sacco di Roma”: è un decennio catastrofico, nel quale hanno il sopravvento le carestie, pestilenze, assedi e dure battaglie.

Correggio: Il Giorno
Correggio: Il Giorno

La prima conseguenza storico-artistica è quella della disseminazione dei grandi esponenti dell’arte, soprattutto dei pittori formatisi alla scuola di Raffaello Sanzio: Polidoro da Caravaggio (Polidoro Caldara, 1499/1500-1543) a Napoli ed in Sicilia, Giulio Romano (Giulio Pippi, Roma, 1499 – Mantova – 1546) a Mantova, Rosso Fiorentino e il Serlio (ca. 1475-1554) in Francia, Berruguete in Spagna.

La “maniera” moderna si allarga a macchia d’olio, ma allo stesso modo viene giudicata e, per certi aspetti, anche contrariata: è questo il cammino del Manierismo, sul cui riconoscimento e  sulla cui cronologia è aperto uno dei più accesi dibattiti nella storia dell’arte.

Le voci più frequenti parlano di crisi del Rinascimento o di anticlassicismo. Ma già un punto di vista territoriale, come quello che consideri l’evoluzione artistica a Milano o a Venezia nel 1430 – 1440, accerterebbe molti fattori di equilibrio e consistenza, piuttosto che di indecisione o ripensamenti. Nel Seicento la parola “manierismo ” verrà usata come significato di “vuota imitazione” per l’operosità artistica nel Cinquecento inoltrato, con particolare riferimento a quella dell’Italia centrale, proprio come se fosse priva di qualsiasi cenno di valore creativo.

Tuttavia per molti artisti le biografie non ricordano nessun periodo di crisi o accenti di critiche negative, ovviamente escludendo alcuni casi eclatanti come quello di Pontormo, che lo stesso Vasari accusa di eresia o pazzia nella raffigurazione degli affreschi di San Lorenzo, o quello di Michelangelo, che nelle Rime ci ha lasciato una straordinaria testimonianza del suo intimo tormento spirituale.

Domenico Beccafumi- Patto tra Elia e Ecab
Domenico Beccafumi- Patto tra Elia e Acab (beccafumi) – scena dal pavimento del Duomo di Siena

Anche sulla scorta della concezione di “maniera” elaborata dalla critica ufficiale contemporanea, gli studiosi più recenti di Storia dell’arte distinguono come fenomeno caratteristico tutto l’insieme di fermenti anticlassici, che con motivazioni differenti, insorgono nei primi decenni del Cinquecento. Rispettando questo punto di vista, l’Aspertini e il Dossi (ca. 1486/89 – 1542) in Emilia, Pontormo, Rosso Fiorentino e Beccafumi in Toscana, risultano veri sperimentatori impegnati a contestare con forza la regola classica, spesso chiamando in causa suggerimenti che arrivano dalla parte più a nord Italia ed anche alpina. D’altra parte la loro subordinazione ai “maestri” del Rinascimento è certamente evidente, anzi nel caso di Pontormo è chiaro come il suo essere anticlassico provenga dalle stesse istanze  di Michelangelo portate all’esasperazione: della liceità e del soggettivismo. D’altronde subito dopo, Greco, Tintoretto e Veronese,  daranno tre diversi, personali ma prolifici risultati alla sazietà dell’equilibrio artistico rinascimentale.

Seguendo gli artisti dell’epoca e soprattutto Giorgio Vasari, si comprende che nella considerazione corrente la “maniera” è nata in fondo come caratteristica tipica del Rinascimento – la maniera moderna, appunto – laddove il livello soggettivo dell’artista  “vince” l’imitazione della natura.

La soluzione dettata dal Vasari è a favore di un importante equilibrio tra maniera e verosimiglianza – «una licenzia che, non essendo di regola, fusse ordinata nella regola» – pur dando la preferenza all’aspetto individuale, sempre incoraggiato dal «retto giudizio». Con questa attitudine critica il Manierismo viene considerato come la principale variante interna della cultura artistico – figurativa rinascimentale. Quella cioè che entra con forza nella dialettica tra soggettivo e oggettivo, tra individuo e realtà. Poli che già l’Umanesimo aveva iniziato a differenziare perché l’imitazione del mondo naturale si dirigesse verso un ideale superamento dello stesso.

Dopo la breve ed energica esperienza romana di Raffaello e Bramante, che sembra ormai aver raggiunto lo scopo nell’orizzonte di un sicuro equilibrio, i due termini della questione si sono subito rivelati come i punti estremi di un rapporto di grande drammaticità,  senza quella dimensione trascendente che li aveva tenuti uniti nella coscienza medioevale.

Michelangelo diluvio universale
Michelangelo: Il Giudizio Universale

Si capisce anche come Michelangelo Buonarroti, già dal Tondo Doni e dalla cupola della Sistina, sia il punto di partenza di questo movimento. Un movimento che arriva al suo culmine nel Giudizio Universale e nelle tombe medicee a Firenze. Anche il tormentato cammino dei mutamenti religiosi, prima e dopo il concilio di Trento, ha diverse interpretazioni riguardo la cultura artistica e architettonica.

La forte identità del movimento protestante e di un certo intellettualismo coltivato in ambienti ad esso simpatizzanti, di alta classe sociale, trova diverse armonie con le tendenze artistiche più passionali e sofisticate del periodo. Per questo motivo la committenza del mondo cattolico decide di promuovere un linguaggio artistico popolare, chiaro ed opportuno, sia nella sostanza che nella disposizione affettiva. Da questo punto di vista la vena solare e fiduciosa della pittura di Gaudenzio Ferrari, come quella più nobile e superba di Tiziano Vecellio negli anni della Madonna di Ca’ Pesaro riescono a rinfrancare le intenzioni della Chiesa. Nasce anche un nuovo senso della realtà, che nella pittura di Savoldo e Moretto (1498-1554) mette in evidenza gli aspetti più conformi alla realtà ed alla devozione, innalzando con dense gamme cromatiche e luminosi squarci di luce il contenuto dinamico degli affetti.

Risulta di estrema facilità intravedere in questo linguaggio pittorico denso di realtà il preannuncio della poetica del Caravaggio. Ben diverso è il formalismo estetizzante delle raffinate figure del Parmigianino (1503-40), dalla Madonna di Dresda agli affreschi della Steccata a Parma: allievo di Correggio ha una lunga permanenza a Roma e non gli sono certamente estranei gli sviluppi del  Manierismo in Toscana. La sua pittura è colma di artifizi e di ricercati esperimenti di composizione.

Le architetture e le decorazioni artistiche – pittoriche di Palazzo Te contraddicono con regolarità, regole e misure, nel tentativo di percepire dalla natura l’aspetto più semplice e vitale. Sperimentazioni ed ambiguità, queste, tra ambiente e artifizio, come sarà nelle figure raccapriccianti di Bomarzo e di Pratolino. Tali tendenze avranno un grande sviluppo in tutta Europa, e con più forza in quella fiamminga e germanica, dove è attuale un’affannosa ricerca della varietà e della discordanza.

Il ruolo dei Carracci nel superamento del Manierismo.

Nella tarda metà del Cinquecento è attiva l’Accademia dei Desiderosi (diventata nel 1590 Accademia degli Incamminati), istituzione fondata dai Carracci. Questa rimarrà per molto tempo il punto di riferimento classico dell’arte del nuovo secolo, con il grande intento di riportare la realtà nell’arte della pittura. Tutti e tre gli artisti (Annibale, Ludovico e Agostino) hanno un eccezionale talento nel disegno e già si staccano dalle regole manieristiche nella scelta di tematiche diverse da quelle prettamente classiche.

Vige in questo periodo una vera e propria gerarchia in fatto di rappresentazioni: prima figure divine, poi quelle mitologiche ed infine raffigurazioni di genere.

Tutti gli studiosi di Storia dell’arte sono d’accordo nel considerare eclettici i Carracci, in quanto influenzati da più scuole pittoriche.

Uno tra gli obiettivi principali della loro Accademia è quello di proporre una pittura comprensibile a tutti.

Se il manierismo è elitario e legato a discipline accademiche, i Carracci fanno una pittura semplice e realista e fondano un’accademia libera diversa da quelle tradizionali. Un’accademia non sovvenzionata da istituzioni laiche o religiose ed aperta a tutti. Se i manieristi sono elitari, i Carracci amano la semplicità e il dipingere in modo diretto e realista.

Paolo Caliari e Jacopo Robusti

Veronese: Biografia e vita artistica – Le opere – la critica

Tintoretto: Cenni biografici – Le opere – la critica

Paolo Caliari

Veronese: Il trionfo di Venezia
Veronese: Il trionfo di Venezia

Paolo Caliari, il Veronese (Verona 1528; Venezia 1588), è il più gaudioso dei pittori manieristi. Attento a Giulio Romano, al raffaellismo del Correggio, all’eleganza del Bronzino, alle architetture di Palladio e Sanmicheli, non ama problemi che non siano di forma.

Colorista eccelso, capace di far brillare dello stesso incanto il dettaglio sfarzoso di un costume e la muscolatura di un cane da caccia. Vertiginoso inventore di architetture dipinte, interpreta la gioia di vivere della Venezia cinquecentesca.

Lascia fra i capolavori un ciclo stupendo di affreschi alla villa Bari di Masèr, le imponenti Cene, le tele nel palazzo Ducale e il prodigioso insieme delle opere a San Sebastiano, sempre a Venezia.

Il Tintoretto

Tintoretto: Ritrovamento del corpo di S. Marco
Tintoretto: Ritrovamento del corpo di S. Marco

Jacopo Robusti, il Tintoretto (Venezia 1518-94), è il grande maestro del Manierismo drammatico a Venezia, uscito dalla costola di Tiziano e dal romanismo espressionista del Pordenone. Pittore di stupefacente velocità e prolificità, influenza profondamente il gusto barocco. Fra le sue opere più spesso ricordate, le serie per la Scuola Grande di San Marco e per la Scuola Grande di San Rocco e le opere per il palazzo Ducale, sempre a Venezia. Di calda sensualità le sue figure femminili, fra cui la Susanna ora a Vienna. Nella pittura religiosa, da ricordare almeno il giudizio finale della Madonna dell’Orto a Venezia e il Ritrovamento del corpo di San Marco a Brera. Grande forza d’introspezione psicologica nei ritratti.

 Frammenti

  •  Nei secoli la parola Manierismo assume significati diversi.
  •  L’ultima fase della rinascita, che occupa in pieno il secondo cinquantennio del sedicesimo secolo, è chiamata Manierismo.
  •  Il termine Manierismo nasce come definizione di un ambiguo significato di basso livello. Quando il Vasari diffonde la teoria del progresso nel campo dell’arte, il termine cambia significato.
  •  Nel Seicento la parola Manierismo indica semplicemente “vuota imitazione dell’ultimo cinquantennio del secolo precedente.”
  •  Nel Seicento la parola Manierismo condanna principalmente le regioni centrali e soprattutto la Toscana perché “prive di ogni valore poetico e creativo”.
  •  I manieristi portano sulle spalle il peso di un’eredità troppo alta, lasciatagli dai grandi esponenti della pittura della prima metà del secolo. Da questa eredità inizia la condanna, fortunatamente rientrata nei secoli. Nascono infatti molti circoli intellettualistici nei vari centri della penisola per contrastare il nuovo fenomeno disorganico e e contraddittorio.
  •  Il Manierismo rappresenta (rappresentava) la crisi dell’arte che sfocia nello “scadente ed effimero barocchismo”.  Lo stesso scadente ed effimero barocchismo che verrà altamente glorificato soltanto nel Novecento.
  •  Manierismo = Decadenza.  Ma quale decadenza!?!?! Il Manierismo porta dentro di sé valori altamente poetici ancora di stampo rinascimentale. Rielabora con eleganza e con franchezza, anche se polemica,  le grandi scoperte stilistiche del grande Rinascimento.
  •  Manierismo! Ormai questa parola, a noi italiani non  fa più paura e non ci dà più l’idea di ambiguità. In alcuni paesi d’Oltralpe preferiscono ancora definire quel cinquantennio con il comune termine di “Tardo Rinascimento”.
  •  Da tenere presente che il linguaggio rinascimentale nel Cinquecento viene imposto in tutto il continente occidentale, originando nelle varie regioni d’Europa un concentrato di esperienze  gotiche e rinascimentali che rimarranno come solide basi per i secoli a venire.

Il Trecento e la pittura: Il Rinascimento in incubazione

Pagine correlate al Trecento e la pittura: Inizi del GoticoScuola romanaLa pittura di Giotto – La pittura di S. MartiniLa pittura di DuccioAl pieno Trecento – Il disegno nel RinascimentoLa prospettiva nel Rinascimento.

Il Trecento e la pittura

Se una delle peculiarità più incisive della Rinascita deriva dal bisogno di un’attenta osservazione della natura e di una genuina realtà priva di contraffazioni, si può certamente affermare che già nella prima metà del Duecento si respira l’aria del grande Rinascimento. Questo avviene presso la corte di Federico II Hohenstaufen del Sacro Romano Impero (Federico I di Sicilia o di Svevia :1194 – 1250).

Il Rinascimento è già da tempo in incubazione: con la struttura artistica umanistica italiana, così come si presenta alla fine del Trecento, si sente il bisogno di introdurre l’idea di un completo rinnovamento e di un riavvicinamento alle fonti classiche romane, rompendo con la tradizione medioevale.

Nelle città fiamminghe è in atto un’altra trasformazione che tende al naturalismo. La fusione tra le due tendenze rinascimentali fa nascere l’Arte Moderna Europea.

Simone Martini: Il Polittico di Pisa
Simone Martini: Il Polittico di Pisa

L’interesse, e quindi la tendenza del ritorno alle tradizioni del mondo classico, che non è mai venuto meno già dagli inizi del Trecento, diviene nella seconda metà del secolo il fattore trainante per sviluppo della cultura italiana ed in generale europea.

Mentre nella cultura italiana si sente il bisogno del ritorno al classicismo romano, in Europa, a partire dalle città fiamminghe, assistiamo ad una trasformazione che porta al naturalismo. Queste due tendenze si fondono e danno origine alla prima stagione del Rinascimento.

Madonna col Bambino e un angelo, 1465-1467, tempera su tavola
Madonna col Bambino e un angelo, 1465-1467, tempera su tavola, 110×70 cm., Musée Fesch, Ajaccio.

Il recupero, la lettura e l’imitazione dei testi antichi, danno vita ad una profonda trasformazione nell’ambito letterario, che di conseguenza si ripercuote in tutto il mondo artistico. Tutti i protagonisti letterari che recuperano testi latini e greci, partecipano attivamente alla vita artistica interessandosi anche  della Pittura. Il Petrarca diventa amico di Simone Martini, Poliziano diventa amico di Sandro Botticelli.

Il rapporto tra studi umanistici ed arti figurative ha una particolare influenza nelle categorie di interpretazione dei fenomeni artistici, inizialmente prese in prestito dalla retorica classica.

Il Rinascimento in incubazione

L’arte italiana

L’arte italiana già agli inizi della seconda metà del Duecento stava percorrendo una nuova ed autonoma strada, staccandosi sia dall’arte medievale, sia da quella gotica.

È proprio in tal periodo che gli studiosi di Storia dell’arte individuano il punto di svolta che partorì quella che oggi definiamo, per l’appunto, arte italiana, madre del Rinascimento.

Per tutto il Duecento e buona parte del Trecento, però, la nuova arte fu soggetta a diverse trasformazioni e continue sperimentazione. Soltanto nella prima metà del Quattrocento l’arte della nostra penisola riuscì a raggiungere la sua maturazione proponendo una visione del tutto muova, che segnò l’avvio della modernità.

Arte rinascimentale

Da quel momento in poi, l’arte italiana – nata in Toscana, soprattutto in ambienti fiorentini – si espanse nel resto d’Italia e, poco più tardi, in tutta l’Europa.

Dobbiamo attendere, però, l’Ottocento per sentire per la prima volta il termine “arte rinascimentale”, che fu coniato dallo storico tedesco Jacob Burckhardt.

Impiegando il termine “rinascimentale” si vuole intendere come, da quel periodo, l’arte riprese una visione estetica assai vicina a quella delle civiltà classiche.

Possiamo quindi considerare che nella prima metà del XV secolo non vi fu una nascita dell’arte ma una “rinascita” della stessa, in quanto essa propose una serie di modelli simili a quelli dell’antica Grecia e dell’antica Roma.

Se gli artisti italiani furono coscienti di sviluppare un’arte del tutto innovativa, è difficile dirlo. Loro, molto probabilmente, avevano la piena consapevolezza di un lento evolvere verso stadi di maggiore civiltà, lontani dal pensare di assistere a radicali cambiamenti.

Per noi, invece, osservando ed analizzando attentamente la cultura di quel lunghissimo periodo, la conclusione è che si tratti di una vera e propria cesura, cioè: fine del medioevo ed inizio di una nuova era, che non si limitava soltanto allo sviluppo artistico ma ad una trasformazione globale, vasta e profonda.

L’uomo, la cui intelligenza avrebbe permesso di decifrare tutto ciò che lo circondava, veniva considerato al centro del mondo e dotato di libero arbitrio. In altre parole si stava esaurendo quella visione mistica del periodo medievale, per cui l’unica conoscenza fosse quella derivata dalla parola di Dio.

Da quel momento, infatti, l’uomo, conscio delle proprie risorse, incominciò a sviluppare le proprie capacità analitiche e deduttive.

In questo contesto l’arte, soprattutto nel periodo d’incubazione del Rinascimento, non poteva non avere un suo ben specifico ruolo nella trasformazione globale, in quanto gli artisti avevano il compito della rappresentazione (quindi della conoscenza) e di razionalizzare la pittura in relazione alla nuova percezione del mondo.

Il disegno e la prospettiva

L’arte del Rinascimento, come già riportato più volte in articoli di questo stesso sito web ad essa correlati, fu segnata dalla scoperta della prospettiva.

È questa tecnica il vero punto di discriminazione: se la pittura viene eseguita seguendo le leggi della prospettiva viene considerata rinascimentale, quando siamo presenti a un’opera realizzata senza la prospettiva possiamo, invece, considerarla non rinascimentale.

Tuttavia, nonostante l’importanza di questo grande mezzo scientifico, tale elemento non fu probabilmente l’unico che rese possibile la nascita e lo sviluppo del Rinascimento. Dobbiamo quindi aggiungere l’elemento decisivo: il disegno.

Per quanto possa essere duro da credere, è questo il periodo in cui gli artisti iniziarono ad impiegare lo strumento della grafica, che negli anni fu sempre più perfezionato.

Il disegno diventò quindi un potentissimo mezzo di rappresentazione che avrebbe permesso di tradurre e raffigurare le idee degli stessi artisti: figure, oggetti, spazi e razionali dilatazioni spaziali.

Nel mondo dell’arte vi fu, proprio grazie al disegno, un’evoluzione che talvolta non viene compresa e valutata nella giusta maniera.

Ma le caratteristiche del Rinascimento non si limitano al disegno ed alla prospettiva: un ruolo importantissimo lo riveste la riscoperta dell’antichità classica, nonché una significativa evoluzione della figura dell’artista.

Filippo Bunelleschi
Filippo Bunelleschi
Frammento d’arte: Quante volte sentiamo parlare di concorsi artistici? Uno dei più celebri concorsi   della storia dell’arte è quello indetto nel 1401  a Firenze per appaltare la porta principale del battistero di S. Giovanni. Vi partecipano due personaggi d’eccezione con due opere d’eccezione: Filippo Brunelleschi  e Lorenzo Ghiberti presentano le loro opere con lo stesso titolo, “Il sacrificio di Isacco”, due formelle piene di drammaticità oggi custodite a Firenze nel Museo Nazionale del Bargello.

Jacopo della Quercia

Jacopo della Quercia nasce a Siena nel 1371 e muore nel 1438. È un grande scultore con una personalità piuttosto ambigua nell’ambito dell’arte umanistica. Alcuni dei suoi più grandi capolavori sono “la tomba di Ilaria del carretto” eseguita nel 1407, le sculture della “Fonte Gaia” di Siena, il fitto polittico della famiglia Trenta in San Frediano a Lucca e i rilievi per San Petronio a Bologna, dai quali Michelangelo Buonarroti prenderà ispirazione per i suoi monumentali lavori.

Nasce l’idea del moderno

Ghiberti: Autoritratto
Ghiberti: Autoritratto

Già nel Trecento la letteratura incomincia a dirigersi verso il genere biografico, che unisce all’elogio di uno o più artisti, l’esaltazione del vivere nella città, evidenziando il superamento di posizioni ormai vecchie, a favore delle novità ormai definite moderne proprio come fa Ghiberti, che nei suoi commenti inserisce la propria autobiografia, e Manetti che scrive la Vita di Filippo Brunelleschi.

L’inizio della rinascita dell’Arte ed in particolare del nuovo linguaggio della Pittura, viene identificato nel contributo realistico dato da Cimabue e da Giotto, cui la nuova età dal Masaccio a Perugino dà, secondo il giudizio di Vasari, un’ulteriore spinta verso la definitiva concorrenza con la verità della natura.

Il gotico internazionale, per la bellezza e la vivacità in tutti i suoi contenuti, è in continua verifica  con il protrarsi nel tempo e nello spazio di alcune sue tematiche privilegiate, tra le quali emergono il naturalismo visto ed accettato ormai  come punto di riferimento, preferenza e quindi riproposta della realtà.

Van Eyck: Vergine alla fontana
Van Eyck: Vergine alla fontana

Pensiamo inoltre ad esempio all’ambito fiammingo, dove due grandi personalità come Van Eyck e Robert Campion – detto il maestro di Flémalle – contribuiscono con le loro opere a stimolare nuove ricerche di approfondimento, con conseguente irradiazione all’intero continente.

I punti nevralgici di irradiazione del nuovo non sono solo l’Italia e le Fiandre; anche la Germania con due altri grandi personaggi come Konrad Witz (1410-51) e Stephan Lochner (1410-1451), si trova colpita in pieno da questa visione vivacissima di tutto il reale. Con il primo, attraverso un plasticismo di forme modellate come nel legno, con il secondo attraverso atmosfere sfumate e luminosissime che richiamano il nostro Stefano da Verona.

Si spiega facilmente come possano avvenire tutte queste forti influenze con i concili del primo Quattrocento, con gli scambi commerciali, la nascita e lo svilupparsi delle filiali bancarie: una fitta trama di rapporti ecclesiali mescolati con quelli economici favorisce un continuo scambio di opere d’arte e nuove idee.

Frammenti d’arte:

Varietà di gotico italiano nella pittura  (fonti delle ricerche: “L’arte italiana” di Mario Salmi)

Giotto, nella sua tarda attività, probabilmente tempra il proprio plasticismo ideale in accordo con gli ornamenti pittorici.

Taddeo Gaddi (probabile nascita intorno al 1300 – morte, 1366) ha come scopo principale la continuazione della tradizione giottesca. Lo testimoniano il suo Polittico di San Giovanni Forcivitas a Pistoia (Uffizi), gli affreschi della Cappella Baroncelli con le storie della Vergine e gli affreschi nel camposanto di Pisa con le storie di Giobbe.

Maso di Banco detto il Giottino (appellativo creato dal Vasari) aiuta Giotto nelle “Storie di San Silvestro alla Cappella Bardi in Santa Croce, in alcune tavole e durante il soggiorno napoletano dello stesso Giotto. Maso, sentendo moltissimo la valenza delle masse giottesche e portandole ad una straordinaria calma insieme ad un caldo cromatismo, raggiunge una nuova sintesi, sia nell’ampiezza spaziale che negli effetti di cromatismo.

Nardo di Cione, Giusto de’ Menabuoi e l’Orcagna sono artisti fiorentini che occupano una posizione notevole nella pittura trecentesca, ma poco hanno di originalità, subendo notevolmente gli influssi di Maso di Banco.

Bernardo Daddi, di formazione giottesca, passa più tardi ad una visione “spaziale” di stampo senese, come testimoniano i suoi affreschi con le storie di San Lorenzo e santo Stefano in Santa Croce. Nelle sue opere si riscontra una certa coerenza narrativa ed un caldo cromatismo, soprattutto nel panneggio (polittico di San Pancrazio, Uffizi).

Giotto di Stefano detto il Giottino (da non confondere con Maso di Banco), attivo negli ultimi decenni del Trecento, mostra un’alta sensibilità al cromatismo della pittura settentrionale, che integra con gli schemi giotteschi, aumentando di numero le figure sacre e committenti che turbano il dramma.

Dal 1350 in poi, soltanto Andrea di Cione detto l’Orcagna riesce a conservare un ritmo compositivo monumentale nella realizzazione del polittico di Santa Maria Novella nella cappella Strozzi (1359), un’opera questa, degna della più alta tradizione giottesca, nell’ariosità e nell’alta moralità delle figure con un fluido cromatismo dei drappeggi.

Francesco Traini, originario di Pisa, riesce ad integrare la forza del disegno fiorentino con la fantasia cromatica dei senesi, aggiungendoci un pizzico di drammaticità popolaresca, che richiama quella dei pittori bolognesi.

Spinello Aretino è un brillante frescante che riesce a fondere il senso della forma fiorentina con la scorrevole narrativa senese (cicli di Santa Caterina all’Antella con le storie della Santa).

Masolino di Panicale (1383-1435 o forse più tardi) è un grande esponente del tardogotico. Iniziato all’arte con la scultura Ghibertiana poi approdato alla pittura, a causa di un temperamento dolce e gentile subisce le influenze dei pittori che entrano in contatto con lui. Decora la Cappella Brancacci al Carmine con il suo grande discepolo, Masaccio, padre del Rinascimento. I contatti con il Masaccio proseguiranno nella Madonna col Bimbo, nella Pietà e nella collegiata, poi partirà per l’Ungheria.

Intanto a Bologna va formandosi una scuola di genuina parlata popolaresca alimentata dal sentimento gotico senese. Il suo esponente di spicco è Vitale Cavalli che affresca il duomo di Udine e l’abside della chiesa di Pomposa con un morbido e delicato chiaroscuro. Questa scuola ha contatti con quella di Rimini, dove Francesco da Rimini è l’esponente di spicco. Questi a Bologna affresca il refettorio del convento di San Francesco.

Giovanni di Giacomo da Como, meglio conosciuto come Giovanni da Milano (probabili date, 1350-1369) è attivo a Firenze per la realizzazione di affreschi nella cappella Rinuccini in Santa Croce ed a Roma in Vaticano. Egli fonde con armonia il cromatismo dei senesi con il disegno dei fiorentini. I colori dei suoi carnati tendono al cupo ed al livido, ma con forma dolcemente modellata.

Nel Veneto la tradizione bizantina continua grazie soprattutto ai grandi mosaicisti del Trecento che rivestono la facciata della basilica di San Marco. Questa tradizione fa sì che anche la pittura faccia lo stesso percorso sulle tavole con stesure di pitture “fosche e smaltate” e d’oro. Esperto di questa maniera, con figure allungate, deperite e balzanti, è il maestro Paolo, accompagnato da un artista che proseguirà la sua opera, ma con colori più caldi e più aperto al Gotico: Lorenzo Veneziano.

Gentile da Fabriano (1360?-1428), riprende il cromatismo della pittura bizantina integrandolo con un morbido e delicato chiaroscuro, che richiama quello di Tommaso, ed una linea alquanto fluente già quattrocentesca.

Antonio Pisano detto il Pisanello (probabili date, 1395-dopo il 1450) di formazione alticherana subisce gli influssi di Gentile da Fabriano e di Giovannino dei Grassi. Le sue figure spaziano in un deciso disegno e in un sicuro modellato (L’Annunciazione del monumento Berenzoni di San Fermo maggiore a Verona).