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Bernardo Bellotto: Varsavia – la città dalla loggia est del castello reale verso il sobborgo di Cracovia, cm. 166 x 269, Muzeum Narodowe di Varsavia.

Citazioni e critica su Bernardo Bellotto

Citazioni e critica su Bernardo Bellotto (Citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Ed.)

Pagine correlate: Biografia e vita artistica – Le opere – Il periodo artistico – La critica degli storici del 900 – Bibliografia.

Bernardo Bellotto: Varsavia – la città dalla loggia est del castello reale verso il sobborgo di Cracovia, cm. 166 x 269, Muzeum Narodowe di Varsavia.
Bernardo Bellotto: Varsavia – la città dalla loggia est del castello reale verso il sobborgo di Cracovia, cm. 166 x 269, Muzeum Narodowe di Varsavia.

Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Bernardo Bellotto

Pietro Guarienti in Abecedario pittorico di P. A. Orlandi, Venezia 1753

….. Presentemente è in Dresda, occupandosi a rappresentar col pennello i luoghi più celebri di quella città, ed essendo ancor giovine, e indefesso nello studio ed attenzione, è da sperar che il nome di lui celebre e famoso divenga.

Francesco Malaguzzi Valeri, Catalogo della R, Pinacoteca di Brera, Bergamo 1908

Fu il vero precursore dei paesisti moderni, ma egli però seppe animare i suoi vivacissimi quadri (di una intonazione un po’ fredda, quasi lunare), di una potenza suggestiva e di una poesia profonda della natura da non aver l’uguale.

Hans A. Fritzische, Bernard» Bellotto Genannt Canaletto. 1936

L’aria trasparente, il cielo alto portano una freschezza come di rugiada nei panorami [di Varsavia], che anticipano di molti anni i tratti caratteristici essenziali del secolo successivo.

Roberto Longhi, Viatico per Cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1952

[‘ Rosalba Carriera, poi Francesco Guardi; … il Canal, il Bellotto e Pietro Longhi. Per essi soltanto, e non per la retorica anacronistica del Piazzetta e del Tiepolo, Venezia riacquista, accanto a Parigi, il grado di capitale artistica : sono dunque essi i grandi pittori veneziani del Settecento europeo. […]

Il grande Antonio Canal […] parte dapprima dalla secca ‘veduta’ romana nel genere del Vanvitelli e del Panini; poi, per esser più vero, si vale della ‘camera ottica’ e proprio allora, miracolosamente, versa in poesia. […] Qua la sua certezza illuministica di verità assoluta, volta alla luce dorata, a traversoni d’ombra, dei pomeriggi inutili in una Venezia che si sbriciola e scupola come le rughe delle sue mirabili acquaforti, ha la mestizia stereoscopica delle vedute del ‘mondonuovo’. Ne si può dimenticare che il poco men grande nipote, Bernardo Bellotto, trasferì quella stessa poesia sui ponti di Torino, sulle mura e sui campanili di Dresda e di Pirna, anzi con una magica densità da prevedere quella dei grandi descrittori russi dell’Ottocento.

Maybelle Wallis, Canaletto peintre de Varsavie, Warsaw 1954

Le prime vedute del Bellotto {…] assomigliano ancora molto alle tele dello zio. Ma progressivamente arriva a farsi uno stile proprio. Le sue opere si caratterizzano per un disegno più secco, più duro, e per una netta delimitazione dei chiari e degli scuri; colpiscono per la totale assenza di prospettiva aerea, e inoltre le caratterizza il ritorno al colore locale.

Ciò si collega al passaggio dalla pittura del Barocco tramontante e del Rococò, che trae ogni risorsa dalle macchie cromatiche, a quella del classicismo che accentua la linea e i contorni. Il Bellotto prosegue a dipingere sempre le figurette umane con un fare largo e scorrevole, mentre la resa delle masse architettoniche appare ormai più netta, più dura e più risentita che nel Canal. Tuttavia la luce mantiene in lui un’intensità uguale qualunque sia l’ora del giorno o la stagione, e rivela con lo stesso grado oggetti vicini e lontani. È — come si ama definirla — la luce del Meridione. I quadri del Bellotto non offrono quell’atmosfera in cui appaiono armonizzarsi le tinte per dare l’illusione della profondità. Malgrado tutto, non danno nessun senso di ricchezza cromatica a causa del colore bruno della preparazione che unifica le tinte. […]

Ancora da Maybelle Wallis

Soprattutto dalla prospettiva lineare il Bellotto ricava l’illusione della profondità. Così come parecchi altri paesisti del suo tempo, per tracciare gli scorci prospettici nei quadri dipinti dal vero si serviva della camera nera (camera obscura), mentre nelle fantasie architettoniche si valeva delle regole matematiche della prospettiva. Alcune delle sue opere sono veri e propri esercizi di virtuosismo nell’arte prospettica. Alcune sue vedute, come per esempio / prati di Wilanóv o La campagna di Lazienki e così altre di Wilanóv, sono composte da schizzi di edifici vari e di scorci campestri ripresi dal vivo [e poi combinati]. Donde uno slargarsi della prospettiva, che sarebbe impossibile abbracciare da un unico punto di vista. Donde, inoltre, la luce affatto arbitraria di alcune vedute: per esempio, il palazzetto Lubomirski a Mokotów è illuminato dal sole sul lato settentrionale.

S. Lorentz in Mostra di Bernardo Bellotto e Alessandro Gierymski, Venezia 1955

La precisione nel riprodurre l’architettura e i mutamenti dei singoli edifici è sorprendente; leggeri spostamenti della disposizione di certi edifici sono causati dall’uso della ‘camera oscura’ e dal fatto che i disegni venivano trasportati su tela nello studio. Questo metodo ha comportato che la disposizione delle luci e delle ombre non è stato sempre conseguente, dato che i disegni venivano eseguiti in varie ore del giorno; questa fu anche la ragione per cui non sempre è stata debitamente presa in considerazione la prospettiva coloristica e aerea.

S. Kozakiewicz in Mostra di Bernardo Bellotto e Alessandro Gierymski, Venezia 1955

L’attività di disegnatore di Antonio [Canal] è stata oggetto negli ultimi anni di seri studi. Il grande maestro della veduta del Settecento veneto ci appare oggi come un grande disegnatore, nella cui attività l’arte grafica diventa spesso un’arte autonoma. Il suo disegno, quando è una immediata impressione dal vero, diventa un’opera indipendente, finita, gettata sulla carta con una linea leggera e immancabilmente sicura, con chiaroscuri composti mediante un’estrema sensibilità di pittore. Non in questo campo il nipote pieno di talento si avvicina al grande zio.

Il Bellotto è vicino al Canal dove il disegno non costituisce arte per se stesso, ma dove aiuta e dove serve alla creazione del quadro. Questo carattere ausiliario nei confronti della pittura è riconoscibile solo in parte dei disegni del Canal; ma il Bellotto sviluppa ulteriormente questa funzione del disegno. Perciò negli elementi che ci interessano troveremo molti tratti caratteristici che uniscono Canal e Bellotto, fermo restando che chi riceveva fu l’artista più giovane. il discepolo. […]

Altra citazione di S. Kozakiewicz

La loro tecnica è la seguente : sui contorni appena tratteggiati a matita disegnano liberamente a penna, usando l’inchiostro di terra di Siena bruciata. In disegni di questo tipo non usano il chiaroscuro: può darsi che ciò consegua alle osservazioni attraverso la ‘camera oscura’, oppure all’intento di conservare la maggiore limpidezza del disegno, necessaria quando esso deve venire impiegato per la pittura. Questo sottoporre lo schizzo, anche se disegnato dal vero, ai futuri scopi pittorici, spinge ambedue gli artisti alla tipica trasparenza del contorno.

E ciò conduce alla stilizzazione. Nell’ambito dell’identità del procedimento grafico, i disegni del Bellotto si differenziano da quelli del Canal per una linea più nervosa, più tratteggiata. Nei disegni però più vicini alla realizzazione del dipinto appare una linea secca che invano cercheremmo nel Canal. È interessante che, assieme a una certa aridità dei contorni in taluni disegni del Bellotto, le linee complementari abbiano un carattere eminentemente pittorico. Tracciando queste linee il Bellotto suggerisce già le macchie di colore che collocherà, corrispondentemente, nel quadro : non soltanto egli definisce nel tempo stesso i limiti delle macchie, ma segnala con la linea in un modo sintetico la morbidezza o la durezza della materia pittorica e la sua maggiore o minore lucidità.

Ancora S. Kozakiewicz su Bellotto

[,..] Da molti fattori è facilitata la sua opera : elementi attinti dai disegni dello zio, da acqueforti di contemporanei, dalle stampe e da altre fonti; e la schematizzazione del disegno appare accentuata via via che l’artista si approssima alla realizzazione pittorica. Eppure, e malgrado questo, il disegno del Bellotto non è un disegno inerte; esso vive. Il tratto da lui tracciato non si lascerà mai sommergere dal linearismo; magari soltanto nei particolari, in un piccolo dettaglio del disegno più schematico, il Bellotto reagisce a quanto vede, o a quanto ricorda, con una linea viva e immediata. …

Roberto Longhi, Varsavia ebbe dall’Italia il suo grande pittore, ‘L’Europeo” 1955

Quante volte non l’abbiamo sentito chiamare fotografo, documentista pedante e, magari, e sarebbe quasi l’opposto, accademico congelato e complimenti affini? […]

Anche nel suo caso è sicuro che la chiesta del committente era soltanto documentaria. Ricordi esatti si volevano del proprio palazzo di città, della propria villa di campagna, e delle proprie res gestae. Ma codesta esigenza puntigliosa, una volta intesa dal pittore, si colmava in lui di una realtà integra e brulicante di vita, stereoscopicamente incantata entro il viraggio continuo dei giorni lunghi del Nord.

Spiazzi assolati, accigliature d’ombra sotto le gronde, fra le tegole rosso-paprica schizzate di bigio dalle piogge, brillio gremito sui grandi alberi dei parchi; ma anche la vita comune che vi trascorre, raggiunta, sorpresa ad ogni distanza dal tocco identificante, infallibile : la berlina del principe che passa scintillando, i luccichi! della parata militare, il tessuto d’acque a rispecchiare i barconi a vela sulla Vistola, e poi i borghesi a spasso, gli ebrei che disputano sottovoce, i suonatori girovaghi, gli straccioni, i muratori sui tetti, il venditore di stampe appese alla cantonata, già in ombra, della “Ulica Senatorska”. Qui la grafia prodigiosa del Bellotto, quasi un alfabeto Morse di linee, punti, tratteggi d’ogni specie e colore, svela il segreto sintattico di un trapasso dall’ ‘ottico’ al ‘narrativo’ che è quasi da leggere come certi brani del famoso Ottocento russo. […] La stessa precisione stregata.

Giuseppe Raimondi, Bernardi, Bellotto a Varsavia, “II Mondo’ 1959

Castelli, palazzi, ville e parchi, cattedrali e conventi, nella loro qualità di pietra, di sasso, di laterizio, quasi cristallizzata, sono in iscena, come i protagonisti di un tale appassionato racconto. Tutto vi si snoda e svolge, tranquillo e pacato e trasognato come in un ‘romanzo’ della narrativa russa ottocentesca. Qualcosa tra la limpidezza di Puskin e la pienezza, la concretezza di natura, di Tolstoi. D’altra pane, e in quelle opere un sottinteso di impassibile osservazione. che incrina e intiepidisce il dato dell’osservazione della ricerca quasi scientifica, ottica. Impassibilità, limpidezza e sottigliezza, del ragionamento cartesiano. Il pensiero, ma soprattutto il sentimento del pensiero di Cartesio, da oltre un secolo, dominavano l’Europa. Ma anche la civile, l’umana ironia, della meditazione, e della scrittura di Diderot. Un “Neveu de Rameau”, nelle strade, in un caffè di Varsavia,

Rodolfo Pallucchini, Vedute del Bellotto, Milano 1961

Certamente il Bellotto trae forza per il suo turgido stile proprio dalla partecipazione così piena ed intensa del motivo. Ma è motivo sempre realizzato con una “magica densità” [Longhi] : cioè potenza di trasfigurazione lirica e non piatto verismo.

Il paesaggio bellottiano nasce così fedele interprete di un clima e d’un ambiente; ma ricco della presenza umana del suo autore. Nasce cioè già ottocentesco nella disposizione descrittiva e nella concezione di uno stato d’animo, che è la nostalgica e smemorata malinconia del Bellotto, ormai lontano e sganciato dalla frivolità del suo tempo. In lui non v’è solo la tristezza d’un promeneur solitaire, ma la pienezza di possesso di un ambiente e di una atmosfera che ritroverà poi l’Ottocento francese, a partire da Courbet. Dobbiamo rimpiangere che il nostro Ottocento non abbia potuto raccogliere ne comprendere l’eredità del Bellotto, di questo figlio di Venezia divenuto grande pittore europeo.

H. Menz in Bernardo Bellotto genannt Canaletto in Dresden und Warschau, catalogo della mostra di Dresda, 1963-64

Esprimendo qui [Rovine della Kreuzkirche di Dresda, n. 177] per la prima volta l’idea della vitalità cittadina in forma valida e a tutti accessibile •[…] come dichiarazione parziale nell’ambito d’una visione generale e completa della città •[…], il Bellotto eleva la raffigurazione ben al di sopra d’un dipinto meramente documentario.

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