La pittura napoletana del Seicento

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Il Seicento napoletano nella pittura

Caravaggio: Il riposo nella fuga in Egitto
Caravaggio: Il riposo nella fuga in Egitto

La pittura napoletana, che iniziò ad assumere le proprie caratteristiche già prima del medioevo, si sviluppò notevolmente a partire dal Seicento, soprattutto con il contributo della lezione Caravaggesca e la maestria di importanti pittori che se ne fecero eredi.

Bisogna tenere presente che oltre alla presenza a Napoli del Merisi, tra gli anni 1607-10, c’è da aggiungere quella di altre figure di spicco della pittura, tra le quali ricordiamo Guido Reni e Giovanni Lanfranco.

Fu proprio il territorio partenopeo a partorire il caravaggismo, elemento di massima importanza per la nascita, lo sviluppo e, quindi, la diffusione della pittura napoletana in Italia.

Carlo Sellitto: Salomè riceve la testa del Battista
Carlo Sellitto: Salomè riceve la testa del Battista

Il primo artista a seguire la pittura caravaggesca fu Carlo Sellitto, un artista di origini lucane le cui opere di trovano in varie chiese partenopee nonché in diversi musei nazionali. Nonostante il breve periodo di attività del Sellitto, che morì prematuramente all’età di soli 33 anni, pervengono ai nostri giorni moltissimi suoi ritratti, quasi tutti commissionati tra i membri dell’aristocrazia partenopea.

Battistello: Salomè
Battistello: Salomè

Sebbene l’artista fosse il “primo caravaggista”, quello che subì maggiormente gli influssi del Merisi fu il Caracciolo (conosciuto anche come il Battistello), già discepolo (forse) di Belisario Corenzio (1558 – 1646), un abilissimo frescante che realizzò moltissime opere in svariate chiese della città.

Anche il Caracciolo seguì con decisione la nuova rivoluzione caravaggesca, soprattutto nelle tonalità rispettandone appieno l’impiego dei chiaroscuri per i caratteristici effetti di luminosità, anche se – più tardi, secondo alcuni studiosi, in seguito ai viaggi a Roma e Firenze – si allontanò gradualmente dal realismo del maestro per avvicinansi agli schemi idealizzati del classicismo. Di questo longevo artista, possiamo ammirare numerosissime opere, disseminate del territorio partenopeo ed in musei nazionali.

Un altro importante esponente della pittura partenopea seicentesca da tenere presente, più o meno quanto il Caracciolo, è Jusepe de Ribera detto lo “Spagnoletto”, che dopo un soggiorno romano approdò a Napoli nel 1616, forse per sfuggire ai creditori ma, probabilmente, data la sua fama in continua ascesa, si pensa invece che fosse stato chiamato in città dal viceré. La sua pittura è fortemente realistica, addirittura violenta rispetto quella del Caravaggio (almeno fino al 1630, quando l’incontro con Velàzquez nella stessa Napoli lo portò ad un ripensamento schiarendo ed arricchendo il cromatismo), soprattutto nei vigorosi contrasti coloristici e chiaroscurali delle figure nelle sue composizioni, anche in quelle a tema classico (si pensi al “Sileno ebbro”, attualmente al Museo di Capodimonte. Più tardi il re di Spagna gli commissionò alcune opere, attualmente custodite al Prado ed all’Escorial.

Luca Giordano: Crocifissione di San Pietro
Luca Giordano: Crocifissione di San Pietro

È da tenere presente che l’arrivo di una figura di grande calibro come lo Spagnoletto nella città partenopea coincise più o meno con la chiusura della stagione caravaggesca. Questo facilitò la nascita e lo sviluppo della pittura napoletana sulla scia artistica del Merisi. Infatti il de Ribera proprio nella sua bottega ebbe modo di costituire un’importante cerchia di seguaci caravaggeschi, tra i quali possiamo citare Luca Giordano detto Fapresto (Napoli, 1634 – Napoli, 1705), il pittore napoletano tra i più prolifici e più importante, anche su scala mondiale, che fece pervenire ai nostri giorni circa tremila sue opere [Ferrari, Luca Giordano – Nuove ricerche e inediti, Editrice Electa (2003)].

Figlio d’arte, il Fapresto, dopo aver imparato le prime nozioni nella bottega paterna, proseguì la sua carriera artistica, come sopra accennato, con la lezione spagnolettesca che portò avanti per un certo periodo. Più tardi riuscì a superare definitivamente gran parte delle caratteristiche del barocco seicentesco, dando così una forte spinta all’arte del nuovo secolo con il suo vivace ed armonioso cromatismo, tratto soprattutto dai pittori veneti durante un soggiorno veneziano, nonché dall’assidua ricerca, mantenuta sempre viva, sull’arte dei grandi pittori del Cinquecento come Michelangelo, Raffaello ed il Carracci.

Di Luca Giordano possiamo citare alcune opere di grande importanza a livello artistico nazionale, tra le quali spicca il ciclo di affreschi al palazzo Medici Riccardi di Firenze (Galleria di Luca Giordano).

Moltissimi lavori di questo artista sono esposti, oltre che nelle chiese di Napoli, anche nei musei internazionali, tra i quali ricordiamo la National Gallery di Londra, il Prado di Madrid, il Louvre di Parigi, il Kunsthistorisches di Vienna e gli Uffizi di Firenze.

Mattia Preti: La vanità
Mattia Preti: La vanità

Come abbiamo visto, l’ultimo periodo del Seicento napoletano è dominato dall’arte del Fapresto, ma occorre tenere presente che contemporaneamente ad esso altri pittori in città stavano salendo alla ribalta. Fra questi spiccano Mattia Preti detto il Cavalier Calabrese (Taverna, 1613 – La Valletta, 1699) e Massimo Stanzione (Frattamaggiore o Orta di Atella, 1585 circa – Napoli, 1656 circa).

Il primo, di origine calabrese, giunse a Napoli nel 1653, poco prima di quel terribile anno quando, tra il 1656 ed il 1657, la città fu colpita dalla peste. L’artista ebbe così modo di raffigurarla con affreschi votivi sulle quattro porte onorarie di Napoli, tra le quali quella dedicata a San Gennaro che mantiene ancora intatte le composizioni.

Proprio in questa città il Preti incontrò il Fapresto, il cui contatto fu di particolare importanza per entrambi i pittori, dati i vicendevoli interscambi nei consigli stilistici. Del Preti arrivano ai nostri giorni diverse opere, tra cui ricordiamo le tele custodite nel museo di Capodimonte e gli affreschi nella chiesa di San Pietro a Majella. Il secondo, già allievo del Fabrizio Santafede (Napoli, 1560 – 1634), sviluppò il suo stile al di fuori dei canoni caravaggeschi grazie al soggiorno romano del 1617. Fu tra primi pittori del territorio partenopeo ad allontanarsi dallo stile del maestro lombardo, divenendo uno dei più ricercati frescanti di Napoli, le cui commissioni talvolta provenivano anche dalla Spagna.

Artemisia Gentileschi: La nascita di San Giovanni Battista
Artemisia Gentileschi: La nascita di San Giovanni Battista

Con lo Stanzione, per un certo periodo, collaborava la romana Lomi Artemisia Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1652-53), altra grande figura della pittura napoletana che giunse in città nel 1630, della quale permangono nel territorio molti dei dipinti realizzati in loco fino agli ultimi giorni della sua attività artistica, interrotta con la sua morte avvenuta intorno al 1652-53. Infatti la pittrice, che conduceva una vita alquanto vessata e sofferente, decise di stabilirsi definitivamente nella città partenopea sentendosela come seconda patria, ove si sposò e vi concepì due figlie.

L’arrivo di Artemisia, anch’essa legata alla pittura caravaggesca, contribuì molto alla sua notorietà, conquistando anche diverse committenze di altissimo prestigio. Fu questo il periodo delle pitture per la cattedrale di Pozzuoli (l’Adorazione dei Magi, il San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli ed il San Procolo e Nicea), della famosa Annunciazione (attualmente ammirabile nel museo di Capodimonte) e del ciclo di dipinti realizzati in collaborazione con lo Stanzione e Paolo Finoglia, per committenze spagnole, del quale ricordiamo la sua composizione: La nascita di san Giovanni Battista.

Gli artisti come il Battistello, il Fapresto, lo Spagnoletto, il Preti e lo Stanzione, insieme ad altre eminenti figure di passaggio nel territorio partenopeo nella prima metà del secolo – tra cui di nuovo ricordiamo Giovanni Lanfranco, Guido Reni ed il Domenichino – influenzarono le future generazioni dando un forte impulso allo sviluppo della pittura locale che si arricchiva con nuova linfa emiliana. Le permanenze in città del Lanfranco e del Domenichino, che vi soggiornarono per circa un decennio, arricchirono l’arte partenopea, fino ad allora del tutto incentrata attorno alla lezione del Merisi e dei suoi seguaci.

A tutti questi pittori, vengono affiancati quelli le cui opere sono attualmente custodite nei principali musei internazionali: Aniello Falcone, Bernardo Cavallino, Micco Spadaro, Salvator Rosa, Andrea De Lione, Francesco Di Maria, Bernardo De Dominici, Giovanni Balducci, Paolo Finoglio, Andrea Malinconico, Lorenzo e Andrea Vaccaro, Onofrio Palumbo, Giacomo Farelli, Francesco Guarini, Giuseppe Recco, Giovan Battista Ruoppolo, Giuseppe Simonelli, Cesare e Francesco Fracanzano, Pacecco De Rosa, Giuseppe Marullo e Belisario Corenzio.

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