Il sogno della santa di Carpaccio

Carpaccio: Il sogno della santa

Carpaccio: Il sogno della santa
Carpaccio: Il sogno della santa, cm 274 x 267, anno 1495.

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Sull’opera: “Il sogno della santa” è un dipinto autografo di Carpaccio, appartenente al “Ciclo di sant’Orsola”, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1495, misura 274 x 267 cm. ed è custodito nell’Accademia di Venezia. 

L’opera in esame è firmata e datata nel cartellino ubicato in basso a destra del Gagnolo, dove appaiono due scritte: “VICTOR. CARP. F. MCCCCLXXXXV”, e “CORTESI VSR. 1752”. Pare che la prima, quella riferita all’artista, sia apocrifa perché ripassata da un restauratore settecentesco, mentre la seconda si riferisce certamente all’esecutore del restauro.

 Mentre Orsola sta dormendo nella propria camera, l’angelo le appare in sogno con la palma del martirio annunziandole la propria fine. Sul guanciale della principessa si legge la parola “INFANTIA”.

Una luce mattutina colpisce numerosi oggetti della stanza tra i quali si evidenziano, in modo particolare, un piccolo tavolo su cui sta un libro aperto, una clessidra ed un calamaio. Una corona sul pianale del letto, ai piedi dello stesso; un’ancoretta con la candela; due piccole statue in stile classicheggiante nelle sovrapporte, e l’acquasantiera a destra del letto; nello spazio di ognuna delle due finestre contigue (o finestra bifora), una pianta di garofani ed una di mirto, simboli del matrimonio e dell’amore.

Il telero subì molti danni e fu sottoposto a diverse ridipinture e sconvolgenti verniciature, a causa delle quali oggi si presenta alquanto alterato.

Come sopra accennato, la firma e la data sono considerate “apocrife” dagli studiosi di storia dell’arte e, certamente, ripassate dall’esecutore del restauro settecentesco, che vi scrisse anche il proprio nome seguito dalla nuova data, 1752.

Inoltre, paragonando le proporzioni ed i contenuti con la copia incisa da G. Del Pian (1785), il telero in esame appare ridotto su almeno tre lati.

Esiste un interessantissimo disegno preparatorio, custodito agli Uffizi di Firenze con diverse varianti tra le quali si evidenzia quella delle due finestre contigue nella parete frontale (fonte: Muraro, 1966).

Ciclo di Santo Stefano di Carpaccio

Carpaccio: Ciclo di Santo Stefano

20 carpaccio - ciclo di santo stefano

Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro, cm. 148 x 231, anno 1511, Staatliche di Berlino.

23 carpaccio - ciclo di santo stefano

La predica del santo, cm. 152 x 195, probabile anno 1514, Louvre, Parigi.

21 carpaccio - ciclo di santo stefano

La disputa nel sinedrio, cm. 147 x 172, anno 1514, Pinacoteca di Brera, Milano.

Santo Stefano in giudizio

Santo Stefano in giudizio: copia non autografa dell’opera andata perduta, 229 x 270 mm., Uffizi, Firenze

La lapidazione di Santo Stefano

La lapidazione di Santo Stefano, 149 x 170, anno 1520, Staatsgalerie, Stoccarda.

Sull’opera: Il “Ciclo di Santo Stefano” è una serie di cinque dipinti di Carpaccio, realizzati con tecnica a olio su tela tra il 1511 ed il 1520. Il complesso pittorico è custodito, in singoli elementi, nei vari musei d’Europa. Un dipinto, “Santo Stefano in giudizio”, è andato perduto. 

Originariamente il complesso pittorico si trovava in  una Scuola di Venezia, secondo lo studioso di storia dell’arte Molmenti (1906), nota fin dal 1298, ma dotata d’una propria sede solo dal 1437 (ampliata nel 1476), e d’una “mariegola” (termine indicante le regole costitutive) dal 1493.

La Scuola fu edificata di fronte alla chiesa di Santo Stefano, su terreno di proprietà agostiniana, ed è tuttora esistente come abitazione privata. L’istituzione era nata come un sodalizio divozionale fra i lavoratori di lana, tanto che prese il nome di “Scuola dei lanieri”.

Non si conosce il preciso periodo di quando i “teleri” furono commissionati al Carpaccio ma si conoscono esattamente le date di realizzazione dei singoli dipinti, che risultano vastamente spalmate nel tempo: dal 1511 al al 1520.

La Scuola declinò in concomitanza della caduta dell’arte della lana. Nel 1806, quando le opere furono confiscate dal governo napoleonico, il sodalizio era da tempo ormai cessato.

Il Boschini (1674) nei suoi scritti, accennando al ciclo pittorico in esame, ipotizzava che fosse costituito da sei opere: cinque ‘teleri’ ed una pala d’altare.

Santo Stefano in giudizio di Carpaccio

Carpaccio: Santo Stefano in giudizio

Carpaccio: Santo Stefano in giudizio
Carpaccio: Santo Stefano in giudizio: copia non autografa dell’opera andata perduta, 22,9 x 27 cm., Uffizi, Firenze.

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Sull’opera: “Santo Stefano in giudizio” è un dipinto autografo di Carpaccio, andato perduto, appartenuto al “Ciclo di S. Stefano”, realizzato con tecnica a olio su tela tra il 1515 ed il 1520, le cui misure rimangono sconosciute.

La copia raffigurata – non autografa –  è stata eseguita con tecnica a penna ed acquerello su supporto cartaceo, misura 22,9 x 27 cm. ed è custodita agli Uffizi di Firenze. 

È il “telerò” andato perduto cui accennarono il Boschini e lo Zanetti.

Santo Stefano viene portato dinanzi ai giudici del Sinedrio con l’accusa di empietà. In un processo sommario, senza che la sua colpa venga provata, il tribunale lo condannerà.

La composizione raffigurata nella presente pagina, custodita agli Uffizi a Firenze, secondo gli studiosi di storia dell’arte, è da considerarsi copia non autografa.

Probabili disegni preparatori su carta si trovano invece nel British Museum di Londra.

Elenco delle opere di Vittore Carpaccio

Elenco delle opere di Vittore Carpaccio realizzate nel corso della sua carriera artistica.

Pagine correlate all’artista: Le opere di Carpaccio – Biografia e vita artistica – La criticaIl suo periodo.

I lavori dell’artista

Redentore benedicente tra quattro apostoli, anno 1480-1490 circa, tecnica a olio su tavola, 70 x 68 cm., Fondazione Sorlini, Brescia.

Pietà, anno 1480-1490 circa, già a Firenze, Raccolta Contini-Bonacossi.

Polittico di Zara, anno 1480-1490 circa, Cattedrale, Zara.

Alabardieri e anziani, anno 1490-1493 circa, tecnica a tempera su tela, 68 x 42 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Storie di sant’Orsola, anno 1490-1495, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

  • Arrivo dei pellegrini a Colonia, anno 1490, tecnica a tempera su tela, 280 x 255 cm.
  • Apoteosi di Sant’Orsola e delle sue compagne, anno 1491, tecnica a tempera su tela, 841 x 336 cm.
  • Incontro dei pellegrini con papa Ciriaco, anno 1491-1493, tecnica a tempera su tela, 281 x 307 cm.
  • Martirio dei pellegrini e funerali di sant’Orsola, anno 1493, tecnica a tempera su tela, 271 x 561 cm.
  • Incontro dei fidanzati e partenza dei pellegrini, anno 1495, tecnica a tempera su tela, 280 x 611 cm.
  • Sogno di sant’Orsola, anno 1495, tecnica a tempera su tela, 274 x 267 cm.
  • Arrivo degli ambasciatori inglesi alla corte del re di Bretagna, anno 1495 circa, tecnica a olio su tela, 275 x 589 cm.
  • Commiato degli ambasciatori, anno 1495 circa, tecnica a olio su tela, 280 x 253 cm.
  • Ritorno degli ambasciatori alla corte inglese, anno 1495 circa, tecnica a olio su tela, 297 x 527 cm.

Presentazione di Gesù al Tempio, anno 1491-1510 circa, tecnica a tempera su tela, 421 x 236 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Altre opere

Uomo col berretto rosso, anno 1490-1493, tecnica a tempera su tavola, 35 x 23 cm., Museo Correr, Venezia.

Caccia in laguna, anno 1490-1495 circa, tecnica a olio su tavola, 76 x 65 cm., Getty Museum, Los Angeles.

Due dame veneziane, anno 1490-1495 circa, tecnica a olio su tavola, 94 x 64 cm., Museo Correr, Venezia.

Ritratto di dama, anno 1495-1500 circa, Denver Art Museum, Denver.

Miracolo della reliquia della Croce a Rialto, anno 1496 circa, tecnica a olio su tavola, 365 x 389 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Cristo tra quattro angeli con gli strumenti della Passione, anno 1496, tecnica a olio su tela, 162 x 163 cm., Civici musei e gallerie di storia e arte, Udine.

Polittico, anno 1496-1500 circa, parrocchiale, Grumello del Monte.

Madonna col Bambino e san Giovannino, anno 1496-1500 circa, tecnica a olio su tavola, 69 x 54 cm., Städel, Francoforte.

Madonna col Bambino e le sante Cecilia e Orsola, anno 1496-1500 circa, già in collezione Morosini, proprietà privata inglese.

Temperanza, anno 1496-1500 circa, Art Association Galleries, Atlanta.

Prudenza, anno 1496-1500 circa, Art Association Galleries, Atlanta.

Pietà, anno 1496-1500 circa, Palazzo Serristori, Firenze.

Fuga in Egitto, anno 1500-1510 circa, tecnica a tempera su tavola, 73 x 111 cm., National Gallery of Art, Washington.

Teseo che riceve la regina della Amazzoni, anno 1500-1510 circa, Museo Jacquemart-André, Parigi.

Altre opere

Meditazione sulla Passione, anno 1500-1510 circa, tecnica a olio e tempera su tavola, 70,5 x 86,7 cm., Metropolitan Museum, New York.

Telero per Palazzo Ducale, anno 1502-1507 circa, dipinto perduto.

Storie dei santi Girolamo, Giorgio, Trifone e Matteo, anno 1502-1507, tecnica a tempera su tela, Venezia:

  • Scuola di San Giorgio degli Schiavoni Orazione nell’orto del Getsemani, anno 1502, 141 x 107 cm.
  • Vocazione di san Matteo, anno 1502, 141 x 115 cm.
  • Sant’Agostino nello studio, anno 1502, 141 x 210 cm.
  • San Girolamo e il leone nel convento, anno 1502, 141 x 211 cm.
  • Funerali di san Girolamo, anno 1502, 141 x 211 cm.
  • San Giorgio e il drago, anno 1502, 141 x 360 cm.
  • Trionfo di san Giorgio, anno 1502, 141 x 360 cm.
  • Battesimo dei seleniti, anno 1507, 141 x 285 cm.
  • San Trifone ammansisce il basilisco, anno 1507, 141 x 300 cm.

Altre opere

Storie della Vergine, anno 1504-1508, tecnica a olio su tela, già a Venezia, Scuola di Santa Maria degli Albanesi.

  • Natività della Vergine, 128 x 137 cm., Accademia Carrara, Bergamo.
  • Presentazione della Vergine al Tempio, anno 1505, 130 x 137 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.
  • Miracolo della verga fiorita (o Sposalizio della Vergine), anno 1505, 130 x 140 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.
  • Annunciazione, 130 x 140 cm., anno 1504, Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro, Venezia.
  • Visitazione, 130 x 140 cm., Museo Correr, in deposito alla Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro, Venezia.
  • Morte della Vergine, 130 x 141 cm., Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro, Venezia.

Sacra famiglia con due donatori, anno 1505, tecnica a tempera su tela, 90 x 136 cm., Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona.

La Sacra conversazione, anno 1505 circa, tecnica a olio su tavola, 96 x 126 cm., Musée du Petit Palais, Avignone.

Sacra conversazione, anno 1505 circa, Kunsthalle, Karlsruhe.

La Sacra conversazione, anno 1505 circa, University of Arizona, Tucson.

Altre opere

Madonna leggente, ottobre anno 1505, tecnica a tempera su tela, 78 x 51 cm. National Gallery of Art, Washington,.

Cristo benedicente, anno 1505-1510 circa, tecnica a olio su tavola, 58 x 46,5 cm., Isaac Delgado Museum, New Orleans.

Madonna col bambino benedicente, anno 1505-1510 circa, tecnica a tempera su tela, 85 x 68 cm., National Gallery of Art, Washington.

San Tommaso in gloria tra i santi Marco e Ludovico di Tolosa, anno 1507, tecnica a tempera su tela, 264 x 171 cm., Staatsgalerie, Stoccarda.

Morte della Vergine, anno 1508, tecnica a olio su tavola, 242 x 147 cm., Pinacoteca Nazionale, Ferrara.

Presentazione di Gesù al Tempio, anno 1510, tecnica a tempera su tavola, 421 x 236 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Ritratto di cavaliere, anno 1510, tecnica a olio su tela, 218 x 152 cm., Collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid .

Papa Alessandro III che ad Ancona conferisce al doge Alessandro Zen l’insegna del parasole, anno 1510 circa, dipinto su tela, già a Venezia nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. L’opera venne distrutta nell’anno 1577.

Papa Alessandro III che concede l’indulgenza nel giorno dell’Ascensione ai visitatori di San Marco (probabilmente realizzato insieme al Giambellino), anno 1510 circa, dipinto su tela, si trovava a Venezia nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Opera distrutta nell’anno 1577.

Profeta, anno 1510 circa, tecnica a olio su tela, 186 x 87 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Altre opere

Sibilla, anno 1510 circa, tecnica a olio su tela, 186 x 87 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze.

Storie di santo Stefano, anno 1511-1520, tecnica a olio su tavola:

  • Processo di santo Stefano, perduto.
  • Santo Stefano e sei suoi compagni consacrati diaconi da san Pietro, anno 1511, 148 x 231 cm., Gemäldegalerie, Berlino.
  • Predica di santo Stefano, anno 1514, 152 x 195 cm., Louvre, Parigi.
  • Disputa di santo Stefano, anno 1514, 147 x 172 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.
  • Lapidazione di santo Stefano, anno 1520, 142 x 170 cm., Staatsgalerie, Stoccarda.

Polittico di Santa Fosca, anno 1514, suddiviso tra l’Accademia Carrara di Bergamo, il Museo Correr di Venezia e la Strossmayerova Galerija di Zagabria.

Pala di San Vitale, anno 1514, chiesa di San Vitale, Venezia.

Diecimila martiri del monte Ararat, anno 1515, tecnica a olio su tela, 307 x 205 cm., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Leone di San Marco, anno 1516, tecnica a tempera su tela, 130 x 368 cm., Palazzo Ducale, Venezia.

Polittico di Capodistria, anno 1516-1523, Capodistria.

Il Polittico di Pirano, anno 1518, Pirano.

Polittico di Pozzale, anno 1519, Pozzale.

San Paolo, anno 1520, chiesa di San Domenico, Chioggia.

Cristo morto, anno 1520, tecnica a olio su tavola, 145 x 185 cm., Gemäldegalerie, Berlino.

Citazioni e critica su Carpaccio

Citazioni e critica su Carpaccio (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Pagine correlate a Carpaccio: Carpaccio dalle vite di Vasari – Biografia e vita artistica – Le opere – Elenco delle opere – l periodo artistico.

Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Carpaccio:

Entrando [a San Giorgio degli Schiavoni], ci troviamo in una piccola stanza la quale ha all’incirca le dimensioni del salotto comune d’una locanda inglese all’uso antico; forse n’è un po’ più alto il soffitto, di buone travi orizzontali, strette e numerose, per dare un’impressione di ricchezza. … Prendete un binocolo, e guardate fisso ed a lungo i due principi, che vengono cavalcando, a sinistra — il re saraceno, con l’alto turbante bianco, e la figlia, dietro a lui, con la rossa acconciatura, alta come la torre d’un castello. Guardateli bene, e a lungo. Perché, in verità, e ve lo dico con la sicura e ben guadagnata cognizione in materia, in tutto questo nostro globo, cercando quanto di più splendido la migliore sua vita abbia prodotto, in tutti i tempi e in tutti gli anni, non troverete altro che veramente s’eguagli a questo piccolo lavoro, per la suprema, serena, sincera, sicura dolcezza della perfetta arte pittorica. Nella sua semplicità, si eleva al di sopra d’ogni altra cosa preziosa, tra quante io ne conosca, perché riunisce la perfetta gioia della prima infanzia con la perfetta gioia dell’età cadente, e, insieme, la forza e lo splendore dell’età virile. In varia misura, quest’è, in vero, pregio comune a tutta l’opera del Carpaccio ed alla mente sua; ma qui lo vedete in un vero gioiello, raggiante, inestimabile.    J. ruskin, Guide To the Principal Pictures in the Accademy … at Venice ..,, 1877.

Per quanto Carpaccio amasse motivi di cerimonia, non gli piaceva meno dipingere episodi casalinghi. … La qualità del Carpaccio è di pittore di genere; in questo, e in ordine di tempo, egli fu il primo italiano. Il suo genere differisce dall’olandese e dal francese, nel grado oltre che nella specie. Il genere olandese è assai più democratico, e come pittura è di qualità tanto più raffinata; ma interpreta il soggetto, come fa appunto il Carpaccio, in vista delle possibilità pittoriche e degli effetti di chiaroscuro e colore.    B. Berenson, The Venetian Painters of the Renaissance, 1894.

Ah, in che puro e poetico sonno posa la vergine Orsola sul suo letto immacolato! Il più benigno dei silenzi tiene la stanza solitaria ove sembra che le pie labbra della dormiente disegnino la consuetudine della preghiera. Per le porte e per le finestre dischiuse penetra la timida luce dell’alba, e illustra la parola scritta nell’angolo dell’origliere. Infantia è la parola semplice, che diffonde intorno al capo della vergine una freschezza simile a quella del mattino : Infantia. Dorme la vergine, già fidanzata al principe pagano e promessa al martirio. Non è ella forse, casta, ingenua e fervente, non è ella l’imma­gine dell’Arte quale la videro i precursori con la sincerità dei loro occhi puerili? …                  G. D’Annunzio, il fuoco, 1898.

In Carpaccio, l’osservazione esatta della natura si unisce a una poetica ispirazione religiosa, e anche in mezzo ai trionfi del Rinascimento, rappresentati nelle sue opere, si trova come una lontana eco del Medioevo. Dalla soglia della chiesa, guarda le pompe del mondo; il desiderio e la preghiera, l’amore mistico e il fremito dei sensi, le serene fantasie dell’antichità rinascente e le visioni dei Vangeli, le immagini pagane e i sentimenti cristiani si uniscono con lui in una ineffabile armonia. Da tale armonioso accordo di reale e ideale deriva quella delicatezza di forma, che cercheremmo invano presso i titani dell’arte veneziana … L’artista è ingenuo e vero, candido e potente, e a studiare con amore le sue opere si finisce per trovare appena eccessivo il giudizio di chi vedeva in lui la purezza e la grazia seducente di Raffaello, unita a questo colore veneziano che nessun’altra scuola ha potuto mai uguagliare. G. Ludwig – P. molmenti, Vittore Carpaccio, 1910.

Nella camera altissima [nel Sogno di sant’Orsola], illuminata dalle finestre bifore, con porte su cui statuette pagane contrastano col secchiello dell’acqua santa pendente presso il letto e con la mobiglia da bambola, stanno un trespolo, un tavolino, una credenza con libri ed altro; tutto ciò pure in contrasto con le proporzioni dei vasi sulla finestra e del letto. È uno squilibrio delle cose corte con le lunghe, dei ninnoli con l’ambiente sperticato, assai maggiore nella pittura di quel che fosse nel disegno della stanza ideata di dimensioni più larghe che alte. Il pittore trasportò il disegno sopra altra scala; e nonostante i disaccordi di linee e di forme, l’allungamento a cui furono tirate nel telero, par che tutto, assottigliandosi, scompaia nella grande stanza, ove dolcemente respira nel sonno la Vergine pura, nel letto ordinato, sotto le ben composte coltri. Ancora acconciata con le trecce a duplice corona sul capo, coi brevi riccioli che sfiorano la fronte, con le labbra inarcate, Orsola posa la guancia sulla mano, come in ascolto dei sogni. L’angiolo diritto, immobile fantasma, entrato nella stanza per recarle la palma di martire, quasi non si scorge; solo lei, la giovanotta, nel chiaror delle coltri, vive, respira, raggia di candore.   A. venturi, Storia dell’arte italiana, 1915.

Spalancando le porte della sua pittura, ci è parso di aver ventilato anche le infinite curiosità della sua vita, avvolta dal mistero, di aver colto meglio lo sfavillio del suo inimitabile colore, la umanità perspicace delle sue scene, fatte di scienza, ma anche più di simpatia e di passione. Dall’esotico, dall’impreve-duto, il passo al sogno è breve, e Vittore Carpaccio fu uno dei pochi che lo compì, come dietro a lui Giorgione, per fissare, nelle sue musiche di colori e forme, nei suoi ariosi tonali, un poco di quel panico georgico che i grandi sanno cogliere dalla natura, e un poco di quell’immenso mistero che l’uomo chiude nel cuore, non meno procelloso dei mari che il pittore aveva tanto amato e tanto percorso. Il regno di quella Serenissima, figlia meravigliosa dell’Oriente e dell’Occidente, di cui fu il poeta primo, con lo stesso inconscio fervore con cui Francesco Guardi doveva esserne l’ultimo. A commento di una grandezza che il tempo ha spento, ma che l’arte eterna.   G. Fiocco, Carpaccio, 1931.

Carpaccio fa gruppo con i pittori delle storie, ma quello che negli altri resta cronaca, talvolta mirabilmente raccontata, in lui assume valore quasi di mito. In tal modo ha da essere inteso il suo legame con il Mansueti e con il Diana, alleanza che non tocca l’essenza dell’arte, ma consiste sostanzialmente in una comunanza di temi e di lavoro. Del pari il problema della luce, che nelle Storie di sant’Orsola assume già importanza capitale e nei disegni si risolve spesso in un procedere per segni leggeri e rotti, quasi impressionistici, non è neppure sentito dai compagni : Carpaccio è innanzi a loro di decenni. Come in tutti i maestri la sua arte nasce per virtù intima, non per influssi esterni ed accidentali, che possono sì modificare il corso ma non toccare la sostanza.   Vitali, Carpaccio 1935.

Per il Carpaccio il liberarsi e il tenersi lontano da ogni ricerca di forte impegno intellettualistico facilitò se non condizionò la sua concentrazione su quei problemi che danno più specifica figura alla sua originalità formale. Fissata in poche, larghe oscillazioni andamentali, in pacati organismi o collegamenti ritmici che non avevan bisogno di scordare le individue maestà iconiche dei polittici, la tematica connettiva fondamen­tale dei suoi lavori, la sua fantasia pare si desse intera, con ardita simpatia, a individuare come in una crescente, magica avventura la enorme particolarità di vita figurale che fiorisce con un accento così investente, con una forza così attrattiva nelle sue tele, talché sembra che l’artista abbia dato voce di richiamo a tutte le fisiche apparenze dell’universo.  C. L. ragghianti, Due disegni del Carpaccio, in “Critica d’arte”, 1936.

E il San Giorgio? Ad onta di malori innumerevoli rimane ancora un quadro supremo; non però di piana decifrazione. Che mai, infatti, di questa inscenatura arcaicamente profilata e stemmata che, in apparenza, vuoi riportarsi ai vecchi esemplari di cinquant’anni prima, ai cassoni di Paolo Uccello? Solo chi conosca bene il Carpaccio sciolto e profondo può annuire all’astuzia culturale che qui evoca, attraverso la più vecchia ed araldica iconografia, l’antichità della favola cavalleresca, come dicendo: “questa tappa ha da essere all’insegna del «S’ara Giorgio”. Creò così, tra drago e cavaliere astato, questa specie di immane rosta in ferro battuto alla ribalta del quadro; al di là però, eccolo esplorare a fondo, fino all’orizzonte, il vasto palcoscenico naturale che gli è caro; prima il terreno stregato dove la morte espone lucida tra i ramarri, le botte e i fili d’erba avvelenati, i suoi vari “memento” : le collezioni di teschi, il braccio che fu elegante, il lurido frammento di un eroe sfortunato, i resti della donzella dove la camiciola smangiata sul petto integro, la mezza manica sul braccio che riposa, il torso sfibrato come una corteccia dolce da masticare, si compongono nei segni di un affetto supremo; più lontano, i palmizi che sfilano lungo la città balconata donde gli abitanti, minutissimi, guardano alla rovescia il nostro stesso spettacolo; più in fondo ancora, sotto il cielo imbrattato di nubi, l’orizzonte marino con il veliero che s’incanta stupefatto sotto la rupe sforata. Da questa continua concordia proporzionale, da questa dosatura instancabile di forme colorate entro un’inaudita lucidezza spaziale, viene l’incantamento della narrativa carpaccesca. Ma la persuasione ultima per lo spettatore non sarebbe senza la continua geniale denunzia dell’ombra. Meridiane al sole cadente sono i teleri del Carpaccio, dove ogni cosa : dall’uomo alla calza appesa, al filo d’erba stenta, al gigaro gigante, alla banderuola che sbatte, al minareto, alle colorate architetture degli amici Coducci e Lombardi, tutto protende la sua ombra più lunga per più sicura riprova.   R. longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946.

Carpaccio sentiva la natura di una complessa espressione, densa perfino di allusioni morali, mentre per il vero pittore di genere oltre la natura nulla vi può essere e la stessa vita umana v’è inclusa. La vecchia nutrice che assiste al colloquio d’Orsola col padre non è soltanto la serva di casa in qualsiasi interno ma piuttosto la fede! custode di un’intimità domestica; di un dolce legame che le vicende stanno per spezzare. Il particolare dello scrivano e del galante dettatore è soffuso di una grazia fantastica che non è solo quella di un episodio generico, mentre il viso del giovinetto assorto sembra sfiorato dai sogni della leggenda. Passano quei sogni nei cieli, ne sono irradiate le città splendenti, le distese marine, e senza contrasti il popolo eletto di Venezia assiste al congedo del principe biondo della fiaba. E la linda cameretta della fanciulla che dorme non esprime forse nelle sue stesse cose una serenità innocente che la fa degna d’essere visitata dall’Angelo all’apparire del giorno? Poiché il racconto, i personaggi, le scene esprimono tutti, in quella miracolosa pittura, la unitaria vena fantastica del Maestro. Il Carpaccio se non è per noi un ispirato profeta, ne un curioso naturalista, può apparirci con una interiore religiosità che non ha tuttavia nulla di astratto e di trascendente … Il tono narrativo delle sue opere, più che ad una medioevale vita dei santi ci accosta alla novellistica della Rinascenza, è presente il calore sentimentale dominante in terra veneta e il descrivere diviene un conoscere, ben più che per un toscano.   V. moschini, Carpaccio. La leggenda di Sant’Orsola, 1948.

Temperamento festevole quanto quello di Gentile era severo, tenero quanto quegli era aspro, Vettor Carpaccio raccoglie dalla realtà esterna, quasi scremandola dei suoi aspetti più prelibati, un tesoro di sensazioni; s’innamora perdutamente della vicenda perenne delle cose, fonte inesauribile di motivi; s’inebria nella scoperta delle minuzie più particolari. Una folla di immagini; fra le quali appaiono ad ora ad ora motivi esotici di plaghe remote, specialmente di quelle di più attraente mistero, il Settentrione e l’Oriente. E su questo scenario portentoso i personaggi intrecciano le loro storie in un dolce e quieto incantesimo: tardi, svagati, trasognati, come eternamente cullati dal lentissimo dondolio di un sensuoso assaporamento della realtà, quell’accarezzamento del visibile, si trasfigura in un abbandono al gusto del novellare, del raccontare, del favoleggiare. E la ricchezza infinita degli aspetti tesoreggiati nella fantasia diventa “Stimmung”, si carica di “stato d’animo”, vibra di tonalità sentimentale, si scioglie in una melodia soavemente patetica.   L. coletti, Pittura veneta del Quattrocento, 1953.

lo stile del Carpaccio rimane dal principio alla fine coerente a se stesso … Il suo linguaggio figurativo si trova subito al di fuori della tradizione veneta, basandosi su una accentuazione di fatti prospettici quasi pierfrancescana, mediata piuttosto dai lucidi ferraresi, che non dal nordico Antonello. Per quella via, quasi indipendentemente da Giovanni Bellini (che punta subito alla valorizzazione degli effetti sensuali del colore, con tipico significato pre-cinquecentesco), il Carpaccio si conquista una eccezionale libertà espressiva, inserendo i suoi giochi coloristici nel telaio prospettico delle luci e delle atmosfere. Così il suo occhio attentissimo tende a fermarsi su una magica figurazione di simboli, entro la fascinosa descrizione degli ambienti reali. I risultati più maturi lo avvicinano al tonalismo giorgionesco. Ma in fondo la caratteristica della sua pittura rimane quella base lucidamente razionale, per cui la natura appare sempre frenata e condotta- entro i limiti di un mondo più da architetto che da lirico cantore delle cose. Di qui il suo in canto : nell’equilibrio raggiunto, tra una fantasticità calcolata e una realtà plausibile; sicché la natura prende nelle sue tele lo struggente aspetto del sogno, mentre il volo della fantasia ritorna, rinnovandole in una loro vita simbolica, dentro le cose trasfigurate.                        T. Pignatti, Carpaccio 1955.

il Carpaccio fu uomo senza retorica, stupendamente empirico e per questo poco adatto alla pittura di pale, che costrusse con fatica, e limò sino all’incredibile; mancandogli ivi quell’abbandono che letifica le sue narrazioni, le sue favole e le sue leggende, non si vuoi dire sia da meno di Giambellino, che nelle pale si esprime tanto felicemente. Ciò deriva dalla diffidenza per ogni intellettualismo, che lo toglieva da schemi i quali non fossero suggeriti da eccitamenti visivi. Per questo la sua musa pittorica realizza più di ogni altra i suggerimenti di Antonello, sviluppatesi nel clima fiammingo e non in quello toscano. Nelle sue famose sequenze non c’è residuo formale, che viva in sé e per sé; quello che troviamo invece dietro ad ogni composizione di Giambellino, per altro verso tanto sensitivo, ed anche per i sotterranei suggerimenti mantegneschi tanto vibrante. Ecco quindi che … tutta la felicissima opera grafica del Carpaccio è un susseguirsi di capolavori conseguenti alle opere d’arte; trepidi, luminosi, aerei.    G. Fiocco, Carpaccio, 1958.

II soggetto favolosamente esotico, il ritmo lento e sognante, hanno donato al Carpaccio degli Schiavoni fama di narratore magico, di evocatore di miti, ma il carattere di quelle pitture sta invece nella straordinaria evidenza cromatica della rappresentazione. La dorata atmosfera dello Studio, o il rosso lacca d’un sigillo che pende dall’aria, la fuga di turchini vividi delle tonache dei frati contro il verde-oro del cortile del convento, una veste viola d’un vecchio frate, sono tutti episodi figurativi, immagini d’una poetica ormai affatto indipendente dal “soggetto”. Dalle luci “reali”, dalle indimenticabili aperture di cieli e di acque degli Ambasciatori di Sant’Orsola, si giunge qui al supremo limite di forme che vivono per sé sole, nella loro integrità coloristica.   T. Pignatti, Vittore Carpaccio, in ‘Enciclopedia universale dell’arte”, 1958.

Breve biografia e vita artistica di Carpaccio

Breve biografia e vita artistica di Carpaccio

Pagine correlate: Le opere – Elenco delle opere – Il periodo artistico – La critica – Carpaccio dalle vite di Vasari.

Vittore Carpaccio, il pittore dalla vita misteriosa, nasce a Venezia intorno al 1465-72.

La lapidazione di Santo Stefano, 149 x 170, anno 1520, Staatsgalerie, Stoccarda.
La lapidazione di Santo Stefano, 149 x 170, anno 1520, Staatsgalerie, Stoccarda.

Sulla sua formazione artistica c’è molta incertezza. Il suo linguaggio pittorico, specialmente se raffrontato con gli artisti a lui contemporanei e di formazione artistica veneta, lascia dubbi sulla zona dei suoi studi sull’arte.

Molti critici di storia dell’arte sostengono che abbia iniziato la sua esperienza artistica spronato da Gentile Bellini, Giovanni Bellini, Antonello e Lazzari Bastiani.

È quasi certo, date le configurazioni di base delle sue opere, che abbia avuto diretti contatti con Antonello da Messina e che sia stato influenzato dalla pittura di Piero della Francesca e del Mantegna. Come quest’ultimo, anche Carpaccio si vede impegnato nella realizzazione di opere su tela preferendola al supporto ligneo.

Un riquadro del Ciclo di Sant’Orsola, Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Un riquadro del Ciclo di Sant’Orsola, Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Il Ciclo di teleri per la scuola di Sant’Orsola gli viene commissionato nel 1490. A questa richiesta fanno seguito altre committenze istituzionali. Intorno alla fine del Quattrocento, sotto la guida di Bellini, realizza i dipinti per la scuola di S. Giovanni Evangelista.

Nel 1501 Carpaccio inizia un altro ciclo di teleri per adornare la sala del Maggior Consiglio e dei Pregadi nel Palazzo Ducale, opere ormai andate completamente perse.

È da questo periodo che il Carpaccio riceve incarichi da molte scuole veneziane di prestigio.

La predica del santo, cm. 152 x 195, probabile anno 1514, Louvre, Parigi.
La predica del santo, cm. 152 x 195, probabile anno 1514, Louvre, Parigi.

Realizza il ciclo di Storie del Santo, di San Trifone, San Gerolamo e due Storie Evangeliche (la Preghiera nell’orto e la Vocazione di San Matteo) per la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni. Altre committenze arrivano dalle scuole di Santo Stefano e degli Albanesi.

Il primo decennio del Cinquecento lo vede strettamente legato alle committenze provenienti da fonti istituzionali, tanto che il Carpaccio, viene definito come il “pittore di stato”.

Ritratto di cavaliere, cm 218 x 152, Collezione Von Thyssen, Lugano.
Ritratto di cavaliere, cm 218 x 152, Collezione Von Thyssen, Lugano.

Alle pubbliche committenze si aggiungono in seguito quelle dei privati, come i dipinti “Ritratto del cavaliere” e le “Cortigiane”. La sua fama si allarga sempre più e presto le richieste si estendono anche fuori la provincia: nascono così le Pale di Santa Maria in Vado, di San Pietro Martire (la prima a Ferrara, la seconda a Murano). Qualche anno prima della sua morte, avvenuta nel 1526, Carpaccio realizza per il duomo di Milano, le portelle dell’organo e la Pala d’altare.

Bibliografia: “Storia dell’arte italiana”, Sansoni, volume n° 2, pagina 348 e seguenti.

I diecimila crocifissi del Monte Ararat di Carpaccio

Carpaccio: I diecimila crocifissi del Monte Ararat

I diecimila crocifissi a Monte Ararat
Carpaccio: I diecimila crocifissi del Monte Ararat, cm. 307 x 205, Accademia di Venezia.

Sull’opera: “I diecimila crocifissi del Monte Ararat” è un dipinto autografo di Carpaccio, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1515, misura  307 x 205 cm. ed è custodito nell’Accademia di Venezia. 

 Sul cartellino, sotto il crocifisso in primo piano si legge: “V. / CARPATHIVS / MDXV”. Secondo la leggenda, Acazio al comando di novemila soldati romani, nonostante il mancato appoggio degli imperatori che erano fuggiti, riuscì con l’aiuto divino ad annientare i ribelli armeni. I valorosi si raccolsero poi sul monte Ararat, dove ottennero la solidarietà degli angeli, calati dal cielo.

 Intanto gli imperatori, per nulla turbati dalla loro vile azione, avevano preso accordi con alcuni capi delle zone limitrofe per catturare i novemila romani assieme ad altri mille compagni ai quali si erano uniti. I diecimila uomini vennero incoronati con spine e quindi crocifissi, mentre stava infuriando un brutto temporale.

Nel fondo della composizione si scorgono le narrazioni che precedono quella delle crocifissioni: la battaglia, la dura salita al monte, l’apparizione degli angeli e il raggiungimento dell’Ararat. In primo piano, nella zona di destra, si vede un imperatore a cavallo, che sta parlando ai capi locali.

Secondo molti studiosi di storia dell’arte la figura inginocchiata è probabilmente Acazio.

In precedenza il dipinto si trovava nella chiesa di Sant’Antonio di Castello a Venezia, sull’altare commissionato da E. Ottoboni e consacrato nel 1512.

All’abbattimento dell’edificio, nel 1807, l’opera fu trasferita all’Arsenale e quindi (1812) all’Accademia di Venezia.

Il leone di San Marco di Carpaccio

Il leone di San Marco di Carpaccio

Il leone di San Marco di Carpaccio
Carpaccio: Il leone di San Marco, cm.  130 x 368, Palazzo Ducale di Venezia. Particolare

Sull’opera: “Il leone di San Marco” è un dipinto autografo di Carpaccio, realizzato con tecnica a olio su tela  nel 1516, misura 130 x 368 cm. ed è custodito nel Palazzo Ducale di Venezia. 

 A sinistra, in modo alquanto illeggibili, si trovano firma e data scritte dall’artista: -VICTOR CARPATHIVS / A.D. / M.D.XVI.”. Gli stemmi,  raffigurati nella zona bassa, sono quelli di nobili famiglie di Venezia. Da sinistra verso destra: Balbi (o Zorzi), Dandolo (o Gritti), Manolesso, Bragadin e Foscarini (fonti: Ludwig e Molmenti).

II leone, simbolo del patrono di Venezia, tiene aperto e bene in vista il volume con la tradizionale scritta: “PAX / TIBI / MAR/ CE E//VAN/GELI/STA / MEVS”, in cui l’iniziale della parola “evangelista” appare con il dittongo ‘AE’, poi ricorretto nella forma odierna.

La presentazione di Gesù al tempio (Accademia di Venezia) di Carpaccio

Carpaccio: La presentazione di Gesù al tempio (Accademia di Venezia)

Carpaccio: La presentazione di Gesù al tempio (Accademia di Venezia)
Carpaccio: La presentazione di Gesù al tempio, cm. 421 x 236, Accademia di Venezia.

Sull’opera: “La presentazione di Gesù al tempio” è un dipinto autografo di Carpaccio, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1510, misura 421 x 236 cm. ed è custodito nell’Accademia di Venezia. 

 La tavola è firmata e datata con la scritta “VICTOR CARPATHIVS. / M.D.X.”, posta sul cartellino in basso al centro. Le lettere “M.D.X.” indicano chiaramente la data 1510, anche se impropriamente scritta.

 Il piviale di san Simeone contiene cinque narrazioni della Genesi: celeberrima è la figura dell”angelo che suona il liuto (in basso al centro) più tardi ripetuto, ma con un cromatismo meno pregiato, nella pala di Capodistria (Madonna col Bambino in trono fra i santi e tre angeli musici); l’angelo a destra suona una lira, mentre quello a sinistra, un cromorno.

L’opera si trovava nella chiesa di San Giobbe a Venezia, come pala d’altare con lo stemma dei Sanudo, la probabile famiglia che, secondo il Molmenti ed il Ludwig, commissionò la tavola: si pensa a Pietro  Sanudo, morto nel 1509.

Dal 1815 si trova nell’Accademia di Venezia. Fu pulita nel 1959.

I due disegni appartenenti alla collezione Gathorne-Hardy, che raffigurano le teste delle figure femminili a sinistra, possono essere riferiti alla presente opera e quindi considerati come grafici preparatori.

“Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro” di Carpaccio

Carpaccio: Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro

Carpaccio: Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro
Carpaccio: Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro, cm. 148 x 231, anno 1511, Staatliche Museen di Berlino.

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Sull’opera: “Il santo e sei compagni consacrati diaconi da San Pietro” è un dipinto – non proprio autografo – di Carpaccio, appartenente al “Ciclo di S. Stefano”, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1511, misura 148 x 231 cm. ed è custodito negli Staatliche Museen di Berlino. 

Sul cartiglio, in basso nella estrema zona di destra, si legge la scritta “VICTOR CARPATHIVS / FINXIT M.D.XI”, che corrisponde alla firma ed alla data.

Lo studioso di storia dell’arte Zanetti nel 1771 rilevava che tale data era riportata anche sulla cornice originaria, quella in cui il telero venne posto in loco, insieme all’indicazione del “guardian grande” (allora in carica) del sodalizio: “Manfredus Lapicida et Collega conspicabilem picturam hanc tempore eorum regiminis posuerunt MDXI”.

 Nel 1820 il telero passò al mercante D. Weber, che lo cedette alla collezione Solly di Berlino, dalla quale pervenne agli  Staatliche Museen di Berlino.

La scena della consacrazione si svolge sulla gradinata d’ingresso al tempio (si veda anche il “Battesimo dei seleniti”). Sui gradini si descrive l’ “aneddoto” dell’anziana donna (seduta sul primo scalino) che ascolta le parole del bambino, e il pellegrino (figura che secondo il Muraro raffigurerebbe lo stesso Carpaccio) estasiato dal pio avvenimento. Dietro ai diaconi, stanno quattro donne vestite con abiti orientali e, in primo piano, a sinistra, un gruppo di turchi dialoganti tra loro.

Secondo il Fiocco, la realizzazione del presente telero spetta largamente al trevisano Francesco Bissolo (Treviso, 1470 – Venezia, 1554) ma la maggior parte degli studiosi propende per una preponderante autografia del Carpaccio.