Sull’opera: “Crocifissione tra Maria e san Francesco” era un dipinto di Filippino Lippi realizzato con tecnica a olio (probabilmente) su tavola intorno al 1500. Misurava 186 x 179 cm. ed era custodito negli Staatliche Museen di Berlino. La composizione andò distrutta durante la seconda guerra mondiale.
La storia del dipinto
Si pensa che la tavola facesse parte di un trittico con il San Giovanni Battista e la Maria Maddalena (pagina successiva), entrambi attualmente custoditi nella Galleria dell’Accademia di Firenze. Viene spesso identificata in quella che il Vasari vide nella distrutta chiesa di San Ruffillo (già in piazza dell’Olio), ma tale notazione ha sempre creato delle perplessità perché probabilmente inesatta.
Più attendibile risulta l’identificazione nella tavola descritta da Vincenzo Borghini nel 1584. Lo studioso, con più ricchi dettagli, la indicava sull’altare Valori della chiesa di San Procolo, con le due ante laterali ed un affresco in alto raffigurante “San Francesco che riceve le stimmate”.
La separazione dal trittico
Nel XVIII secolo, in seguito allo smembramento del trittico, la tavola centrale (quella in esame) subi lo spostamento in sagrestia. Poi fu venduta alla raccolta Solly di Londra, dalla quale pervenne nel 1821 insieme a tutta la collezione, al Kaiser Friedrich Museum di Berlino.
La distruzione del dipinto
Nel 1945, durante la seconda guerra mondiale, gli aerei bombardarono e distrussero uno dei depositi contenenti importantissime opere d’arte, tra cui anche la Crocifissione di Filippino Lippi.
Sull’opera: “Adorazione dei Magi” è un dipinto di Filippino Lippi realizzato con tecnica a olio su tavola intorno al 1496, misura 258 x 243 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Storia
Un’Adorazione dei magi fu commissionata nel 1481 a Leonardo da Vinci dai frati di San Donato in Scopeto. La tavola venne iniziata dall’illustre artista e non fu mai portata a termine perché egli dovette recarsi a Milano (come scrive il Vasari nel 1568). Passarono quindici anni affinché i canonici della chiesa, trovando ancora la tavola in stato di abbozzo, dovettero incaricare Filippino Lippi per una composizione avente lo stesso tema e formato.
Il Lippi portò a compimento l’opera rispettando tempi e soggetto. Con l’assedio di Firenze del 1529 e la conseguente distruzione della chiesa, la tavola subi trasferimenti. Entrò nelle collezioni del cardinale Carlo Ferdinando de’ Medici (Firenze, 1595 – Montughi, 1666), alla cui morte finì nelle raccolte granducali e quindi alla Galleria degli Uffizi.
Descrizione dell’opera
La tavola richiama l’Adorazione dei magi (1745 circa, Uffizi) del suo celebre maestro, Sandro Botticelli, alla quale si rifà abbastanza fedelmente, soprattutto nella scena centrale con la medesima struttura compositiva, capanna e figure collocate ai lati su due quinte che degradano in profondità. Filippino non si riferì certamente all’esempio leonardesco con la sua vorticosa manifestazione di stati d’animo, ma si basò esclusivamente su precise fonti letterarie, probabilmente richieste dai commissionari, ligi soprattutto a qualcosa di più tradizionale, magari legata alla regola agostiniana come le omelie di sant’Agostino sull’Epifania.
Il santo di Ippona, infatti, scriveva che il Bambino Gesù lo offrirono all’adorazione dei pagani per salvare i popoli della terra. Su tale indicazione probabilmente Filippino dipinse, ai lati del sacro gruppo, molti altri sconosciuti personaggi vogliosi di conversione, tra i cui i magi ne sono i più celebri esempi.
L’opera era in precedenza costituita anche da una predella suddivisa in cinque pannelli raffiguranti santi a mezzobusto. Attualmente è smembrata e custodita in diversi musei: North Carolina Museum of Art di Raleigh ed altre collezioni private.
Sotto: due dei cinque elementi della predella (North Carolina Museum of Art)
Sull’opera: La “Pala di Francesco Lomellini” è attualmente una serie di due dipinti (in origine erano tre: cimasa, tavola centrale e predella) di Filippino Lippi realizzata con tecnica a olio su tavola nel 1503, misura 393 x 185 cm. (298 x 185 cm la parte principale, 95 x 185 la cimasa) ed è custodita nel Palazzo Bianco a Genova. La pala reca la firma e la data: PHILIPPINUS FLORENTINUS FACIEBAT / A.D. M.CCCCC.III. Sul verso invece è riportato l’acronimo dell’artista: “Glo/Vi/s”.
Francesco Lomellini, un aristocratico genovese, quando nel 1502 decise di far ristrutturare la sua cappella nella chiesa di San Teodoro (lavori portati a compimento nel 1510), volendo far realizzare una grande pala d’altare si rivolse ad uno fra i migliori artisti del momento, Filippino Lippi operante a Firenze.
Nei primi mesi del 1503, un anno prima della prematura morte del pittore, l’opera era già stata portata a compimento. Fu spedita a Genova nel febbraio 1503.
Si pensa che negli anni 1797-1799, durante i gravi turbamenti legati all’occupazione delle truppe francesi, scomparse la predella con la raffigurazione della Pietà. Nel 1810 l’opera, probabilmente già smembrata e priva di una parte, fu requisita e trasferita in Francia, dove venne spogliata anche della cornice originale.
Fece ritorno a Genova nel 1816 e, dopo la demolizione della cappella in San Teodoro, venne portata a Palazzo Bianco, l’attuale sede.
La scritta “Napoleonis Lomellini proprietas” è apocrifa e fu aggiunta nel 1838.
Nel riquadro centrale appare san Sebastiano, il santo a cui è dedicata la cappella, tra san Giovanni Battista, protettore di Genova, e san Francesco d’Assisi, patrono del committente. Il primo è raffigurato al centro su un piedistallo con rifiniture classicheggianti, che riportano alle immaginarie rievocazioni archeologiche di altre composizioni dell’artista. Su di esso appare la scritta “IMP. DIO. ET. MAX.” che indica l’epoca del martirio del santo, ai tempi di Diocleziano e Massimiano.
L’imponente figura di san Sebastiano, coperto solo da un perizoma, non segue la disposizione sull’asse della scena, con una postura assai articolata ed instabile, che prelude, in un certo modo, la pittura del tardo Rinascimento.
Sullo sfondo appaiono squarci paesaggistici, con costruzioni e rovine, e un cielo profondamente azzurro con alcune nubi.
Le rovine simboleggiano la vittoria del mondo cristiano su quello pagano, ormai in crisi.
Le architetture in primo piano appaiono asimmetriche ed irregolari.
Sull’opera: Il “Polittico dell’Annunziata” è costituito da una serie di dipinti, iniziati nel 1504 da Filippino Lippi e portati a termine dal Perugino. I riquadri – tavola principale con due stesure pittoriche (attualmente divise), su recto e verso, e una predella comprendente sei pannelli – furono eseguiti con tecnica a olio su tavola e portati a termine nel 1507.
Descrizione e storia
Le composizioni principali misurano 333 x 218 cm. e sono custodite nella Galleria dell’Accademia a Firenze (“Deposizione” di Filippino Lippi e Pietro Perugino) e nella basilica della Santissima Annunziata della stessa città (“Assunzione” di Pietro Perugino).
Gli elementi della predella (Perugino) si trovano in tre musei statunitensi ed in una collezione privata africana (si veda la tabella sotto riportata).
L’avvio dell’opera
L’opera fu iniziata dal Lippi per l’altare maggiore della della Santissima Annunziata a Firenze.
Qualche anno prima allo stesso artista, per la stessa chiesa, venne commissionato però un dipinto diverso (un cartone con la Vergine, il Bambino e sant’Anna) che Filippino lasciò incompleto perché chiamato, nel 1502, al servizio di Cesare Borgia (Roma, 1475 – Viana, 1507), e che fu completato da Leonardo da Vinci.
La committenza della presente opera, che appare con un tema del tutto diverso da quello iniziale, ricadde quindi di nuovo su Filippino Lippi. Con la morte di quest’ultimo, avvenuta nell’aprile del 1504, il lavoro, già avviato nel riquadro principale, fu affidato al Perugino, che lo completò, con l’Assunta ed i sei pannelli della predella, nel 1507.
Il pittore umbro, secondo Adolfo Venturi, avrebbe avuto come assistente Andrea d’Assisi (Assisi, 1480 – 1521), mentre per il Gamba si servì del giovane Raffaello Sanzio, ipotesi, quest’ultima, che non ebbe seguito presso gli studiosi di Storia dell’arte.
L’aspra critica
L’opera, per la ripetitività delle scene raffigurate, venne brutalmente criticata dai fiorentini. Il Vasari riporta le parole con le quali il pittore cercò di difendersi dagli attacchi verbali: “Io ho messo in opera le figure altre volte lodate da voi e che vi sono infinitamente piaciute: se ora vi dispiacciono e non le lodate più che ne posso io?”.
È però risaputo che in quel particolare periodo il Vannucci aveva impiegato più volte gli stessi cartoni, tendendo più ad impostare la qualità nell’esecuzione pittorica che nella creatività, soprattutto quando l’aiuto di bottega gli scarseggiava o era completamente assente.
Agli inizi del Cinquecento la varietà e l’invenzione stavano ormai diventando elementi di fondamentale importanza per la pittura, tanto da creare discrimine anche tra i più quotati artisti.
La Pala dell’Annunziata fu l’ultima opera di Filippino, ma anche l’ultima del Perugino realizzata per ambienti fiorentini.
La divisione della tavola principale
Originariamente la tavola principale, come sopra accennato, era dipinta su entrambe le facce: la Deposizione, rivolta verso i fedeli, e l’Assunzione verso il coro. Dopo la divisione delle due raffigurazioni, la prima pervenne nelle collezioni granducali dalle quali passò agli Uffizi e quindi, nel 1954, alla Galleria dell’Accademia, mentre l’altra rimase nella basilica della Santissima Annunziata, finendo poi nella cappella Baratta.
Sei pannelli completavano il complesso pittorico, arricchito da una cornice disegnata da Baccio d’Agnolo. Le tavole, smembrate, sono attualmente custodite nel Metropolitan Museum di New York, nella Galleria nazionale d’arte antica di Roma, nel Lindenau-Museum di Altenburg e in una collezione privata in Sud Africa.
Cinque dei sei riquadri della predella:
Natività, olio su tavola, 26,7×42,6 cm, Chicago Art Institute.
Battesimo di Cristo, olio su tavola, 26,7×42,6 cm, Chicago Art Institute.
Samaritana al pozzo, olio su tavola, 26,7×42,6 cm, Chicago Art Institute.
Noli me tangere, olio su tavola, 26,7×42,6 cm, Chicago Art Institute.
Resurrezione di Cristo, olio su tavola, 27×45,7 cm, New York, Metropolitan Museum.
Sull’opera: “Pala degli Otto” è un dipinto di Filippino Lippi realizzato con tecnica a tempera su tavola intorno al 1486, misura 355 x 255 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
La Pala degli Otto pervenne agli Uffizi nel 1782. Venne commissionata a Leonardo da Vinci (da documentazioni certe risulta che l’artista ricevette, il 10 gennaio 1478, l’anticipo di quindici fiorini) per la sala degli Otto di Pratica di Palazzo Vecchio. Più tardi la commissione si spostò su Domenico Ghirlandaio (Firenze, – Firenze, 1494) e poco più tardi su Filippino Lippi, che la porto a compimento nel 1485.
Per stimare il valore dell’opera, e quindi stabilire la somma che spettava all’artista, fu interpellato Lorenzo il Magnifico, che la valutò 1200 lire. Della presente pala, che nel corso dei secoli venne confusa con quella che realizzata in sostituzione dell’Adorazione dei Magi di Leonardo, oggi sappiamo che invece venne eseguita in sostituzione dell’Adorazione dei Magi (Uffizi) dello stesso Filippino.
Il tema del dipinto è riferito alla “Sacra conversazione”. La Vergine è assisa trono con il Bambino in braccio entro una nicchia con sopra la conchiglia di capasanta (simboleggiante alla nuova Venere, Maria), mentre sta sfogliando con il figlioletto un piccolo libro. Ai lati di Maria, in un semicerchio attorno al trono, con atteggiamenti diversificati, appaiono i quattro santi, protettori della città e degli “Otto”. Da sinistra incontriamo: San Giovanni Battista, San Vittore, San Bernardo di Chiaravalle e San Zanobi. Il primo – con il corpo magro, la barbetta e l’asta con la croce – indossa una veste con pelo di cammello, tipica per l’eremitaggio. Sopra la pelle di cammello, il patrono di Firenze, ha un vasto manto color rosso acceso, che si armonizza con il manto azzurro di Maria al centro della composizione (si noti la stella sulla spalla, antico attributo che riporta alla cometa dell’Epifania) e col piviale violetto (assai raro nella pittura rinascimentale ai tempi di Lorenzo il Magnifico) di San Zanobi sulla estrema destra. Accanto a San Giovanni Battista, il protettore dei Guelfi, San Vittore con una mitria vescovile fatta da eleganti decorazioni auree, gemme e perle, da cui si evidenzia l’influenza fiamminga nella capacità di far emergere elementi brillanti. Ad esso segue San Bernardo, che reca un libro aperto contenente un’omelia per la Madonna, da lui stesso scritta, dove viene riportata anche la parola “MEDICA” in onore alla famiglia de’ Medici. Infine, San Zanobi, patrono della diocesi fiorentina, figura più riccamente vestita della composizione, con un ampio manto decorato da sinuosi ricami dorati e perle, mentre tiene un decoratissimo bastone pastorale ove è allacciato un velo, a cui l’artista conferì trasparenza con grande maestria; sul suo petto spicca un gioiello con il giglio rosso, emblema di Firenze.
Il viso della Vergine evidenzia una certa affinità con le Madonne leonardesche (si veda ad esempio l’incompiuta Adorazione dei Magi), che in in tempi passati fece ipotizzare un intervento del grande genio toscano, rigettato poi dalla critica successiva. Nella zona alta appaiono angeli recanti ghirlande di rose (il tipico fiore mariano), con appesa la corona di Maria. S
opra gli angeli, infine, uno stemma della Croce del Popolo, altro emblema di Firenze, tra nastri svolazzanti, che danno l’impressione di essere ancorati alla volta a botte.
Sul primo gradino, entro il quale viene riportata la data, si trova un libro con sopra due drappi che lo coprono completamente (una chiara allusione all’attività della magistratura degli Otto).
Sulla base del trono vengono più volte ripetuti alcuni fregi, che l’artista ripropone sul motivo della conchiglia sopra la nicchia.
Sull’opera: “Sibille” è una raffigurazione di Filippino Lippi appartenente al ciclo di affreschi della Cappella Carafa, realizzata sulla rispettiva volta intorno al 1489-91 e custodita nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
Si pensa che anche questa decorazione, come usualmente le altre, appartenenti a cicli di affreschi, dovesse essere stata realizzata per prima.
La rappresentazione comprende quattro vele su cui l’artista raffigurò altrettante Sibille, insieme ad altre figure.
Al centro spicca uno stemma della famiglia Carafa entro un grosso medaglione con cornice simulata che prosegue, con gli stessi elementi decorativi, lungo i quattro costoloni.
Trattasi di motivi con intrecci tra rami ed anelli con diamanti, emblema di Lorenzo il Magnifico, alternati a libri e palmette all’antica.
Il riferimento alla famiglia de’ Medici viene tradizionalmente interpretato come un ringraziamento a Lorenzo per il suggerimento dato al committente nella scelta dell’artista decoratore e, soprattutto, per l’efficace opera di mediazione svolta dallo stesso Signore di Firenze nella congiura dei Baroni che aveva portato, nel 1485, molti lutti nel regno di Napoli, terra di origine del cardinale Carafa.
Nella raffigurazione della volta, Filippino Lippi fu il primo artista fiorentino a impiegare l’espediente per una visione “da sott’in su”, creata da una prospettiva variabile e correttiva per la visione da sotto, anche se ancora abbastanza grezza. Certamente il pittore aveva visto l’Ascensione di Maria di Melozzo da Forlì nella basilica dei Santi Apostoli, oggi staccato e ripartito tra il Palazzo del Quirinale ed i Musei Vaticani. Per capire la differenza con le raffigurazioni delle volte fiorentine, quelle ancora dipinte con il metodo arcaico, si può fare un accostamento della presente opera con quella coeva (sempre con le Sibille) di Domenico Ghirlandaio della Cappella Sassetti in Santa Trinità, raffigurata ancora in maniera rigidamente piatta, come se fosse dipinta su un soffitto piano.
Le Sibille qui rappresentate sono la Libica, la Cumana, la Delfica e la Tiburtina, con i rispettivi nominativi su insegne romane, sorrette da cherubini, poste in ogni angolo in basso.
I quattro personaggi, che al pari dei profeti simboleggiano il sapere e la cultura, recano in mano lunghi e sinuosi cartigli in cui appaiono passi di san Tommaso e sono attorniate da angeli, assorti nella lettura e nella scrittura, che a loro volta recano altri cartigli o libri.
Filippino Lippi: Cappella Carafa – Annunciazione col committente presentato da san Tommaso d’Aquino
Filippino Lippi: Decorazione bassa della parete centrale: Annunciazione col committente presentato da san Tommaso d’Aquino, Santa Maria sopra Minerva, Roma
Sull’opera: “Annunciazione col committente presentato da san Tommaso d’Aquino” è una raffigurazione di Filippino Lippi appartenente al ciclo di affreschi della Cappella Carafa, realizzata intorno al 1489-91 e custodita nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
La parete di fondo della cappella simula una pala d’altare con raffigurata, al centro in basso, l’Annunciazione impreziosita da una cornice di stucco e, su tutto il resto della superficie, la scena dell’Assunzione della Vergine. L’episodio della presente opera – l’Annunciazione – è inquadrato in una finta architettura con pilastri e candelabri monocromatici.
L’Annunciazione appare con un’iconografia alquanto inusuale, dove san Tommaso d’Aquino presenta il committente Carafa inginocchiato alla Vergine.
Insolita non è la presenza del committente genuflesso nelle raffigurazioni con tema dell’Annunciazione, che in effetti se ne conoscono molte, ma il duplice atteggiamento di Maria nella stessa raffigurazione, che allo stesso tempo comunica con l’Angelo annunciatore e il cardinale presentato dal santo, da lei benedetto.
Il committente assume qui un ruolo primario nella scena che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi, distogliendo la Vergine dal tradizionale e sacro evento.
La scena viene inserita in un ambiente interno, dove la Maria poggia un ginocchio su una sedia di fronte ad un leggio con diversi libri, tra cui uno aperto. Da una tenda scostata appare un alto scaffale con una natura morta: trattasi di un ripiano con una caraffa di vetro (simbolo della purezza, ma anche un chiaro riferimento al nome del Cardinale, per l’appunto, Carafa), libri ed un un ramoscello di ulivo.
Sul lato sinistro compare un androne ricoperto da una volta a botte con raffigurato al centro lo stemma di Carafa, che farebbe presupporre un’ambientazione nello stessa residenza del cardinale.
Sull’opera: “Assunzione della Vergine” è una raffigurazione di Filippino Lippi appartenente al ciclo di affreschi della Cappella Carafa, realizzata intorno al 1489-91 e custodita nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
Tra gli elementi inseriti nella presente raffigurazione, di cui ne presentiamo soltanto la parte alta (la zona in basso è visibile nella foto con l’Annunciazione nella pagina precedente), appare, sul lato destro, anche la prora di una una nave romana con un ramoscello d’ulivo che simboleggia la vittoria di “Oliviero” sui i Turchi.
La nave fu tratta da un rilievo marmoreo (attualmente custodito nei Musei Capitolini) che si trovava da tempo nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura, nel quale ogni elemento che la costituiva doveva richiamare, secondo la tradizione romana, il relativo organo del corpo umano. Non a caso sulla prora della nave dipinta da Filippino Lippi si trova un occhio umano.
Lungo il fregio (rimasto visibile solo sulla parete a destra) erano rappresentati vari elementi che richiamano gli incarichi e gli interessi clericali del cardinale Carafa. Sul cornicione è raffigurato lo stemma di Carafa, tenuto da angioletti.
Nella zona alta è rappresentata la scena dell’Assunzione. Alcuni personaggi (apostoli) dipinti in basso ai bordi della pala dirigono lo sguardo del fruitore dell’opera verso il miracoloso evento che si sta svolgendo in cielo. L’Assunzione della Vergine che, su di una nuvola, spinta da angeli, sta salendo affiancata da una lucente mandorla di cherubini e da angioletti che gettano qua e là incenso.
La Vergine è raffigurata in modo tradizionale, ripresa frontalmente, mentre gli angeli musicanti, che la attorniano danzando, risultano dipinti in estrema libertà, scorciati “da sott’in su” imitando nel metodo, come già nelle Sibille, quelli di Melozzo da Forlì in Santa Trinità.
Dei vari angeli, che spingono la nuvola della Vergine, alcuni recano uno strumento musicale, altri un oggetto di altra natura. Trattasi nel primo caso della dotazione di strumenti musicali forniti alle truppe militari dell’epoca, assai rumorosi per musiche assordanti, anziché quelli tradizionali come liuti, organetti, ed archi da “interno”, con suoni più dolci e pacati.
La cornamusa, strumento tradizionalmente militare, in questa composizione è decorata da bande parallele rosse e bianche, simboleggianti allo stemma Carafa ed alle vittorie navali.
Gli angeli attorno alla Vergine conferiscono a tutto l’insieme una vivacissima animosità, con pose e atteggiamenti di grande vitalità, armonizzata da effetti lineari dei panneggi e dei nastri svolazzanti.
Sull’opera: “Scene dalla vita di san Tommaso d’Aquino” è una raffigurazione di Filippino Lippi appartenente al ciclo di affreschi della Cappella Carafa, realizzata intorno al 1489-91 e custodita nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
Nella lunetta sono rappresentate diverse storie sulla vita del santo. A sinistra, in ambiente interno, si svolge la scena del “Miracolo del Libro”, dove Cristo dalla croce, rivolgendosi a Tommaso per lodare la sua opera, gli dice: “Bene scripsisti de me Thoma”. Alla visione della miracolosa personificazione del crocifisso un frate fugge impaurito verso l’esterno.
Gli angeli, recanti gigli bianchi, simboleggiano la purezza e il fatto che uno di essi (sull’estrema sinistra, non visibile nel presente dettaglio) alzi il manto di san Tommaso, per mostrare la cintura legata, collega questa ad un’altra storia del santo, dove apparvero due angeli che gli legarono la cintura attorno alla vita, alludendo alla castità, vista la sua riluttanza alle provocazioni di una prostituta pagata dalla famiglia di Tommaso per allontanarlo dalla vita monastica.
La zona a destra ha come architettura un loggiato oltre i cui archi appare, in lontananza, una città. In primo pano appare un gruppo di personaggi di cui è assai difficile l’identificazione.
Al centro, in secondo piano, un altro personaggio, vestito di rosso, sta scendendo la piccola rampa di scale.
Il cagnolino che sembra giocare – in effetti ha cattive intenzioni – con il bambino allude al demonio che mette in serio pericolo purezza dell’infanzia.
La donna con l’abito da monaca e con il rosario all’altezza della cintura probabilmente personifica la Chiesa, mentre l’uomo con la veste rossa (colore della Passione) che scende i gradini potrebbe essere identificato in Cristo come sposo della Chiesa.
Sull’opera: Gli “Affreschi della Cappella Carafa” fanno parte di un ciclo di dipinti di Filippino Lippi realizzati intorno al 1489-93 nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Trattasi di una delle più significative testimonianze della pittura rinascimentale del tardo Quattrocento a Roma.
Le opere raffigurate sono: “San Tommaso d’Aquino in cattedra sopra gli eretici”, “Assunzione”, “Annunciazione col committente presentato da san Tommaso d’Aquino”, “Sibille sulla volta” e “Scene dalla vita di san Tommaso d’Aquino”.
La cappella Carafa, dedicata alla Madonna e a san Tommaso d’Aquino, si trova sul lato destro della celebre basilica e fu costruita, per l’appunto, intorno alla fine del Quattrocento su disposizione del cardinale Oliviero Carafa, diventato famoso per il suo netto dissenso con i Turchi. Infatti dalla Storia di quel periodo si ricava che, nel 1472, alla guida della flotta papale contro quella turca egli uscì vittorioso, annettendo Antalya alla Repubblica di Venezia.
Allora la chiesa di Santa Maria sopra Minerva era amministrata dai frati domenicani, un ordine questo a cui apparteneva lo stesso Carafa, che risiedeva in un palazzo, di sua proprietà, a poca distanza dalla basilica.
Come suggeritogli da Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1449 – Firenze, 1492) il cardinale affidò la decorazione della cappella a Filippino Lippi, allora poco più che trentenne, già celebre più per le sue opere, dalle quali si evidenziava grande maestria, che come figlio d’arte.
Per questa serie di affreschi l’artista sospese quelli, già in piena fase di realizzazione, in Santa Maria Novella per la Cappella di Filippo Strozzi, che iniziò nel 1487 e che poi avrebbe portato a compimento, dopo una lunghissima interruzione, soltanto nel 1502.
Da documentazioni esistenti risulta che il 27 agosto 1488, l’artista era già nella capitale con il suo assistente, Raffaellino del Garbo (San Lorenzo a Vigliano, 1466 – Firenze, 1524). Nel 1493, quando papa Alessandro VI visitò la Cappella Carafa, l’intera decorazione era già stata certamente portata a compimento.
Raffaellino doveva occuparsi della la decorazione di un piccolo ambiente limitrofo alla cappella – che avrebbe in futuro ospitato le spoglie del cardinale – raffigurando le “Storie di Virginia” e altri episodi relativi alle tematiche della castità, che ben si adattavano all’austera indole del celebre committente.
Gli affreschi di Filippino Lippi: parete centrale e destra
Decorazione della volta volta: Sibille.
Decorazione bassa della parete centrale: Annunciazione col committente presentato da san Tommaso d’Aquino.
Decorazione alta della parete centrale: Assunzione della Vergine.
Decorazione bassa della parete destra: San Tommaso d’Aquino in cattedra sopra gli eretici.
Decorazione alta (lunetta) della parete destra: Scene dalla vita di san Tommaso d’Aquino.
Intero della decorazione della parete destra: San Tommaso d’Aquino in cattedra sopra gli eretici.