Battaglia (supporto piccolo) di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Battaglia (supporto piccolo)

Salvator Rosa: Battaglia (supporto piccolo), cm. 96 x 146
Salvator Rosa: Battaglia, cm. 96 x 146, Galleria di Palazzo Pitti, Firenze.

Sull’opera: “Battaglia” (supporto piccolo) è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 96 x 146 cm. ed è custodito nella Galleria di Palazzo Pitti, Firenze. 

Sull’architrave a destra si legge la scritta autografa “Salvator Rosa”. Il dipinto venne pubblicato per la prima volta – nel 1908 – da Ozzola e quindi illustrato – nel 1924 – da Pettorelli.

In precedenza la composizione in esame si trovava nella Galleria degli Uffizi. Per quanto riguarda la cronologia, si pensa che appartenga all’inizio del soggiorno toscano.

Battaglia (tela grande) di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Battaglia (tela grande)

Salvator Rosa: Battaglia (tela grande)
Salvator Rosa: Battaglia, cm. 234 x 350, Palazzo Pitti Firenze.

Sull’opera: “Battaglia” (supporto grande) è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 234 x 350 cm. ed è custodito a Palazzo Pitti a Firenze. 

La tela nella zona di sinistra reca la scritta “SARO”, che corrisponde all’unione delle prime due lettere del nome e cognome dell’artista, “SAlvatore ROsa”. Il dipinto venne pubblicato per la prima volta nel 1681 dal Baldinucci, che affermava: ” … Il primo grande quadro che egli facesse in Toscana fu una grande battaglia in tela di circa cinque braccia che hoggi (sic) ha fra i suoi quadri il Serenissimo Principe di Toscana e vedesi (sic) in essa dalla sinistra parte il proprio ritratto del pittore”.

Rispetto alla “Battaglia” custodita a Londra (Mostyn-Owen, 52 x 100 cm.) datata 1637 dallo stesso artista, si evidenzia un deciso sviluppo. In questa composizione si nota in inedito tono epico, e lo schema del Falcone non è più presente.

Sulla sinistra, alcuni studiosi identificano uno dei personaggi con lo stesso Rosa, dai caratteri somatici che poco si scostano da quelli dei suoi autoritratti (si veda l’ “Autoritratto” in una precedente pagina), e più in basso la scritta “SARÒ” che, a  differenza di quanto sopra riportato, viene interpretato – in modo emblematico – come “sopravviverò”.

Qui il Rosa enfatizza così il suo disprezzo verso la guerra, sulla linea del Callot, mantenendosi ovviamente “fuori della mischia”.

S. Antonio predica ai pesci di Salvator Rosa

Salvator Rosa: S. Antonio predica ai pesci

Salvator Rosa: S. Antonio predica ai pesci
Salvator Rosa: Sant’Antonio predica ai pesci, cm. 40 x 66, Lord Spencer, Althorp House.

Sull’opera: “Sant’Antonio predica ai pesci” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 46 x 66 cm. ed è custodito nella collezione Lord Spencer, Althorp House. 

Sulla roccia in primo piano si legge il monogramma del Rosa. La tela venne pubblicata per la prima volta nel 1963 dal Salerno.

Si pensa che debba essere il pendant del “Sant’Antonio predica agli uccelli” – andato perduto – poiché venne inciso insieme a quest’ultimo dal Boydell.

Anche la presente composizione, che oggi si trova nella collezione Lord Spencer,  fino al 1908 era considerata perduta (Ozzola, 1908).

Per quanto riguarda la cronologia, le limpide variazioni cromatiche presenti in tutta la composizione, soprattutto del cielo fatto di intensi azzurri, indicano una datazione da riferire al periodo fiorentino, in particolare nei momenti in cui l’artista subì gli influssi delle tenui gradazioni nella dilatazione spaziale impiegate da Claude Lorrain.

Il martirio di San Bartolomeo di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Il martirio di San Bartolomeo

Salvator Rosa: Il martirio di San Bartolomeo
Il martirio di San Bartolomeo, cm. 278 x 205, Graf Harrach’sche Gemäldegalerie, Vienna.

Sull’opera: “Il martirio di San Bartolomeo” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 278 x 205 cm. ed è custodito nella Graf Harrach’sche Gemäldegalerie a Vienna. 

 La tela, firmata in basso con il semplice monogramma, venne pubblicata per la prima volta da G. Heinz (catalogo della galleria, 1960), che la elencò come opera dello Spagnoletto (al secolo Josep de Ribera, Xàtiva, 1591 – Napoli, 1652) negli inventari della collezione del 1745 e del ’49.

Per il forte influsso del de Ribera, lo stesso critico la colloca negli anni Trenta (un Rosa circa ventenne).

Risulta tuttavia pensabile una datazione più tarda, intorno al 1650, poiché l’artista più volte è richiamato dal giovanile ascendente riberesco.

Streghe e incantesimi di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Streghe e incantesimi

Streghe e incantesimi, cm. 72 x 132, Lord Spencer, Althorp House.
Salvator Rosa: Streghe e incantesimi, cm. 72,5 x 132,5, Lord Spencer, Althorp House.

Sull’opera: “Streghe e incantesimi” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela intorno al 1646, misura 72,5 x 132,5 cm. ed è custodito nella collezione Lord Spencer ad Althorp House. 

In basso la tela riporta la firma dell’artista con la semplice scritta “Rosa”. Venne pubblicata per la prima volta nel 1963 dal Salerno e, quindi, nel 1973 dal Langdon (Mostra 1973).

Il dipinto viene menzionato in una missiva (15 dicembre 1966)  dello stesso artista, nella quale si indica il periodo e luogo della realizzazione (venti anni prima, ed in Toscana) e l’allora proprietario (Carlo De Rossi).

In riferimento a tale documentazione, gli studiosi di storia dell’arte lo collocano, quindi, intorno al 1646, ovvero nel periodo in cui il Rosa stava scrivendo la celebre ode “La strega”.

La tela in esame, che ricorda stampe di Hans Baldung, apparve nel 1761 all’Asta Prestage’s, dove venne venduta al primo conte di Spencer. Viene considerata dalla maggior parte della critica come un capolavoro fra i dipinti a tematica di ispirazione negromantica di Salvator Rosa.

Secondo il Salerno, oltre alla cultura letteraria riferita al “magico”, si evidenzia in quest’opera il legame stilistico del Rosa con i “notturni” – dai quali essa dipende – e con le analoghe fantasie di Filippo Napoletano (Teodoro Filippo de Liagno, Napoli c. 1587 – Roma, 1629) .

Il martirio di Attilio Regolo di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Il martirio di Attilio Regolo

Salvator Rosa: Il martirio di Attilio Regolo
Il martirio di Attilio Regolo, cm. 152 x 219,5, Museum of Fine Arts (Williams Fund), Richmond (Virginia).

Sull’opera: “Il martirio di Attilio Regolo” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela nel 1652, misura 152 x 219,5 cm. ed è custodito nel Museum of Fine Arts (Williams Fund) a Richmond (Virginia). 

 Nella parte bassa, sulla destra, è riportata la firma dell’artista. Lo stesso Rosa cita il dipinto in una missiva, datata 15 novembre 1666, come realizzato molto tempo prima e venduto a prezzo assai basso.

In precedenza l’opera apparteneva a Carlo De Rossi il quale negò all’artista di eseguirne una copia per il Ricciardi, nonostante la forte amicizia che li legava (fonte: De Rinaldis, 1939). Tuttavia, nel 1662, il pittore riprodusse il dipinto in un incisione e promise al Ricciardi di fargli recapitare i rispettivi disegni.

Più tardi il dipinto passò nella Galleria Colonna e quindi, insieme al “Pitagora e i pescatori” (127 x 87 cm., Staatliche Museen di Berlino), nella collezione del conte di Darnley a Cobham Hall. Tramite acquisto presso Christie’s, il 6 maggio 1925 pervenne al Museum of Fine Arts (Williams Fund) di Richmond (Virginia).

 Per quanto riguarda la cronologia, si pensa che l’opera sia collocabile intorno al 1652 per le numerose affinità stilistiche con la “Battaglia eroica” del Louvre (217 x 351 cm., datata 1652).

Il tema riguarda l’enfatizzazione di una virtù stoica. Attilio Regolo era un console romano che fu fatto prigioniero dai Cartaginesi nel 267 a.C. Insieme ad una delegazione del nemico andò a Roma per proporre al Senato la fine della guerra a condizione che, se i Romani non avessero accettato la proposta, egli sarebbe stato riportato dai cartaginesi in campo nemico.

Invece di consigliare la pace Attilio Regolo incitò i senatori a continuare la guerra, scegliendo così di rimanere prigioniero ed affrontare il martirio entro una botte irta di chiodi piantati dall’esterno verso l’interno.

Sembra che la storia delle torture subite da Regolo, come le palpebre tagliate per l’abbacinamento e il famoso rotolamento della botte da una collina siano, appunto, frutto di  pura propaganda bellica romana. A proposito di ciò Seneca parla invece di crocifissione.

Paesaggio con San Giovanni Battista di Salvator Rosa

Salvator RosaPaesaggio con San Giovanni Battista

Salvator Rosa: Paesaggio con San Giovanni Battista
Paesaggio con San Giovanni Battista, cm. 173 x 260, Art Gallery and Museum, Glasgow.

Sull’opera: “Paesaggio con San Giovanni Battista” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela intorno al 1651-55, misura 173 x 260 cm. ed è custodito nella Art Gallery and Museum a Glasgow.

 Il dipinto in esame è il pendant del “Battesimo nel Giordano” (173 x 260 cm., stesso museo) con il quale fu pubblicato nel 1963 dal Salerno.

Nel 1973 compare nel catalogo della Mostra dello stesso anno. Nel 1967 viene descritto da C. Buchanan (Salvator Rosa at Glasgow, ‘SAR’ 1967).

In precedenza le due opere appartenevano alla  galleria fiorentina dei marchesi Guadagni, che le vendettero nel 1877 ad James Young; gli eredi li donarono nel 1962 alla Art Gallery and Museum a Glasgow, l’attuale sede.

Per quanto riguarda la cronologia, entrambi i dipinti – in relazione alla stilistica – sono collocabili in un periodo non anteriore al 1651, preferibilmente intorno al 1655 , e sono peraltro da annoverare tra le opere più alte del Rosa.

Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana di Salvator Rosa

Salvator Rosa: Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana

Salvator Rosa: Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana
Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana, cm. 171 x 258, Wallace Collection, Londra.

Sull’opera: “Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela intorno al 1650-60, misura 171 x 258 cm. ed è custodito nella Wallace Collection a Londra. 

 Sulla tela è riportata, a destra in basso, la scritta autografa dell’artista: “Rosa”.

Secondo R. A. CeciI (“A” 1965) il presente dipinto è da identificare in quello elencato nell’inventario della raccolta artistica del cardinale Mazzarino, dove risulta certamente inserito in epoca anteriore alla sua morte, avvenuta nel 1661.

La composizione, che intorno al 1767 apparteneva a Julienne, passò nella raccolta di Lord Ashburharn, quindi, nel 1850, in quella del marchese di Hartford.

Quella in esame viene considerata dalla critica come una delle opere più alte del Rosa, fra le tele di grandissime dimensioni, per la struttura compositiva, bilanciata e classicheggiante, e per il tenue e gradevole cromatismo che conferisce, a tutto l’insieme, intonazione di efficace calma e serenità.

Per tal motivo la maggior parte degli studiosi di Storia dell’arte la colloca tra il 1650 ed il 1660, e più precisamente nel primo periodo della “paesaggistica decorativa” in cui l’artista si trovava a competere con Gaspard Dughet (Roma, 1615 – Firenze, 1675), ovvero nella metà degli anni Cinquanta.

“La Fortuna” di Salvator Rosa

“La Fortuna” di Salvator Rosa

"La Fortuna" di Salvator Rosa
La Fortuna, cm. 198 x 133, J. Paul Getty Museum, Malibù.

Sull’opera: “La Fortuna” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 198 x 133 cm. ed è custodito nel J. Paul Getty Museum (Malibù), Los Angeles. 

Sul libro, in basso a sinistra, si legge la sigla del Rosa. Secondo il Baldinucci (1681) la presente composizione fu venduta a Carlo De Rossi. Più tardi pervenne al Vallori e quindi al duca di Beaufort.

Per quanto riguarda il tema, trattasi di una “satira pittorica” esposta dallo stesso artista al Pantheon (da documenti certi, il 29 agosto 1659) per controbattere con gli invidiosi.

La Fortuna distribuisce i suoi averi soprattutto ai non meritevoli. Alcuni giorni dopo la mostra del Pantheon l’artista accennava in una lettera al clamoroso vespaio suscitato dal dipinto.

Gli avversari fecero di tutto per denunciare il fatto all’Inquisizione ma il Rosa ebbe l’efficace appoggio del principe Mario Chigi e dei monsignori Rasponi e Bandinelli, ai quali piacque la composizione, ammirata nello studio dell’artista.

San Filippo battezza l’eunuco della regina Candace di Salvator Rosa

Salvator Rosa: San Filippo battezza l’eunuco della regina Candace

Salvator Rosa: San Filippo battezza l'eunuco della regina Candace
San Filippo battezza l’eunuco della regina Candace, cm. 266 x 122, Walter Chrysler Jr., New York.

Sull’opera: “San Filippo battezza l’eunuco della regina Candace” è un dipinto autografo di Salvator Rosa, realizzato con tecnica a olio su tela, misura 266 x 122 cm. ed è custodito nella Walter Chrysler Jr. a New York. 

La presente composizione è il pendant del “San Giovanni Battista predica nel deserto” (266 x 122 cm., St. Louis, City Art Museum, U.S.A).  È firmata in basso con un semplice monogramma.

Nel 1781 si trovava, insieme al pendant, presso Humphrey Morice, Lord Warden a Chiswick (Middiesex). Nel 1849 passava nella collezione del secondo conte di Ashburnam.

È nel 1861 che il Baldinucci fa presente che il dipinto in esame fu realizzato, insieme al pendant (“San Giovanni battista …”), su commissione di monsignor Costaguti.

Nel 1709 entrambe le opere furono esposte in una importante mostra, allestita nel cortile di San Salvatore in Lauro da Pier Leone Ghezzi. Quest’ultimo nei suoi cataloghi manoscritti dei dipinti appartenenti alle ricche famiglie romane (custoditi nel Museo di Roma), e specificatamente in tre sue perizie sull’eredità Costaguti, li valutava intorno ai 500-800 scudi.

Si pensa che proprio in tale occasione furono vendute poiché spariscono dall’inventario del volume manoscritto “Sinopsi Costaguta” datato 1746.