Sull’opera: “la morte di San Martino” è un affresco di Simone Martini, appartenente alla serie delle Storie di San Martino, realizzato intorno al 1317, misura284 x 230 cm ed è custodito nella Chiesa Inferiore di San Francesco, Cappella di San Martino, Assisi.
Intorno al santo, morto e disteso per terra, stanno i chierici e i fedeli che assistono al rito dei defunti recitato dal sacerdote.
Due chierici, uno fra i quali nimbato, sono chinati verso il morto. Quello che reca l’aureola gli prende la mano in modo da fargli reggere la candela ardente come richiesto dalla tradizione del rito. In alto, la scena in cui l’anima del santo viene accompagnata al cielo da quattro angeli.
In questa composizione la visione viene suddivisa con razionale impostazione della struttura geometrica, in una volumetria spaziale rettangolare attraverso la verticale dello spigolo dell’edificio superiore e l’orizzontale della cornice che corre sotto il tetto.
Dal piccolo affollamento di teste che circondano il sacerdote (gruppo nella zona di sinistra) si cadenza una linea obliqua che raggiunge la figura inginocchiata del giovane chierico collocato sull’estrema destra, alla quale viene contrapposta un’altra obliqua che corre dai due cavalieri per raggiungere la testa del chierico inginocchiato ripreso di spalle.
Sull’opera: “Il sogno di San Martino” è un affresco di Simone Martini, appartenente alla serie delle Storie di San Martino, realizzato intorno al 1317, misura 265 x 200 cm. ed è custodito nella Chiesa Inferiore di San Francesco, Cappella di San Martino, Assisi.
Nella presente raffigurazione Martino sta dormendo, e nel sogno gli appare Gesù circondato da molti angeli, ricoperto con la parte del mantello che lo stesso Martino riconobbe aver donato al mendicante.
Secondo gli studiosi di storia dell’arte, Gesù Cristo, indicando il cavaliere dormiente, sembra stia pronunciando la frase contenuta nella Legenda aurea: “Martinus adhuc catechumenus hac me veste contexit”.
Sull’opera: “Le esequie di San Martino” è un affresco di Simone Martini, appartenente alla serie delle Storie di San Martino, realizzato intorno al 1317, misura 284 x 230. cm. ed è custodito nella Chiesa Inferiore di San Francesco, Cappella di San Martino, Assisi.
Il rito delle esequie del santo si svolge all’interno di una cappella dalle slanciate architetture gotiche.
La Legenda aurea non parla dei santi che parteciparono alle esequie di San Martino, perciò rimane non identificabile la figura del monaco nimbato, probabilmente lo stesso che l’assiste nella scena della “morte”, e la figura del vescovo che celebra il rito funebre – identificato dal Toesca (1951) in Sant’Ambrogio ma non accettato da gran parte degli studiosi di Storia dell’arte – miracolosamente comparso per l’occasione.
Sull’opera: “Meditazione” è un affresco di Simone Martini, appartenente alla serie delle Storie di San Martino, realizzato intorno al 1317, misura 390 x 200 cm. ed è custodito nella Chiesa Inferiore di San Francesco, Cappella di San Martino, Assisi.
Secondo Adolfo Venturi (1907) l’episodio raffigura il commiato di Martino dal suo maestro Sant’Ilario, vescovo di Poitiers.
Questa tesi non viene accolta con favore dagli altri studiosi, che invece vedono San Martino totalmente assorto in meditazione, tanto che il chierico dietro di lui, posandogli una mano sulla spalla lo richiama a dir Messa, mentre quello che gli si trova di fronte, inginocchiato gli tende il messale.
Maestosa è la raffigurazione del santo “pensieroso”, con la testa leggermente inclinata ed appesantita che poggia sulla mano destra, mentre quella sinistra è abbandonata sul ginocchio.
Sull’opera: “Guidoriccio da Fogliano” è un affresco autografo di Simone Martini, realizzato 1328, misura 340 x 968 cm. ed è custodito nel Palazzo Pubblico di Siena.
Il dipinto si estende per tutta la parte adiacente al soffitto – molto distante in altezza dal pavimento – nella parete di fondo della sala detta “del Mappamondo”, di fronte alla “Parete della Balestra” dove è rappresentata la Maestà (cm. 763 x 970).
L’affresco riporta sulla parte bassa della cornice la scritta “ANO. DNI. M. CCC. XX. VIII” indicante l’anno di esecuzione. L’autografia di Simone Martini, ricavata da documentazioni esistenti (tra le più autorevoli ricordiamo i libri della Biccherna), non ha mai dato adito a discussioni.
L’affresco fu commissionato intorno all’ottobre-dicembre del 1328 e assegnato – come appartenenza – al ciclo dei “Castelli conquistati dalla repubblica di Siena”, dovendo proseguire lungo le altre due pareti maggiori della sala.
L’intero ciclo fu iniziato nel 1314 con la rappresentazione del Castello di Giuncarico, quindi continuato con la presente opera e portato a termine dallo stesso artista nel 1331 con la raffigurazione dei Castelli di Arcidosso e di Casteldelpiano (ormai andati perduti).
In questa composizione rimane intatto anche il suo idealizzato modulo formale, dove la favola persevera incontrastata in un elegante ed aristocratico tono che intende celebrare, con un’astrazione umanistica, non più l’essere divino ma l’uomo, nella figura di Guidoriccio da Fogliano, il grande condottiero vincente su Castruccio Castracani e conquistatore di Montemassi.
In un paesaggio bigio, spoglio delle cose più naturali, irto di castelli e torri con bandiere sventolanti, con lunghi steccati, sguarnite montagne e con un tetro accampamento nella vallata, il protagonista, più che essere celebrato, è semplicemente raffigurato.
Ma questa figura solitaria viene rappresentata dall’artista come una apparizione di un personaggio nel suo superbo e rigido profilo, inserito in un ampio ambiente irreale dove incombe la sua supremazia.
Sull’opera: “San Giovanni Evangelista” è un dipinto autografo di Simone Martini, realizzato con tecnica a tempera su tavola nel periodo compreso tra il 1330 ed il 1339, misura 34,5 x 24 cm. ed è custodito nel Barber Institute a Birmingham.
L’opera in esame, con molta probabilità, potrebbe appartenere ad un polittico, oppure ad una formella posta all’estremità destra di una croce dipinta. Tra le due ipotesi, la prima risulta più veritiera.
L’opera appartenne alla famiglia Berghoff di Parigi, dalla quale il Colasanti la reperì; più tardi passò ad Edward Hutton, e, dal 1938 si trova esposta alla Barber Institute di Birmingham.
La cornice nella zona inferiore reca la scritta (probabilmente apocrifa) “ANNO D.NI. M.CCC.XX.”. Il Colasanti (fonte:”DE” 1932) descrisse dettagliatamente la tavola pubblicandola come opera autografa di Simone Martini e ritrovando in essa uno dei capolavori più espressivi ed intensi dello stesso artista, evidenziando inoltre, collegamenti tra pittura senese e quella giapponese, rapporti peraltro affatto metafisici, dal momento che le opere alle quali il Colasanti si riferisce appartengono alla scuola di Yedo di fine Settecento.
L’assegnazione autografica trovò la concordia della maggior parte degli studiosi di tutti i tempi, dato l’altissimo livello della stesura cromatica e l’impostazione strutturale palesemente martiniana.
Sull’opera: “Beato Agostino Novello e storie” è un dipinto autografo di Simone Martini, realizzato con tecnica a tempera su tavola nel 1328, misura 198 x 257 cm. ed è custodito nella chiesa di Sant’Agostino, Siena.
Sotto la cornice, un cartello di piccole dimensioni recava la scritta “B. Augustini Novi imago haec, quae paulo posi ejus obitum in ara ipsi sacra genti Ptholomei attributa: colebatur in nova ecclesiaeextrutione, huc raslertur A. D. MDCCLIV” che il Cavalcaselle pubblicò nel 1885.
La tavola, della quale è stata trasformata la forma della cuspide – da poligonale a rettangolare con perdita delle peculiarità trecentesche – riprende con un gusto del tutto nuovo l’impianto distributivo che si impiegava nei tabelloni del secolo precedente, con al centro la maestosa immagine del santo, ed ai lati, le storie relative alla sua vita.
In base alla pubblicazione del Cavalcaselle e considerando anche altri elementi, il Carli (“Capolavori dell’arte senese”, 1947, Firenze) ipotizzava che in origine il dipinto si trovasse nella chiesa di San Leonardo al Lago, sull’altare sito sopra al sepolcro del beato Agostino.
Sempre secondo il Carli, la tavola fu trasferita, insieme con le spoglie del beato, nella chiesa di Sant’Agostino a Siena, l’attuale sede. Il beato Agostino Novello, di padre senese, nacque intorno al 1235.
Sembra che a Terranova di Sicilia, dopo aver conseguito il titolo di studio in legge a Bologna, gli vennero dato da re Manfredi due importanti incarichi, giudice e consigliere, ma che, alla morte del sovrano, lasciò la carriera intrapresa per entrare nell’ordine agostiniano e trasferirsi nei territori senesi. Per l’alta istruzione giuridica Agostino venne insignito di altissime cariche che in poco tempo lo portarono al priorato generale dell’ordine. Anche questa volta, dopo pochissimo tempo, rinunziò clamorosamente perché attratto dall’eremo di San Leonardo al Lago nei pressi di Siena, città nella quale morì il 19 maggio 1309. Agostino divenne subito uno dei santi più venerati della città.
La tavola è suddivisa dalla cornice in tre parti: una centrale e due laterali; quella centrale ha un arco ogivale ribassato e pentalobato; quelle ai lati hanno l’arco a “tutto sesto” trilobato. In alto, ubicati tra l’arco centrale e quelli laterali, stanno due medaglioni nei quali sono raffigurati i busti di santi eremiti dell’ordine agostiniano.
Nella parte centrale viene raffigurata, con efficace gioco di controluce sullo sfondo aureo, l’imponente immagine del beato Agostino tra due alberelli nei quali svolazzano molti uccellini. Il santo sembra concentrarsi all’ascolto delle parole sussurrate da un piccolissimo angelo dalle ali verdi. Probabilmente – secondo alcuni studiosi – il sussurro viene interpretato come un invito da parte dell’autorità divina a prendersi cura dei tristi eventi quotidiani dei senesi.
Gli interventi del beato beato Agostino, tutti contraddistinti da una puntale tempestività, vengono narrati nei quattro riquadri, distribuiti due a due, ai lati della maestosa figura del Beato.
In tutti e quattro gli episodi sono raccolti i successivi momenti dell’intervento del beato Agostino, e, quindi, la celebrazione del “rendere grazia” per il miracolo ricevuto.
Le “storiette” narrate appartengono (considerandole dall’alto al basso, e da sinistra a destra) al “Miracolo del bambino azzannato dal lupo”, al “Miracolo del bambino caduto dal balcone”, “Miracolo del cavaliere caduto in un burrone” e al “Miracolo dei bambino caduto dalla culla”
Nel primo episodio si vede il bambino che giace con la testa sanguinante e ferito ad un occhio; verso di è chinata la madre disperata, mentre un’altra donna cerca di allontanare il lupo con un bastone; più in alto, dietro la torre, l’improvvisa apparizione del beato. Subito a destra, è raffigurata la scena del bambino miracolato che appare seduto sulle ginocchia della madre, mentre la donna che cercava di allontanare il lupo lo conforta con tenere carezze. Al gruppo si uniscono altre persone, che insieme alla madre, rendono grazia al cielo.
Nella storia in basso viene rappresentato il “Miracolo del bambino caduto dal balcone”. Essendosi staccata una tavola dallo sporto di una casa, il bambino sta precipitando al suolo, mentre la madre dall’alto assiste con impotenza l’improvvisa e macabra scena; ma, prima che il bambino arrivi a toccare terra, appare in volo il beato Agostino che lo benedice mentre allontana la trave dalla mortale traiettoria. Nella scena a fianco, si vede il fanciullo in piedi, sano e salvo, con lo sguardo rivolto verso la madre, mentre alcune persone sono chinate su di lui per assicurarsi che non sia rimasto ferito, mentre uno del gruppo, a mani giunte, rende grazia al per il miracolo appena avvenuto.
Nella storia in alto, sulla destra, viene raffigurato il “Miracolo del cavaliere caduto in un burrone”. Il cavaliere, che errava per sentieri solitari e dirupati, è caduto insieme al cavallo in un burrone, finendo proprio sotto l’animale; ma, subito sulla sinistra, lo stesso cavaliere appare inginocchiato in atto di rendere grazie al beato Agostino che, sempre in volo, tra le ripide alture, lo benedice. Nelle scoscese colline dominano, seppur in lontananza misteriosi castelli che sembrano conferire silenzio e solennità, che si contrappongono al borbottio contradaiolo delle ‘storie’ dei riquadri descritti in precedenza.
Nell’ultima storia, quella del “Miracolo del bambino caduto dalla culla”, raffigurata nel riquadro in basso a destra, si narra di un neonato che mentre veniva ninnato dalla sua nutrice cade per terra con la sua culla per il cedimento di una corda che, insieme alle altre, la teneva sospesa al soffitto. Il bambino si ferisce alla testa e la nutrice grida con gesti di disperazione, mentre un’altra donna cerca di soccorrerlo, e la madre invoca la provvidenza del beato Agostino; questi appare improvvisamente dal fondo aureo, in alto a destra, compiendo il miracolo del risanamento. Sotto, nel piano inferiore, le donne sono pronte per uscire in solenne processione, con il bambino miracolato vestito con il saio dell’ordine agostiniano.
Sull’opera: “Annunciazione”, o “Sant’Ansano”, o “Una santa”, è un dipinto realizzato da Simone Martini con tecnica a tempera su tavola nel 1333 (con aiuti, di cui è certo l’intervento di Lippo Memmi ), misura 265 x 305 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
L’opera in esame reca la firma e la data in un listello appartenente alla cornice originale, immesso in una finta cornice dell’Ottocento. La scritta riporta le seguenti parole: “SYMON MARTINI ET LIPPVS MEMMl DE SENIS ME PINXERVNT. ANNO DOMINI MCCCXXXIII”.
Nella tavola di centro, che a prima vista sembrerebbe un trittico, dall’angelo inginocchiato davanti alla Madonna esce il tradizionale discorso, rilevato in oro sullo sfondo aureo: “AVE GRATIA PLENA DOMINVS TECVM”. Nello scomparto laterale a sinistra è raffigurato Sant’Ansano, mentre in quello a destra, una santa di non facile identificazione: per la maggior parte degli studiosi si tratta di Santa Giustina o Santa Giuditta; per altri, tra i quali il Kaftal (fconography ol the Saints in Tuscan Painting, Firenze 1952), la santa raffigurata è Massima, la madrina di Sant’Ansano; per altri ancora, trattasi di Santa Margherita. I quattro medaglioni con le raffigurazioni dei busti di Profeti, inseriti nelle quattro cuspidi laterali, sono autografi.
L’opera fu realizzata per la cappella di Sant’Ansano della cattedrale senese. In un inventario datato 14 dicembre 1420, che descrive dettagliatamente la cappella di Sant’Ansano, si ricava che, a quella data, il dipinto era ancora ubicato suo originale posto, ma non con la cornice alla quale aveva lavorato Lippo Memmi, sostituita invece con un nuovo tabernacolo: “Un altare, a manno diritta di Santo Ansano cho’ bela tauola in uno iabernacholo di legniamo, ed è nuovo …” (Siena, Archivio dell’Opera del Duomo, filza 510, Inventario del 1420, e, 14).
Il dipinto venne trasferito nella chiesa di Sant’Ansano in Castelvecchio, nella quale un inventario del 1741 la descrive ubicata nelle vicinanze della porta d’ingresso.
Un altro importante documento riporta che, il 1° gennaio 1799 il complesso fu traslocato da Siena alla Galleria degli Uffizi per decisione di Ferdinando III di Lorena, l’attuale granduca di Toscana. Per quanto riguarda l’identificazione della stesura pittorica di Simone e quella di Lippo Memmi, la questione si fa alquanto discutibile.
Il Cavalcaselle [1885], l’attribuisce completamente a Simone Martini, mentre ritiene sia opera del Memmi cornice e doratura. A. Venturi [1907] ritiene non identificabili le mani dei due artisti asserendo che un modo “è così prossimo e ligio” a quello dell’altro”.
Gli studiosi di storia dell’arte (quelli moderni) concordono nell’attribuire l’Annunciazione a Simone Martini ed i due santi al collaboratore, data la stesura più “corposa”, come pure i medaglioni raffiguranti i Profeti.
Sull’opera: Il “Polittico Orsini” è una serie di sei dipinti autografi di Simone Martini realizzati nel 1333 con tecnica a tempera su tavola. Il complesso è conservato – smembrato – in tre musei di tre diverse nazioni:
Musée Royal des Beaux Arts, Anversa: Arcangelo Gabriele annunziante
(23,5 x 14,5 cm.), Vergine Annunziata
(23,5 x 14,5 cm.), Crocifissione
(23,5 x 14,5 cm.), Deposizione dalla croce
(23,5 x 14,5 cm.)
Museo del Louvre, Parigi: Andata al Calvario (25 x 16 cm.).
Staatliche Museen di Berlino: Seppellimento di Cristo (22 x 15 cm.)
Poche sono le notizie fino al 1826, anno in cui i primi quattro scomparti del Polittico vennero acquistati a Digione su commissione della collezione Van Ertborn, dalla quale furono ceduti, nel 1840, al Musée Royal des Beaux Arts di Anversa, l’attuale sede.
Quello del Louvre fu acquistato per 200 franchi nel 1834 presso M. L. Saint-Denis, il quale l’aveva ottenuto dalle collezioni d’arte di re Luigi Filippo.
I Musei di Berlino (Staatliche Museen) acquistarono lo scomparto raffigurante il “Seppellimento di Cristo” a Parigi (1901), nella raccolta Pacully.
Il polittico reca la firma dell’artista nella Crocifissione e nella Deposizione, rispettivamente con le scritte “PINXIT” e “SYMON”.
Il complesso presenta alcuni problemi stilistici che hanno dato adito ad accese discussioni nell’assegnazione dell’esatta cronologia.
I forti dibattiti derivano soprattutto dalla repentina svolta stilistica dell’artista, indirizzata in un inquieto patetismo fino a sfiorare il puro espressionismo, e, allo stesso tempo, in una narrativa quasi episodica.
A questo nuovo timbro, mai riscontrato in Simone Martini, corrisponde un impianto grafico piuttosto inquieto e concitato, e la comparsa di elementi simbolici ed emozionali.
Cinque dei sei scomparti
Polittico Orsini, Angelo Annunziante, cm. 23,5 x 14,5, Musée des Beaux Arts, Anversa.
Polittico Orsini, Vergine Annunziata, cm. 23,5 x 14,5, Musée des Beaux Arts, Anversa.
Polittico Orsini, Andata al Calvario, cm.25 x 16, Louvre, Parigi.
Polittico Orsini, Crocifissione, cm. 24,5 x 15,5, Musée des Beaux Arts, Anversa.
Polittico Orsini, Deposizione dalla croce, cm. 24,5 x 15,5, Musée des Beaux Arts, Anversa.
Sull’opera: “Sacra Famiglia” è un dipinto autografo di Simone Martini, realizzato con tecnica a tempera su tavola nel 1342, misura 50 x 35 cm. ed è custodito nella Walker Art Gallery di Liverpool.
L’opera, che si riteneva ormai perduta, venne ritrovata ed acquistata da W. Roscoe nel 1804. Nel 1819 entrava nelle collezioni della Liverpool Royal Institution, quindi, nel 1893 fu trasferita per essere esposta nella Walker Art Gallery, di cui nel 1948 ne venne regolarmente in possesso.
Il dipinto è corredato di una cornice originale nella cui zona inferiore reca la firma dell’artista e la data di esecuzione, con la scritta: “SYMON. DE. SENIS. ME. PINXIT. SUB. A. O. MCCCXLII.”.
In origine apparteneva ad un trittico, i cui scomparti compagni non sono mai stati ritrovati.
La tematica appare alquanto insolita nella pittura italiana: un Giuseppe che con burbero ed amareggiato atteggiamento di rimprovero verso il giovane Gesù – reduce dalla disputa coi dottori al tempio – lo riaccompagna da Maria.