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Bronzino: Ritratto di Eleonora da Toledo col figlio Giovanni, cm. 115 x 96, Uffizi, Firenze

Citazioni su Bronzino

Citazioni e critica critica su Bronzino (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Ed.)

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Cosa hanno detto i critici della Storia dell’arte su Bronzino

Bronzino: Ritratto di Eleonora da Toledo col figlio Giovanni, cm. 115 x 96, Uffizi, Firenze
Bronzino: Ritratto di Eleonora da Toledo col figlio Giovanni, cm. 115 x 96, Uffizi, Firenze

Andrea Emiliani, II Bronzino, 1960

 La posta giocata dal Bronzino … entro una precoce storia della pittura quale raffigurazione inalterabile e incorrotta dei personaggi e delle circostanze, deve forzatamente intendersi nell’ambito della tradizione rinascimentale italiana, sia pur in territorio di esibito manierismo. Non dunque eliminazione dell’accidentale, sia esso interno o esteriore al personaggio raffigurato, sia esso effetto di passione umana o di pittorica effusione. come avveniva invece fin da queste date in alcuni dipinti, soprattutto fiamminghi, pronti a preparare il passo ai più celebrati, sadici trionfi della ” Pittura senza tempo ” ; ma piuttosto inversione degli stessi sentimenti legati alla contingenza temporale e passionale, entro la più duratura cornice intellettualistica d’una deliberazione mentale, entro la stretta d’una volontà formale di immediata efficacia; quasi la trasposizione di quelli in materiali di incorruttibile apparenza, come l’artigiano lega la pietra dura sottraendola alla caducità del tempo col porla al fuoco d’una ottica evidenza.

Lenta elaborazione, quasi minerale, di colori e di luci e perfino di oggetti appropriati, pronti ad accompagnare per una strada, che si prevede assai lunga e dubitosa l’astratto intendimento generale di un neo-platonismo militante, ed il cui solo fine s’avvia a divenire quella ‘regola’ stessa che fermamente lo governa; cedendo poi uno ad uno i corollari di quella ormai antica costruzione perfetta, di fronte ai sempre più aggressivi, ardui e irresolubili problemi di contenuto morale, che preparano il sopraggiungere dell’età moderna della Controriforma.

Questo appare il più vero cammino individuale, e solitario, del Bronzino, pronto ad esaltarsi nel ritratto, infatti, quale raffigurazione sciolta da impegni di una ‘azione’, che non fosse quella stessa della pittura; ed insieme a deprimersi, urgendo i tempi, nelle composizioni sacre, per il prevalere dell’ambiguità di un conciliante neo-platonismo cattolico. “Apelle clericale” è pur la definizione del Longhi che, tagliata sulle spalle del Reni, potrebbe valere per l’attività più tarda del Bronzino.

Giuliano Briganti, La maniera italiana, 1961

La definizione del Bronzino quale maggior interprete dello spirito autoritario che, dopo il ’30, ma soprattutto con Cosimo I domina a Palazzo Vecchio, la sua assunzione tout court a primo esponente dei ‘pittori di corte europei, è uno degli spunti favoriti alla critica sociale dell’arte. Ma le contingenze storiche che indubbiamente accompagnarono e favorirono la sua ispirazione sono insufficienti, da sole, a motivarne l’intima genesi, e il rapporto, pur così calzante, con l’ambiente della restaurata signoria medicea si illumina della luce più vera se lo stilismo gelido e prezioso dei suoi ritratti di alabastro e pietra dura, se la sua paziente solidificazione di un mondo lunare abitato dall’aristocratico riserbo di un’umanità sottratta al trascorrere del tempo, se il suo illusivo, magico verismo si pongono nel quadro di quell’astrattezza intellettiva che era nata nell’ambito della prima generazione dei manieristi.

Poiché il Bronzino partecipa, dopo tutto, delle tendenze delle due generazioni fra le quali era nato. Giovinetto aveva seguito il Pontormo alla Certosa e aveva fatto le sue prime prove aderendo fedelmente allo spirito di tanto difficile maestro che accompagnò di poi, pressoché sino all’ultimo traguardo, lungo il cammino della sua progressiva e allucinante monomania. … Ma se già nei dipinti di stretta osservanza pontormesca la ricerca d’una più lucida obbiettività, dell’incorruttibile solidità della materia che cristallizza il rovello formale, distingue lo stile del giovane allievo, nei tempi successivi il cammino dei due artisti diverge profondamente.

Mentre il Pontormo si abbandona vieppiù ai fantasmi della sua allucinata fantasia sino a creare quella umanità brancolante e deforme dei disegni per l’affresco di San Lorenzo, il Bronzino intensifica le sue preziose e a un tempo rigorose ricerche, nello stimolo di creare un nuovo canone che al mito del Laocoonte sostituiva il mito di Antino e delle polite cristallizzazioni classiciste della scultura degli Antonini.

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Deve dirsi tuttavia che non ostante la scultorea evidenza delle figure di Angelo non è facile determinare con quali suggestioni la scultura classica, cioè romana, sovvenisse alla sua ispirazione, che il carattere fondamentale del Bronzino resta pur sempre la sua assoluta e tipica ‘fiorentinità’.

… Quanto profitto seppe trarre il Bronzino ancor giovane da quel momento della cultura figurativa fiorentina promosso dalla presenza in città di Michelangelo e al quale non era estranea l’influenza del Pontormo del tempo di Santa Felicita che non mancò di agire su Michelangelo stesso, lo possiam vedere nella bellissima tavola con il Noli me lanigere di Casa Buonarroti, derivata appunto dal noto cartone. Nelle zone più in ombra di quell’atmosfera, parallelamente al Bronzino, si affermarono le inclinazioni espressive di Pier Francesco di Jacopo Foschi …

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Ma il Bronzino era animato da uno spirito ben diverso, da una sorta di platonico candore che si concretava in purismo formale, in canone di incorruttibile bellezza. E l’originalità dei suoi aspetti, la sua intellettuale astrattezza, era sorta ancora dal fuoco irrequieto e inquietante di quella fucina di eleganti invenzioni e di acutezze che era stata la ‘maniera’ del terzo decennio. In quell’incandescente temperatura dell’intelligenza aveva forgiato la materia magica, inorganica e smaltata del suo mondo, la purezza gelida e affascinante di una nuova variante fiorentina del manierismo. Con essa giunse fino all’oliavo decennio del secolo, fedele al corso immutabile dei suoi pensieri cristallini, indifferente a quanto gli accadeva intorno, sì che non gli provocò sensibili deviazioni nemmeno il viaggio a Roma del ’47, ove ebbe occasione di vedere un’opera nuova e sconvolgente come il Giudizio [di Michelangelo].

Mario Salmi, Rinascimento, in “Enciclopedia universale dell’arte”, XI, 1963

Nel clima poetico di questa corrente del tardo Rinascimento s’inserisce Agnolo Bronzino, discepolo del Pontormo e attratto anche lui dal grandeggiare michelangiolesco. Ma fermo disegnatore qual era e di natura opposta a quella così vibrante del suo maestro, egli raggela le forme statiche e tornite che sublima e riveste di un colore dai toni freddi, marmorei, creando una sorta di impeccabile neoclassicismo.

Tuttavia in quell’opera copiosa emergono per altezza d’arte i ritratti, in cui l’attenta, acuta resa della realtà si esprime ora in aspetti spontanei di derivazione pontormesca, come in quello di Laura Battiferri in Palazzo Vecchio a Firenze, o in vigorose costruzioni come nei ritratti di Ugolino Martelli (Berlino, Staatliche Museen) e di Giannettino Doria (Roma, Galleria Doria); ora, più spesso, in compostezze auliche di una ufficialità dignitosa, come nei numerosi ritratti che il nostro dipinse quale ritrattista di corte. … Il formalismo attento del Bronzino è a Firenze il punto più valido di congiunzione con le generazioni più avanzate, nelle quali affiorano ecletticamente un esteriore e vacuo michelangiolismo, idealizzati modi raffaelleschi e soprattutto, specie nell’affresco, le edonistiche preziosità auliche del nostro

Arnold Hauser, Ber Manierismus,, 1964 (ed. it. 1965)

Imitando Michelangelo, in parte sotto l’influsso diretto del maestro, in parte stimolato dall’evoluzione michelangiolesca del Pontormo, il Bronzino compie il passo risolutivo nella direzione del Vasari e dei suoi seguaci. All’interno del Manierismo, inteso nel senso più stretto del termine, compaiono per la prima volta con lui le caratteristiche esteriori del michelangiolismo, l’accentuato peso corporeo dei nudi, il rilievo della muscolatura, il modellato scultoreo, la fredda, marmorea levigatezza delle superfici, con una esasperazione che, di solito, distingue solo i diretti seguaci di Michelangelo.

Nel Bronzino tutto questo è ancora ben lontano dall’accademismo di un Vasari; ma ci troviamo di fronte a una svolta importante nell’evoluzione artistica, come pure, del resto, in quella politica e sociale. Sta per consolidarsi il principato e, assumendo un carattere cortigiano, il Manierismo perde la sua spontaneità e la sua autonomia. Sia pure solo provvisoriamente la sua dipendenza dall’arte classica prevale ora sulla sua opposizione. Anche in questo si manifesta lo spirito d’autorità, che domina la Firenze cortigiana; ci si attiene a norme fisse, ogniqualvolta e dovunque ciò sia possibile.

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L’idea di fredda, inaccessibile grandezza, che la duchessa Eleonora porta con sé dalla Spagna, si concreta con particolare immediatezza e sensibilità nell’arte del Bronzino, che con le sue forme corrette e la sua impeccabile tecnica par nato pittore di corte. Ma egli è pure, nei ritratti, manierista tipico, inconfondibile, sia per quello che rivela di sé e della natura dei suoi modelli, sia per quello che tace, o che nasconde sotto l’aspetto freddo e severo, l’autodisciplina di quei personaggi tutti chiusi nella “corazza del contegno” [Pinder], che li protegge dall’indiscrezione dei curiosi.

Già il Pontormo ha dipinto splendidi ritratti, quanto mai caratteristici per il Manierismo, e rimasti in certo senso insuperati; ma il primo ritrattista rappresentativo, che abbia servito di norma e di modello per tutta la corrente manieristica, è il Bronzino. Nella sua arte, la fisionomia diventa, in modo evidentissimo, non soltanto lo specchio, ma anche la maschera dell’anima, e il ritratto, una forma figurativa, che rivela, e insieme nasconde, il carattere. … Il Bronzino pittore di complesse composizioni religiose e allegoriche rimane molto al di sotto del ritrattista. La sua maniera liscia, fredda e dura, che nei ritratti aveva un senso e un fascino particolari, dato l’atteggiamento per essi richie­sto, trasferita a scene e a figure bibliche o poetiche, appare priva di vita, monotona e artificiosa.

Altro ancora sulle citazioni su Bronzino di Arnold Hauser

Le sue Veneri, le sue Ève, i suoi nudi sono studi accademici — sia pure, nel loro genere, perfetti — condotti su modelli antichi. Sono belli, rigidi ed esangui come il inarmo. La posizione delle singole figure è forzata, i loro rapporti complicati e spesso confusi ; i movimenti appaiono studiati, e i singoli gruppi, specie nel Cristo al Limbo (Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce), si accal­cano in malo modo, senza per questo proporre problemi spaziali, quali l’alternarsi di zone sovraffollate e deserte nel Pontormo e nel Rosso o la fuga prospettica del Beccafumi.

Anche il rilievo dato alle forme e la loro concentrazione per mezzo di consonanze e parallelismi perdono il vigore che avevano nei concittadini più anziani del Bronzino, per assumere un carattere accademico. Nei nudi femminili, specie nella Venere dell’Allegoria londinese, compare un elemento nuovo, fondamentale per l’evoluzione futura del Bronzino, sebbene forse poco significativo sotto l’aspetto strettamente artistico. Vi s’incontra infatti per la prima volta quella particolare forma di sensualità, così caratteristica del tardo Manierismo, che è stata descritta come “occulto erotismo”, cui doveva pensare chi ha chiamato quel tempo “l’aurora della pruderie” [Schlosser].

Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana. III, 1970

In tutti i ritratti del Bronzino, anche nei più ‘ufficiali’, la persona è piuttosto ricostruita intellettualmente che osservata nella sua realtà fisionomica e psicologica; ma sempre più si precisa la ricerca di una forma regolare, quasi geometrica, a cui s’accompagna un colore limpido e freddo, che giunge anche a note alte e timbrate, benché sempre intonate sulla media proporzionale del grigio. Ma non è, come nei ritratti fiorentini di Raffaello (che tuttavia il Bronzino non riesce a dimenticare), un passaggio dalla forma particolare all’universale; dopo la nuova immagine della natura tracciata da Leonardo, la regolarità geometrica della forma umana appare necessariamente come un caso raro, un’eccezione, una preziosa anomalia.

La purezza formale che il Bronzino regala ai suoi personaggi è un supremo elogio : come dire che la persona è il prodotto prezioso di una difficile selezione. Il bello raffaellesco, passando dall’ordine naturale al sociale, diventa il meglio; il modo di essere in una società raffinata, intellettualmente superiore. I personaggi ritratti da Raffaello sembrano uscire dal Cortegiano di Baldasar Castiglione, quelli del Bronzino dal Galateo di monsignor Della Casa.

C. H. Smith, Bronzino as Drunghtsman, 1971

I [suoi] disegni ci dicono molto. Mentre riescono a fugare qualsiasi vecchia credenza sopravvissuta circa l’inettitudine e la limitatezza delle capacità figurative del Bronzino, testimoniano in lui alti livelli radicati nella tradizione fiorentina. Quando Paolo Pino raffrontò il Bronzino al Tiziano nel Dialogo di pittura del 1548, considerando evidentemente i due pittori come i rappre­sentanti più degni di Firenze e Venezia, è improbabile che nutrisse qualche riserva circa i meriti artistici del disegno del Bronzino di assurgere a esemplificare il gusto fiorentino.

Forse nel disegno il Bronzino sembrò qualificarsi particolarmente per il valore da lui conferito alla linea — alla linea di demarcazione del contorno, più o meno uniforme, continua e distinta dall’ombra -e al volume plastico che poteva conquistare entro tale perimetro. Ma, come abbiamo visto, era imbevuto di tradizione fiorentina in altri modi, ed era in grado di captare anche ciò che stava al dilà di questa. I disegni attestano la cultura artistica del Bronzino e un’ampia cornice di riferimento entro la quale egli ambientò le direttive e gli sbocchi della propria arte. Mostrano, inoltre, un artista che devia continuamente dagli schemi attendibili.

Le convenzioni manieristiche sono molto evidenti, ma piuttosto che confluire nella routine, come potrebbero, promuovono continuamente effetti nuovi. Dal lato classico sono piuttosto inusuali e strani ; possiamo però stare certi che emanavano un fascino, un’attrazione e non poco potere d’espressione per molti della metà del Cinquecento che li vedevano per la prima volta.     

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