L’Abbazia di San Galgano

Un viaggio presso l’Abbazia di San Galgano

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Visita ad una straordinaria ed affascinante rovina, piena di misteri, tra cui quello dell’enigmatica spada nella roccia.

Abbazia di San Galgano
Esterno del rudere della’ Abbazia di San Galgano (foto da Wikimedia.com)

Storia dell’abbazia

L’Abbazia di San Galgano si trova a pochissimi chilometri da Siena; visitarla è un incanto.

La sua sagoma appare maestosa tra gli alti cipressi del viale che le sta di fronte, uno spettacolo tutto da godere, che rimarrà per sempre impresso nella memoria.  Lo stupore per quella visione frontale, che invita il visitatore ad accorciare il passo per usufruirne appieno la bellezza, aumenta via via che ci si avvicina all’ingresso.

La sagoma della chiesa, che appare ancora quasi intatta nelle mura esterne, è completamente priva di copertura.

Di costruzione gotica, la chiesa cistercense, fu portata a compimento nel 1218 con l’impiego di diversi materiali tra cui molto travertino, soprattutto per le parti esterne, sasso su sasso e mattone su mattone.

Fu configurata per tre navate con pianta a croce latina, larghezza di 21 metri e lunghezza di 72.

L’abside, nella cui estremità appaiono un rosone e sei aperture monofore, crea un sorprendente senso di ricercatezza e, soprattutto, di stupore. La maestosità della chiesa è testimonianza di come fosse sentito all’epoca il culto di San Galgano.

Splendore e decadenza dell’abbazia

Nel corso del Trecento l’abbazia, grazie all’immunità e ai privilegi imperiali di Enrico VI, Ottone IV e Federico II raggiunse livelli di altissimo splendore. Tuttavia l’enorme ricchezza raggiunta innescò violente polemiche all’inizi del sedicesimo secolo tra il papato e la Repubblica di Siena. Nel 1506, infatti, papa Giulio II inviò l’interdetto contro Siena. Quest’ultima reagì ordinando ai sacerdoti di celebrare  tutte le funzioni liturgiche.

Purtroppo dopo i  periodo di sfolgorante splendore seguì quello della decadenza, che avrebbe trasformato l’Abbazia di San Galgano in un misterioso e, pur sempre, maestoso rudere.

Abbazia San Galgano di Siena
Interno dell’Abbazia San Galgano di Siena

La leggenda di San Galgano

Galgano nacque nel 1148 a Chiusdino, un borgo non lontano da Siena ed assai vicino al punto in cui sarebbe nata l’Abbazia che oggi porta il suo nome. I genitori erano Guido Guidotti e Dionisa.

In questo particolare periodo medioevale in tutto il territorio senese, come in molte altre zone della nostra penisola, era un susseguirsi di ingiustizie. Provenivano soprattutto da parte dei potenti ma anche da altri tipi di organizzazioni, per lo più armate, che si stavano via via formando. Queste ultime erano nate con lo scopo di conquistare nuovi domini ed estenderne i propri.

Galgano Guidotti, nel pieno del vigore della sua gioventù, faceva parte di queste organizzazioni e, come molti altri cavalieri, dava sfogo al proprio carattere con autorità ed arroganza.

Con il passare del tempo, però, Galgano incominciò a sentire inutile quella vita, che giudicava priva di qualunque scopo benefico. Decise quindi di voltare pagina e ritirarsi sulla collina di Montesiepi, poco distante da Monticiano per iniziare una vita in isolamento e in penitenza.

In quel luogo solitario Galgano incomincio affannosamente a ricercare la pace che gli era stata fino allora negata.

Come forma simbolica di rinuncia ad ogni tipo di violenza conficcò con tutta la sua forza la sua spada in una roccia, lasciando fuori dal terreno tutta l’impugnatura, con l’intento usarla come croce su cui pregare. Questo gesto simbolico di grande coraggio per i tempi che correvano, avveniva nel 1180.

Galgano morì il 3 dicembre 1181 appoggiato a quella che una volta era la sua spada e, solo dopo appena quattro anni (1185) papa Lucio III lo proclamò Santo.

Le navate del duomo di Siena

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta (navata centrale e navate laterali)

Continua dalla pagina precedente con la struttura interna e controfacciata

Navata centrale del duomo di Siena

I busti dei papi

Navata centrale e cupola del duomo di Siena
Navata centrale e cupola del duomo di Siena (foto di Tango7174)

Sopra la navata centrale e sopra il coro spicca un maestoso davanzale che sovrasta un’interminabile fila di busti di papi: 171 per l’esattezza.  Questi, che secondo gli esperti, appaiono di mediocre rappresentazione, furono realizzati nel periodo a cavallo tra il Quattrocento e Cinquecento da artisti anonimi [Gabriele Fattorini, in Le sculture del Duomo di Siena, Silvana Editoriale, 2009, alle pagine 47-51].

Il primo busto che si incontra (visibile subito sulla destra) è quello raffigurante S. Pietro.

Proseguendo verso il coro e poi girando in senso orario appaiono tutti gli altri pontefici succedutisi cronologicamente.

Presso la parete di fondo del coro appare il busto di Cristo e quindi papa Lucio III (1181-1185), il centosettantunesimo pontefice.

La lista avrebbe dovuto concludersi Alessandro III (1159-1181), centosettantesimo papa (di origine senese che consacrò il duomo nel 1179) ma si rese necessaria l’esclusione del busto di papa Giovanni VIII. Quest’ultimo, il cui pontificato va dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882, poiché poteva essere confuso con la leggendaria ed imbarazzante papessa Giovanna con lo stesso nominativo (papa, si presume, nel biennio 853-855), fece slittare di una unità  in anticipo tutti i papi che la succedettero. L’esclusione della papessa dalle registrazioni storiche fu voluta dal suo successore Benedetto III (855-858).

I busti degli imperatori

Sotto la lunga fila dei pontefici – negli sguanci degli archi, a intervalli regolari – appaiono le trentasei sculture di busti di imperatori, non identificati da didascalie, realizzati nel Cinquecento in due periodi diversi. Quelli visibili nella navata centrale e cupola furono scolpiti tra il 1503 ed il 1506, mentre quelli nel coro  tra il 1568 e il 1571 [Gabriele Fattorini, in Le sculture del Duomo di Siena, Silvana Editoriale, 2009, pagine 47-51].

Il motivo per cui l’opera del duomo fosse stata spinta ad inserire busti in un edificio religioso, che nulla avevano a che vedere con le altre figure ecclesiastiche, è ancora oggetto di accesi dibattiti. Alcuni studiosi, però, pensano ad un omaggio alla tradizione ghibellina di Siena [Gabriele Fattorini, in Le sculture del Duomo di Siena, Silvana Editoriale, 2009, pagine 47-51].

I capitelli istoriati

Di grande valore artistico sono i numerosissimi capitelli istoriati che si trovano in tutta la cattedrale al termine di ogni pilastro. Molti fra quelli ubicati nella navata centrale (1263-1280 circa) vengono attribuiti a Nicola Pisano o alla sua scuola.

Gli altri, di più antica realizzazione e quindi di più dubbia assegnazione, appaiono di minore valore artistico. Molti di quelli in corrispondenza del coro (1340-1357 circa), invece, sono ritenuti opera di Giovanni di Agostino [Silvia Colucci in M. Lorenzoni (2009), pagine 42-46].

Sugli ultimi due pilastri appaiono due antenne, probabilmente provenienti dal carroccio senese della battaglia di Montaperti nel 1260 [ TCI, p. 520]. Data la loro importante lunghezza, superiore ai sedici metri, alcuni studiosi ritengono invece che si tratti di elementi di un solo pennone di una nave cristiana, o ottomana, attiva nella Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571.

Navata sinistra

Le antiche rappresentazioni

Registro della Maestà di Duccio
Registro della Maestà di Duccio

In tempi remoti negli altari laterali della cattedrale si poteva ammirare un eccezionale ciclo di episodi mariani che facevano parte integrante della grandiosa pala d’altare di Duccio di Buoninsegna (la Maestà del duomo di Siena).

Si trattava di capolavori realizzati da celebri artisti locali del Trecento (i Lorenzetti, il Sassetta, Simone Martini), che dopo la loro rimozione, avvenuta nel Seicento per far posto ad altre opere, si perdettero le tracce nel XVIII secolo.

Le pale di Trevigiani e Sorri

Sul primo e secondo altare si possono ammirare le pale di Francesco Trevigiani raffiguranti rispettivamente i Quattro Santi coronati e il Cristo coi santi Giacomo e Filippo (1688). Sul terzo altare appare una Epifania realizzata nel 1588 da Pietro Sorri.

L’opera di Duccio al Museo dell’opera e nei vari musei del mondo

Per quanto riguarda il grande complesso pittorico di Duccio di Buoninsegna,  la stesura pittorica della pala, realizzata a tempera su tavola, copriva entrambi i lati (recto e verso), compresi predella e coronamento.

Attualmente l’impianto è smembrato e gran parte dei riquadri è conservata nel Museo dell’Opera del Duomo.

Altri comparti, appartenenti alla predella e al coronamento, furono trasferiti all’estero e si trovano attualmente in diversi musei e collezioni (sia pubbliche che private), mentre altri ancora sono dispersi.

Navata destra

Gli altari

Negli altari della navata destra del duomo (dal primo al quarto) si possono ammirare in successione ordinata le seguenti opere:

  • 1° altare: La pala di Domenico Maria Canuti con il San Gaetano.
  • 2° altare: La pala di Annibale Mazzuoli con l’Estasi di san Girolamo.
  • 3° altare: La pala di Raffaello Vanni (1654) con l’Estasi di san Francesco di Sales.
  • 4° altare: La pala di Pier Danidini con lo Sposalizio mistico di santa Caterina.

La tomba di Piccolomini e i riquadri di Urbano da Cortona

Proseguendo per lo stesso verso, quasi sul termine della navata, si trova la piccola porta attraverso la quale si accede all’interno del campanile. Sopra di essa appaiono frammenti ricomposti della Tomba di Tommaso del Testa Piccolomini, vescovo di Pienza, opera scolpita nel 1485 in tempo record (soli sei mesi) da Neroccio di Bartolomeo de’ Landi.

Ai lati si possono ammirare sei episodi del ciclo di 22 riquadri di Urbano da Cortona, realizzati intorno al decennio 1450-1460, provenienti dalla cappella delle Grazie, demolita nel XVII secolo. Dalla stessa cappella altre opere furono trasferite sulla facciata del duomo ed in controfacciata.

Nei pressi spicca la meravigliosa un’acquasantiera in stile gotico realizzata intorno alla prima metà del XIV secolo da un ignoto artista.

Struttura interna e controfacciata del duomo di Siena

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta (interni e le navate)

Continua dalla pagina precedente: Il pavimento del Duomo di Siena

Sommario della struttura interna

Le tre navate dell’aula

Una veduta interna del duomo di Siena
Una veduta interna del duomo di Siena

L’aula all’interno del duomo è suddivisa in tre navate intervallate da pilastri polistili, con un transetto a quattro navate ed un profondo coro. Quattro navate se si considerano fra queste anche anche le due cappelle a sinistra e a destra (di S. Giovanni Battista e S. Ansano) della Madonna del Voto e Santissimo Sacramento,.

La lunghezza totale è 89,4 m., la larghezza massima in corrispondenza della crociera è 54,48 m., mentre quella alle navate misura 24,37 m. [Touring, cit., p. 519].

La crociera del transetto e le campate

Veduta interna del duomo di Siena
Veduta interna del duomo di Siena

La crociera del transetto, fra le più vaste costruite nello stesso periodo – ma anche altri periodi non troppo scostati nel tempo – è costituita da un esagono sormontato da una cupola. Questa è a base poligonale di dodici lati.

La pianta si suddivide in molteplici campate, che risultano a forma rettangolare nella navata centrale e quadrate in quelle laterali.

Le campate vengono divise dai pilastri e quindi scandite da delicatissimi archi a tutto sesto.

Le volte delle navate il cleristorio e i rosoni

Le volte di tutte le navate, che appaiono a crociera, sono decorate con miriadi di stelle in un campo azzurro.

L’ammirevole cleristorio (livello più alto della navata), posto molto alto, è decorato con archi a sesto acuto e vi appaiono eleganti e aperture trifore e bifore (queste ultime in corrispondenza del transetto) che illuminano tutta la chiesa.

Sulla controfacciata e sul coro appaiono due bellissimi rosoni.

Quattro imponenti contrafforti esterni contrastano la spinta gravitazionale delle volte del coro.

In ogni parte strutturale interna del duomo prevale la bicromia bianco-nero, corrispondente a quella dello stemma di Siena, che, tra l’altro, conferisce un raffinato effetto chiaroscurale a tutto l’insieme.

La controfacciata del Duomo di Siena

Il complesso marmoreo seicentesco e le colonne

Controfacciata del Duomo di Siena
Controfacciata del Duomo di Siena

Nella controfacciata il portale principale è incorniciato da un complesso marmoreo, allestito nel Seicento in concomitanza con i lavori di rifacimento voluti voluti da Alessandro VII (pontefice senese) [Gianluca Amato in M. Lorenzoni (2009), pp. 24-26]. Tuttavia quasi la totalità del materiale impiegato per il complesso risulta di epoca quattrocentesca. Questo fa pensare, a prescindere dal coronamento, che si siano utilizzati materiali di ripiego giacenti nei vecchi cantieri.

La completa sistemazione delle colonne poste ai lati della controfacciata avvenne nel 1483. Le colonne pero furono realizzate tre anni prima da Antonio Federighi e Giovanni di Stefano per la Cappella dei Quattro santi (poi smantellata). I due capomastri non lavorarono assieme ma si succedettero in tale ruolo.

Le nove scene di Urbano da Cortona

Sui basamenti delle colonne appaiono sei ammirevoli pannelli scolpiti (cinque originale e uno riprodotto), mentre su quelli in alto spiccano quattro raffigurazioni con episodi della Vita della Madonna. In tutto sono nove scene, tutte scolpite da Urbano da Cortona nel decennio compreso da 1450 al 1460 (circa) per la distrutta cappella della Madonna delle Grazie. Di questi pannelli l’artista ne realizzo ben 22.

Le lastre con la vita di S. Ansano

Le quattro lastre che sormontano l’architrave con episodi della Vita di S. Ansano furono scolpite nel biennio 1477-78 da un artista anonimo appartenente cerchia collaboratrice di Antonio Federighi. Anche queste furono realizzate per altre precedenti destinazioni: lo smantellato altare di S. Ansano, che si trovava in un angolo della crociera [Gabriele Fattorini in M. Lorenzoni (2009), pp. 32-35].

Le mensole interne e i portali laterali

Per quanto riguarda l’autografia delle sei rappresentazioni sulle mensole interne di ogni portale, non si conosce l’artista, che certamente era di ispirazione gotica francese.

I portali laterali furono appositamente realizzati “fuori asse” rispetto alle navate laterali, per bilanciare l’aspetto dell’intera facciata: trattasi di uno dei raffinati accorgimenti di Giovanni Pisano [TCI, p. 520].

Il rosone

Rosone della facciata del Duomo di Siena
Rosone della facciata del Duomo di Siena: l’Ultima Cena (1531-37) di Pastorino Pastorini da Siena. Foto di Ettore Zaffo sul sito Juza Photo

Sul rosone spicca la grande vetrata con un’opera di Pastorino de’ Pastorini del 1459, ove viene raffigurata l’Ultima Cena, realizzata su probabile  progetto di Perin del Vaga [TCI, p. 520].

Alle due estremità della controfacciata appaiono due papi (Marcello II e Paolo V). Si sa che le figure inizialmente avrebbero dovuto rappresentare i papi senesi Alessandro III (1591) e Pio II (1592) per le effigi dei quali incominciò a lavorarci lo scultore Domenico Cafaggi su richiesta del rettore Giugurta Tommasi. Successivamente (1680-90) invece si decise di affidare le due sculture alla bottega Mazzuoli che le trasformò nelle attuali sembianze [Monika Butzek, Chronologie in Walter Haas, Dethard von Winterfeld, Der Dom S. Maria Assunta, p. 20-23].

Continua nella pagina successiva con le navate del duomo di Siena.

Il pavimento del Duomo di Siena

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta (cenni sul pavimento)

Continua dalla pagina precedente: Cupola, fiancate, campanile e facciata posteriore

Descrizione e storia del pavimento

Una veduta del pavimento del duomo di Siena
Una veduta del pavimento del duomo di Siena

Una fra le più belle opere della Storia dell’arte

All’interno del Duomo di Siena è possibile ammirare un gran numero di capolavori, realizzati nel corso dei secoli da grandissimi artisti, tra cui spicca il pavimento, una tra le opere più belle secondo gli studiosi di Storia dell’arte.  Iniziato nel Trecento fu portato a compimento soltanto nel XIX secolo”.

Negli scritti del Vasari

Strage degli innocenti
Strage degli Innocenti, pavimento del Duomo di Siena, di Matteo di Giovanni

Della pavimentazione della chiesa in esame ne parlò anche il Vasari, a proposito del Beccafumi, nei suoi celebri scritti: “gli riuscì l’opera tanto bene e per l’invenzione e per lo disegno fondato e copia di figure, che egli a questo modo diede principio al più bello et al più grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto, e ne condusse a poco a poco mentre che visse una gran parte”  (Domenico Beccafumi dalle Vite di Vasari).

I cartoni di Pinturicchio, Beccafumi, Martini, Sassetta ed altri artisti

Lupa senese pavimento del duomo di Siena
Lupa senese tra i simboli delle città alleate – pavimento del duomo di Siena (primi anni del Cinquecento)

I cartoni preparatori delle tarsie (per la precisione cinquantasei) furono realizzati da importantissimi artisti locali, tra cui prese parte anche il Pinturicchio nel 1505, unico collaboratore non senese, con il cartone per il Colle della Sapienza.

Altri nomi che vi spiccano sono quelli di Domenico Beccafumi, Matteo di Giovanni, Francesco di Giorgio Martini, Sassetta, Neroccio di Bartolomeo de’ Landi, Urbano da Cortona, Antonio Federighi. Il Beccafumi realizzò 35 episodi rinnovandone profondamente il genere.

Nelle ultime fasi di realizzazione, relative al XIX secolo, vi lavorò Alessandro Franchi, caposcuola del purismo [TCI, pagine 519-520].

I riquadri del pavimento

L’insieme dei riquadri mostra raffigurazioni relative ad un omogeneo disegno tematico: la Rivelazione tramite la Scrittura. Appaiono però anche alcune storie senesi, realizzate per esigenze di celebrazione cittadina.

La tecnica impiegata ed il suo ulteriore sviluppo

Sibilla Eritrea - pavimento del duomo di Siena
Sibilla Eritrea – pavimento del duomo di Siena (ultimi decenni del Quattrocento)

La tecnica impiegata per il trasferimento dei progetti degli artisti sul marmo del pavimento è quella del graffito e del “mosaico fiorentino”, quest’ultimo conosciuto anche come “commesso marmoreo”.

Si iniziò in modo assai semplice per poi ampliare e sviluppare gradatamente le tecniche. Infatti così avvenne fino raggiungere il primo straordinario risultato, ottenuto nel tratteggiare su marmo bianco dei solchi e quindi riempirli con stucco nero.

Si incominciò di fatto a perfezionare la tecnica del graffito, che permetteva di accostare marmi con svariate combinazioni cromatiche raggiungendo gli stessi effetti di una tarsia in legno (“commesso marmoreo” o “mosaico fiorentino”).

Domenico Beccafumi- Patto tra Elia e Ecab
Domenico Beccafumi- Patto tra Elia e Acab – Scena dal pavimento del Duomo di Siena

Più tardi entrambe le tecniche divennero complementari l’una all’altra.

Spetta a Domenico Beccafumi, celebre esponente del Tardo-Rinascimento senese, la paternità dell’ulteriore sviluppo di detta tecnica combinata, con la quale si ottennero meravigliosi giochi di contrasti cromatici e di luminosità.

Tutti gli episodi della pavimentazione del duomo di Siena subirono delle restaurazioni nel corso dei secoli, per combatterne l’inevitabile usura. Alcuni furono completamente rifatti ex-novo, rispettando le antiche tecniche e gli aspetti raffigurativi.

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Facciata superiore del duomo di Siena

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta (facciata superiore)

Continua dalla pagina precedente: Facciata inferiore del duomo di Siena

Storia e descrizione della facciata

L’iniziale confusione della storia sull’affido dei lavori

Facciata superiore del duomo di Siena
Facciata superiore del duomo di Siena (foto di Emanuele.vivori) .

I lavori della parte superiore della facciata del duomo di Siena furono affidati a Camaino di Crescentino (padre dell’ancora più celebre Tino di Camaino), che li diresse dal 1299 al 1317.

In passato, però, secondo un documento male interpretato, riferito ai lavori della “Facciata in piazza del Duomo, logia del vescovo”, si riteneva che tale progetto fosse opera di Giovanni di Cecco. Esso invece, si riferiva ad un’altra dimora del vescovo ubicata nella stessa piazza: il Palazzo Vescovile.

Camaino di Crescentino diresse i lavori

Cuspide centrale della facciata superiore del duomo di Siena
Cuspide centrale della facciata superiore del duomo di Siena con L’Incoronazione della Vergine.

Quando si ritrovò un documento del 1310, dove si richiedeva la messa in opera di un mosaico per la cuspide centrale, a cui seguì l’attenta rilettura di alcune cronache trecentesche precedentemente ignorate, risultò che tre di queste (riferite al 1317) parlano del completamento della facciata. Il documento portò così chiarezza, una volta per tutte, su questo argomento.

Camaino di Crescentino costruì la facciata dandogli l’attuale aspetto a “tre cuspidi”. Sotto quella centrale appare un grande oculo incorniciato da nicchie gotiche con dentro busti di Profeti, Apostoli e, posta al centro in alto, la Madonna col Bambino. La scultura originale di quest’ultima si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.

La maestosa cuspide dorata e le raffigurazioni

Cuspide di sinistra della facciata superiore del duomo di Pisa
Cuspide di sinistra della facciata superiore del duomo di Pisa

L’oculo reca una vetrata cinquecentesca con l’Ultima cena (visibile solo dall’interno), realizzata da Pastorino dei Pastorini.

Ai lati stanno due pilastri che, prendendo in salita la forma di pinnacoli, terminano in sottilissime guglie a conferire più slancio verso l’alto alla struttura. Ai lati di questi ultimi, sotto le cuspidi laterali, appaiono due ordini di piccole logge, mentre il tutto è dominato dalla maestosa cuspide dorata centrale con all’interno il mosaico dell’Incoronazione della Vergine realizzato nel 1878 a Venezia su disegno di Alessandro Franchi.

Le raffigurazioni nelle cuspidi laterali – sempre a tecnica musiva – eseguiti nel medesimo anno dallo stesso artista, rappresentano la Presentazione di Maria al Tempio (sinistra) e La Natività di Gesù (destra).

Lo stile gotico-fiorito della facciata

Cuspide destra facciata superiore duomo di Siena
Cuspide destra facciata superiore duomo di Siena

Nel complesso generale possiamo definire lo stile della facciata superiore come gotico-fiorito.

Nei primi decenni del XIV secolo, Lorenzo Maitani, un architetto senese, incominciava a lavorare alla facciata del Duomo di Orvieto, che chiaramente richiama la facciata superiore del duomo di Siena. Tuttavia, anche avendo uno stile omogeneo in tutta la facciata, quella della cattedrale di Orvieto viene considerata come una versione perfezionata della facciata in esame.

Dato che i periodi di lavorazione delle facciate delle due cattedrali si accavallano, non è proprio chiaro al cento percento quale delle due facciate facesse da modello all’altra. Si sa però per certo che quella senese fu iniziata prima, e che l’arte senese influenzava maggiormente di quella orvietana. Si tende perciò ad attribuirne l’ascendente a quella Senese.

La piccola imprecisione

Comunque nella facciata in esame, secondo gli esperti, a differenza di quella di Orvieto, si evidenzia un difetto architettonico sui pilastri situati lateralmente all’oculo. Questi non coincidono affatto con quelli posti ai lati del portale centrale di quella inferiore.

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Ricerche effettuate in: Monika Butzek, Chronologie in Walter Haas, Dethard von Winterfeld, Der Dom S. Maria Assunta

Facciata inferiore del Duomo di Siena

Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta (facciata inferiore)

Segue dalla pagina precedente: Il Duomo di Siena

La storia della facciata

L’iniziale affido dei lavori a Giovanni Pisano

Facciata del Duomo di Siena
Facciata (inferiore e superiore) del Duomo di Siena

Giovanni Pisano seguì il suo progetto fino al 1297, anno in cui decise improvvisamente di allontanarsi dalla città, forse a causa dei malcontenti del Comune in riferimento alla disorganizzazione del lavoro ed agli sprechi di materiale [Monika Butzek, Chronologie in Walter Haas, Dethard von Winterfeld, Der Dom S. Maria Assunta, pp. 28-29].

A questo periodo vengono assegnati i tre portali (compresi lunette, ghimberghe e strombo) e i torrioni ai due lati.[ Matthias Quast in M. Lorenzoni (2007), pp.105-117].

I tre portali, le ghimberghe e i torrioni

Il portale centrale si presenta con un arco a tutto sesto, mentre i due laterali sono leggermente ogivali. Tutti e tre hanno lo sguancio ornato da colonnine ritorte e capitelli decorati a fogliame scolpito. Sopra stanno gli archivolti con teste di satiri come chiavi di volta, sormontati da tre ghimberghe ornate con foglie rampanti nella cui zona centrale appaiono dei busti. Questi ultimi furono però inseriti solo nel Seicento.

Sulla sommità delle ghimberghe appaiono tre statue (la Vergine in quella centrale e due angeli nelle altre due).

Ai lati della facciata dominano i due massicci torrioni, con finestre slanciate e edicole sulle cui cuspidi appaiono statue, coronamenti gotici e doccioni.

Le sculture della facciata inferiore

La decorazione scultorea della facciata inferiore, che comprende un ciclo statue in stile gotico, tra cui quattordici a figura umana, è stata curata dallo stesso Giovanni Pisano. Le statue che raffigurano profeti, profetesse, filosofi (pagani) e patriarchi, sono così disposte: otto nella zona centrale e sei simmetricamente distribuite ai due lati. Tutte le sculture sono copie degli originali attualmente custoditi nel Museo dell’Opera.

I nomi corrispondenti alle statue annuncianti la Venuta di Cristo

Eccezion fatta per le “Storie della Madonna”, autografe di Tino di Camaino (primi decenni del Trecento), tutte le statue a rappresentazione umana annunciano la “Venuta di Cristo”. Nella zona centrale appaiono (da sinistra verso destra), Platone, Abacuc, una Sibilla, i re David e Salomone, Mosè e Gesù di Sirach. Sul lato estremo sinistro si possono ammirare una statua non identificata, Isaia e Balam, indovino e profeta involontario. Sull’estrema destra stanno Simeone, Maria di Mosè e Aristotele. Sotto le statue a figura umana troviamo quelle a forma animale.

Le raffigurazione degli Evangelisti e le statue dei torrioni laterali

Più in alto, appoggiate sull’architrave, appaiono le raffigurazioni antropomorfe degli Evangelisti.

Uscite dalla bottega di Giovanni Pisano sono anche le statue dei torrioni laterali, sia quelle posate in basso che quelle alte, fino alla sommità [Matthias Quast in M. Lorenzoni (2007), pp.105-117].

Intorno al 1630-40 nelle ghimberghe aggiunsero i busti dei beati senesi – raffiguranti Ambrogio Sansedoni, Giovanni Colombini e Andrea Gallerani – scolpiti da Tommaso Redi. Anche il trigramma del nome di Cristo in bronzo, che si trova sulla lunetta centrale, fu opera dello stesso periodo.

La porta centrale e le tarsie marmoree

La porta in bronzo del portale centrale, che rappresenta la Glorificazione di Maria, è stata realizzata nel 1958 da Enrico Manfrini [ Timothy Verdon in M. Lorenzoni (2007), pagine 17-74.].

Davanti alla facciata appaiono tarsie in marmo uguali quelle della pavimentazione interna. Trattasi di riproduzioni su campioni originali realizzati da Nastagio di Gaspare nel 1450, che rappresentano le Cerimonie dell’Ordinazione [ TCI, pagina 518].

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Il Duomo di Siena

Storia del duomo di Siena

Gli inizi dei lavori

Duomo di Siena
Duomo di Siena

Il Duomo di Siena (Cattedrale Metropolitana di Santa Maria Assunta), il più importante luogo di culto della città, fu costruito in stile gotico tra la metà del XII secolo e il 1215. Si trova nell’omonima piazza. In quell’anno non avevano ancora portato a termine né la cupola (1264), né la facciata inferiore (1296).

Nel 1317 fu realizzato un prolungamento in direzione della retrostante Valle Piatta.

Pochissime ed incerte sono le documentazioni a noi arrivate, relative al periodo della costruzione, comprese tra inizio lavori e il 1227, fino a quando, cioè, nel dicembre 1226, la Repubblica di Siena non istituì le registrazioni dei costi e dei contratti. Questi, relativi alla costruzione della chiesa in esame, si tenevano presso gli uffici della magistratura finanziaria della Biccherna [Matthias Quast in M. Lorenzoni (2007), pp.105-117].

Pianta a croce ed eretto su un fabbricato preesistente

Il maestoso edificio pare comunque essere stato eretto su un fabbricato preesistente, probabilmente una costruzione del IX secolo, costruita a sua volta sulle rovine di un tempio dedicato a Minerva.

Pianta del Duomo di Siena
Pianta del Duomo di Siena

La costruzione, che ha una pianta a croce latina con tre navate, fu rivestita tutta intorno da fasce di marmo bianco e verde scuro a simboleggiare lo stemma araldico senese.

Negli anni compresi tra il 1284 e il 1296, su probabile progetto di Giovanni Pisano, fu edificata la parte inferiore della facciata.

Nel 1317 iniziarono i lavori per il prolungamento della chiesa verso la retrostante “Valle Piatta”.

Il Comune, anche dopo i lavori di ampliamento, non non era pienamente soddisfatto di come al momento si presentava la chiesa. Subendo quindi le forti incitazioni dagli stessi senesi, desiderosi di competere con l’imponente Santa Maria del Fiore di Firenze, volle concepire un più ambizioso progetto. Iniziò quindi l’innalzamento di una colossale cattedrale, che poteva competere con le migliori costruzioni di culto europee.

Il “Duomo Nuovo” ed il fallimento di quel progetto

Infatti nel 1339, con la delibera del Consiglio Generale della Campana del 23 agosto 1339, iniziò la costruzione del cosiddetto “Duomo Nuovo” sotto la direzione di Lando di Pietro (altre fonti indicano Lando di Piero). Nell’anno successivo la supervisione era affidata allo scultore-architetto Giovanni di Agostino.

Nel giugno del 1357 interruppero i lavori a causa delle allora non buone vicende politiche. A queste si devono aggiungere le devastanti conseguenze della peste, che già da quasi un decennio martoriava la città, ed alcuni errori di progetto che provocarono una serie di crolli strutturali.

Rimane la chiara testimonianza del fallimento nell’attuale piazza Iacopo della Quercia. Infatti i basamenti per le colonne e gli incastonamenti si trovano nel Museo dell’Opera Metropolitana, oltre al “facciatone”, rimasto incompiuto, che avrebbe dovuto rappresentare il maestoso duomo. Si portò così a compimento la vecchia costruzione.

Il ritorno al primo progetto

Dopo il 1376, sotto la direzione di Giovanni di Cecco, che trasse ispirazione dal duomo di Orvieto, gli operai portarono a termine la parte superiore della facciata.

Il Duomo si presenta con una ricca decorazione scultorea: la parte inferiore della facciata (opera di Giovanni Pisano) ha uno stile romanico-gotico. Questa è aperta a tre portali, mentre quella superiore ha uno stile gotico-fiorito e reca nelle tre cuspidi mosaici ottocenteschi.

Il campanile, i marmi e le volte

Il campanile, eretto nel 1313, è alto 77 metri ed è in stile romanico. Si presenta con fasce marmoree bianche e verde scuro, sei ordini di finestre (monofora quella più bassa fino ad arrivare alla esafora più alta), una cuspide a piramide ottagonale e pinnacoli laterali.

I marmi all’interno della cattedrale, che riprendendo la policromia del motivo esterno, creano, insieme ai giochi di luce ed ombra, un ambiente carico di mistero.

Nel corso del Trecento sopraelevarono le volte, decorate con stelle d’oro in campo azzurro, tanto da far apparire parzialmente internato il ballatoio esterno della cupola.

L’interno del duomo

Nella navata maggiore, tra le volte e gli archi ricorre una cornice che viene sostenuta da 172 busti cinquecenteschi, raffiguranti i “Primi Papi”, che sormontano busti di 36 imperatori.

Il pavimento

Tutta la pavimentazione – in marmo, comprendente 56 riquadri – venne istoriata a tarsia e graffito tra il 1369 e il 1547. Generalmente, per evitare l’eccessiva usura di parti sensibili, oggi la ricoprono parzialmente con tavolati lignei in corrispondenza del presbiterio e della cupola. Ai lavori presero parte oltre quaranta artisti, quasi tutti locali, nello sviluppo tematico della salvezza.

Le due acquasantiere, vicine ai primi pilastri, le realizzò nel 1462-3 Antonio Federighi.

La cupola

La cupola, decorata da statue di santi, che appaiono nelle nicchie della base, si presenta con pianta esagonale in basso e dodecagonale in alto. Nella calotta che la ricopre, a forma asimmetrica, risaltano 42 figure di profeti e patriarchi, dipinti intorno alla fine del Quattrocento.

Il complesso marmoreo dell’altare maggiore fu realizzato nel 1532 da Baldassare Petruzzi, mentre il bellissimo tabernacolo bronzeo (1467-1472) che lo domina è di Lorenzo di Pietro, meglio conosciuto come il Vecchietta.

La vetrata, la Cappella di S. Giovanni battista, la Libreria Piccolomini, l’altare dei due papi e le sculture di Michelangelo

Vetrata dell'oculo del Duomo realizzata da Duccio di Buoninsegna
Vetrata dell’oculo del Duomo realizzata da Duccio di Buoninsegna (foto di: Ho visto nina volare from Italy)

La decorazione policroma dell’imponente vetrata dell’abside fu realizzata da Duccio di Buoninsegna.

Sulla sinistra si può ammirare il pergamo, in stile gotico, realizzato dai Pisano (Nicola e Giovanni, rispettivamente padre e figlio) tra 1266-68.

La stessa navata apre alla cappella di San Giovanni Battista ove domina la figura dell’omonimo santo, scolpita da Donatello nel 1457. Nei pressi di quest’ultima si accede alla Libreria Piccolomini fondata da papa Pio III, quando era ancora il Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, per trasferirci la biblioteca dello zio (Papa Pio II). Segue l’altare della famiglia dei due citati papi, commissionato ad Andrea Bregno intorno ai primi anni del Cinquecento, ove si possono ammirare quattro sculture di Michelangelo Buonarroti.

Infine, sulla navata di sinistra, incontriamo la Cappella Chigi (conosciuta anche come Cappella della Madonna del Voto), voluta da papa Alessandro VII nel 1661 su progetto di Bernini.

Continua nelle pagine successive con:

L’architettura Gotica religiosa in provincia di Grosseto

L’architettura Gotica religiosa in provincia di Grosseto

(dalla tesi di laurea del Prof. Ettore Zolesi – relatore Mario Salmi)

Anno accademico 1954 – 1955

Indice pagine

Capitolo secondo

Giovanni Pisano a Massa Marittima

Parte prima: Il Duomo di Massa Marittima

Parte seconda: La chiesa di S. Agostino a Massa Marittima

Capitolo terzo

L’architettura nel Duomo di Grosseto

Parte prima: Storia del Duomo di Grosseto

Parte seconda: Arte del Duomo di Grosseto

Capitolo quarto

La facciata del Duomo di Orbetello

Parte prima: Introduzione

Parte seconda: Nota storica pag 1pag. 2

Parte terza: Saggio criticopag. 2pag. 3pag. 4pag. 5

Parte quarta: I restauri della facciata

Capitolo quinto

Il Gotico a Magliano e Santa Fiora

Parte prima: Il Gotico a Magliano

Parte seconda: Il Gotico a Santa Fiora

La facciata del Duomo di Orbetello: segue saggio critico

La facciata del Duomo di Orbetello: segue saggio critico (Prof. Ettore Zolesi)

Pagine correlate: Il gotico (pittura) – Chiese monumentali nel mondo

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Facciata del duomo (foto Vinattieri Matteo)
Facciata del duomo (foto Vinattieri Matteo)

Un particolare degno di nota, non osservato da nessuno degli storici che hanno esaminato questo monumento, è dato dal fatto che, mentre il pilastro sinistro della facciata è internamente rifinito ed è rivestito nei tre lati dalla stessa decorazione della facciata, con il fregio a formelle quadrilobi, decorazione che prosegue lungo il muro perimetrale sinistro, fino ad interrompersi nella costruzione, il pilastro destro è rifinito soltanto nella parte anteriore, mentre in quella laterale ha dei massi che sporgono fuori.

Facciata del duomo (foto Vinattieri Matteo)

Le ipotesi che si affacciano da questo fatto sono due: o che e’era una costruzione (un campanile, per esempio) che fu poi abbattuta, oppure  che, nell’intenzione dell’architetto, avrebbe dovuto esserci ma non fu fatta.

Per conto mio propendo per questa seconda ipotesi. Infatti non trovo logico che gli. Spagnoli abbiano abbattuto il campanile laterale della facciata (che avrebbe dovuto essere dello stesso stile di essa) e non anche la facciata, per costruirne uno accanto alla cappella del sacramento (adesso abbattuto). Ma ciò che è significativo è il fatto che ci siano ancora dei massi sporgenti, che avrebbero dovuto essere segati e squadrati, mentre si procedeva all’abbattimento della costruzione, onde dare un effetto di maggiore completezza alla facciata. Invece 1’esistenza di questi massi è giustificata solo dal fatto che questa costruzione, con tutta probabilità il campanile, avrebbe dovuto essere fatta dopo l’erezione della facciata, e che poi, per ragioni che non sappiamo non fu fatta. E che questa costruzione doveva essere necessariamente il campanile è ovvio pensarlo, dal fatto che esso fu costruito soltanto nel Seicento a ridosso della cappella del Sacramento (e che fu poi abbattuto quando è stato costruito l’attuale, alla fine dell’Ottocento).

Un esempio di costruzione consimile l’abbiamo nella chiesa di S. Maria Maggiore ad Alatri, di questo stesso periodo (vedere le citazioni seguenti: P. Raveggi: “Orbetello antica e moderna”, pagina 27 e suo seguito della rivista “Maremma”, Anno VIII, 1933 – fascicoli I e II  – Ramerici:  “Lavori eseguiti dalla R. Soprintendenza ai monumenti per le province di Siena e Grosseto” anno 1932, Roma).

Prima di procedere ad esaminare, pezzo per pezzo, i particolari che formano la facciata, ritengo opportuno citare quanto ho trovato sulla storia della fabbrica del Duomo di Orvieto, che possa interessare il mio argomento:

 “Chiusa tra Siena, Perugia, Todi, Viterbo, posta quasi al confine nord est dove termina la diretta padronanza della Chiesa sulle terre dell’antica Tuscia longobarda, Orvieto dal secolo XI al XIII contende coi suoi vicini valorosamente il territorio, e vittoriosamente, per volontarie o forzate sottomissioni di signorotti e di Comuni più deboli, si allarga intorno e giunge più volte fino al mare, ad Orbetello. Nel 1293 la giurisdizione del Comune aveva per confini a, Nord il Monte Amiata, S. Fiora, L’abbazia di S. San Salvatore, con la montagna ci Cetona, oltre la quale aveva allora dipendenza, Chiusi Sarteano, Chiandiano toccando verso Montepulciano e Piancastagnaio la Rep. senese; ad est il Tevere verso Perugia e Todi, ma nel territorio detto Teverina aveva dominio anche al di là del fiume (Guardea, Alviano, Lugnano); a sud Civitella d’Agliano, castello comunale e feudale, e Subriano e più tardi Bagnorea; ad ovest direttamente possedeva la val di Lago, da Bolsena ad Acquapendente (disputata dal 1230 al 1290 con la sede apostolica) e più là fino a Sovana, a Saturnia, a Montemerano, a Manciano, a Talamone, ad Orbetello sul mare.”. ( P. PERALI: “Orvieto” – Orvieto 1919).

Luigi Fumi, facendo la storia della città, dice:

“Alla prosperità del nuovo popolo non poteva bastare questo geografico spazio; e perché gli sforzi degli Orvietani si dirigevano alla conquista della spiaggia marittima, da Talamone a Porto Ercole a Montalto e là cercava il punto di partenza ai numerosi mercanti, specialmente di panni di lana, stimati e ricercati che passavano oltre il mare, così le loro aspirazioni potrebbero sintetizzarsi nel motto storico ‘dalla rupe al mare’. Era un obbiettivo in contrasto, prima con Corneto, 1’antica Tarquinia, poi con altri due grandi rivali vicini, Siena e Viterbo. Di qui guerre continue tara Orvieto e Siena, fra Orvieto e Viterbo; alleanza con Roma, nemica di Viterbo, alleanze con Firenze, nemica di Siena. Non meno brutta la vista dei nobili feudatari del contado orvietano, Tutto infestato da ladroni, per modo che quel fortissimo conte di S. Fiora, Signore della Maremma, era costretto a cercare l’appoggio di Firenze e Siena, più gagliarde di Orvieto.”. (L. FUMI: “Orvieto” Bergamo 1919 pagg. 35 e segg.

Portale e rosone della facciata (foto N. Musmeci))
Portale e rosone della facciata (foto N. Musmeci))

Per quanto, poi, riguarda più specificatamente la storia della fabbrica, Luigi Fumi dice:

“L. Maitani nacque nel 1275. Aveva casa in Paganico. Nel 1310 va ad Orvieto par sostenere il carico di capomastro dei lavori del Duomo. Squadre di artefici teneva non solo a Siena, ma a Corneto, ad Amelia, Albano, e Roma; a Roma soprattutto, donde i marmi lavorati venivano per la via del Tevere fino ad Orte.

Ambasciatori di Perugia si recarono a richiederlo il 13 Luglio 1319. Esaminò la Rocca di Castel della Pieve. Si recò poi a Todi, dove una lunga e costante tradizione gli attribuisce la bellissima porta di S. Fortunato.

Andò a vedere il Duomo di Siena. L’ultimo ricordo del Maitani è del 2 Giugno 1330.” (L: FUMI

: “La facciata del Duomo di Orvieto” Archivio Storico dell’Arte Vol. II – fasc. 5 – 6; pag, 185-303; fasc. 8 – 9, pag. 327-338).

 

Per costruire il Duomo di Orvieto si andarono a cercare i marmi dei ruderi romani di Orvieto e dintorni, specialmente di Bolsena, e i marmi bianchi a oriente fino ad Amelia, ad occidente fino a Tarquinia e al litorale tirrenico, a ponente fino a Roma, ad Albano. Contemporaneamente a settentrione si cercavano marmi bianchi ed alabastri a Montepisi, fino a Carrara. Da Montespecchio, nel senese, vennero i marmi neri o verdastri.   Pagina successiva

Prof. Ettore Zolesi

Il Duomo di Orbetello: Saggio critico sulla facciata

Arte duomo Orbetello (Prof. Ettore Zolesi)

Facciata del duomo (foto Vinattieri Matteo)

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Basta aver visto quanto sopra ha detto il Fumi sulla vita del Maitani per arguirne il suo certo influsso sopra i lavori del Duomo di Orbetello. Anche per il fatto che a Tarquinia, a Perugia, a Todi, a Castel della Pieve noi vediamo delle opere che hanno decisamente subito l’influsso del grande maestro; e manco a farlo apposta, queste opere si rassomigliano, o in tutto o in parte, alla facciata del Duomo di Orbetello

Facciata del duomo (foto Vinattieri Matteo)

Ma, quasi a confermare ancor di più. la mia opinione il Fumi dice:

“Lo studio dei principi generali che ne informano l’architettura sarebbe ricco d’infinite osservazioni che ci richiamerebbero dalle chiese di Toscanella, dalle cattedrali di Corneto e di Civita Castellana, dal S. Francesco di Sutri, da S. Maria in Falleri e dalla Chiesa di Caste! S. Elia fino alla badia di S. Severo sotto Orvieto. (FUMI: “Orvieto” pag 1941).

A pag. 199 lo stesso autore dice:

“Nel Duomo di Orvieto troviamo i più belli elementi decorativi dei secoli precedenti, dai musaici ad intrecci di colore, agli ornati a nodi in rilievo dei maestri comacini, fino alla mirabile policromia geometrica dei cosmati.”

  Per quanto poi riguarda le notizie storiche circa i rifornimenti di materiale per il Duomo di Orvieto, il Funi ci fa una preziosissima elencazione, di cui riporto quello che più interessa alla mia indagine:

“Appartiene al 1337 l’andito (della facciata), Di archetti e di tavolette per l’andito si parla da questo medesimo anno. Per l’andito, per cornici e per decorazioni di cuspidi si fecero servire i marmi di Carrara, trasportati nel 1338 (archivio dell’opera Cam, 1338 – Giugno 19-21 Luglio 1, 17; Settembre 16:1339, Ottobre 19). Nel marzo 1360 il capomaestro mandò a prendere una soma di marmo a Bolsena (Archivio dell’Opera Cam. VI c. 68). Nell’anno 1368 si mandò in Roma a comprare marmo, fra cui sessanta pezzi di cercini (Archivio dell’Opera Memorie 1356 – 1381 c. 46), e a Corneto, a Montalto e a Roma stessa il capomaestro spedì maestro Paolo di Matteo che fecero acquisti ivi e fuori della città.”. (Archivio detto, Ivi).

Sin qui il Duomo di Orvieto.

Comincio ad analizzare il portale della facciata del Duomo di Orbetello.

Il portale è a sguancio profondo, composto da colonnine tortili, a punta di diamante e pilastrini con rosette. Il particolare più bello e che si fa notare subito è la fascia esterna che, ornata a tralci di vite intrecciata, gli fa da degna cornice. Nulla sappiamo del maestro che ha scolpito questa parte della Chiesa.

Portale e rosone della facciata (foto N. Musmeci))
Portale e rosone della facciata (foto N. Musmeci))

Cercando nella regione intorno ad Orbetello e nei monumenti precedenti al nostro, incominciamo a vedere una decorazione simile, ma più rozza, nell’arco del ciborio della Chiesa di S. Maria a Sovana, del secolo IX, il quale, a sua volta, deriva più specificatamente dal ciborio della Chiesa di S. Prospero a Perugia.

Altre decorazioni le vediamo nell’arco della porta dell’Abbazia di S, Robano, del secolo XII, all’Alberese; nelle decorazioni esterne della facciata della chiesa di San Pietro a Tuscania (di cui sono da notare le due figure antropomorfe poste alle estremità della vite, le quali sono simili alla figura umana posta alla base della fascia sinistra del portale di Orbetello, e alla figura di leone della parte a destra in alto della stessa fascia); nella fascia della porta della chiesa di S. Maria della Salute a Viterbo, del sec. XIII; nella fascia che decora la lunetta del portale della facciata di S. Benedetto a Norcia, del sec. XIV; e nelle decorazioni degli stipiti della porta del fianco della cattedrale di Città di Castello, del sec. XV.

Da ciò possiamo vedere che questo tipo di decorazione è particolare della zona della Toscana meridionale, del Lazio settentrionale e dell’Umbria occidentale; cioè della regione intorno ad Orvieto. E rimando qui alla nota storica fatta all’inizio di questo capitolo per vedere i diversi molteplici e continui legami che intercorrevano in questa zona, durante il XIII e XIV secolo.

Porta e rosone della facciata (foto N. Musmeci)

Altra prova, poi, è data dal fatto che questo tipo di decorazione, in questo periodo e nel secolo XV, non si trova nelle altre parti della Toscana senese, o sotto l’influsso di Siena, mentre un solo precedente l’abbiamo, come dice M. Salmi (“La scultura romanica in Toscana”, pagina 13 – F. 1928), soltanto nel cibori della chiesa di S. Prospero a Perugia e nella Basilica di S. Apollinare in Classe, a Ravenna con tutt’altra forma.     Pagina successiva

Prof. Ettore Zolesi