L’incoronazione di spine (Londra) di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: L’incoronazione di spine (Londra)

Hieronymus Bosch: L'incoronazione di spine (Londra)
Hieronymus Bosch: L’incoronazione di spine, cm. 73 x 59, National Gallery di Londra.

Sull’opera: “L’incoronazione di spine” è un dipinto autografo di Bosch, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1508-09, misura 73 x 59 cm. ed è custodito nella National Gallery di Londra.

 Da documentazioni certe si sa che in esame l’opera nel 1892 venne trattata nella “vendita” Hollingwood Magniac di Colworth. Più tardi pervenne in Italia dove vi sostò  fino al 1934. Per quanto riguarda l’autografia di Bosch, questa viene riconosciuta all’unanimità dagli studiosi di Storia dell’arte, fatta eccezione del Conway (1921) che sollevò alcuni dubbi.

Nella cronologia invece non c’è pieno accordo: Il Tolnay (1937, 1957) ed il Combe (1946, 1957) la collocano nel periodo maturo, dopo la realizzazione dell’ “Andata al Calvario” (150 x 94 cm., periodo 1505-07, Palazzo Reale, Madrid), mentre il Baldass (1943 – 1959) gli assegna un periodo a cavallo tra la maturità e la vecchiaia, per le varie similitudini plastiche e coloristiche con i riquadri del trittico dell’Epifania custodito al Prado (opera descritta nelle pagine successive).

Secondo Davies (catalogo del 1955) il riferimento può essere fatto al periodo giovanile, mentre il Linfert propone due ipotesi assolutamente contrastanti: per la stesura pittorica ed il morbido cromatismo potrebbero essere presi in considerazione sia il periodo iniziale che quello finale dell’artista.

Il Baldass, il Tolnay ed il Combe ci assicurano che la tavola in esame è una fra le prime “Passioni” in cui sono presenti grandi busti raffigurati in gruppo sul fondo (la prima in assoluto – sempre per i tre studiosi – sarebbe stata l’ “Incoronazione di spine”, una tavola ormai perduta di cui si possono ammirare le riproduzioni custodite nei musei di, Anversa, Berlino, Filadelfia, Londra).

Se alle ipotesi del Linfert viene stralciata la confusa datazione dell’opera, rimane un dato di fatto assolutamente sicuro, cioè un ritorno alle maniere concitate e angolari appartenenti alla prima maturità dell’artista, ma, analizzando con attenzione la composizione, ci accorgiamo di una nuova integrazione bivalente, centrifuga e centripeta, di grande e drammatica efficacia che –  oltre tutto – aiuta ad evidenziare contrasti interiori presenti nelle solenni figure, attraverso una coloristica tendente ai verdi, ed ai rosa, dalle tonalità cupe intorno al manto bianco di Gesù.

Trittico dell’Epifania di Madrid di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Il trittico dell’Epifania di Madrid

Sull’opera: Al “Trittico dell’Epifania di Madrid” appartengono una serie di dipinti autografi di Bosch, realizzati con tecnica a olio su tavola nel 1510. Il complesso pittorico è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Quello in esame è l’ultimo fra i grandi complessi a noi giunti (Madrid, Prado) del tutto integri. In esso vi sono raffigurati la “Messa di San Gregorio” (esterno), l’ “Adorazione dei magi” (riquadro interno), “San Pietro con il donatore” (anta sinistra) e Sant’Agnese con la donatrice” (Anta destra).

L’opera viene da alcuni identificata con quella esposta nella cappella Dolce Madre della cattedrale di ‘S-Hertogenbosch (da altri confusa con la cappella della Confraternita di Nostra Signora), ma secondo il Gramaye il trittico si trovava al Prado già nel 1610). Altre fonti [Pinchart, 1860] indicano che il duca d’Alba lo confiscò nel 1568 a Jean de Casembroot, presso Bruxelles, e lo donò a Filippo II. Questi lo fece trasferire all’Escorial nel 1574 (fonte: Justi, 1869).

A prescindere da tutto si sa per certo che l’opera si trova nel Museo del Prado dal 1839. Padre Sigùenca nel 1605 ricordava un “Epifania senza alcuna Stravaganza” e molto probabilmente si riferiva al presente complesso pittorico.

La firma dell’artista, la cui autografia risulta indiscussa fra gli esperti di storia dell’arte, compare nello scomparto centrale.

Per quanto riguarda la cronologia, le datazione ipotizzate dagli studiosi sono tra le più varie. Il Baldass (1917), in considerazione dei costumi, la riferisce ad un periodo antecedente alla prima maturità, intorno al 1490; il Demonts [1919] e il Friedländer [1927] la ritardano al 1495, mentre il Tolnay (1937) la porta al 1510 in considerazione degli stessi costumi a cui si riferiva il Baldass. Quest’ultimo, finalmente, nel 1959 approvava in pieno l’ipotesi del Tolnay.

I dipinti del trittico e loro descrizioni:

Esterno -ante chiuse, cm. 138 x 66, Prado, Madrid.

La messa di San Gregorio – esterno – ante chiuse, cm. 138 x 66.

Aperto -  anta sinistra (raffigurazione interna), cm. 138 x 33.

San Pietro e il donatore – aperto – anta sinistra (raffigurazione interna), cm. 138 x 33.

27 Bosch - Trittico dell'Epifania di Madrid

L’adorazione dei magi – interno – visione della parte centrale 138 x 72 cm. (con ante aperte)

 Sant'Agnese e la donatrice - aperto - anta destra

Sant’Agnese e la donatrice – aperto – anta destra (raffigurazione interna), 138 x 33 cm.

Trittico dell’Epifania – La messa di San Gregorio di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – La messa di San Gregorio

Trittico dell'Epifania - La messa di San Gregorio di Hieronymus Bosch del Prado
Trittico dell’Epifania – La messa di San Gregorio – esterno -ante chiuse, cm. 138 x 66., Museo del Prado a Madrid.

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Sull’opera: “La messa di San Gregorio” è un dipinto autografo di Bosch, facente parte della serie del “Trittico dell’Epifania” – raffigurazioni ante esterne – realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1510, misura 138 x 66 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Il dipinto in esame è raffigurato in un’unica soluzione nelle facce esterne degli scomparti laterali, visibile quando queste ultime sono chiuse.

La stesura pittorica è in grisaglia e il tema è la Messa di San Gregorio celebrata – dall’omonimo papa – davanti a un altare sul quale compare il sarcofago di Cristo.

L’immagine del Salvatore e le storie della Passione (scolpite sull’ampia cornice della pala), secondo il Tolnay, conferiscono vitalità a tutto il contesto, soprattutto per l’intensa preghiera del santo. Il Combe, sottoscrivendo le sensazioni del Tolnay, aggiunge che il Golgota raffigurato in alto – fuoriuscendo dai limiti della cornice – amplifica l’energia vitale.

Con un andamento alternante – da sinistra a destra e dal basso verso all’alto –  sono descritte le varie scene della Passione:  la “Preghiera di Gesù sul monte degli Ulivi”, la “Cattura di Gesù”, “Cristo al cospetto di Pilato”, la “Flagellazione”,  l’ “Incoronazione di spine”, l’ “Andata al Calvario” (dove appare la Veronica che porge il velo), la “Crocifissione”. Quest’ultima è arricchita da altre scene minori, come il borghese che porta il bambino ad assistere all’orribile spettacolo del Giuda impiccato, o del demone che porta via la croce del crudele ladrone.

Secondo il Combe lo stile richiamerebbe, con più forza, le pitture – sempre in grisaglia – del “Trittico delle tentazioni” e del “S. Giovanni a Patmos” (Ehemals Staatliche Museen, Berlino-Dahlem). La Brand-Philip legge l’incarnazione dei peccati nelle stazioni della Passione come una sorta di forte contrasto con la “Messa” raffigurata all’interno del trittico. I sette peccati capitali vengono così elencati dalla studiosa: Accidia, Ira, Superbia, Lussuria, Gola (le figure attorno alla Flagellazione ed quelle dell’Incoronazione di spine), Invidia (il crudele ladrone), Avarizia (lotta per tenersi la tunica di Gesù Cristo).

Il Tolnay, invece, dà un’interpretazione alquanto diversa asserendo che la “Messa di papa Gregorio” prelude a quella dell’epifania raffigurata nell’interno.

Trittico dell’Epifania – Sant’Agnese e la donatrice di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – Sant’Agnese e la donatrice

Hieronymus Bosch: Trittico dell'Epifania - Sant'Agnese e la donatrice
Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – Sant’Agnese e la donatrice – anta destra (raffigurazione interna), 138 x 33 cm. Museo del Prado, Madrid.

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Sull’opera: “Sant’Agnese e la donatrice” è un dipinto autografo di Bosch, facente parte della serie del “Trittico dell’Epifania” – raffigurazione interna dell’anta destra – realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1510, misura 138 x 33 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Il dipinto si trova sulla faccia interna dello scomparto a destra, visibile con anta aperta. In esso vi sono raffigurati S’Agnese e la donatrice, identificata dal Lafond  in Agnese Bosshuyse, in relazione allo stemma di famiglia.

In secondo piano appare l’agnello, simbolo della santa, vicino al “bastone del Buon Pastore”, rappresentante la difesa dell’umanità dal male, che a sua volta è simboleggiato dal lupo e dall’orso che aggrediscono i viandanti nello sfondo.

Trittico dell’Epifania – San Pietro e il donatore di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – San Pietro e il donatore

Hieronymus Bosch: Trittico dell'Epifania - San Pietro e il donatore
Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – San Pietro e il donatore –   anta sinistra (raffiguraz. interna), cm. 138 x 33. Museo del Prado a Madrid.

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Sull’opera: “San Pietro e il donatore” è un dipinto autografo di Bosch, facente parte della serie del “Trittico dell’Epifania” – anta sinistra, raffigurazione interna – realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1510, misura 138 x 33 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Il dipinto è steso sulla faccia interna dell’anta sinistra, visibile quando questa è aperta, e raffigura San Pietro con il donatore inginocchiato.

Lo stemma di famiglia permette l’identificazione quest’ultima figura con Pietro Bronckhorst (Lafond, 1914). Sopra l’emblema araldico si legge la frase “Een voer al” che tradotta in italiano significa “Uno per tutti”.

In secondo piano appare San Giuseppe che, sotto una precaria tettoia sistemata sulla facciata interna d’un edificio pagano (secondo la Brand-Philip si tratta invece del distrutto palazzo di Davide o Salomone), vicino ad un fuocherello, fa asciugare i panni del bambino. Un tema quest’ultimo di primitiva ingenuità che per il Tolnay è frequente nella pittura di van Eyck.

Il rospo raffigurato in equilibrio sulla chiave di volta della porta, la danza paesana alla note della cornamusa, i diavoli che spuntano fra i piedritti, simboleggerebbero il male persistente nel mondo.

Trittico dell’Epifania – L’adorazione dei magi di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania – L’adorazione dei magi

Hieronymus Bosch: Trittico dell'Epifania - L'adorazione dei magi
Hieronymus Bosch: Trittico dell’Epifania –  L’adorazione dei magi – interno – visione della parte centrale 138 x 72 cm., Museo del Prado a Madrid.

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Sull’opera: “L’adorazione dei magi” è un dipinto autografo di Bosch, facente parte della serie del “Trittico dell’Epifania” – raffigurazione centrale interna – realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1510, misura 138 x 72 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.

Il dipinto in esame si trova nello scomparto centrale ed è l’unico che reca la firma dell’artista, scritta in basso a sinistra: “Jheronimus bosch”.

La scena principale, che si svolge sotto la tettoia sostenuta da un esile ramo d’albero, accanto ad una logora capanna, richiama – come tutto l’insieme della presente composizione – l’ “Adorazione dei pastori” (Museo di Digione) del ‘Maestro di Flémalle’, dove la Madonna tiene solennemente il Bambino in piedi sulle ginocchia (fonti: Tolnay e Schubert-Soldern in “Von van Eyck bis Bosch”, 1903). Davanti a lei stanno Baldassare inginocchiato, Melchiorre e Gaspare – il re moro – accompagnato da una giovane serva negra. Alla Vergine viene offerto un gruppo d’arte orafa col “Sacrificio di Isacco” che richiama il sacrificio di Cristo (per l’appunto il pregiato oggetto schiaccia con tutto il suo peso i rospi (simboli dell’eresia).

Il ricamo abbastanza evidente del manto di Melchiorre, che raffigura la “Visita a Salomone” della regina di Saba, rappresenta – secondo il Tolnay ed il Combe – il viaggio dei Magi a Betlemme tratto dalla “Biblia pauperum”.

La boccia di mirra che Gaspare reca tra le mani può essere interpretata con i tre eroi nell’atto di chiedere l’acqua a Davide (preconio dell’Epifania), mentre il pellicano che la sormonta rappresenterebbe il Salvatore.

A proposito del re moro, il Combe pensa un ad una sua valenza alquanto ambigua e cioè: persistenza del male o conversione dell’eretico.

La figura che appare sulla soglia della capanna – con manto scarlatto che lascia scoperte gran parte delle nudità, turbante circondato da spine con sopra un verde ramoscello, catena d’oro da prigioniero, gamba piagata – rappresenta per il Tolnay la Passione di Cristo, il Messia giudaico (“Isaia”, LIII, 3-4), mentre per il Combe simboleggia l’eresia che spia i fedeli; per il Fraenger, Adamo come testimone del miracolo dell’Epifania. La Brand-Philip la interpreta invece come il Messia giudaico malato di lebbra e trasfigurato nell’Anticristo, con gli emblemi parodistici della “Passione” e dei miracoli.

La stessa studiosa vede la capanna come sinagoga in cui i cattivi pastori spiano da dietro il muro e dal tetto.

Cristo porta-croce (Gand) di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Cristo porta-croce (Gand)

Hieronymus Bosch: Cristo porta-croce (Gand)
Hieronymus Bosch: Cristo porta-croce, cm. 76,5 x 83,5, Musée des Beaux arts, Gand.  (particolare 1particolare 2)

Sull’opera: “Cristo porta-croce” è un dipinto autografo di Bosch, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1515-16, misura 76,5 x 83,3 cm. ed è custodito nel  Musée des Beaux arts, Gand.

Quella in esame è l’opera più sconcertante e probabilmente l’ultima realizzata dal Bosch. La tavola si trova nell’attuale sede dal 1902, dopo che fu acquistata da Hulin de Loo. Entrata nel museo gli furono arrotondati leggermente gli angoli e fu sottoposta – nel biennio 1056-57 – ad un accurato restauro.

L’autografia dell’artista non ha mai suscitato alcun dubbio, come pure la tarda cronologia (salvo la perplessità del Puyvelde che nel 1962 si pronunciò ad un assegnazione relativa al primo periodo, e del Combe che l’avvicinò al “Trittico delle delizie”).

Secondo il Baldass (1959) il “Cristo portacroce” è una delle ultime opere di Bosch, mentre per il Tolnay (1937 – 1975), l’ultima. Secondo la maggior parte degli esperti di storia dell’arte la realizzazione della tavola, in rapporto al pacato e disteso linguaggio del Sant’Antonio del Prado e dell’Epifania – entrambe datate 1910 – è certamente a queste posteriore.

La caratteristica di questo straordinario dipinto è la presenza di sole teste che levitano attorno all’asse obliquo della croce, nella quale il Tolnay scorge nel volto del Redentore uno straziante sogno sul destino dell’umanità, ma non solo: un fragile punto di incontro fra comicità e orrore, che nella dottrina di Freud è tipico delle visioni oniriche, permea tutta la composizione.

Il Trittico delle tentazioni di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Il trittico delle tentazioni

Hieronymus Bosch: Il trittico delle tentazioni
Hieronymus Bosch: Il trittico delle tentazioni (foto da Wikimedia Commons), nel Museu Nacional de Arte Antiga a Lisbona.

Opera successiva

Sull’opera: Il “Trittico delle tentazioni” è complesso di dipinti, autografi di Bosch, realizzati con tecnica a olio su tavola nel 1503-04. Il complesso è custodito nel Museu Nacional de Arte Antiga a Lisbona.

Le misure sono:  La cattura di Cristo, 131,5 x 53; La Veronica, 131,5 x 53; Il volo e la caduta di Sant’Antonio, 131,5 x 53; Le tentazioni di Sant’Antonio, 131,5 x 119; La meditazione di Sant’Antonio, 131,5 x 53.

Il complesso in esame, in ordine cronologico, è il terzo dei grandi trittici boschiani che ci pervengono totalmente per intero.

Il tema è relativo alle “tentazioni” di S. Antonio, descritto dall’artista attraverso una forma ormai consolidata nel mondo artistico del tempo e ben recepita in una società tardo-medioevale, assillata dalla convinzione che il mondo fosse dominato dal diavolo, e che l’uomo subisse continuamente i contrasti dell’anima.

Secondo una tradizione priva di documentazioni, alcuni critici – tra i quali il Bax (1949) e il Viera Santos (“BMNA”, 1958), a cui seguì una comunicazione epistolare (1966) del direttore  del Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona – il trittico fu acquistato nella prima metà del Cinquecento (1523 – 1545) dal portoghese Damiao de Góis, un noto umanista del periodo. Altre supposizioni suffragate da incerti documenti portano ad identificare un riquadro dell’opera con una delle tre Tentazioni fatte pervenire all’Escorial nel 1574 da Filippo II [fonte: Justi, 1889], che più tardi lo stesso sovrano avrebbe fatto trasmigrare in Portogallo. Documentazioni certe invece assicurano che Filippo II aveva forti interessi per le opere pittoriche fiamminghe, che si procurava proprio a Lisbona (fonte: Vieira Santos).

Le prime documentazioni attendibili segnalano che intorno 1850 il complesso pittorico in esame si trovava nel palazzo Ayuda (Real Palàcio das Necessidades). Qui Ferdinando II, non contento dello stato di conservazione della stesura pittorica, decise di inviarlo in Germania per farlo sottoporre ad un accurato restauro, che purtroppo – a causa di una spessa vernice, forse anche poco compatibile con la stesura originale – ne rese bituminose le superfici. Queste furono ripulite nel 1911, dopo che l’opera era pervenuta al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, donata da Manuel II di Braganza (1889-1932).

In occasione della mostra del 1958 ad Amsterdam, il complesso subì un nuovo restauro.

Per quanto riguarda l’autografia del Bosch tutti gli studiosi di storia dell’arte sono d’accordo ad assegnargliela, mentre per la cronologia le ipotesi sono più contrastanti, mantenendosi comunque in un periodo abbastanza ristretto con una confluenza generica nel biennio 1503-04.

La firma dell’artista è riportata in basso a sinistra nel riquadro centrale. Moltissime sono le copie del trittico in oggetto che, tra le migliori, se ne contano dalle 15 alle 20 (elencate dal Friedländer) sparse nei vari grandi musei (Bonn, Bruxelles, Madrid, Rotterdam, Anversa …).

Lo stile del Bosch nel trittico in esame arriva a uno dei livelli più intensi, per la delicatezza di un tocco comunque fortemente espressivo, per la suggestiva fermezza cromatica, per addolcimento della linearità gotica integrata con un incedere più largo e calmo della forma.

Descrizione delle opere e raffigurazione dei particolari:

Raffigurazioni esterne delle ante: "Cattura di Cristo" e "Veronica"

Raffigurazioni esterne delle ante: “Cattura di Cristo” (131,5 x 53 cm.) e “Veronica” (131,5 x 53 cm.).

Raffigurazione nell'interno dell'anta sinistra (anta sinistra aperta): Il Volo e la Caduta di Sant'Antonio

Raffigurazione nell’interno dell’anta sinistra (anta sinistra aperta): Il Volo e la Caduta di Sant’Antonio, 131,5 x 53 cm.

Raffigurazione nello scomparto interno centrale: Le tentazioni di Sant'Antonio

Raffigurazione nello scomparto interno centrale: Le tentazioni di Sant’Antonio, 131,5 x 119 cm.

Raffigurazione nell'interno dell'anta destra (anta destra aperta): La meditazione di Sant'Antonio

Raffigurazione nell’interno dell’anta destra (anta destra aperta): La meditazione di Sant’Antonio, 131,5 x 53 cm.

Trittico delle tentazioni

Particolare delle Tentazioni, di Sant’Antonio.

21 Bosch - Trittico delle tentazioni

Particolare delle Tentazioni, di Sant’Antonio.

Trittico delle tentazioni, Particolare delle tentazioni, cm. 32 22 Bosch - Trittico delle tentazioni

Particolare delle Tentazioni, di Sant’Antonio.

Particolare del Volo e Caduta di Sant'Antonio

Particolare del Volo e Caduta di Sant’Antonio.

23 Bosch - Trittico delle tentazioni

Particolare del Volo.

24 Bosch - Trittico delle tentazioni

Particolare delle Tentazioni.

Particolare della Meditazione

Particolare della Meditazione.

Particolare della Meditazione

Particolare della Meditazione N 43 E.

Particolare delle Tentazioni

Particolare delle Tentazioni.

San Giovanni Battista in meditazione di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: San Giovanni Battista in meditazione

Hieronymus Bosch: San Giovanni Battista in meditazione
Hieronymus Bosch: San Giovanni Battista in meditazione, cm. 48,5 x 40, Museo Lazàro-Galdiano, Madrid.

Sull’opera: “San Giovanni Battista in meditazione” è un dipinto autografo di Bosch, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1504-05, misura 48,5 x 40 cm. ed è custodito nel Museo Lazàro-Galdiano a Madrid.

Secondo il Baldass (scritti 1943 e 1959) la tavola – alla quale furono segate due fasce laterali di circa 15 cm. – avrebbe fatto parte di un complesso pittorico a cui sarebbe appartenuto anche il “San Giovanni a Patmos”, attualmente custodito negli Staatliche Museen a Berlino). Ipotesi questa non condivisa dal Tolnay (1965, ma anche nel 1937, già prima della proposta del Baldass) per le evidenti differenze di fattura e, soprattutto, di stesura pittorica fra le due opere, considerando anche il fatto che la presente tavola è stata dipinta in una sola facciata.

Per quanto riguarda l’autografia dell’artista, questa è ormai universalmente accettata da tutti gli studiosi di Storia dell’arte, mentre la cronologia assegnatagli – assai differenziata – oscilla intorno al decennio 1490-1505, ma studiosi autorevoli propongono la datazione 1504-05. Come sopra accennato, il Baldass la colloca nello stesso periodo del “S. Giovanni a Patmos” (1504-05); il Combe (1946 e 1957), avvicinandola al trittico delle delizie, ipotizza il biennio 1504-1505; il Tolnay, pensando allo stesso periodo del Baldass, la riferisce alla Pala degli Eremiti ed al S. Cristoforo di Rotterdam; anche il Bax (1949), rilevandoci similitudini con il “Trittico delle delizie” gli assegna lo stesso biennio.

Tutti i citati studiosi hanno in comune la tendenza a collocarla verso l’estremo più tardo da loro ipotizzato.

La Cattura di Cristo e la Veronica di Hieronymus Bosch

Hieronymus Bosch: Trittico delle tentazioni – La Cattura di Cristo e la Veronica

Hieronymus Bosch: Raffigurazioni esterne delle ante: "Cattura di Cristo" e "Veronica"
Hieronymus Bosch: Raffigurazioni esterne delle ante: “Cattura di Cristo” e “Veronica” (entrambi 131,5 x 53 cm.).(foto da Wikimedia Commons).

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Sulle opere: La “Cattura di Cristo” e Veronica sono due dipinti autografi di Bosch, facenti parte della serie del “Trittico delle tentazioni” – ante, parti esterne – realizzati con tecnica a olio su tavola nel 1505-06, misurano entrambi 131,5 x 53 cm. sono custoditi nel Museu Nacional de Arte Antiga a Lisbona.

 I due dipinti sono stati realizzati in grisaglia. La “Cattura “è raffigurata nell’anta sinistra, mentre la “Veronica” – titolo derivato dal nome della donna che porge il velo a Cristo – è dipinta nello scomparto di destra. Entrambi i dipinti sono sulla faccia esterna delle ante.

LA CATTURA DI CRISTO

Secondo il Baldass (1959), l’episodio in esame e quello della Veronica sono stati inquadrati in una specie di “finestra archiacuta” su fondo bruno, probabilmente ridipinto. Questa particolarità può essere suffragata da come si presenta la copia di Bruxelles che riflette forse la forma originaria, dove – al posto di questo tondo – reca un’incorniciatura architettonica. La struttura compositiva è ripartita su due piani principali: un “primo” – alquanto spoglio – dove è raffigurato S. Pietro nell’atto di tagliare l’orecchio a Malco, e un “secondo” completamente affollato dai soldati disposti attorno a Gesù Cristo. Sotto, sulla sinistra, appare la figura di Giuda mentre si allontana con il denaro del tradimento. Sopra un’altura, nel fondo sulla destra, compare il calice, che – secondo il Tolnay – simboleggia la sofferenza di Cristo sul monte degli Ulivi. Il paesaggio – enfatizzato dalla grigia tonalità – appare quasi lunare e sembra  – secondo il Combe – anticipare le pitture di van Goyen e van der Neer [Combe].

LA VERONICA

Veronica è la ragazza che porge il velo a Gesù sofferente per asciugargli il viso. In primo piano appaiono due ladroni: quello buono (sotto), che accetta di essere confessato, e quello cattivo (sopra sulla destra), bendato che non vuole il conforto della fede (la benda sugli occhi, infatti, simboleggia la sua cecità morale). Sopra le due scene viene raffigurato il gruppo che segue il “Cristo portacroce” (altro simbolo, questo, che indica l’incoscienza dell’uomo), dove spicca – sulla destra – la figura del pinguo borghese che porta il figlioletto (o forse due) ad assistere alla drammatica scena. Il cattivo esempio dato ai bambini è una tematica assai cara agli umanisti del periodo. Sullo stile di entrambe le raffigurazioni in esame – ma soprattutto su quello della Veronica – il Tolnay richiama la pitturadei manieristi di Anversa negli anni che seguirono la morte di Bosch. Inoltre lo stesso studioso evidenzia vari pentimenti nelle figure dei confessori e del cattivo ladrone, che aiutano capire meglio il processo creativo dell’artista.