La Cena in Emmaus di Pontormo

La Cena in Emmaus di Pontormo

La Cena in Emmaus di Pontormo
Pontormo: Cena in Emmaus, cm. 230 x 173, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Sull’opera: “Cena in Emmaus” è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1525, misura 230 x 173 cm. ed è custodito nella Galleria degli Uffizi, Firenze. 

Il Vasari ne “Le Vite” non si limita a citare l’opera ma la elogia con enfasi: “senza punto affaticare o sforzare la natura”, “avendo […] ritratto alcuni conversi di que’ frati, i quali ho conosciuto io, in modo che non possono essere ne più vivi ne più pronti di quel che sono”.

La grande tela fu commissionata per essere destinata alla dispensa o alla foresteria della Certosa del Galluzzo – dove probabilmente fu esposta – quindi, a seguito delle soppressioni dei conventi, pervenne all’Accademia, e più tardi all’odierna sede.

Sul pavimento, ai piedi del pellegrino ubicato sulla destra, c’è un cartiglio in cui compare la data 1525″ che corrisponde a quella in cui venne effettuato un pagamento, come dimostra un documento che mette in relazione l’opera con il Pontormo e la committenza.

Anche qui, come nella “Madonna col Bambino“, il Pontormo prende alcuni spunti da una stampa di Dürer, la cui “semplice” tavola – dove prevale un impianto prospettico tipico del Quattrocento – viene certamente integrata con più raffinato astrattismo, tanto da far apparire un Cristo alquanto idealizzato, come pure le longilinee figure dei due discepoli al suo fianco che sembrano improvvisamente materializzarsi dal nulla.

Ritratto di Niccolò Ardinghelli del Pontormo

Il Pontormo: Ritratto di Niccolò Ardinghelli

19 Pontormo - Ritratto di Niccolò Ardinghelli
Niccolò Ardinghelli, cm. 102 x 79, National Gallery of Art, Washington.

Sull’opera: “Niccolò Ardinghelli” è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, realizzato con tecnica ad olio su tavola nel 1540-43, misura 102 x 79 cm. ed è custodito nella National Gallery of Art a Washington. 

La tavola in esame, erroneamente considerata per molto tempo con il titolo “Monsignor della Casa”, viene citata ne “Le Vite” del Vasari come opera realizzata dal Pontormo, nella quale compare il ritratto del “vescovo Ardinghelli, che poi (1543) fu cardinale”.

In precedenza l’Ardinghelli (nato intorno al biennio 1502-03) fu canonico di S. Maria del Fiore (cui si presenta lo sfondo del presente dipinto) e quindi, vescovo. L’opera pervenne al marchese Bargagli di Firenze; più tardi, nel 1909, passò al parigino Trotti, poi fu trasferita a New York dove venne acquistata nel 1952 dalla collezione Kress.

L’identificazione della presente tavola con quella citata dal Vasari venne messa in dubbio, perciò – come sopra accennato – fu confusa con il ritratto di “Monsignor della Casa”, tanto che venne più tardi ascritta a Sebastiano del Piombo.

Nel 1946 il Suida optava un attribuzione tra il Pontormo ed il Bronzino (“GBA”, 1946), considerandola cronologicamente realizzata intorno al 1541-44, ma erroneamente identificandola nel “Monsignor Della Casa” che all’epoca si era recato a Firenze.

La proposta del Suida, relativa al Pontormo, venne accolta alla mostra dell’artista allestita nel 1956.

Qualche anno più tardi, nel 1964, anche Janet Cox Rearick accolse tale ipotesi, accettando però l’originale identificazione nella persona del  vescovo Ardinghelli. Un disegno preparatorio del ritratto si trova custodito agli Uffizi di Firenze.

La Sacra conversazione di Pontormo

Il Pontormo: La Sacra conversazione

 Pontormo - Sacra conversazione
Sacra conversazione, cm. 223 x 196, SS. Annunziata di Firenze

Sull’opera: “Sacra conversazione” è un affresco di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, realizzato 1514, misura 223 x 196 cm. ed è custodito nella chiesa della Annunziata di Firenze.

In precedenza l’affresco era ubicato sull’altare laterale di destra della cappella di S. Luca nella chiesa di S. Raffaello (Vulgo, S. Ruffillo).

Poco prima della demolizione dell’edificio, che avvenne nel 1823, l’opera fu staccata e trasferita nella sede attuale. Non si sa che fine abbia fatto la lunetta in alto con il “Dio Padre e serafini”, di cui parla “Le Vite” del Vasari.

Il delicato passaggio fu eseguito con la tecnica della preventiva armatura della parte di muro contenente l’affresco, e quindi, il relativo trasporto.

Il 4 novembre 1966 ci fu il disastroso alluvione fiorentino che fece scempio di numerosissime opere d’arte e, in occasione di questo triste evento si pensò di mettere a riparo da futuri disastri naturali le opere più esposte a rischi di vario genere, quindi, pochi mesi più tardi, si si procedette allo strappo dell’affresco.

Sotto la stesura pittorica del Pontormo fu rinvenuta un’antica sinopia – probabilmente di Raffaellino del Garbo – raffigurante una Madonna circondata da quattro santi (“Affreschi di Firenze” di Baldini, 1971).

Tale sinopia, secondo gli studiosi, pare verosimilmente vergine e che non avesse quindi subito la benché minima traduzione in affresco. In ogni modo il Pontormo ci dipinse sopra la sua “Sacra Conversazione” raffigurante la Madonna col Bambino, Santa Lucia, Sant’Agnese (dubbia), San Zaccaria e San Michele Arcangelo, senza eseguire la preventiva sinopia ma impiegando la tecnica del cartone, del quale sono ben evidenti i tratti d’incisione.

Per quanto riguarda la cronologia dell’opera, Clapp ipotizzava l’anno 1513, mentre il Foster la datava 1513-14. Appare invece assai più verosimile l’ipotesi che i commissionari avessero scelto il Pontormo soltanto dopo aver saputo del clamoroso successo ottenuto con l’arme dell’Annunziata (1513-14), dove si evidenziò il deciso stacco dell’artista dalla pittura di Andrea del Sarto.

La Natività del Battista di Pontormo

Il Pontormo: La Natività del Battista

Natività del Battista, diam. cm. 54, Galleria degli Uffizi, Firenze
Natività del Battista, diam. cm. 54, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Sull’opera: “Natività del Battista” è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, realizzato con tecnica ad olio su tavola nel 1526, misura 54 cm. di diametro ed è custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze. 

Pare che l’opera in esame, in origine, servisse come desco da parto.

Non si conosce con sicurezza gran parte della storia ma sul retro sono riportati gli stemmi della Casa Tornaquinci che hanno fatto presupporre un riferimento alla nascita di Aldighieri avvenuta nel 1526 (Becherucci, 1944). La partoriente Lisabetta di Giovanni Tornaquinci si era sposata con Girolamo  Della Casa nel 1521.

Non tutti gli studiosi accettarono il riferimento ad Aldighieri Della Casa, tanto che Janet Cox Rearick, per motivi stilistici, ritardò la cronologia del dipinto riferendola al 1529 (non troppo verosimile a causa della carestia che colpì Firenze in quell’anno in seguito all’assedio, per cui è impensabile il lusso di deschi da parto decorati).

Shearman (Andrea del Sarto, 1965) invece mette in evidenza come la tavola attinga dalle varie tematiche, soprattutto quella della coadiuvante con il neonato tra le braccia, che viene rappresentata nella “Nascita del Battista” di Andrea del Sarto in un affresco del chiostro dello Scalzo a Firenze portato a termine intorno al 1526. Perciò quella del Pontormo si potrebbe considerare come opera di subitanea competizione con quella di Andrea del Sarto.

L’Annunciazione della Cappella Capponi di Pontormo

Il Pontormo: L’Annunciazione della Cappella Capponi

Pontormo - Decorazione Cappella Capponi
Decorazione della Cappella Capponi – L’Annunciazione, cm. 368 x 168, Santa Felicita, Firenze. Particolare della Madonna

Sull’opera: “L’Annunciazione” è un affresco autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, appartenente al ciclo della decorazione della Cappella Capponi, realizzato intorno al biennio 1527-28, misura 368 x 168 ed è custodito nella nella chiesa di  Santa Felicita a Firenze. 

L’affresco fu strappato dalla sua sede nel 1967 e venne esposto in una mostra itinerante dedicata agli “Affreschi toscani” (Baldini Affreschi da Firenze, 1971). Alcuni disegni preparatori sono custoditi agli Uffizi di Firenze.

La Deposizione di Pontormo

La Deposizione di Pontormo: Decorazione della Cappella Capponi

Decorazione della Cappella Capponi - La Deposizione di Pontormo, cm. 313 x 192, Santa Felicita, Firenze
Decorazione della Cappella Capponi – La Deposizione, cm. 313 x 192, Santa Felicita, Firenze.

Sull’opera: “La Deposizione” è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, appartenente al ciclo della decorazione della Cappella Capponi, realizzato con la tecnica a olio su tavola intorno al triennio 1526-28; misura 313 x 192 ed è custodito nella nella chiesa di  Santa Felicita a Firenze. 

L’opera in esame venne sottoposta ad un consistente restauro nel 1934-35. La ricca cornice che ulteriormente la impreziosisce è ancora quella originale.

Nella figura ubicata nella zona estrema di destra il Clapp vi identifica Ludovico Capponi (data di nascita: 1482) ma molti studiosi, tra cui Berti, ipotizzano un autoritratto del Pontormo.

Alcuni disegni preparatori sono custoditi a Firenze (Uffizi), ad Oxford ed a Londra (British Museum).

Il San Luca della Cappella Capponi di Pontormo

Il Pontormo: San Luca della Cappella Capponi

Decorazione della Cappella Capponi - San Luca della Cappella Capponi, diam.  cm. 70, Santa Felicita, Firenze
Il Pontormo: Decorazione della Cappella Capponi – San Luca, diam. cm. 70, Santa Felicita, Firenze

        Sull’opera: “San Luca” è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, appartenente al ciclo della decorazione della Cappella Capponi, realizzato con la tecnica ad olio su tavola intorno al 1526; ha un diametro di 70 ed è custodito nella nella chiesa di  Santa Felicita a Firenze.

Citazioni e critica al Pontormo

Citazioni e critica al Pontormo (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Quello che gli studiosi della Storia dell’arte hanno detto di Pontormo:

Ne creda niuno che lacopo sia da biasimare, perché egli imitasse Alberto Duro nell’invenzioni, perciocché questo non è errore, e l’hanno fatto e fanno continuamente molti pittori : ma perché egli tolse la maniera stietta tedesca in ogni cosa, ne’ panni, nell’aria delle teste e l’attitudini; il che doveva fuggire, e servirsi solo dell’invenzioni, avendo egli interamente con grazia e bellezza la maniera moderna.   G. vasari, Le vite, 1568

[…] in somma è questa pittura [coro di S. Lorenzo] di Giacopo mirabile per colorito, nobile per disegno, et rarissima per rilievo; et se a queste doti, onde divengono le figure oltra l’altre maravigliose, fosse aggiunta l’ottima imitazione, sarebbe l’opera di vero senza pari. Perché esser non puote, mentre chi si mira quello, che è dipinto, attentamente, che si accordi l’animo, che così sia verisimile, che passi la bisogna del fatto ; la qual cosa conceputa nel pensiero, cade poscia il tutto dal vero, et riputato vano, si tiene a vile, et a nessun modo si apprezza. Et certamente se havesse imitato in guisa conforme al verisimile, leggendo nelle Sacre lettere, et recandosi nella mente, come potè di vero il fatto avvenire, sì come di Andrea del Sarto si è detto, havrebbe Giacopo agguagliato il valore de’ più chiari artefici, et per avventura superato.   F. bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza. 1591

II Pontormo diede in un eccesso di melanconia, e per fare al naturale quelle figure del Coro di San Lorenzo state sotto l’acque del Diluvio, teneva i cadaveri ne’ trogoli d’acqua per farli così gonfiare, ed appestar dal puzzo tutto il vicinato.   G. cinblli, Le bellezze della città di Fiorenza, 1677

Alle pareti del Coro [di S. Lorenzo] veggonsi due storie a fresco di Jacopo da Pontormo : una del Diluvio universale e l’altra della Resurrezione de’ morti. Impazzò, par che accenni il Vasari, prima che ne staccasse il pennello, avviluppandosi in considerar troppo al vivo, e ridurre all’atto di espression naturale, le qualità di quei malinconici e funesti accidenti, che in vero gli scorci sono stravaganti e le attitudini sconvolte.    F. L. del migliore, Firenze città nobilissima illustrata, 1684

Quivi [in S. Lorenzo] aveva voluto emular Michelangelo, e restare anch’esso in esempio dello stile anatomico, che già cominciava in Firenze a lodarsi sopra ogni altro. Ma egli lasciò ivi ben altro esempio; e solamente insegnò a’ posteri che il vecchio non dee correre dietro alle mode.   L. lanzi, Storia pittorica dell’Italia, 1789

Michelagnolo, nel vedere qualche opera di questo giovinetto, profetizzò che costui porterebbe la pittura al cielo: profezia come tante profezie. Riuscì un sofistico, scontento di se stesso, cambiava sempre stile, disfaceva, rifaceva, ed era sempre fuori di strada. Lavorò sul gusto di Alberto Duro. D’un carattere selvaggio e bizzarro, si fece fabbricare una casetta, in cui entrava per la finestra, e poi tirava dentro la scala. Non volle lavorare per il Duca, e fece quadri che diede ai muratori per pagamento. Tolse al Salviati l’impresa della cappella di San Lorenzo : vi lavorò dodici anni, cancellando, leccando, disfacendo, rileccando: finalmente scopertosi il capo d’opera, fu magnificamente urlato.   F. milizia, Dizionario delle belle arti del disegno, 11, 1797

[…] Ma che direbbe egli mai [il Vasari, a proposito del Pontormo], se tornasse al mondo oggi, che la tedescheria, così nelle arti come nella filosofia, e in ogni altra cosa, ha sì invasato i nostri intelletti, che ci andiamo perfino privando di quel dolce canto italiano, che nell’anima si sente, per essere noiati delle astruserie delle musiche tedesche!  F. ramalli, Storia delle Belle Arti in Italia, 1845

[…] il colorito di queste tavole [le ‘storie’ Bor-gherini di Henfield] è rossastro e di tono basso, manierato il disegno ; difettose sono le proporzioni ed affettate le mosse. Questi caratteri indicherebbero il pennello del Pontormo.  G. B. cavalcaselle [-J. A. crowe], Storia della pittura in Italia, 1866 (ed. it. XI, 1908)

[…] le lodi date a questa pittura [la Cena in Emmaus] sono veramente eccessive: questo elevato soggetto è trattato così ignobilmente e con un naturalismo così triviale, che la fa venire in fastidio.  G. milane, in le vite del Vasari 1881

Quando, nelle prime ore di una mattina di alcuni anni fa, entrai nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, non sapevo di muovere il primo passo in una dirczione che da allora ha invece impegnato ogni mio momento libero. Era un giorno d’autunno e pensavo — mi sembra di rivivere quel momento – che in una giornata così bella mi sarebbe stato possibile vedere una pala d’altare che invano avevo spesso cercato di decifrare nell’oscurità della cappella Capponi. Non mi ingannavo, infatti. La luce che irrompeva dalle finestre più alte della navata cadeva anche su quell’angolo così oscuro: e in quel fuggevole splendore vidi veramente per la prima volta la Deposizione del Pontormo. Fu il momento di una rivelazione inattesa. Mentre studiavo il quadro in un lieto stupore, mi andavo rendendo conto non solo della sua bellezza, ma anche della cecità con cui avevo accettato il pregiudizio di quelli che considerano Andrea del Sarto l’ultimo dei grandi artisti fiorentini, e che pensano che tutti i suoi contemporanei più giovani siano nell’insieme solamente dei futili eclettici la cui opera si riassume tutta negli affreschi del Vasari in Palazzo Vecchio.  F. M. clapp, Pontormo, 1914

La rigogliosa pianta dell’arte toscana, che per vari secoli aveva dato tanti frutti così squisiti e variati, dopo aver offerto i suoi due più meravigliosi doni, Leonardo e Michelangiolo, si avviava all’esaurimento ; tra i tardi prodotti ancora molto gustosi ma già alquanto grami va mentovato per primo il Pontormo […].   C. gamba, 11 Pontormo, 1921

In questo periodo del Cinquecento fiorentino, che, nonostante i sintomi di decadenza, attrae per l’intensa attività di ricerca e la forte impronta personale degli ingegni del Pontormo, del Rosso, del Bronzino, il primo, più di tutti complesso, porta, nei suoi tentativi di piegare ad espressioni nuove la linea e il colore, l’audacia e lo slancio del genio. La banalità del gusto, la monotonia del livello artistico, la mancanza di passione, che han reso sinonimo di mestiere, più che d’arte, il vocabolo di manierismo, non sono ancor proprie dei giorni in cui viveva il Pontormo, sebbene anche in lui, nel suo eccesso medesimo d’autocritica, si scorgano i segni di turbamento caratteristici d’una civiltà sul declivio […]. Tutto impressiona la sua sensibilità, accende la sua fantasia tesa verso il nuovo : ricorda Piero di Cosimo nelle costruttive luci dei primi ritratti; Michelangelo è il nume sulle cui orme volge il passo nel suo esordio artistico; intravede, per mezzo d’Andrea, il problema pittorico dello sfumato, e devia da esso per raggiungere una sua propria visione, dove il colore, non smorzato, non sgranato dall’ombra, è goduto per sé, nella sua intatta limpidezza; persino di Masaccio appare uno sporadico ricordo nel gruppo stravolto di Adamo ed Eva agli Uffizi.

Ma forse nessuno di questi grandi esempi fiorentini ebbe sul Pontormo influenza così vitale come lo studio dell’arte germanica, soprattutto per mezzo delle stampe dureriane, ove egli trova elementi più consoni a sviluppare la sua tendenza verso la linea decorativa e verso il colore puro. Mentre il proposito di attenersi ai principi di Michelangelo corrisponde con i periodi meno felici dell’arte di Jacopo, par che soltanto la visione dell’arte germanica dia libero slancio alle tendenze del suo spirito singolarissimo. e veramente illumini la sua via, riveli a lui stesso la sua personalità. La tortuosa linea gotica, soprattutto strumento d’espressione spirituale agli artisti tedeschi, diviene, passando nelle mani di questo raffinato erede della civiltà toscana, soprattutto mezzo per raggiungere espressioni di pura eleganza decorativa: forma e colore sono, nelle più significative opere del Pontormo, orientati a creare la beltà complessa d’una flora di serra, delicata e capricciosa.   A. venturi, Storia dell’arte italiana, 1932

L’invenzione di questi primi manieristi [Pontormo e Rosso] non è che un riflesso impallidito di quella dei maestri del secolo precedente; ma essa è ancora piena di suggestione, non solo perché prelude al nostro disordine, ma perché confrontata, ad esempio, con l’arte volgare e pesante della scuola bolognese che le succede, si aureola di un’ultima luce ideale […].   A. lothe, in “Nouvelle Revuc Francaise”, 1935

Un senso di sorpresa pervade chi per la prima volta veda questo quadro [la Deposizione di S. Felicita]. È un’allucinante visione di pura fantasia; sembra che i personaggi, presi da un profondo senso di sbigottimento, composti di una sostanza lunare, siano trasportati, trasportando il Cristo, in una nuvola, campati in aria ; si agitano le braccia, si curvano le teste : una luce chiarissima li pervade, e fa brillare con delicatissime trasparenze i rosa, i verdi, le carni candide e appena velate da penombre. Attonito, con la bocca semiaperta, San Giovanni sembra troppo esile per sostenere il bianchissimo corpo del Cristo. Un’altra figura giovanile, in atto di sollevare il Cristo, è fosforescente di luce e volge verso noi gli occhi spauriti nelle profonde orbite. Il gruppo delle pie donne e delle altre figure è composto nel modo più inconsueto e mosso. Mai la composizione ‘piramidale’ fu sconvolta da tanta varietà di piani e di attitudini. Un ritmo di linee curve, date dall’agitarsi dei chiari panni, dal sollevarsi a festone delle braccia, come in una cadenza, produce un movimento concitato, ma armonioso, che è la nota dominante e quasi astratta, più percettibile e anche più impressionante che l’espressione ed i gesti delle singole figure. Certo in questa musica non manca l’enfasi, ma tutto è portato ad una tale esaltazione che anche l’enfasi rientra nell’armonia.    E Toesca, in Pontormo. 1943

S’apriva ora [con la Cena in Emmaus] al Pontormo una via nuova, verso il naturalismo della pittura secentesca. Ma per seguirla egli avrebbe dovuto rinunciare alla sensitiva, intellettualistica acutezza che era in fondo alla sua visione d’artista. Solo in essa il suo spirito autocritico, teso verso liminari vibrazioni al di là di ogni certezza, poteva esprimersi intero. E tutto il momento evolutivo che segue alla Certosa è caratterizzato da questo insorgere d’un intimo dissidio tra una sintesi figurativa pienamente raggiunta e l’ansia di approfondirla ancora nell’espressione delle più inafferrabili note dello spirito.    L. becherucci, Manieristi toscani, 1944

Per la sua tradizione di cultura e la sua raffinatezza di colorista spesso la realtà più comune tra le mani del Pontormo diventa agevole e piena di scioltezza che è giusto dire signorile; ma se questo avviene senza che tale realtà perda interesse in moduli convenzionali, non torna a danno ne della particolarità ne della schiettezza delle cose raffigurate. Più problematica, perché si tiene maggiormente al letterario sensualismo manierista, è la Deposizione di Santa Felicita; si salva all’arte sia per quanto di solidamente pontormesco contiene, sia perché in quello che concede al gusto del tempo ci da l’artista in un equilibrio instabile pieno di perplessità sofferta, che non è rinuncia morale, ma diventa fascino. Eppure non cercheremo qui particolarmente il Pontormo, ma più volentieri nei ritratti, nella Conversazione, nella Cena e nelle altre opere libere. Con esse egli prende un posto pieno di significato nella pittura del Cinquecento, affermando un colorismo e un naturalismo che non sono quelli dei lombardi precursori di Caravaggio, ma vanno in senso concorde. Abbiamo studiato le ragioni che, privando il Pontormo del consenso dei suoi concittadini, artisti e pubblico, gli resero impossibile lo svolgersi con serenità e abbandono; […] aveva genio abbastanza per cercare di sottrarsi al gusto del suo ambiente, per riuscirvi il più delle volte, non per opporgli decisamente una sua convinzione. Egli sentiva fortemente le conseguenze sterilizzanti per l’arte del nuovo dissidio dualistico ed aspirava a ricomporlo, mentre Michelangelo affermava in dramma perpetuo, contro il reale, l’ideale, sempre più dolorosamente sofferto. Anche la sofferenza del Pontormo è di questo genere, e svela il basso livello spirituale e quindi artistico di tanta produzione del Cinquecento, anche se la gente se ne lascia abbagliare. Forse, è anche questa sua appartenenza a una età di crisi, la lotta con un tempo viziato come il nostro da una povertà spirituale fondamentale, che rende il Pontormo simpatico ai moderni, oltre i molti presentimenti che nel suo sradicarsi dalle convenzioni contemporanee e nelle varie esperienze ebbe modo di rivelare. Lo stesso suo andare per successivi e diversi tentativi pare avvicinarlo al modo di produrre dei nostri artisti, e c’è infatti qualche punto simile, ma non bisogna esagerare nell’analogia.   G. nicco-fasola, Pontormo o del Cinquecento, 1947

Coloro che nei fatti artistici oggidì studiano soprattutto la ragione sociale ed economica, sogliono mettere in relazione il movimento o fenomeno manierista con una serie di eventi politici, finanziari e religiosi: la lotta tra Francia e Spagna, di cui è vittima l’Italia; il contraccolpo della Riforma, e il consolidamento cattolico del Concilio tridentino; lo stringersi della classe aristocratica intorno alle grandi monarchie ed alle corti, come la granducale in Toscana, di formazione nuova; il trasformarsi dei modi della produzione, nella quale aumenta il potere del capitale privato e diminuisce quello delle corporazioni, delle gilde; cosicché l’individuo si sente sempre più tagliato fuori da un sistema di solidarietà sociale, e abbandonato a se stesso, in un mondo pieno d’incertezza e pericoli. Queste cose non sono da negare, mentre meno persuade, leggendo colesti scrittori, la maniera diretta e scoperta in cui, a sentir loro, sembrerebbe che di tali cose gli artisti del manierismo avessero coscienza e subissero gli effetti. Nell’animo degli artisti, quegli allarmi e patemi saranno invece stati sofferti, come sempre accade, una volta che erano ridotti a modi e moti di sentimento così personale ed intimo, da esserne irreperibili e irriconoscibili le lontane cause politiche, economiche e religiose. Una volta, diciamo, che erano diventati pura materia formale, sostanza di linee, colori, proporzioni : i veri argomenti di competenza dell’artista.   E. cecchi, in Diario di I. Pontorno, 1956

Jacopo da Pontorno, forse più degli altri grandi Manieristi della prima metà del ‘500, il Rosso e il Beccafumi, ebbe la capacità critica di valutare i problemi suscitati dalle più significative imprese artistiche del suo tempo : dai cartoni con le battaglie di Cascina e di Anghiari e dagli affreschi di Andrea del Sarto all’Annunziata, alle Stanze e alla Sistina. Dai suggerimenti offertigli da tali opere non tanto cercò di trarre una sintesi, quanto, incessantemente, elementi per l’origine di nuove idee. Come se la piena sintesi già raggiunta da quelle opere lo mettesse in un esaltato stato poetico, atto a toccare imprevedibili conseguenze. Ma in lui l’esaltazione poetica soffriva e cozzava contro un’ansia, tutta ‘crepuscolare’, di penetrazione e raffinamento stilistici. Dunque l’intera sua opera, salvo rare parentesi di distensione ritrovata in qualche ritratto, riflette una preoccupazione senza tregua di andare oltre quanto era stato già fatto in pittura, e dagli altri e da lui stesso.   L. marcucci, in “Quaderni pontormeschi”, 1957.

La Pala di Sant’Anna di Pontormo

Il Pontormo: Pala di Sant’Anna Madonna con il Bambino, Sant’Anna ed altri santi

Il Pontormo: Pala di Sant'Anna - Madonna con il bambino, Sant'Anna ed altri Santi
Pala di Sant’Anna Madonna con il Bambino, Sant’Anna ed altri santi, cm. 228 x 176, Louvre, Parigi

Sull’opera: “Madonna con il Bambino, Sant’Anna ed altri santi” (Pala di s. Anna) è un dipinto autografo di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, conosciuto come pala di Sant’anna, realizzato con tecnica ad olio su tavola intorno al 1529, misura 228 x 176 cm. ed è custodito nel Museo del Louvre a Parigi. 

Come la maggior parte delle opere di Pontormo, anche quella in esame, viene citata ne “Le Vite” del Vasari.

Da documentazioni certe si ricava che la tavola fu commissionata dalla Signoria per le monache della chiesa di Sant’Anna (non più esistente) in Verzaia, fuori porta S. Frediano. In primo piano stanno: al centro, la Madonna col Bambino; sulla sinistra, San Pietro (facilmente riconoscibile con in mano le chiavi); sulla destra, San Benedetto.

In secondo piano: al centro dietro la Madonna, Sant’Anna; a sinistra, San Sebastiano; a destra, San Filippo. In basso spicca un medaglione, parzialmente ricoperto, dove sono raffigurati i componenti della Signoria con gli immancabili mazzieri e trombetti.

Nel 1813, insieme a moltissime opere di artisti di alto livello, la pala fu trasferita a Parigi come bottino di guerra napoleonico ma ritornò in Italia dopo pochissimo tempo (la maggior parte delle opere furono restituite intorno al 1815).

Per quanto riguarda la cronologia, la maggior parte degli studiosi concorda con il periodo  della decorazione della Cappella Capponi in Santa Felicita (1525-28).

Il Clapp ipotizzava il 1528, il Berenson ritardava il periodo assegnando alla tavola il quadriennio 1527-30, mentre la Becherucci proponeva il 1527.

Altri studiosi di Storia dell’arte come Berti, Forster e Janet Cox Rearick, riferendosi alla ricorrenza di un importante anniversario di Sant’Anna, miravano direttamente all’anno 1529. Un’opera, questa, che si stacca dalla generale vitalità propria delle pitture dell’artista.

Il diario di Pontormo

Il diario di Pontormo (testo tratto dai “Classici dell’Arte” Rizzoli Editore)

Pagine correlate al Pontormo: BiografiaVita artistica – Le opereElenco delle opere – Il periodo artistico – La lettera al Varchi – La critica.

 Passi dal “Diario” di Pontormo

Tra le parentesi quadrate sono state inserite le risoluzioni delle parole che il Pontormo abbreviava.

1554

adì 7 in domenica sera di genaio 1554 caddi e percossi la spalla e ‘1 braccio e stetti male e stetti a casa Br[onzin]o1 sei dì; poi me ne tornai a casa e stetti male insino a carnovale che fu adì 6 di febraio 1554.

adì 11 di marzo 1554 in domenica mattina desinai con Bronzino pollo e vitella e sentimi bene (vero è che venendo per me a casa io ero nel letto — era asai ben tardi e levandomi mi sentivo gonfiato e pieno — era asai bei dì), la sera cenai un poco di carne secha arosto che havevo sete e lunedì sera cenai uno cavolo e uno pesce d’uovo.

el martedì sera cenai una meza testa di cavretto e la minestra.

el mercoledì sera l’altra meza fritta e del zibibo uno buon dato e 5 q[uattrin]i di pane e caperi in insalata.

giovedì sera una minestra di buono castrone e insalata di barbe.

giovedì mattina mi venne uno capogirlo che mi durò tucto dì e dapoi sono stato tuctavia maldisposto e del capo debole.

venerdì sera insalata di barbe e dua huova in pesce d’uovo.

sabato D[igiuno]. domenica sera che fu la sera dell’ulivo cenai uno poco di castrone lesso e mangiai uno poco d’insalata, e dovetti mangiare da tre quatrini di pane.

lunedì sera dopo cena mi sentii molto gagliardo e ben disposto : mangiai una insalata di lattuga, una minestrina di buono castrone e 4 q[uattrin]i di pane.

martedì sera mangiai una insalata di lattuga e uno pesce d’uovo.

mercoledì sancto sera 2 q[uattrin]i di mandorle e uno pesce d’uovo e noce e feci quella figura che è sopra la zucha.

giovedì sera una insalata di lattuga e del caviale e uno huovo; venne la Djuchessa] a Sancto Lo[renzo], el duca vene anco.

venerdì sera uno pesce d’uovo, della fava e uno poco di caviale e 4 q[uattrin]i di pane.

sabato sera mangiai dua huova.

domenica che fu la mattina di Pascua e la Donna andai a desinare con Bron[zino] e la sera cenavi.

lunedì sera mangiai una insalata che era di borana e uno mezo limone e 2 huova in pesce d’uovo.

martedì sera ero tucto affocato e mangiai uno pane di ramc-rino e uno p[esc]e d’uovo e una insalata e de’ fichi sechi.

mercoledì D[igiuno].

giovedì sera uno pane di r[amerin]o, uno p[esc]e d’uno huovo e una insalata e 4 q[uattrin]i di pane in tucto.

venerdì sera insalata, minestra di pisegli e uno pesce d’uovo e 5 q[uattrin]i di pane.

sabato burro, insalata, zuchero e pesce d’uovo.

adì 1 d’aprile domenica desinai con Br[onzin]o e la sera non cenai.

lunedì sera cenai uno pane bollito col burro e uno pesce d’uovo e 2 on[ce] di torta.

martedì

mercoledì

giovedì

venerdì

sabato andai a la taverna: ‘nsalata e pesce d’uovi e cacio e sentimi bene. […]

adì 9 di g[i]ugno 1554 cominciò Marco Moro a murare el coro e turare in Sancto Lorenzo.

adì 18, la sera di sancto Luca, cominciai a dormire già col coltrone nuovo.

adì 19 d’ottobre mi sentivo male cioè inf redato e dipoi non potevo riavere lo spurgho, e con gran fatica durò parecchie sere uscire di quella cosa soda della gola, come alle volte io ho hauto di state; non so s’è stato per essere durato un buon dato bellissimi tempi e mangiato tuttavia bene. e adì detto cominciai a riguardarmi un poco e duròmi 3 dì 30 once di pane, cioè 10 once a pasto, cioè una volta el dì e con poco bere: e prima adì 16 di detto imbottai barili 6 di vino da Radda. […]

1555

genaio, marte[dì] che fu kalendi cenai con Bronz[in]o on[ce] 10 di pane.

mercole cenai on[ce] 14 di pane, arista, una insalata d’indivia e cacio e fichi sechi.

giovedì cenai onjce] 15 di pane;

venerdì on[ce] 14 di pane.

sabato non cenai.

domenica matina desinai e cenai con Bronz[in]o migl[i]aci e fegategli. el porco. […]

domenica desinai e cenai in casa Br[onzin]o, adì 13 di genaio 1555.

lunedì andai a San Miniato, cenai uno rochio di salsicia, on[ce] 10 di pane.

martedì uno lombo, indivia e una libra di pane, gelatina e fichi sechi e cacio.

adì 20 cenai in casa Daniello una gallina d’India, che v’era Attaviano che fu in domenica sera.

adì 27 genaio desinai e cenai in casa B[ronzin]o, e venevi dopo desinare l’Alesandra e stette insino a sera e poi se n’andò, e fu quella sera che B[ronzin]o e io venimo a casa a vedere el Petrarcha. cioè fianchi, stomachi ec. e pagai quello che s’era g[i]ucato.

adì 30 di genaio 1555 cominciap] q[u]elle rene di quella figura che piagne quello bambino.

adì 31 feci quel poco del panno che la cigne, che fu cattivo tempo e emi doluto quei 2 dì lo stomaco e le budella – la Ima a fatto la prima quarta.

adì 2 di febraio in sabato sera e venerdì mangiai uno cavolo e tucta due quelle sere cenai on[ce] 16 di pane, e per non bavere patito fredo a lavorare non m’è forse doluto el corpo e lo stomaco – el tempo è molle e piovoso.

adì 1 di febraio feci dal panno in giù e adì 5 la finii, e adì 16 feci quelle gambe di quello bambino che l’è sotto, che fu in sabato; el venerdì cominciò a essere bei tempo e così el sabato detto è freddo e prima era durato a piovere tuctavia senza punto di fredo; e adì 21 che fu berlingaccio cenai con Bronzino la lepre e veddi le bagattelle e la sera di carnovale vi cenai. […]

adì 4 di marzo feci quel torso che è sotto a quella testa detta e levami una hora manzi dì.

domenica fumo adì 10 detto: desinai con Br[onzin]o e la sera a hore 23 cenarne quello pesce grosso e parechi picholi fritti che spesi soldi 12, che v’era Attaviano; e la sera cominciò el tempo a guastarsi ch’era durato parecchi dì bello senza piovere.

e lunedì feci quello braccio di quella figura di testa che alza e lasciala insino quivi come monstra questo scizo.

martedì e mercoledì feci quel vechio e ‘1 bracci[o] suo che sta così.

adì 15 di marzo cominciai quello braccio che tiene la coregia, che fu in venerdì, e la sera cenai uno pesce d’uovo, cacio, fichi e noce e on[ce] 11 di pane.

mercoledì adì 20 fornii el braccio di venerdì e lunedì; inanzi havevo fatto quello busto e ‘1 martedì feci la testa di quello braccio che io dico. giovedì mattina mi levai a buon’ora e vidi sì mal tempo e vento e fredo che io non lavorai e mi stetti in casa. venerdì feci quello altro braccio che sta atraverso; e sabato un poco di campo azurro che fumo adì 23 e la sera cenai 11 on[ce] di pane, dua huova e spinaci.

lunedì adì 25 che fu la Donna desinai con Br[onzin]o e la sera cenai in casa mia uno pesce d’uovo.

martedì feci quella testa del putto che china e cenai on[ce] 10 di pane e ebi uno sonetto dal Varchi.

mercoledì feci quello resto del putto e ebi disagio a quello stare chinato tucto dì, di modo che mi dolse giovedì le rene; e venerdì oltre al dolermi ebi mala dispositione e non mi sentii bene e la sera non cenai e la mattina, che fumo adì 29 1555, feci la mano e mezo el braccio di quella figura grande, el ginochio con uno pezo di gamba dove e’ posa la mano, che fu el venerdì detto e la detta sera non cenai e stetti. Dpgiuno] insin al sabato sera e mangiai 10 on[ce] di pane e dua huova e una insalata di fiori di borana.

[31] di marzo la domenica mattina desinai in casa Daniello pesce e castrone, e la sera non cenai, e lunedì mattina mi si smosse el corpo con dolore : levami e poi per essere fredo e vento ritomai nel leto e stettivi insino a hore 18, e in tucto dì poi non mi sentii bene; pure la sera cenai un poco di gota lessa con delle bietole e burro, e sto così senza sapere quello che a essere di me. penso che mi nocessi assai quello ritornare nel letto: pure ora che sono hore 4 mi pare stare asai bene.

adì 3 d’aprile feci quella gamba dal ginocchio in giù, con gran fatica di buio e di vento e d’intonico; e la sera cenai on[ce] 14 di pane, radichio e huova.

giovedì cenai on[ce] 10 di pane, dua huova afrettelate, radichio.

venerdì cominciai una hora inanzi dì quelle schiene che sono sotto a quella, cenai una libra di pane, sparagi e huova e fu uno bello dì.

sabato cenai.

domenica che fu l’ulivo desinai in casa Br[onzin]o certi crespelli mirabili. […]

sabato lavorai quel masso e venne el duca a Sancto Lorenzo cioè a l’uficio. la sera poi non cenai.

Pasqua domenica fu uno gran fredo e gran vento e aqua;

. desinai con Br[onzin]o on[ce] 6 di pane e la sera non cenai. […]

venerdì feci la testa con quel masso che l’è sotto, cenai on[ce] 9 di pane, uno pesce d’uovo e una insalata, e ho el capo che mi gira un buon dato.

sabato feci broncone e masso e la mano, e cenai on[ce] 10 di pane.

domenica cenai on[ce] 10 di pane, e stetti tucto el dì stracho, debole e fastidioso — fu bellissimo dì e fé la luna.

lunedì adì 22 d’aprile stetti bene — ogni male era ito via mangiai on[ce] 8 di pane: non havevo più capogirli e non ero debole, e ho buona speranza. […]

mercoledì [8 maggio] morì el Tasso; e giovedì la finii e la sera andai a cena con Daniello: cavreto arosto e pesce. […]

sabato sera cenai con Piero pesce d’Arno, ricotta, huova e carciofi, e mangiai troppo e maxime della ricotta; e la mattina desinai con Br(onzin)o e la sera non cenai, che fu la ventura mia che havevo mangiato tropo. […]

13 martedì cominciai a fare quel torso che tiene el capo alongiù, così; cenai una insalata e uno pesce d’uovo; on[ce] 10 di pane.

mercoledì ebi uno intonico sì faticoso che io non penso che gl[i] abia a far bene, che sono tucte le poppe come si vede la comettitura, e cenai huova e on[ce] 10 di pane.

giovedì feci uno braccio.

venerdì l’altro braccio.

sabato quella coscia di quella figura che sta così. […]

martedì [25 giugno] si disfece el ponte, mercoledì si rimurò le buche; giovedì feci quel che va insino al co[…J.

sabato fu san Piero.

domenica desinai con Daniello che fu uno gran caldo:

eravi Bronz[in]o e la sera cenai con Piero.

giovedì adì 4 di lugl[i]o cominciai quella figura che sta così.

e la sera stetti a disagio aspettare la carne che Batista era zoppo, e è la prima vol[ta] che gì'[i] a ‘bergato fuora, e quando suo padre stava male non vi stava e questo è che gl’à hauto el letto da dormire dal Rotella.

venerdì — sabato feci insino a le gambe ; la domenica desinai con Bronz[in]o.

adì 8 lunedì feci non so che lettere e cominciomi l’uscita.

martedì feci una coscia, crebemi l’uscita con dimolta colera sanguigna e biancha. mercoledì stetti pegio che forse 10 volte o più; che a ogni hora bisognava, talché io mi stetti in casa e cenai un poco di minestraccia. el mio Batista andò di fuora la sera e sapeva che io mi sentivo male e non tornò, talché io la vo’ tenere a mente sempre.

giovedì feci quella altra gamba e delle indispositioni del corpo sto un poco megl[i]o che sono 4 volte; ho cenato in Sancto L[orenz]o e beuto un poco di greco, non che mi paia stare bene, perché ogni tre hore mi viene lo strugimento.

adì 12 venerdì sera cenai con Piero e credo sia passata l’uscita, cioè quei dolori. […]

adì 16 martedì cominciai quella figura e la sera cenai un poco di carnaccia, che mi fece poco prò, che Batista disse che io mi provedessi perché era stato gridato da’ Nocenti.

mercoledì mangiai dua huova nel tegame.

giovedì mattina cacai dua stronzoli non liquidi, e dentro n’usciva che se fussino lucignoli lunghi di bambagia, cioè grasso bianche; e asai bene cenai in San L[orenz]o un poco di lesso asai buono e finii la figura.

venerdì pesce e uno huovo.

sabato Batista è venuto per tucti e’ colori macinati e penegli e olio; e la sera cenai dua huova, pere e una mezetta di vino, uve e cacio. […]

30 martedì cominciai la figura.

mercoledì insino a la gamba.

adì primo d’agosto giovedì feci la gamba, e la sera cenai con Piero un paio di pipioni lessi.

venerdì feci el braccio che s’apogia.

sabato quella testa de la figura che Fé sotto che sta così.

domenica cenai in casa Danidio con Bron[zino] che fu alle polpette. […]

domenica mattina stetti, subito levato che io fui e vestito, ne l’orto che era fresco un buon dato, a vedere certi disegni che me mostrò ruscellino; e patii fredo e non so perché mi si sdegnò lo stomaco, la sera cenai con Bro[nzin]o popone e uno pipione, e la mattijna] dipoi mi sentivo male e parevami aver la febre.

lunedì matti[na] havevo e febre e lo stomaco sdegnato; cenai che non mi piacque nulla: nel vino mangiai on[ce] 7 di pane, carne e poca, e poco bere, onicià^una dì mandòr[Ie^

martedì sera una curatella, una pesca, on[ce] 12 di pane e o miglior gusto e cominciai la testa di quella figura che sta così. mercoledì el braccio. [1]5 giovedì. venerdì el corpo. sabato le cosce. domenica

lunedì martedì cominciai queHe rene sotto alla testa. mercoledì la finii. […]

lunedì [20 ottobre] martedì mercoledì giovedì venerdì lavorai sotto a detta figura disegnata insino al cornicione, sabato ordinai el cartone che gli va a lato. cenai uno cavolo buono cotto di mia mano e la notte mi levai una scegia d’un dente e mangio un poco megl[i]o.

Domenica e lunedì cossi da me un poco di vitella che mi comperò Ba[stian]o e stetti que’ duo dì in casa a disegnare, e cenai quelle 3 sere da me solo. […]

adì 19 [novembre] lavorai que’ 2 testi di morti che sono sotto al culo di colei.

adì 20 si bollì el bucato.

adì 24 desinai con Br[onzin]o, che v’era la madre de la Maria che mi promise uno pane di ramerino bello. […]

domenica adì 22 [dicembre] desinai con Br[onzin]o; e prima adì 20, che fu el venerdì delle dig[i]une, cominciò el tempo a rischiarare con vento buono e aconciarsi, e è durato otto dì interi; e prima era stato un mese tuctavia o poco o asai ogni dì a piovere con certo ingrossamento d’usci e d’umido di mura quanto io mi ricordi è gran pezo, talché gl[i] a generato a questo bei tempo scese rovinose] che presto amazano: di sorte che se ti trova disordinato d’exercitio, di panni o di coito o di superfluità di mangiare, può in pochi giorni spaciarti o farti male; però è da usare la prudentia, g[i]ugno, lugl[i]o e agosto e mezo settembre, de’ sudori temperati e sopra tucto al vento, quando hai fatto exercitio, hai bavere cura e ancora del mangiare e bere, quando se’ caldo, dipoi ti prepara da mezo settembre in là allo autunno, che per essere e’ dì picoli, el tempo cominciare humido e l’umidità del bere superfluo che hai fatto nella state, ti bisogna con dig[i]uni e poco bere e lunghe vigilie e exercitio prepararti che e’ fredi del verno non ti nuochino, non ti trovando bene disposto; e non frequentare tropo la carne e maxime del porche; e da mezo genaio in là non ne mangiare, perché è molto febricosa e cattiva; e vivi d’ogni cosa temperato, perché le sachate degl’omori e delle scese si scuoprano al febraio, al marzo e allo aprile, perché nel verno el fredo gli congela; e abi cura che alle volte, secondo chome achade nella luna essere imo fredo e poi subito inhumidire ogni cosa congelata, e di qui nasce scese molto rovinose o gociole o altri mali pericolosi. che tucto procede quando è que’ fredi mangiato e beuto superfluo. perché el fredo tè lo comporta e rapigl[i]a, ma subito al tempo dolcie e humido lo riscalda e ricresce e rigonfia: e però chome io dissi di sopra nel principio, quando se’ a questo modo carico, habi cura allo exercitio del rafreddare, perché uccide o subito o in pochi giorni; siché se hai humori superflui acquistati la vernata, tieni l’ordine che io dissi di sopra, e sopra tucto sta in cervello el marzo e maxime nella sua luna, 10 dì prima e 10 poi, cioè al cominciare della luna nuova di marzo e sia insino a passata la quinta decima, che tucte le lune che s’empiono sono nocive se uno è ripieno e importa riguardarsi prima. […]

ne l’anno 1555, per la luna che cominciò di marzo e durò insino al dì 21 d’aprile, in tucto quella luna naque infermità pestifere che amazorno dimolti huomini regolati e buoni e forse senza disordini, e a tucti si cavava sangue, credo che gl’avenissi che el fredo non fu di genaio e sfogossi in questa luna di marzo, che si sentiva uno fredo velenoso sordo combattere con l’aria rinfocolata da la stagione de’ giorni grandi, che era come sentire frigere el fuoco ne l’aqua, tal che io sono stato con gran paura, el vantagio è stare preparato innanzi che entri la luna di marzo, che la ti truovi sobrio di cibo, d’exercitio e con gran riguardo del sudare; e non si sbigottire che passata che l’è di pochi giorni, l’uomo non sa chome la si stia o donde si vengha, che di mal disposto subito l’uomo si sente bene; come interviene a me ogi, questo dì 22 d’aprile del primo giorno della luna nuova, sentirmi bene e per adreto mai essermi mai sentito bene. tucto dee procedere da uno certo fredo che non era ancora smaltito e havea durato insino adì 21 ; ma ogi, questo dì sopra detto, m’è fatto caldo e sentami bene, perché el tempo ha forse la stagione sua. […]

adì 26 [dicembre] andammo a San Francesco e tomamo a desinare che v’era l’Alexandra con mona Lucretia e stemovi la sera e tornamo tucti a le 6 hore.

adì 27 andamo Br[onzin]o e io a Monte Olivete e stemo tucta mattina con Giovan Batista Strozi. tornarne tardi e io stetti insino a la sera digiuno e cenai in casa mia.

adì 28 andamo a col San Miniato e desinarne a l’oste e spenderne s[oldi] 20 per uno — eravamo 5 — e la sera non cenai.

adì 29 domenica mattina andamo insino a San Domenico, tornamo tardi in modo che io non volli desinare e ‘ndugiai a la sera in casa Daniello. […]

1556

giovedì sera cenai col priore de’ Nocenti, lui e io soli a gelatina e nuova.

venerdì adì 10 [gennaio] a hore 24 uno carro mi strinse le ginochia rasento uno muriciuolo; e Ba[stian]o venne a casa per bavere danari da Lattanzio.

sabato ebe [scudi] dua e portagli a’ frati per la pigione.

domenica piovve e fu gran vento e freddo tucto el dì e io cominciai a mangiare su da me uno pezo d’arista; e così martedì vene a botega del Gello; mercoledì adì 15 sera, Bron[zino] venne a casa per me con Ottaviano perché io andassi a cena seco; e io da lo spettale del capello lo lasai e non mi rivede. […]

la mattina da san Piero e la sera al tardi Br[onzin]o e Ataviano passorno — e fu aperto loro l’uscio dal fattore — senza fermarsi; solo disse — che di’ Jacopo —. poi in su le 2 hore Attaviano venne a pichiare, domandando di me, dicendo che l’Alesandra mi voleva — dice el fattore.

[a]dì 20 […]1 Ba[stian]o. lunedì piovve tucto el dì: scosse rovinose e gran tuoni e baleni e la sera cenai uno resto d’intingolo e d’arista avanzata di giovedì, borana cotta, on[ce] 9 di pane e on[ce] 4 di pane di ramerino. […]

adì 26 tornando a casa a bore 24 fui soprag[i]unto da Ataviano, Daniello e l’Alezandra e altre donne, che venivano per me che io andassi a casa Br[onzin]o: andamo e fecesi veghia insino a hore 12. […]

lunedì sera in casa Daniello, che s’andò a vedere la comedia in via magio.

martedì fu uno gran fredo e nevicò la nocte e io cenai uno cavolo in casa mia.

mercoledì.

adì 20 giovedì feci quella testa che grida e cenai vitella e ‘nsino in 29 lasc[i]ai finito tucto insino in terra quel ch’è sotto a detta testa.

marzo adì 3 feci la testa di quella figura disegnata qui.

adì 4 di marzo feci uno pezo di torso insino a le pope e patii fredo e vento tale che la nocte io affocai e l’altro dì poi non potei lavorare.

adì 6 feci tucto el torso.

adì 7 fornii le gambe.

adì 8 andai a vedere uno Hercole con el Rotella.

lunedì 9 feci una testa sottole.

martedì andai a vedere la tavola di Br[onzin]o cioè quello San Bartolomeo.

mercoledì una testa sottole.

giovedì levai le bullette che erano confitte lasù alto.

venerdì una testa sottole.

sabato 14 intonicai da me una testa; ebi della pigione lire 4:

la sera andai a vedere quella testa di Sandrino che m’aperse l’Alesandra che se n’andò via, e in tal sera cenai con Piero che v’era.

15 domenica fu pichiato da Br[onzin]o e poi el dì da Daniello; non so quello che si volessino.

18 feci quello intonaco di macigno sotto a le finestre.

giovedì 19 riscontrai Daniello e Attaviano che mi volevano dare desinare e poi scontrai Br[onzin]o da San Lorenzo, che mandava la sua tavola a Pisa.

venerdì

sabato

domenica venne Br[onzin]o, Daniello e Ataviano a casa, e io comperai canne e salci per l’orto; e Br[onzin]o mi voleva a desinare, e turbandosi mi disse : – e’ pare che voi vegnate a casa uno vostro nimico – e lasciòmi ire.

e lunedì sera cenai in casa Daniello uno capretto di sjoldi] 34 molto buono che v’era Br[onzin]o, Sandrino e G[i]ulio e io, e in tal dì l’Alesandra si rupe el capo con certi embrici. […]

lunedì feci la testa di quel putto.

martedì feci in casa non so che.

adì primo d’aprile mercoledì feci questa altra coscia con tucta la gamba e ‘1 pie.

giovedì sancto.

venerdì mi levai a buon’ora e feci quel torso di bambino.

giovedì feci le gambe – adì 9.

venerdì uno campo azurro e andai a cena con Piero.

sabato feci sotto a le finestre di verso la S[acrestia] vechia quella pietra intorno a quella figura che v’era; e mandai gli sparagi e non vi cenai a casa Piero.

domenica ebi uno berlingozo da mona Ugenia e andai a cena con Brjonzinjo.

lunedì lavorai quelgli docioni sotto a le finestre.

Pier Francesco, martedì mercoledì s’asettò el palco da poter lavorare. […]

domenica 21 [giugno] fui trovato da Br[onzin]o in Sancta Maria del Fiore, e promessi d’andare a desinare seco, che havevano poi a ire a vedere el toro, e la sera ero rimasto di cenarvi, e mandai per uno fiasco di vino a Piero che v’era l’Alessandra e tornamocene insieme; dispiaquemi un buon dato la cena tale che io stetti dig[i]uno insino a martedì sera, che bevi di quel trebiano ch’è di Vinegia e 2 huova, e avevo fatto amazare quello galletto che si gittò via.

[a]dì 24 mercoledì sera cenai con Daniello che v’era el Marignolle e B[ronzin]o.

giovedì feci quelle 2 teste segnate di sopra e fu uno tempo e di piovere e di tuoni e di fredo straordinario.

venerdì si rimurò tucte quelle buche di sul coro di quella prima sterpa].

sabato feci quelle dua braccia e non cenai. […]

lunedì feci q[u]ella teretta. martedì quell’altra teretta.

adì primo di lugl[i]o mercoledì, giovedì, venerdì, sabato la sera. non cenai, disegnai.

5 domenica desinai con Br[onzin]o, che fu quella mattina che io Io trovai da Sancta Maria del Fiore, che era con Ata-viano e parlava con messer Lorenzo Pucci, che ero aviato comperare la lattuga pratese, e la sera cenavi, che fu quando io mandai a Piero per el vino a s[oldi] 9. […]

adì 27 [agosto] detto portai el cartone del Sancto Lorenzo e apicossi da poter lavorare. […]

adì 26 [settembre] in sabato sera andarne alla taverna Attaviano e Bronz[in]o e io: cenamo pesci e huova e vino vechio e tochò s[oldi] 17 per uno.

domenica desinai con Br[onzin]o e la sera vi cenai che v’era Attaviano.

lunedì in casa.

martedì che fu sancto Michele vi desinai e la sera vi cenai che c’era venuto Luca Martini, mercoledì a casa.

giovedì sera vi cenai che v’era el Varchi e messer Luca e la mattin[a] se n’andò a Pisa che fu in venerdì.

sabato piovve tucta nocte e mezo el dì e desinai zuche fritte con Br[onzin]o e recane uno fi[a]scho di colore.

4 domenica andai a San Francesco e stetti tucto el dì. tornai e cenai uno lesso di castrone e ebi uno fiasco di vino vechio dal busino.

lunedì feci quel capo di quel bambino in capegli. cenai 2 ucellini.

martedì mi levai una hora inanzi dì e feci quel torso del putto che ha el calice; e la sera cenai castrone buono, ma io ho male alla gola cioè non posso sputare una cosa apicata che io sogl[i]o avere.

adì 11 domenica andai a Certosa e la sera cenai. […]

lunedì che fu la vi[gi]lia della Pasqua [si tratta, in realtà, del Natale] cenai in casa Bronz[in]o, e insino a la sera stetti e cenai seco una acegia; la seconda festa, la mattina e la sera, mangiai quivi; e la sera di sancto Giovanni cenai con Daniello bene di quegli farcigl[i]oni e on[ce] 8 di pane.

venerdì e sabato mangiai in casa on[ce] 30 di pane, huova, burro e altre cose.

domenica sera cenai porco arosto e on[ce] 16 di pane.

lunedì una insalata di borana e uno pesce d’uovo e on[ce] 13 di pane.